mercoledì 19 ottobre 2011

L’infelice Malcolm Lowry e la sua “Divina Commedia ubriaca”



Malcolm Lowry



Il 28 luglio del 1909 a Birkenhead nasceva Malcolm Lowry, lo scrittore inglese che con Sotto il Vulcano si è guadagnato un posto importante tra i grandi narratori anglosassoni contemporanei, accanto a Joyce e Faulkner.


Ebbe una vita infelicissima: per anni, da bambino, fu quasi cieco per un’ulcera corneale e, da adulto, fu un alcolista cronico che ingurgitava qualsiasi cosa contenesse alcol (“il veleno della lost generation”). Figlio di un ricco e astemio commerciante metodista, animato da un inquieto desiderio d’avventura e in rivolta contro l’ottusa scuola borghese, a 18 anni s’imbarcò come mozzo su un mercantile per la Cina (sull’argomento scrisse Ultramarina).

Dopo la Laurea in Filosofia a Cambridge e un turbolento matrimonio, per disturbi psichici subì un ricovero a New York e una serie di elettroshock devastanti.

Fermatosi in Canada con la seconda moglie (una scrittrice di talento) in una capanna da pionieri, iniziò la tormentatissima stesura del suo capolavoro Sotto il Vulcano, scritto e riscritto sul filo dell’autobiografia, completato nel 1947, rifiutato da 12 editori, e salvato a stento dall’in­cendio della rustica abitazione. Il romanzo – il cui primo abbozzo fu composto in un bar – con tragica consapevolezza fu definito dall’autore una moderna «Divina Commedia ubriaca». Rappresenta “una grandiosa allegoria moderna della redenzione”, infarcita di flashback che hanno molto sia della scrittura cinematografica sia del “flusso di coscienza” di stile joyciano.

Scrisse Lowry del suo romanzo: «Esso deve essere considerato come una forma di sinfonia, o co­me una sorta di opera – o anche un’opera western. È musica calda, un poema, un canto, una com­media, una farsa, e così via. Esso è superficiale, profondo, interessante o noioso, a seconda dei gusti. È una profezia, un monito politico, un criptogramma, un assurdo film.».

Il libro narra l’ultimo tremendo giorno di vita di Geoffrey Firmin, un quarantenne ex console inglese alcolizzato (“alter ego” di Malcolm) che vive alle falde del Popocatepetl (un vulcano, sim­bolo contemporaneo di elevazione e di caduta) e che è stato lasciato dalla moglie trentenne Yvonne, che ama e odia allo stesso tempo (la felicità non è per loro: una maledizione ha trasformato in un deserto il loro giardino dell’Eden, e hanno perso il paradiso). E la tragica vicenda si snoda in un ambiente messicano allucinato e immerso in una disperata atmosfera di morte e fatalità: Geoffrey – completamente ubriaco per sfuggire all’inumanità del mondo moderno e al proprio fallimento – morirà solo e abbandonato sul margine della strada.

Salutato dai critici come una rivelazione, questo ispirato testo rimase per anni un classico clandestino; soltanto dopo la morte prematura dell’autore per suicidio – avvenuta il 27 giugno del 1957 ad appena 48 anni per una overdose d’ipnotici – il pubblico ne capì la grandezza, anche grazie al film di un ormai anziano John Huston con A. Finney e J. Bisset (1984).

Come in un epitaffio, Lowry aveva scritto: «Malcolm L. /…egli viveva, di notte, e beveva, di giorno, / e morì suonando l’ukelele». Lowry ha lasciato molte pagine inedite che la vedova ha raccolto e ordinato, pubblicando racconti e frammenti postumi che toccano vette di altissima scrittura e che ci mostrano un uomo alla deriva, dominato da sentimenti di angosciata tristezza e da una ricerca spasmodica dell’oblio in paradisi artificiali, in bilico tra abiezione e nobili aspirazioni, tra cruda realtà e sogni irrealizzabili. (www.zam.it, News, 25/7/2009)

