Edith Wharton
Edith Wharton (ultima di due fratelli più grandi) nacque nel 1862 da facoltosa e antica famiglia, i Newbold Jones di New York, vera pietra di paragone sociale: nell’ambiente si soleva dire «essere all’altezza degli Jones».
Educata in casa secondo l’uso del tempo, trascorse parte della giovinezza in Europa e nel 1885 sposò il banchiere Teddy Wharton.
Inizialmente fu architetto e designer di giardini: la sua stupenda casa “The Mount” con i giardini da lei disegnati (a Lenox nel MA) è stata restaurata ed è aperta al pubblico.
In seguito cominciò a scrivere racconti per riviste e periodici.
Nel 1902 lasciò il marito, un infedele impenitente dal quale divorziò nel 1913 dopo il suo ricovero in manicomio (ne conservò però il cognome che portò alla fama); scrisse: «A New York il divorzio è per se stesso un diploma di virtù».
Affascinata dal vecchio mondo, dal 1906 si trasferì a Parigi ove visse in diverse residenze (incluso un vecchio convento riadattato) e ritornò in America soltanto eccezionalmente.
Durante la guerra, coraggiosa e intrepida si muoveva in automobile sulla pericolosa linea del fronte, dedicandosi instancabilmente ai rifugiati con opere umanitarie: per questo fu nominata Cavaliere della Legion d’Onore (1916).
La sua casa era aperta ai grandi intellettuali del tempo (S. Lewis, F.S. Fitzgerald, J. Cocteau, A. Gide e K. Clark) e fu anche amica di Th. Roosevelt.
Dopo la sua morte, avvenuta per ictus l’11 agosto del 1937, fu seppellita nel Cimitero degli Americani di Versailles.
Apprezzò l’amico Henry James che le ispirò temi e stile: come lui aveva talento per i caratteri femminili e per la cattura del singolo istante e del “non detto”. Nel romanzo La casa dell’allegria (1905), con ironia e tono di satira sociale, raccontava la storia di Lily piena di fascino ma troppo povera per realizzare il suo sogno d’amore, inaugurando la denuncia dei ceti privilegiati americani di fine secolo e dei loro manierismi rituali, in quella New York che si avviava a divenire una grande e caotica metropoli e che vedeva nascere una nuova spregiudicata élite economica, altrettanto insopportabile e deprecabile.
Nel lungo racconto Ethan Frome (1911), il suo capolavoro, narra di tre personaggi «duri come il granito che affiora dal suolo» – il povero triste Ethan, l’egoista lamentosa moglie Zenobia e la dolce cugina Mattie – che vivono con autenticità una fosca vicenda d’amore e di frustrazione in una fattoria isolata della Nuova Inghilterra.
Ne L’età dell’innocenza (1920), con scrittura tagliente e sarcastiche annotazioni autobiografiche, Edith racconta le difficoltà di due innamorati, un conformista avvocato di successo (fidanzato con un’innocente fanciulla della buona società) e una libera contessa eccentrica, scagliandosi contro i tabù e i pregiudizi di un aristocratico mondo tribale in dissoluzione. Raggiunse il successo di critica e di pubblico, meritando il Pulitzer (prima donna nella storia del premio).
Da questo romanzo, M. Scorsese (1993) ha tratto un raffinato film di gusto viscontiano (Oscar per i costumi) con M. Pfeiffer, W. Ryder e D. Day–Lewis. (“La Sicilia” 5/8/2007)
P.S. Il romanzo di Edith Wharton aveva ispirato una prima volta il film muto del regista americano Wesley Ruggles (1924) e quindi nel 1934 il film diretto da Philip Moeller con Irene Dunne e John Boles.
Il film di Martin Scorsese L’età dell’innocenza (The Age of Innocence) del 1993, da lui sceneggiato insieme con Jay Cocks, descrive in modo mirabile quell'insieme di valori tradizionali americani di fine secolo (siamo nel 1870) che soffocavano l'ambiente dell'aristocrazia ormai in decadenza e quello dell'emergente alta borghesia d'affari. Il protagonista Newland Archer (Daniel Day-Lewis), un avvocato di New York ricco e di successo, fidanzato con una giovanissima donna, la ricca May Welland (Winona Ryder) cresciuta nel solco di queste chiuse convenzioni, conosce la cugina di May, la contessa Ellen Olenska (Michelle Pfeiffer), un'affascinante aristocratica colta e anticonformista, che sta per divorziare dal marito. Newland tenta di prendere le distanze dal mondo cui sente di non appartenere più e dalla giovane fidanzata noiosa e convenzionale. L'uomo non trova, però, il coraggio di rompere completamente con le regole del tempo accettando una relazione con l'amata, una donna sposata troppo disinibita. Alla fine, vecchio e deluso, Newland Archer ci appare «sepolto vivo sotto il suo futuro», vittima del suo conformismo e dell'incapacità di cogliere la sua occasione per essere felice.
Nel 1994 il film, oltre all'Oscar per i costumi alla nostra Gabriella Pescucci, si guadagnò un Golden Globe a Winona Ryder come miglior attrice non protagonista, mentre nel 1993 meritò due National Board of Review Awards per la miglior attrice non protagonista (Winona Ryder) e per il miglior regista (Scorsese). Un altro italiano avrebbe meritato l'Oscar, lo scenografo Dante Ferretti, che ha ricostruito con fascino antico e accuratezza puntigliosa il mondo bene di fine Ottocento, i suoi sontuosi salotti con i suoi balli e gli splendidi saloni con i suoi pranzi ricchi di portate, dando l'indimenticabile rappresentazione di una società opulenta, gelosa delle proprie tradizioni e dei propri riti sociali. La minuzia degli arredi e dei decori, lo splendore degli abiti e delle acconciature, i dettagli dei cibi e la ricchezza dei gioielli hanno richiamato alla mente la cura maniacale di Luchino Visconti, per esempio ne "Il gattopardo".
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