martedì 20 settembre 2011

Robert Merle, antimilitarista e crudo cantore della guerra



Robert Merle


Cento anni addietro (il 28 agosto del 1908) nasceva a Tebessa, in Algeria, Robert Merle, scrittore pacifista francese insignito del premio Goncourt nel 1949 per il suo primo romanzo Week–end à Zuydcoote, in cui autobiograficamente descriveva la disfatta di Dunkerque, durante la quale egli stesso (agente di collegamento con le forze britanniche) era stato fatto prigioniero dai tedeschi.


Inizialmente, il prestigioso editore Gallimard fu contrario alla pubblicazione del libro, spaventato dalla lucida violenza del racconto e dal linguaggio duro e spietato (tale da indurre la rivolta dei timorosi benpensanti), ma dovette cedere alle pressioni di Jean–Paul Sartre e di Raymond Queneau che minacciarono l’abbandono della casa editrice. Merle era un grande amico di Sartre e di Simone de Beauvoir, e spesso compare nei romanzi autobiografici della grande scrittrice francese.

Figlio di un militare francese nato in Algeria, fece studi di Filosofia e Inglese, e prese un dottorato in Lettere con una tesi dedicata ad Oscar Wilde. Professore di liceo a Neuilly–sur–Seine, ove conobbe Sartre (già giovanissimo professore di filosofia), fu richiamato nel 1939 e si ritrovò a Dunkerque; fatto prigioniero, rimase in reclusione sino al 1943. Divenne professore d’In­glese presso l’Università di Rennes e – dopo diversi trasferimenti – presso quella di Nanterre. Era quindi un accademico ma anche uno scrittore anticonformista che amava la letteratura di gusto popolare.

La guerra fu la protagonista dei suoi primi libri: nel 1952, dopo il grande successo incontrato dal primo romanzo, scrisse La morte è il mio mestiere (La Mort est mon métier), ispirato alla biografia vera del comandante di un campo di concentramento in Auschwitz, che aveva perso per strada ogni traccia di umanità (fu tradotto anche in Italia). Entrambi i romanzi furono trasformati in due film di successo. Nel primo, Week–end à Zuydcoote (Spiaggia infuocata), del 1964, per la regia di Henri Verneuil (molto fedele al romanzo), un giovane Jean Paul Belmondo, soldato apparentemente cinico e privo di senso della Patria, innamorato di una giovanissima Catherine Spaak, tenta di abbandonare le abbrutite truppe francesi ma perisce in un infelice destino di morte.

La guerra ritorna in alcuni drammi dedicati a Che Ghevara e alla rivoluzione sud–americana.

Nei romanzi successivi Merle si dedicò alla scienza con Un animale dotato di ragione (Un animal doué de raison) (1967) – tradotto in USA con il titolo Il giorno del delfino (The Day of the Dolphin) e trasformato in un film da Mike Nichols nel 1973 – e con La qualità dell’uomo (Le Propre de l’Homme) (1989), che racconta la sfida di uno scienziato che insegna il linguaggio dei segni a uno scimpanzé. Si occupò invece di fantascienza in Malevil (1972), la storia di una piccola comunità di sopravvissuti dopo un’esplosione nucleare (anche da questo romanzo fu tratto un film nel 1981), e in Madrapour (1976), che narra l’avventura di un aereo senza equipaggio (metafora onirica di un viaggio nell’al di là). Fu anche uno storico d’eccezione: tra il 1977 e il 2003 scrisse i 13 romanzi del ciclo romanzesco di storia «umanizzata» avente come inizio Fortune de France, una vera e propria saga dedicata alle Guerre di Religione combattute in Francia tra il 1547 e il 1661. 

Merle morì il 27 marzo del 2004 per un attacco cardiaco nella sua residenza di “La Malmaison”, nei pressi di Parigi.

Nel 2003 aveva ricevuto il Grand Prix Jean Giono per il 13° romanzo storico La spada e gli amori (Le Glaive e les amours). Durante il conferimento di questo premio, umilmente disse: «Mi accontento della mia vita. Troppa grazia!».

In occasione della sua morte (che lo scrittore definiva «la bella signora vestita di nero»), sul Corriere della Sera del 1° aprile 2004 il critico Ulderico Munzi scrisse: «Robert Merle, come tutti i grandi personaggi della letteratura, anche se dimenticati, è morto con estrema discrezione... Aveva novantacinque anni e detestava gli scenari delle lunghe agonie.».

Nel 2008, per il centenario della sua nascita, il figlio Pierre gli ha dedicato una voluminosa biografia, illustrata con fotografie, dal titolo Robert Merle. Una vita di passioni (Robert Merle. Une vie de passions). (www.zam.it, News, 27/8/2008)

P.S. Nel 1964 Henri Verneuil diresse, attenendosi fedelmente al romanzo di Robert Merle, il film drammatico Week–end à Zuydcoote (Spiaggia infuocata), adattato da Francois Boyer e dallo stesso Robert Merle, interpretato da Jean-Paul Belmondo, Catherine Spaak, François Périer e Jean-Pierre Marielle. Il film racconta le ore decisive nel giugno del 1940 di un gruppo di militari francesi che in difficoltà mentre i soldati britannici in precipitosa ritirata devono evacuare Dunkerque affollandosi sulla spiaggia di Zuydcoote per imbarcarsi verso l'Inghilterra. Un sergente francese (Julien Maillat) abbandona il suo reparto e si rifugia in una piccola villa ove incontra Jeanne, inizialmente poco disponibile, con la quale tenterà poi di esorcizzare gli orrori della guerra andando incontro, però, a un inevitabile destino di morte. Ha scritto Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Francese di ideazione e produzione, ma hollywoodiano nella magniloquenza spettacolare e nell'efficienza dei particolari, il film possiede, nonostante i compromessi, una certa onestà di fondo nella rappresentazione della guerra.». Ha commentato invece Massimo Bertarelli (su "Il giornale" del 18 agosto 2000): «Passabile melodramma sentimentale, ben fornito di retorica antimilitarista, che il solido francese Henri Verneuil dirige sottolineando gli orrori della guerra. Oggi roba da ridere ma per l'epoca piuttosto scioccante, tanto da passare diversi guai con la censura. Catherine Spaak, che gioca in casa, e Jean-Paul Belmondo tubano appassionatamente col groppo in gola.».

