giovedì 25 agosto 2011

Lolita vittima ingenua e perfida carnefice – Vladimir Nabokov. Trent’anni dalla morte dell’autore del celebre romanzo che nel 1955 fece scandalo



Vladimir Nabokov


Nabokov, nato nel 1899 da nobile e ricca famiglia russa (il padre era un noto scrittore liberale), per la rivoluzione del 1917 perse patria e privilegi.



Studiò a Cambridge e visse in Inghilterra, Germania e Francia, scrivendo nella lingua natia – con lo pseudonimo di V. Sirin per differenziarsi dal padre – poesie (che poi definì «rifinite e sterili») e romanzi (che ispirandosi a Pirandello e Kafka fondevano i temi russi di gusto classico con le forme nuove del romanzo occidentale). Nel 1922 il padre fu ucciso a Berlino in un attentato e Vladimir ne ricavò un trauma enorme (ma riprese il suo nome per firmarsi).

Nel 1925 sposò Véra Slonim che lavorava come traduttrice, dalla quale ebbe nel 1934 l’unico figlio Dimitri.

Nel 1940 si trasferì in USA, si diede all’insegnamento universitario, prese la cittadinanza e iniziò a scrivere in inglese. Dal 1958, abbandonato l’insegnamento, visse in Svizzera ove morì il 2 luglio del 1977.

Nel 1955 pubblicò a Parigi Lolita, in cui in modo disincantato demoliva miti e tabù americani. Il romanzo divenne un best–seller anche se dovette subire gli attacchi feroci della critica perbenista. La storia è quella di una passione trasgressiva e quasi incestuosa: il professore inglese Humbert Humbert, in odore di pedofilia e antieroe su tutta la linea, rinchiuso nel braccio della morte, narra in un diario la sua vicenda di abbrutimento. Da sempre attratto dal «fascino elusivo… dalla grazia torbida» delle giovanissime, mentre è in USA per alcune conferenze, s’in­namora perdutamente dell’acerba Dolores Haze soprannominata Lolita, che rappresenta tutto ciò che aveva sempre desiderato (con Nabokov il termine lolita entra nel costume per definire una ragazzina provocante e disinibita). Per averla vicina, Humbert ne sposa la madre che gli è insopportabile e che muore in un incidente d’auto; il patrigno e la ninfetta diventano amanti e iniziano un lungo viaggio per motel. Lolita, oppressa dalle attenzioni morbose dell’uomo, lo tradisce con un corrotto sceneggiatore che il geloso Humbert cerca e uccide. Mentre Lolita parte per il Canada con un bravo ragazzo di cui è rimasta incinta (morirà però nel dare alla luce una neonata priva di vita), Humbert resta solo ad affrontare l’esecuzione capitale che gli sarà risparmiata dalla morte prematura per un attacco di cuore.

E Lolita è sì vittima (ha visto distrutte integrità e dignità, e pur intelligente è trattata come una bellissima farfalla infilzata dal suo spillo), ma è anche carnefice (sfrutta l’infelice Humbert spingendolo nell’abisso fatale coi suoi ca­pricci). In Humbert ovviamente si nasconde il lato oscuro di Nabokov!

Dal romanzo (sceneggiato dallo stesso Nabokov) fu tratto il film di S. Kubrick (1962) con James Mason e Sue Lyon (Lolita quindicenne e non dodicenne per evitare la censura).

Vladimir Nabokov fu anche critico letterario ed entomologo (ordinò le farfalle per il museo di Harvard). Nomade senza casa, uomo snob e bizzarro, disse: «Scrivo per piacere a un solo lettore: me stesso». (“La Sicilia 17/7/2007)

P.S. Per il film Lolita di Stanley Kubrick (1962), fu lo stesso Nabokov – che aveva curato la sceneggiatura – a scegliere Sue Lyon, che aveva l'acerba bellezza e un atteggiamento irriverente che la rendevano perfetta per il ruolo. Anche James Mason fu all'altezza del suo personaggio: seppe mostrare negli occhi ardenti e malinconici il suo represso desiderio che si andava via trasformando in una passione tanto folle da condurlo all'assassinio e alla sua perdita totale. Egli progressivamente si strazia e si annichilisce nel suo interesse torbido e devastante per Lolita, la sua "Ninfetta", che col suo potere di seduzione diviene l'unico scopo della sua vita. Per lei, rompe con tutte le convenzioni e le regole sociali del suo mondo al quale diviene estraneo e, per lei, diventa uno schiavo isolato e accecato dalla sua "nera" passione (egli dice sconsolatamente: «La guardai, e seppi con chiarezza, come so di dover morire, che l'amavo più di qualunque cosa avessi mai visto sulla terra, più di qualunque cosa avessi mai sperato in un altro mondo.»). Shelley Winters è Charlotte Haze, una madre superficiale e quasi caricaturale, cieca su quel che di tremendo accade attorno a lei. Il corrotto sceneggiatore Clare Quilty è un superbo Peter Sellers, grottesco e dalle mille facce e dai mille travestimenti, personaggio kubrickiano immerso in un'ambientazione kitsch, anch'essa di pura matrice kubrickiana. Nel film, a differenza che nel romanzo, il rapporto tra la ragazzina e il patrigno appare smorzato e l'attrazione erotica dell'uomo per Lolita è molto più sfumata ma altrettanto inquietante (Lolita, tra l'altro, nel romanzo aveva soltanto dodici anni e non quindici come nel film). In effetti, dopo aver visto il film, Nabokov dovette constatare che quasi nulla era rimasto del suo romanzo.

Nel 1997 Lolita è stata riproposta per la regia di Adrian Lyne con Jeremy Irons, Dominique Swain, Melanie Griffith e Frank Langella. Le differenze tra i due film sono notevoli. Come scrivono Laura, Luisa e Morando Morandini ne "il Morandini" (Zanichelli editore): «Furbo praticante dell'erotismo soft, A. Lyne illustra il romanzo di V. Nabokov con un film lascivo, molle, decorativo, di patinata eleganza, che nella parte finale scade nel turpe. Kubrick aveva accentuato la dimensione umoristica e grottesca di Nabokov col ritratto ora feroce ora pietoso della madre di Lolita e specialmente col cinico, esuberante fregolismo di Clare QuillyPeter Sellers. Lyne toglie spazio e peso a entrambi, togliendo anche quel velo di umorismo che nel romanzo rende ancora più dolorosa la passione. E fa sbagliare un'interpretazione a un attore del calibro di J. Irons.». E Dominique Swain, con la sua bellezza alla Barbie, seppe restituire poco del fascino morboso di Lolita.



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