mercoledì 24 agosto 2011

Da qui all’eternità contro la guerra – Trent’anni dalla morte dello scrittore James Jones




James Jones

James Jones, considerato uno dei maggiori scrittori della sua generazione, è molto conosciuto per il romanzo Da qui all’eternità (1951).
 

Appartenente a una ricca e prestigiosa famiglia – il nonno era un petroliere ma alla sua morte la famiglia ebbe un rapido declino – nacque nell’Illinois nel 1921; il padre era un dentista con gravi problemi di alcolismo (morì suicida) e la madre una donna profondamente bigotta (James scrisse che queste esperienze familiari gli avevano conferito il talento di intuire ciò che brulicava dietro la facciata sociale). Non poté finire gli studi per problemi economici (si era in piena Depressione) ma in seguito tentò di frequentare brevi corsi universitari liberi.
 

Durante la guerra, svolse servizio militare come sergente e da eroe fu ferito in un’azione nel Sud del Pacifico, meritando una medaglia di bronzo (sono di questo periodo le splendide lettere scritte al fratello che condivideva con lui le medesime aspirazioni letterarie, pubblicate postume col titolo Raggiungere l’eternità).
 

Fu anche un pugile medio–leggero e ciò lo aiutò per la veritiera rappresentazione letteraria di lotte e incontri di boxe. Jones, al ritorno dalla guerra (e in coincidenza della morte dei genitori), ebbe gravi problemi di abuso di alcol e violenza ma quasi per caso incominciò a scrivere, e questo lo pose in salvo.
 

Il suo fortunato romanzo Da qui all’eternità (tra i più rappresentativi dell’esperienza nata dalla II guerra mondiale) narra l’aspra quotidianità della vita militare (con le sue incongruenze e crudeltà) nel periodo precedente l’attacco di Pearl Harbor (del quale Jones fu testimone oculare) ma rappresenta anche una vicenda epica in cui è protagonista l’oscuro soldato semplice col suo piccolo mondo di amori e tradimenti, contrasti e umiliazioni, nel quale s’intuiscono in nuce tutte le contraddizioni della democrazia americana (James scrisse: «Questo è il canto degli uomini senza dimora, eseguito da un uomo che non ha avuto mai una dimora, e che quindi può cantarlo.»).
 

Il romanzo (profondamente antimilitarista e, per questo, eterno nella sua attualità) vinse il National Book Award (1952) e ispirò l’altrettanto fortunato film diretto da Fred Zinnemann (1953), che vinse ben otto Oscar (secondo i critici moderni troppo mélo e alquanto sopravvalutato).
 

Il carattere principale della tragica vicenda è la giovane recluta Prewitt (Montgomery Clift), Prew per gli amici, ex pugile che ha rinunciato alla boxe avendo reso cieco un avversario e che assolutamente si rifiuta di gareggiare sul ring. Questa sua integra individualità entra in conflitto col sistema militare ma soprattutto col capitano Holmes, che lo considera un codardo e tenta con ogni mezzo di fiaccarne lo spirito per convincerlo a combattere (il tentativo di Holmes di dominare l’altro con la violenza è la chiara metafora della guerra). Prew s’innamora di una dolce prostituta (Donna Reed), e per difendere l’amico Angelo Maggio (Frank Sinatra) accoltella un cattivo compagno ed è ucciso a sua volta. L’altro protagonista è Milt Warden (Burt Lancaster), l’abile e onesto sergente maggiore che avrebbe voluto aiutare Prew ma non c’è riuscito, innamorato della moglie del capitano Holmes (Deborah Kerr), una donna delusa e offesa dai tradimenti del marito. Come dimenticare l’appassionato bacio che i due si scambiano sulla sabbia (uno dei più belli della filmografia mondiale)!
 

Jones ebbe modo di partecipare (sia intellettualmente sia economicamente con i diritti d’autore del suo romanzo) a un inusuale e interessante esperimento letterario: la “Writers’ Colony” che preparava e sosteneva giovani scrittori, costituita da Lowney Handy (la moglie di un petroliere, aspirante scrittrice) che fu l’amorosa insegnante di scrittura di James nel suo difficile periodo giovanile.
 

Nel 1958 Jones si trasferì con la moglie Gloria («la candela che illuminava la sua casa») a Parigi, ove rimase sino al 1974; in questo periodo – senza confermare le rosee speranze dell’e­sordio – pubblicò Qualcuno venne di corsa (1958), La sottile linea rossa (1962), dedicato alla battaglia di Guadalcanal ove venne ferito (che ispirò il riflessivo film di Terence Malick del 1998), e Il gaio mese di maggio (1971) in cui rievoca la rivolta studentesca parigina del ’68.
 

Ritornato in USA per ricoprire un incarico d’insegnamento universitario, morì a Long Island il 9 maggio del 1977 (aveva appena 56 anni). (“La Sicilia” 20/5/2007) 

P.S. La sottile linea rossa (The Thin Red Line), tratto dal romanzo di James Jones, fu prima diretto nel 1962 da Andrew Marton con Keir Dullea, Jack Warden, James Philbrook e Ray Daley. Con forza drammatica raccontava gli scontri avvenuti tra l'agosto e il novembre del 1942 presso l'isola di Guadalcanal (Melanesia) tra gli occupanti giapponesi e i militari americani (e la vittoria delle forze statunitensi diede il via alla liberazione dell'arcipelago). Romanzo e film erano concentrati su un reparto di fanteria costituito da giovani soldati, i quali durante la seconda guerra mondiale – sbarcati sull'isola – sono sottoposti a marce estenuanti e sono coinvolti in brutali combattimenti all'ultimo sangue nel mezzo di paludi e di campi minati. Secondo il registro degli altri testi di Jones, la trama è animata da un vivo antimilitarismo e dall'odio feroce per la guerra. La linea rossa del titolo è quella che – a parere dell'autore – segna il labile confine tra ragione e follia che in tempo di guerra diventa ancora più labile (dal verso di Rudyard Kipling: «Tra la lucidità e la follia c'è solo una sottile linea rossa»). Il film, pur ottimo, non ebbe né consenso di critica né successo commerciale.

Nel 1998 Terrence Malick ne fece uno straordinario remake girato nei luoghi originali del romanzo (Australia e Isole Salomone), con un cast stellare costituito da Sean Penn, James Caviezel, Nick Nolte, Ben Chaplin, Adrien Brody, John Cusack, Woody Harrelson, John C. Reilly, George Clooney e John Travolta. Più psicologico, il film era incentrato sui tormenti interiori di quel drappello di giovani uomini costretti a cimentarsi quotidianamente con i loro doveri e con la follia insensata della guerra e con la cieca ottusità dei loro comandanti. Nel 1999 il film di Malick vinse l'Orso d'oro a Berlino, due New York Film Critics Circle Awards (per la migliore fotografia e la migliore regia) e ricevette ben sette candidature agli Oscar, senza vincere però nessuna statuetta.

1 commento:

  1. Nel caso de "La sottile linea rossa", ritengo che il film sia gravemente deficitario rispetto al vero valore artistico del romanzo di Jones, nonchè largamente infedele nella descrizione di alcuni personaggi. Si prenda in considerazione Witt, che nel film appare come una sorta di eroe pacifista dedito all'aiuto del prossimo, mentre nel romanzo è descritto con ben altri tratti. Forse per questo motivo il successo del lavoro cinematografico è stato inferiore alle attese.

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