Daphne Du Maurier e Alfred Hitchcock
Daphne Du Maurier nacque il 13 maggio del 1907 da un’aristocratica e colta famiglia d’origine francese.
La madre Moriel era una bellissima ex–attrice e il padre, Sir Gerald, fu attore e noto impresario: questo consentì a Daphne (che era un vero maschiaccio e avrebbe desiderato esser nata uomo) di frequentare il colorato ed eccentrico ambiente delle star teatrali, i cui liberi costumi contrastavano con l’atteggiamento sessuofobico del padre, che lei amava di un affetto morboso e che fu una presenza psicologica ingombrante.
Daphne era inoltre la cugina dei ragazzi Llewelyn–Davies, che ispirarono a J.M. Barrie l’intramontabile Peter Pan, mentre il nonno George era un famoso scrittore–disegnatore.
Sulla base di queste ricche premesse culturali, la giovane donna fu affascinata dal mondo della letteratura e giovanissima iniziò l’attività di scrittrice con Spirito d’amore (scritto in otto settimane e pubblicato alla grande da uno zio editore). Il romanzo ebbe un certo successo e le procurò l’interesse del più maturo Sir Frederick Browning, un alto militare dell’esercito britannico nonché eroe di guerra che la chiese in sposa (fu amore a prima vista: dopo tre mesi erano già sposati).
Nonostante Daphne abbia sempre sostenuto di aver avuto una vita matrimoniale felice e una famiglia deliziosa, sembra che il matrimonio non fosse completamente riuscito a causa del suo carattere algido; ebbe tre figli con i quali pure fu fredda e distaccata. Stranamente, il marito – che era un uomo autoritario all’esterno – presentava enormi fragilità in famiglia; Daphne fu perciò costretta a mostrarsi moglie e madre tenera in società, e a sfoderare invece energia e piglio mascolino nel privato (i suoi biografi hanno riportato alcune sue infatuazioni omosessuali dopo la morte del marito, avvenuta nel 1965).
Con Rebecca, la prima moglie (1938) Du Maurier divenne un’autrice di successo, acquistando fama planetaria nel 1940, grazie all’ottimo film di Alfred Hitchcock che vinse l’Oscar, con Laurence Olivier (dagli occhi tristi e vellutati) e Joan Fontaine (dalla spontanea grazia giovanile).
Immediatamente, divennero best–seller sia i romanzi precedenti (La carriera di Giulio e La taverna della Giamaica, che ispirò un film), sia quelli successivi (Donna a bordo e Mia cugina Rachele, dai quali furono tratti altri due film interessanti). Dal breve racconto Gli uccelli fu ricavato l’indimenticato film di Hitchcock.
Alcuni dei libri di Du Maurier furono scritti da un io–narrante maschile che risultò molto convincente (scriveva Daphne: «Quando qualcuno sta scrivendo un romanzo in prima persona, deve essere quella persona»). Considerata un’autrice romantica, non lo fu per nulla: i suoi erano racconti del terrore che non esitavano in “happy end” e lasciavano problemi irrisolti – Rachele era buona e innocente o cattiva e colpevole? – e che erano immersi in una sinistra atmosfera densa di tutte le trappole tipiche del romanzo Gotico (evocazioni paranormali, delitti, incendi, ambiguità sessuale, etc.).
Nel desiderio di essere considerata una scrittrice seria e versatile, si dedicò anche alle biografie (notevole fu quella di Branwell Brontë, il fratello genialoide e oppiomane delle tre sorelle Brontë, morto giovane in preda alla pazzia) e a un intenso studio storico–autobiografico (The Du Mauriers), che narra di tre generazioni e ne segue la sorte sin dal 19° secolo.
Daphne odiò i ricevimenti e la vita mondana cui la costringeva la carriera del marito (divenuto Segretario di Stato) mentre amò la Cornovaglia che con le sue coste selvagge l’ispirò per creare l’affascinante atmosfera dei suoi romanzi e dove visse in solitudine con la famiglia e i suoi West Highland terrier (prima nell’antica magione Menabilly, in tutto simile alla Manderley di De Winters, poi dal 1967 a Kilmarth, un antico maniero lì vicino). A quest’amata terra, dedicò il romanzo La casa sull’estuario (in cui ritorna indietro al 14° secolo) e la guida di viaggio Cornovaglia magica.