 



Il film tedesco Aus einem deutschen Leben del regista di origine polacca Theodor Kotulla è stato ricavato nel 1977 dal romanzo di Merle La mort est mon métier (La morte è il mio mestiere), biografia romanzata di Rudolf Hoess (rinominato Rudolf Lang dall'autore). La sua vita divenne nota grazie allo psicologo americano Gilbert, che lo aveva interrogato nella sua cella durante il processo di Norimberga, e inizia quando Rudolf ha 13 anni (è il 1913) ed è costretto a subire l'educazione pervasiva e piena di restrizioni del padre (un cattolico rigido e severo). A 16 anni debutta nella carriera militare e si lascia convincere a partire per il fronte turco; ritornato a casa, dopo un tentativo di suicidio, aderisce al partito nazista ed entra nelle SS, scalando tutte le gerarchie sino a divenire il comandante del campo di


 concentramento di Auschwitz. Riceve poi l'ordine da Heinrich Himmler (il potentissimo ministro dell'Interno del Reich) di uccidere la maggior parte di Ebrei nel modo più efficace possibile. E a quest'attività Lang si dedica con scrupolo, ingegno, metodo e crudeltà, organizzando il più mostruoso genocidio mai conosciuto. Dopo la fine della guerra e la caduta di Hitler, imprigionato e condannato a morte, si difenderà dicendo di avere soltanto obbedito agli ordini e, con aria serena e naturale e senza dubbi né rimorsi, risponderà di aver ucciso soltanto due milioni e mezzo di persone rispetto ai tre milioni e mezzo che gli erano stati richiesti. In una prefazione scritta per il suo romanzo il 27 aprile del 1972, Merle ha osservato che Rudolf Lang non è una espressione del male o del demonio: «Preferisco pensare, per quel che mi riguarda che tutto diventa possibile in una società nella quale le azioni non sono più controllate dall'opinione pubblica. Di conseguenza, la morte può apparire come la soluzione più rapida per i problemi.». Il film di Kotulla è stato interpretato da Götz George (Lang), Elisabeth Schwarz (Elsie) e Hans Korte (Himmler), oltre che da Kurt Hübner, Matthias Fuchs, Kai Taschner e Sigurd Fitzek, e ha saputo rendere al meglio la totale insensibilità e la completa mancanza di umanità di Rudolf, il quale tutto aveva giustificato col suo essre un uomo di doveri e si era sentito tradito soltanto da Himmler che, prigioniero degli inglesi, si era suicidato lasciandolo da solo ad assumersi le sue responsabilità. E Lang dimostra l'unico momento d'incertezza, quando l'amata Elsie apprende il suo orribile passato del quale era all'oscuro.


Dal romanzo di fantascienza di Robert Merle Un animale dotato di ragione (Un animal doué de raison) (1967) è stato tratto nel 1973 il film Il giorno del delfino (The Day of the Dolphin) di Mike Nichols, sceneggiato da Buck Henry, con George C. Scott, Trish Van Devere e Paul Sorvino. Vi si narra di due biologi marini che in Florida si occupano del linguaggio dei delfini e che riescono a trovare il modo di comunicare con due delfini denominati Alpha e Beta; un gruppo di terroristi medita però di rapirli e utilizzarli in un attentato per collocare delle mine magnetiche sotto lo yacht del presidente degli Stati Uniti in vacanza. Delusi i biologi tentano di rendere i delfini diffidenti nei confronti dell'uomo ma poi si convincono della necessità di un loro ritorno in alto mare, là dove è il loro ambiente di vita naturale. Il film ha suscitato l'entusiasmo della critica ed è stato nominato agli Oscar nel 1974 per il miglior sonoro e la migliore colonna sonora originale.


Da Malevil
(1972), un altro romanzo di fantascienza di Merle, è stato tratto nel 1981 un film diretto da Christian de Chalonge con Michel Serrault, Jacques Dutronc, Jacques Villeret e Jean–Louis Trintignant. La storia è ambientata in un'epoca imprecisata, in una zona rurale del Sud della Francia, e il protagonista è Emmanuel Comte (Michel Serrault), un direttore scolastico serio e stimato che ha deciso di vivere in campagna e che è il proprietario di un vecchio castello chiamato Malevil. In seguito a una catastrofe nucleare, non restano che rovine e desolazione. Comte si ritrova insieme a un gruppo di sopravvissuti e tenta di organizzare la ripresa di una vita degna di essere vissuta nel segno della solidarietà; più tardi scoprono che altri uomini sono sopravissuti e che si sono organizzati in una diversa società guidata da un fanatico dittatore. Conclude deluso Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Ne nasce una feroce lotta fratricida. Lo scenario apocalittico è un pretesto per mettere a confronto due tipi di società, il socialismo e il fascismo, ma nel finale affiora un altro tipo di totalitarismo. Personaggi schematici e narrazione di passo lento. Tetraggine deprimente.».



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