Guenter Grass
Guenter Grass, grande e scomodo scrittore tedesco, è nato a Danzica, all’epoca tedesca e non polacca, il 16 ottobre del 1927 (cade l’ottantesimo anniversario).
Col primo e più significativo capolavoro Il tamburo di latta, divenne il rispettato portavoce letterario, la “coscienza di una generazione” che, cresciuta durante il Nazismo e sopravvissuta alla guerra, aveva preso le dovute distanze da tutti i suoi orrori.
Nella nativa Danzica, aveva fatto parte della gioventù hitleriana – ma giovanissimo e del tutto inconsapevole (credeva di arruolarsi nella marina) – ed era andato in guerra negli ultimi tremendi mesi del disastro finale, venendo subito ferito e fatto prigioniero dagli Americani. Aveva sempre sottaciuto il fatto di essere stato un volontario e non un coscritto – e questo episodio gli ha procurato un senso di vergogna e rimorso perenne – ma nell’agosto del 2006 lo aveva dichiarato apertamente in un’intervista, così giustificandosi: «Il motivo fu comune per quelli della mia generazione, un modo per girare l’angolo e voltare le spalle ai genitori».
La rivelazione scatenò una vera e propria campagna d’odio da parte dei suoi detrattori: avrebbero voluto addirittura togliergli la cittadinanza tedesca e fargli restituire il premio Nobel ricevuto nel 1999.
A Dusseldorf studiò arte, divenendo un ottimo pittore e scultore, e si stabilì prima a Berlino e poi a Lubecca, ove vive tuttora.
Nel 1959, a Parigi, scrisse Il tamburo di latta, una favola cinica e violenta che gli diede un’enorme fama internazionale; ha scritto: «Divenni famoso a 32 anni. E da allora abbiamo la Fama come sottoinquilina. Sta dappertutto, è molto fastidiosa e la si può ignorare solo a fatica. È una monella a volte tronfia, a volte senza vita.».
Il romanzo è grottesco e surreale, picaresco e metafisico, anarchico e fantasioso; in modo caricaturale, Grass rappresenta il mondo piccolo–borghese polacco: c’è la vita degli adulti falsa e crudele; c’è una nonna, Anna, che accoglie sotto le quattro enormi sottane della sua gonna un piccolo e tozzo polacco in fuga dai gendarmi; ne nasce una figlia, Agnes, mamma gioiosamente adultera di Oskar, un bambino malinconico (personaggio letterario leggendario e indimenticabile), che a tre anni decide di fermare il tempo rifiutandosi di crescere. Pur convinto «che l’uomo è solo, e fa parte di una massa solitaria senza nome e senza eroi», egli si sente un eroe con «una volontà che esercita da solo e senza seguito», trovando conforto nel suo inseparabile tamburo di latta, col quale rifiuta gli adulti ed esprime tutto ciò che deve essere espresso. In mezzo alla disperazione dei familiari, lo lascia parlare per ore e, quando tentano di toglierglielo, Oskar lancia urla potenti e vetricide (in grado, cioè, di distruggere tutti i vetri che gli stanno attorno). Divenuto adulto, è rimasto uno «gnomo», un «pollicino» volontario che vive in un’eterna infanzia ma che ha acquisito «una grandezza messianica». A 30 anni, ricoverato in manicomio, appunta su «500 fogli di carta vergine» con cura maniacale, giorno per giorno, la storia dei suoi «anni grigi» e del suo disagio personale. Sul tamburo, batte con foga infernale tutta la sua rabbia, tutto il suo odio allucinato per il mondo (e per «le esistenze caricaturali» degli altri): alla sua deformità fisica fa da contraltare la cieca ferocia e il mostruoso degrado della Germania tra le due guerre. Alla fine, Oskar, superando gli incubi privati e le tragedie collettive, deciderà di ritornare a crescere.
Nel 1979 il libro, con la collaborazione di Grass, divenne lo stupendo film di Volker Schlondorff.
I romanzi di Grass hanno sempre suscitato polemiche a non finire; da H.M. Enzensberger, fu definito: «rompiscatole… pescecane nello stagno delle sardine… solitario selvaggio della nostra letteratura addomesticata».
Uomo di sinistra e attivo pacifista, fu impegnato nel partito socialdemocratico battendosi per il coinvolgimento politico–sociale dell’élite letteraria e analizzando in profondità il rapporto–confronto tra letteratura e politica.
Coi suoi testi, ha combattuto l’olocausto nucleare, la guerra in Vietnam e l’inquinamento ambientale, e ha difeso i movimenti studenteschi, le istanze operaie e i diritti degli stranieri. La sua opera politica e letteraria ha mirato alla crescita culturale ed etica della nazione tedesca, a suo giudizio, stanca e non così brillante come potrebbe apparire. (www.zam.it, Recensioni, 2007)
P.S. Il tamburo di latta (Die Blechtrommel), diretto da Volker Schlöndorff nel 1979, vinse la Palma d'oro come miglior film al 32° Festival di Cannes (ex aequo con "Apocalypse Now") e si aggiudicò l'Oscar per il miglior film straniero. Sceneggiato da Volker Schlöndorff, Jean–Claude Carrière e Franz Seitz, vide tra i suoi interpreti David Bennent (Oskar Matzerath), Mario Adorf (Alfred Matzerath), Angela Winker (Agnes Matzerath), Heinz Bennent (Greff), Andréa Ferréol (Lina Greff) e Charles Aznavour (Sigismund Markus).
Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini ne "il Morandini" (Zanichelli editore): «Tratto dal romanzo (1959) di Günter Grass, Nobel 1999 per la letteratura, è una sagra grottesca, visionaria e ribalda di vent'anni di storia tedesca, vissuta e vista "dal basso" all'insegna del rifiuto e del disgusto. È una trasposizione (fatta con Jean-Claude Carrière) grevemente illustrativa che soltanto a tratti restituisce la dimensione onirica, parodistica e barocca di Grass: almeno in 3 o 4 sequenze arriva al bersaglio. Il suo punto di forza è D. Bennent (1966), figlio dell'attore Heinz che compare nel film come ortolano: un piccolo dodicenne che risulta credibile a 3 come a 18 anni, genietto disinibito e asociale. Il suo sguardo mette in evidenza tutto quel che c'è di risibile, futile, atroce e infantile nel mondo degli adulti.».
Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini ne "il Morandini" (Zanichelli editore): «Tratto dal romanzo (1959) di Günter Grass, Nobel 1999 per la letteratura, è una sagra grottesca, visionaria e ribalda di vent'anni di storia tedesca, vissuta e vista "dal basso" all'insegna del rifiuto e del disgusto. È una trasposizione (fatta con Jean-Claude Carrière) grevemente illustrativa che soltanto a tratti restituisce la dimensione onirica, parodistica e barocca di Grass: almeno in 3 o 4 sequenze arriva al bersaglio. Il suo punto di forza è D. Bennent (1966), figlio dell'attore Heinz che compare nel film come ortolano: un piccolo dodicenne che risulta credibile a 3 come a 18 anni, genietto disinibito e asociale. Il suo sguardo mette in evidenza tutto quel che c'è di risibile, futile, atroce e infantile nel mondo degli adulti.».
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