mercoledì 21 settembre 2011

William Saroyan, autore armeno–americano quasi neorealista



William Saroyan (foto di Dickran Kouymjian)


Cento anni addietro, il 31 agosto del 1908, nasceva a Fresno (California) William Saroyan, scrittore statunitense di origini armene.


Rimasto orfano piccolissimo, fu ospitato con i fratellini in un orfanotrofio californiano e ben presto conobbe la strada e i suoi derelitti, dei quali divenne voce e cantore. Abbandonata la scuola all’età di 15 anni, fu strillone e fattorino telegrafico ma intanto iniziava a scrivere e studiava da autodidatta.

Le difficoltà esistenziali nell’ambito della comunità armeno–americana di Fresno, negli anni della Grande Depressione, hanno riempito d’impudente ottimismo e di gioia di vivere le sue prime opere; per William, la vita era degna di essere vissuta nonostante la fame e la povertà (scrisse: «Cerca per quanto sia possibile di essere sfrenatamente vivo, con tutte le tue forze... Cerca di essere vivo, sarai morto abbastanza presto»); i falliti e i derelitti erano per lui gente di valore (scrisse: «Le brave persone sono buone perché sono arrivate alla saggezza attraverso l’insuccesso»); ma soprattutto metteva l’uomo al centro di tutto (scrisse: «Io credo solo che vi è l’uomo. Il resto è trucco, artifizio»).

I racconti del suo esordio, raccolti nel 1934 in L’ardimentoso giovane sul trapezio volante (titolo ispirato da una nota canzone dell’Ottocento), sono irriverenti e particolari, realistici ma sognanti, animati da candidi personaggi vulnerabili («Un trapezio verso Dio o verso il nulla, un trapezio volante verso una qualche forma d’eternità»). Considerati i migliori, sono entrati nella storia della letteratura americana.

Saroyan era conscio del suo ruolo artistico; scrisse: «Lo scrittore è un anarchico spirituale, come lo è ogni uomo nel profondo del suo animo. Egli è insoddisfatto di ognuno e d’ogni cosa... è il migliore amico di ciascuno ma anche il suo solo buon e gran nemico... in nessun caso cam­mina con la moltitudine. Lo scrittore, che è uno scrittore, è un ribelle che mai si ferma... L’arte consiste nel guardare le cose in modo diverso da come hanno l’abitudine di guardarle gli altri». Questi racconti suscitarono entusiasmo sia in America sia in Europa; fu amatissimo in Italia – ove era considerato un autore di gusto quasi neorealista (che mescolava toni poetici e realismo) – e il suo stile fu imitato da molti: tra gli altri, da un giovane Elio Vittorini che lo tradusse facendolo conoscere ai lettori italiani.

Scrittore molto prolifico (scriveva rapidamente e pubblicava rapidamente, ma altrettanto rapidamente spendeva nell’alcol e nel gioco d’azzardo i suoi guadagni), diede alle stampe molte cose ottime ma anche tanto materiale scadente. Al primo volume, seguì la raccolta di novelle Il mio nome è Aram (1940), divenuto ben presto un best–seller internazionale.

Per la commedia I giorni della vita gli fu conferito il Pulitzer che rifiutò, sia perché convinto che il lavoro non fosse «né più grande né migliore» delle altre cose che aveva scritto, sia perché riteneva il premio una valutazione commerciale dell’arte.

Dal testo teatrale Il mio cuore è sugli altipiani (1939), A. Brissoni nel 1957 trasse il film con Albertazzi; mentre da La commedia umana (1942) fu ricavato il film di C. Brown con Mickey Rooney che vinse l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale.

Seguirono i romanzi autobiografici In bicicletta a Beverly Hills (1952) e Ti voglio bene mam­ma (1957).

Col tempo la sua vena si appannò sfumando nel sentimentalismo e nel bozzetto, sparirono i conflitti e diminuì la forza coinvolgente della sua condanna sociale e dei suoi personaggi vibranti di vita. I lettori, tuttavia, continuarono ad amare questo autore che incarnava il tipo medio americano, pur essendo così originale e sempre ispirato dalla sua infanzia complicata, dalla famiglia armena, dal difficile matrimonio, dalla paternità e dal sofferto divorzio (nei suoi testi, sono fortissimi gli elementi autobiografici).

