Anton Giulio Majano
Il 5 luglio 1909 (secondo alcune fonti 1912) nasceva a Chieti il regista–sceneggiatore italiano Anton Giulio Majano, che morì a 85 anni per un ictus a Marino (sui colli romani) il 12 agosto 1994.
Regista cinematografico, colto e amante dei classici, fu tra i primi a intuire le potenzialità del mezzo televisivo e a portare sul piccolo schermo i grandi romanzi, facendoli divenire un successo popolare e un patrimonio comune, e proteggendone le preziose eredità culturali. Con gli sceneggiati televisivi letterari e le trascrizioni in prosa radiofonica – i suoi radiodrammi hanno divulgato in Italia i romanzi di Simenon – ha costruito per più di trent’anni la storia più nobile della radio–televisione italiana, lasciando in molti un rimpianto mai colmato e la nausea per gli odierni programmi pieni di trash.
Agli albori della TV, presentò l’indimenticabile Piccole donne (1955) con Lea Padovani, Vira Silenti, Emma Danieli e Maresa Gallo (la giovanissima moglie, che interpretava Beth e che recitò in molti dei suoi teleromanzi): previsto in quattro puntate, a furor di popolo, Majano fu costretto ad aggiungerne una quinta, quasi oscurando il contemporaneo fortunato film hollywoodiano. Seguirono Jane Eyre, Capitan Fracassa, L’isola del tesoro, Ottocento, Una tragedia americana, Delitto e castigo, La Cittadella, David Copperfield, La freccia nera e infine E le stelle stanno a guardare: il loro fascino non è stato mai scalfito nel cuore dei nostalgici.
Gli veniva spesso rimproverato di premere esageratamente sulle corde del sentimento e sulla commozione, ma Majano col suo “teleromanzo a puntate”, emulo del romanzo d’appendice o del feuilletton ottocentesco e simile all’amato fotoromanzo dei primi anni ’50, tentava di trasformare la televisione in una ricca biblioteca illustrata che mettesse il pubblico in comunicazione con la grande letteratura (diceva: «Ritengo che il teleromanzo debba avere il ritmo, l’ampiezza e l’apertura analitica del libro»). E i giovani della mia generazione – quelli che amavano il teatro in diretta e la cosiddetta “televisione didascalica” – rispondevano in massa affollando le librerie per acquistare i libri dei quali il regista faceva balenare luce e anima con le sue incantate immagini in bianco e nero e col nuovo linguaggio televisivo.
Le sue storie, suddivise in puntate che si esaurivano nell’arco di alcune settimane, hanno gettato le basi narrative della “miniserie”, che tanta fortuna ha nella televisione di oggi; hanno creato inoltre l’inossidabile entusiasmo del pubblico per il teatro: Majano ha inventato infatti una sorta di “teatro filmato”, coagulando attorno a sé i grandi interpreti provenienti dal teatro, facendoli conoscere al pubblico di provincia e creando i primi casi di divismo televisivo. Allestiva scene e inquadrature da palcoscenico e costruiva dialoghi organizzati come in uno spettacolo teatrale, limitando al minimo gli esterni (col tempo, tentò però di aprirsi a scenografie più complesse e a modelli di tipo cinematografico). Indimenticabili le musiche di sigla, a risentirle così ricche di suggestioni! Prodotti in proprio e in diretta senza dispendio di mezzi e trasmessi di domenica sera, questi sceneggiati coinvolgevano – educandone il gusto e la sensibilità – decine di milioni di spettatori di tutte le età che disertavano i cinema e i teatri per riunirsi in massa in casa dei pochi che possedevano un televisore.
Ha detto di lui Ettore Bernabei: «Credo che Majano abbia svolto una grande funzione, quella di volgarizzare la grande narrativa per persone che non avevano probabilmente mai letto un vero romanzo, parlando a spettatori non ancora smaliziati e riuscendo a interessarli.». In occasione della sua morte, Maurizio Porro del “Corriere della Sera” ha scritto: «Il sogno, in parte riuscito, di Majano e della sua generazione era di fare del video, a scadenza fissa, un doposcuola d’evasione dove i massimi autori scendessero, senza perdere dignità, al livello del più semplice dei telespettatori. Naturalmente ci voleva l’aiuto dei sentimenti, suonati a pieno volume, e di volti che sapevano diventare cari, carissimi alla fantasia...». (“La Sicilia” 9/7/2009)
Nessun commento:
Posta un commento