P.S. Il romanzo Under the Volcano (Sotto il vulcano) è il capolavoro da Malcolm Lowry, scritto sul filo dell’autobiografia e dalla stesura tormentata, contemporaneamente un inno alla vita e alla morte, e una forte e tenera storia d’amore e gelosia. Con angosciata disperazione racconta l’ultimo tremendo giorno di vita di Geoffrey Firmin, un quarantenne ex console anglo–indiano alcolizzato; questo giorno è commemorato dagli amici esattamente un anno dopo, nel primo capitolo, che è il preludio del dramma svelato negli altri capitoli. Geoffrey è un bevitore portentoso ma in grado di mantenersi lucido, e altri non è che l’alcolizzato Malcolm. Ha il sogno nascosto di scrivere un libro sulla Cabala ebraica destinato a regalargli fama internazionale e, malvisto per i deteriorati rapporti tra il Messico e la Gran Bretagna, vive in Messico alle falde del Popocatépetl. Da più di un anno è stato lasciato dalla bella moglie trentenne Yvonne, una ricca e bella ex attrice che vive con i traumi del suicidio del padre che amava tanto e della perdita di un bimbo di sei mesi avuto con il primo marito. Lei ritorna (ma forse troppo tardi) all’inizio del romanzo; ha avuto molte relazioni con altri, compresi Jacques Laruelle (un grasso produttore cinematografico e amico d’infanzia del Console) e Hugh, il fratellastro di Geoffrey, giornalista antifascista interessato alla guerra civile in Spagna. Il Console è profondamente umiliato e offeso dagli adulteri di Yvonne e trasforma la sua gelosia, acuita dal bere, in un impellente desiderio di autodistruzione. E’ anche interiormente straziato da una colpa segreta per la quale non riesce ad assolversi: ha lasciato che prigionieri nemici fossero bruciati vivi dall’equipaggio nelle caldaie della sua nave “il Samaritano”. Vivendo in un mondo che ha smarrito la capacità di amare e la carità per il prossimo, e che ha visto addirittura tradita la fraternità, Geoffrey avverte la sua esistenza come un Inferno e sente morire a poco a poco la sua anima, perdendo qualsiasi ragione per vivere. L’uomo ama e odia contemporaneamente Yvonne perché non riesce a perdonarla, mentre Yvonne – che ricambia il suo amore – lo ha lasciato per l’impossibilità di vivere con lui così dominato dal bere. Geoffrey non ha saputo o voluto trattenerla, ha lottato contro il suo amore e ha trovato conforto nelle “cantinas”, abbandonandosi all’alcol per evadere da se stesso e per sfuggire all’inumanità del mondo moderno e al proprio fallimento. Se non possono stare insieme, i due non possono neppure stare lontani: sono «come due fortezze che non comunicano». La felicità non è per loro: una maledizione ha trasformato in un deserto il loro Giardino dell’Eden, esemplificato dalla rovina miserevole in cui è caduto il loro bel giardino all’inglese; assassinando volutamente il loro matrimonio, i due amanti hanno perso il luogo beato, il Paradiso. E’ vero che entrambi, pur con tante parole rimaste non dette, sognano di ripartire da zero altrove, in un posto nuovo, nella Columbia britannica in Canada: la «sua Siberia gentile… la più straordinaria fetta di mondo che si possa immaginare… un Paradiso ancora inesplorato, forse inesplorabile per sempre». Essi sognano quella che potrebbe essere una «resurrezione», ricreando il loro nido d’amore in una grigia casetta su una piccola baia di pescatori ove vivere «felici l’uno dell’altra, sul balcone di questa casa, guardando il mare». Ma purtroppo: «No se puede vivir sin amar» (è il leitmotiv che si ripete per tutto il libro, e queste sono le ultime parole che il Console pronuncia ad alta voce prima di morire) e, lontano da Yvonne, Geoffrey, pur «suscettibile di redenzione» ma «bisognoso del suo aiuto» e per la prima volta completamente ubriaco a causa del mescal (un forte e tossico alcolico messicano), si muove da un bar all’altro, da un’osteria all’altra, in balia dei suoi fantasmi e senza il possibile soccorso da parte di alcuno, andando di ora in ora alla disperata e cieca ricerca della morte. Viene, infine, coinvolto in una rissa con alcuni poliziotti (tentano di togliergli le amate lettere di Yvonne), e, ferito e abbandonato sulla strada, sarà precipitato da un precipizio in un fossato: «Qualcuno gli scagliò dietro un cane morto, nel burrone». Con queste tremende parole finisce il romanzo, che in modo volutamente triste è pieno di tutti i rischi e tutte le tragiche conseguenze della vita di un alcolizzato, comprese le farneticazioni, le voci di dentro e le allucinazioni spaventose del delirium tremens che accompagnano l’infelice Console sino alla fatale conclusione finale. Tutto è molto autobiografico e vissuto di prima mano sulla pelle di Malcolm, costretto a «bere il calice fino alla feccia» ma in fondo anche convinto di essere la rappresentazione simbolica di un mito leggendario: quello del genio e della sregolatezza»! Aveva scritto: «La rivoluzione infuria anche nella terra caliente di ciascuna anima d’uomo. Non v’è pace che non debba pagare un congruo tributo all’inferno…».


Nel 1984 John Huston trasse dal romanzo il bel film Under the Volcano con Albert Finney (Geoffrey) e Jacqueline Bisset (Yvonne), ambientato a Cuernavaca, in un allucinato ambiente messicano immerso in un’atmosfera di fatalità disperata e di presagi di morte. E il Messico – che Lowry non aveva mai amato (tra l’altro, non era mai riuscito a imparare la lingua spagnola e aveva subito una ingiusta carcerazione con espulsione quale presunta spia della Spagna) – , altro non è che la metafora del mondo. E Geoffrey e Yvonne altri non sono che Malcolm e la prima moglie Jan (attrice come la Yvonne del romanzo), uniti da un turbolento rapporto matrimoniale e andati in Messico per tentare di ritrovarsi e riconciliarsi. Scrisse Lowry che aveva imprestato parti di sé a tutti i protagonisti del suo romanzo. Ha commentato Morando Morandini (ne "il Morandini", Zanichelli editore): «Si dice che siano state scritte 66 sceneggiature dal romanzo e che vi hanno rinunciato Buñuel, Losey, Dassin, Polanski, Kubrick, Skolimovski. Quella di Guy Gallo riduce il romanzo all'osso. J. Huston ne ha fatto un film semplice, lineare, classico, splendidamente inutile. La fotografia di Gabriel Figueroa, tenuto a briglia corta, è bella e senza bellurie. Finney si butta in uno stravagante ma controllato saggio di alto istrionismo.». Il film è stato presentato in concorso al 37º Festival di Cannes e ha ricevuto nel 1985 due nomination agli Oscar (come miglior attore protagonista ad Albert Finney e come migliore colonna sonora originale ad Alex North) e due nomination ai Golden Globes (a Finney e a Bisset come migliori attori protagonisti).

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