Dal 1958 per motivi fiscali andò a vivere a Parigi; in questo periodo scrisse: «Sono un uomo alienato... alienato da me stesso, dalla mia famiglia, dai miei amici, dalla mia patria, dal mio mondo, dal mio tempo, dalla mia cultura».

Morì di cancro a 72 anni il 18 maggio del 1981 nell’amata Fresno; amante della vita, lasciò scritto: «Tutti devono morire, ma ho sempre pensato che nel mio caso si sarebbe fatta un’ec­cezione. E ora che succede?».

Molte delle sue carte e diversi suoi manoscritti sono conservati presso la Stanford University, mentre a Fresno è stata creata la “The William Saroyan Society” per custodire la memoria di questo grande americano. (www.zam.it, News, 31/8/2008)

P.S. Nel 1939 William Saroyan aveva rappresentato con successo, presso il Guild Theatre di New York, la commedia I giorni della vita (The Time of Your Life), che gli meritò il Pulitzer che rifiutò. Nel 1948 ne fu tratto un film di successo, sceneggiato da Nathaniel Curtis, con James Cagney, per la regia di Henry C. Potter. Romanzo e film raccontano di un mondo di varia umanità che si muove intorno al Saloon di Nick, non solo ristorante ma anche luogo di incontro sito in uno dei quartieri più malfamati di San Francisco. E c'è Joe (James Cagney), il quale si siede sempre al solito tavolino bevendo una coppa di champagne in mano, osservando gli altri con simpatia e incoraggiando e aiutando tutti, e c'è Nick (William Bendix), il proprietario, che ha un amore sviscerato per i cavalli, e c'è un cowboy (Wayne Morris), c'è una prostituta (Jeanne Cagney) e c'è un ubriacone sbruffone di nome Murphy vestito da Buffalo Bill (James Barton) che racconta un sacco di balle, ma ci sono anche tanti altri disperati (donne di malffare, artisti di varietà in difficoltà, disoccupati impenitenti, strilloni e poliziotti), e tutti si ritrovano comunicandosi i loro sentimenti e trovando il modo di sognare una soluzione diversa per le loro esistenze tribolate. Fedele al romanzo, il film ha il tocco della verità e della leggerezza pur in un  tono grottesco e demenziale, avvalendosi di attori in forma e perfetti nella parte. Splendido James Cagney, per una volta nel ruolo di un buono e non del solito gangster.

Dal testo teatrale di Saroyan Il mio cuore è sugli altipiani (My Heart's in the Highlands), scritto nel 1939, il regista teatrale e televisivo Alessandro Brissoni ha ricavato nel 1957 l'omonimo film, con Giorgio Albertazzi, Augusto Mastrantoni e Alvaro Piccardi, che racconta la storia della crescita spirituale di un ragazzo che attraversa l'infanzia e giunge all'adolescenza guidato dai racconti di un vecchio vagabondo. E tutti i personaggi, bizzarri e picareschi, sono armeni giunti negli Stati Uniti da una parte remota del mondo: individui perseguitati e delusi, che non hanno perduto però il gusto di sognare e il desiderio di vivere una vita degna di essere vissuta; e per questo sono disposti ad affrontare una diversa cultura, con usi e costumi lontani anni luce da quelli della loro triste vita infantile offuscata dalla guerra e dall'esilio.

Dal romanzo di Saroyan La commedia umana (The Human Comedy) scritto nel 1942, fu tratto nel 1943 il bel film di Clarence Brown con James Craig, Van Johnson, Fay Bainter, Mickey Rooney e Robert Mitchum. Il film ricevette cinque nomination agli Oscar e un premio per il soggetto originale a William Saroyan. Vi si narra la storia di un ragazzo di quindici anni, Homer Macauley (Mickey Rooney), pieno di sogni e di entusiasmo, che vive in una piccola città della California. Il padre è morto e il fratello maggiore è partito per la guerra. Homer si preoccupa di sostenere la famiglia moralmente ed economicamente: di giorno frequenta il liceo, la sera vola in bicicletta verso l'ufficio del telegrafo ove fa il portalettere. Rimanendo forte e serio accanto alla mamma che si coccupa delle galline e suona l'arpa, alla sorella che studia il pianoforte e al piccolo Ulysses aperto a tutte le curiosità del mondo, Homer impara a crescere facendo il suo consapevole ingresso nel mondo degli adulti. Ha scritto Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Molto garbo, eccesso di miele, ottimismo irriducibile... Bravo Rooney, bene gli altri. Cammeo di R. Mitchum.».

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