Louise May Alcott
Louise May Alcott, notissima scrittrice americana della Pennsylvania, nacque nel 1832 e insieme alle sorelle fu educata in casa dal padre (filosofo trascendentalista e pedagogo sprovvisto di senso pratico e incapace di mantenere moglie e figlie).
Visse in una povertà così estrema da dover iniziare a lavorare giovanissima come istitutrice (e forse anche come domestica e sarta), facendosi carico del sostentamento della famiglia. Grazie a una eredità materna, nel 1840, si stabilì in un cottage del Concord nel Massaschusetts, assistendo la madre e il padre sino alla morte e adottando una piccolissima nipote, rimasta orfana.
Si era battuta per l’abolizione della schiavitù e a fianco del nascente movimento femminista a favore dei diritti e del suffragio femminile.
Morì a Boston il 6 marzo nel 1888 (120 anni addietro) per un avvelenamento di mercurio causato dall’uso di calomelano per curare i postumi di un tifo, contratto mentre era infermiera volontaria durante la guerra di Secessione; prima di morire manifestò il timore di avere la meningite, temibile malattia allora come ora (le sue ultime parole furono: «È forse meningite?»).
Dopo un esordio con lo pseudonimo di A.M. Barnard, scrisse testi duri e sensazionalistici definiti dalla critica del tempo «potboilers» (termine usato per i testi scadenti scritti a scopo di lucro), alcuni dei quali dei veri e propri thriller di gusto gotico, alla maniera del maestro dell’horror Edgar Allan Poe.
Il primo bestseller di Alcott fu Piccole donne (1868), in cui la scrittrice Alcott narrava in modo autobiografico gli eventi quotidiani durante la guerra di quattro sorelle (Meg, Jo, Beth e Amy) e i loro tentativi di sistemazione nel lavoro ma soprattutto nel matrimonio (l’inevitabile destino esistenziale consentito alla donna nel periodo vittoriano). E Louise altro non era che Jo March, piena di fantasioso talento e di umoristico ottimismo. E come Jo, Louise – vivace e anticonformista – diceva: «Nessun ragazzo poteva essere mio amico finché non lo battevo nella corsa… nessuna ragazza se si rifiutava di arrampicarsi sugli alberi e di saltare recinti con me». Dopo l’enorme successo letterario, con soddisfazione scriveva: «Il mio libro uscì; e la gente cominciò a pensare che la scombinata Louise dopotutto valeva qualcosa»; e questo romanzo ha, certamente, influenzato il sentire e i comportamenti di diverse generazioni di ragazze.
Seguirono Buone mogli, conosciuto come Piccole donne crescono (1869), Piccoli uomini (1871) e I ragazzi di Jo (1886), ispirato dai suoi amati nipoti.
Diversi bei film sono stati tratti da Piccole donne: quello del 1933 di George Cukor con Katherine Hepburn; quello del 1949 di Mervyn Leroy con June Allyson e quello del 1994 di Gilliam Armstrong con Wynona Ryder. (www.zam.it, News, 5/3/2008)
P.S. Tre sono i film più noti tratti da Piccole donne.
Nel 1933 George Cukor girò Little Women con Katherine Hepburn (Jo), Joan Bennett (Amy), Jean Parker (Beth), Frances Dee (Meg), e Douglas Montgomery (Laurie). Il successo fu tale da indurre Cukor ad affrontare un altro grande romanzo, "David Copperfield" di Charles Dickens, che fu un nuovo grande successo. Da quel momento Cukor disse: «I became typed as a leterary director» («Sono stato classificato come un regista letterario»). Presentato alla 2ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia del 1934, Katharine Hepburn vinse la coppa Volpi come migliore attrice. Il film vinse anche un Oscar nel 1934 per la migliore sceneggiatura non originale (Sarah Y. Mason e Victor Heerman). E' un film delizioso, forse il migliore di tutte le molte versioni del romanzo. Cukor seppe dare la vita a quelli che avrebbero potuto essere soltanto dei modelli stereotipati di comportamento femminile, conferendo loro una certa modernità e sottraendoli al pericolo di una appiccicosa melassa.
Nel 1949 Mervyn Leroy girò Little Women con June Allyson (Jo), Elizabeth Taylor (Amy), Margaret O'Brien (Beth), Janet Leigh (Meg) e Peter Lawford (Laurie); molto conosciuto in Italia per i numerosi passaggi televisivi, aveva tra gli interpreti anche in nostro Rossano Brazzi, che interpretava il Professor Bhaer che fa capitolare l'irriducibile Jo March e che iniziò così a costruirsi il ruolo di "latin lover italiano". Il film si aggiudicò nel 1950 l'Oscar per la migliore scenografia a colori (Cedric Gibbons, Paul Groesse, Edwin B. Willis e Jack D. Moore) e una nomination all'Oscar per la migliore fotografia (Robert H. Planck e Charles E. Schoenbaum). Hanno scritto del film Luisa, Laura e Morando Morandini, ne "il Morandini (Zanichelli): «Potabile sul versante della commedia, insopportabile quando inclina al sentimentalismo.».
Nel 1994 la regista australiana Gilliam Armstrong girò un remake di Little Women con Wynona Ryder nel ruolo di Jo March; fu la stessa Winona Ryder a insistere perché il progetto andasse in porto, innamorata della parte. Gli altri interpreti furono Susan Sarandon (nel ruolo della madre), Kirsten Dunst (Amy), Claire Danes (Beth), Trini Alvarado (Meg), Christian Bale (Laurie) e Gabriel Byrne (il professor Bhaer). Il film ebbe tre nomination all'Oscar per la migliore attrice (Winona Ryder), per i migliori costumi (Colleen Atwood, che fu nominata anche al BAFTA Award nella stessa categoria) e la migliore colonna sonora (Thomas Newman, che vinse il BMI Film Music Award) mentre la Ryder si aggiudicò il Kansas City Film Critics Circle Award nel 1995 come miglior attrice. Si tratta di un ottimo film, che ha privilegiato gli aspetti femministi e il gusto per l'ambiente e il paesaggio (la suggestiva fotografia era di Geoffrey Simpson).
Non posso non ricordare, infine, il mitico sceneggiato televisivo Piccole donne (1955), visto da bambina e amato così tanto da essere indotta a leggere tutta la serie di libri della Alcott. Girato dal geniale Anton Giulio Majano in quattro puntate, sulla scia del film hollywoodiano della Paramount uscito sugli schermi italiani, ebbe un successo così travolgente che si dovette aggiungere una quinta puntata (fatta di flashback). Le interpreti erano Lea Padovani (Jo), Vira Silenti (Amy, Maresa Gallo (Beth) ed Emma Danieli (Meg). In quella occasione Majano scrisse che aspirava a «creare ex novo una sintassi propriamente televisiva»; egli si riferiva a una diversa rilettura di un classico e a un modo tutto televisivo di tradurre un libro in immagini. Si disse che le nostre quattro interpreti italiane furono: «meno splendenti, meno remote e più intonate ai nostri tinelli» di quanto non avrebbero potuto essere delle attrici americane.
Nel 1989 è stata presentata una miniserie in quattro puntate dal titolo Quattro piccole donne, diretta da Gianfranco Albano, sceneggiata da Lidia Ravera e Mimmo Rafele, con Simona Cavallari, Stefania Orsola Garello, Amanda Sandrelli, Susannah York, Pascale Rochard, John Philip Law e Omar Sharif, che non ha bissato però il grande successo di pubblico e di critica della storica versione di Anton Giulio Majano (forse anche per la parziale indifferenza delle nuove generazioni per i classici).
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