Nominata Dama dell’Impero Britannico nel 1969, si rifiutò di andare a Londra per la cerimonia d’investitura: tanto più cresceva la fama, tanto più tendeva a isolarsi (scrisse: «Il successo è una cosa assolutamente personale, allo stesso modo che pregare o fare l’amore»).
Morì nel 1989 a Kilmarth, nel luogo che aveva tanto amato e al quale ritornò – nel senso reale del termine – avendo chiesto di spargere le sue ceneri sui campi vicino casa. La Cornovaglia le dedicherà un festival per il centenario della sua nascita dal 10 al 19 Maggio.
Richard Kelly – il professore dell’università del Tennessee al quale Du Maurier rilasciò per “The Independent” l’ultima delle sue rare interviste in una vecchia casa piena di memorie e fantasmi – ha fatto un’interpretazione psicanalitica dei romanzi di Daphne, rilevando nelle pieghe di una narrazione ricca di mistero e sospetti una personalità ossessiva, una dominanza sessuale e la liberazione di un Io nascosto e represso. Kelly identifica in Rebecca – l’altra donna – la figura della madre dominante della scrittrice e in Maxim de Winter quella del padre–amante/sposo, del quale alla fine l’io–narrante senza nome–Daphne conquista l’amore pieno, trionfando sul triangolo edipico (il momento più alto dell’oscura vicenda è rappresentato proprio dalla rivelazione di Maxim, che confessa all’eroina e al lettore che egli, non soltanto non ama Rebecca ma anzi la odia profondamente). (“La Sicilia” 6/5/2007)
P.S. Il film Rebecca, la prima moglie Rebecca (Rebecca), diretto nel 1940 da Alfred Hitchcock, vinse due Premi Oscar, uno per il miglior film e uno – meritatissimo – per la migliore fotografia a George Barnes. A metà tra la fiaba incantata e l'horror, sontuoso e inquietante, mai film è stato più coinvolgente e più riuscito per atmosfera e interpreti. La giovanissima Joan Fontaine, dolce e vivace, umile e timida, insicura e complessata ma forte e tenace, ha incarnato al meglio la seconda signora De Winters senza nome, che col suo amore salva il tormentato marito; Laurence Olivier era perfetto nella parte di Maxim de Winter, uomo aristocratico ma modesto, malinconico e misterioso, autoritario ma affettuoso; Judith Anderson fu eccezionale nel ruolo della fredda e psicopatica governante, di quella terribile signora Danver, custode intransigente e folle delle cose della prima moglie, resa cieca dall'amore per la morta Rebecca; e infine George Sanders fu ambiguo e disgustoso al punto giusto nel rappresentare Jack Favell, l'amante-cugino di Rebecca, desideroso d'incastrare de Winters. E la splendida dimora inglese ha un ruolo non trascurabile nel determinare il fascino del film; scrisse Hichcock: «Il film è la storia di una casa; si può dire che la casa è uno dei tre personaggi principali del film.».
Buongiorno Signora Iannelli,
RispondiEliminaQuesto messaggio è solamente per informarla che dopo varie ricerche si è rivelato che gli antenati di Daphné du Maurier non erano aristocratici. E’ vero, per tanto tempo hanno pensato essere degli aristocratici ma non lo erano affatto.
Può trovare queste informazioni su Geneanet oppure nel libro “Sur les pas de Daphné du Maurier au pays des souffleurs de verre” scritto in francese da Anne Hall nel 2010.
Se l’interessa veramente la storia di Daphné du Maurier e se sa leggere il francese, Anne Hall, che conosco molto bene, è disposta ad inviarle una copia del suo libro.
Scrivendo su Internet « Sur les pas de Daphné du Maurier au pays des souffleurs de verre » si apre il file pdf del suo libro.
Sono francese, abito à Milano dal 1972, e gli antenati di Daphné du Maurier erano proprio della regione francese dove sono nata e dove abita anche Anne Hall.
Sabato 22 novembre parto per la Francia e ritorno il 4 gennaio. Durante tale periodo non potrò rispondere a nessun messaggio perché non avrò nessun pc.
Molto cordialmente.
Lydia Bezard