Emilio Cigoli
Nel novembre di cento anni addietro nasceva a Livorno Emilio Cigoli (morì il 7 novembre del 1980), attore sensibile e straordinario doppiatore.
Figlio della doppiatrice Giovanna Cigoli e marito della direttrice del doppiaggio Giovanna Garatti, dopo una varia e diversificata attività teatrale e cinematografica, iniziò a lavorare dal 1936 quale socio della CDC (Cooperativa Doppiatori Cinematografici), assumendo un ruolo determinante nel doppiaggio italiano tra gli anni ’40 e ’60, insieme al cognato Giulio Panicali e a Gualtiero De Angelis (Gerardo Di Cola lo ha inserito nel suo libro Le voci del tempo perduto).
Sua è la bella voce pastosa e baritonale di Charlton Heston in Ben Hur, sue sono le straordinarie inflessioni vocali di John Wayne, Gary Cooper, Gregory Peck, Burt Lancaster, William Holden, Charles Boyer, Richard Burton, James Mason e Vincent Price; sua, la vellutata voce di Jean Gabin ne I Miserabili. Prestò la sua voce anche a Henry Fonda in Furore, a Marlon Brando in Fronte del porto, a Humphrey Bogart in Sabrina e a Orson Welles in Quarto potere. Con la sua voce piena di passione, Rhett Butler–Clark Gable ha fatto innamorare Rossella – e non solo – in Via col vento; con lui il cavaliere Antonius Bloch–Max von Sydow si è interrogato sul «silenzio di Dio» e ha giocato a scacchi con la morte ne Il settimo sigillo. Suoi sono i toni suadenti di voce narrante di molti documentari e film (tra i quali quelli della serie di Don Camillo).
Dal 1966 passò alla SAS (Società Attori Sincronizzatori): ciò provocò l’affranta delusione degli spettatori che, abituati alla sua voce, sentirono parlare i loro beniamini con la sconosciuta voce di altri. Si ritiene che Cigoli abbia doppiato circa 7000 film in più di 40 anni.
Emilio Cigoli merita però di essere ricordato soprattutto per il suo ruolo tragico e appassionato del padre Andrea ne I bambini ci guardano – 1943 – di Vittorio De Sica, del quale tra l’altro si celebrano i 35 anni dalla morte (è deceduto infatti il 13 novembre del 1974) e al quale LA7 ha dedicato una rassegna di film nella sua rubrica “La valigia dei sogni”. Questo film è considerato una «lezione di Neorealismo», una «finestra sul mondo», perché nasceva da un bisogno di verità dopo le mistificazioni e la retorica del regime, e da un’attenzione diversa ai fatti della vita minuta e alla difficile realtà dell’epoca (spesso sottaciuta).
Nel 1951 Glauco Viazzi scriveva su Cinema: «Questa opera costituisce quel decisivo passo avanti verso il realismo che era indispensabile per l’intero successivo sviluppo della nostra arte cinematografica».
Tratto dall’amaro e malinconico romanzo Pricò dell’autore drammatico tarantino Cesare Giulio Viola (1886–1958), che ha collaborato sia a questa sceneggiatura sia a quella di Sciuscià (nel quale Cigoli ha interpretato l’inesorabile, ma non malvagio, direttore del riformatorio), il film è stato sceneggiato splendidamente dal grande Cesare Zavattini: Pricò è un bimbo di sette anni che guarda con occhi lucidi le tristi vicende coniugali dei genitori divenendone l’innocente disperato testimone. Il padre Andrea è un modesto impiegato di banca e la madre è una donna irrequieta e scontenta che lascia nel dolore e nella solitudine Pricò e Andrea perché innamorata di un altro. Per amore del figlio i genitori poi si riconciliano ma, quando al mare (ad Alassio) ricompare l’amante, si riaccende la passione della madre e il bambino scappa per ritornare dal papà. I carabinieri lo riconducono dalla mamma che, una volta a casa, lo lascia sul portone proseguendo in taxi.
E il dramma familiare subisce l’impietosa intrusione dei vicini e l’invadente pettegolezzo della gente. Il padre Andrea affida Pricò a un collegio di preti e si suicida. Quando la madre in gramaglie si reca al collegio per riprendersi il figlio, il piccolo Pricò – che con occhi pieni di lacrime e sofferenza, da piccolo ometto deluso, guarda e giudica – rinuncia all’abbraccio materno per rifugiarsi invece nelle amorevoli braccia dell’anziana governante Agnese (l’attrice Giovanna Cigoli, madre di Emilio).
Questo piccolo superbo film scava nella soggettività del piccolo protagonista e viene considerato un film–chiave nella filmografia di De Sica, in quanto rappresenta il superamento delle sue commediole d’esordio e apre la via al Neorealismo, sfaldando l’atmosfera di falso perbenismo della cinematografia del ventennio (segna tra l’altro l’inizio della fruttuosa collaborazione con Zavattini). Senza eccessi melodrammatici, senza scene lacrimevoli e senza enfasi drammatica, la tragicità del percorso esistenziale del piccolo Pricò con i suoi piccoli occhi aperti sul mondo – quello della famiglia e quello della terra tutta (privi di umanità e in dissoluzione) – arriva agli spettatori colpendoli al cuore. (www.zam.it, News, 30/11/2009)
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