mercoledì 25 gennaio 2012

Theo Angelopoulos, un poeta nel cinema

Theo Angelopoulos


è morto Theo Angelopoulos. Tutti noi amanti del grande cinema, oggi, siamo un po' più poveri e i nostri cuori piangono. Le conseguenze di uno stupido e banale incidente avvenuto vicino Pireo – Angelopoulos è stato investito da una moto durante le riprese del suo nuovo film con Toni Servillo, focalizzato sulla grave crisi greca – hanno stroncato il 24 gennaio uno dei più grandi registi della filmografia mondiale, un intellettuale fine e colto che ha saputo restituirci il mondo greco attraverso il suo lirico rigore e la sua metaforica lentezza.

Nato ad Atene il 27 aprile 1935, si era laureato in legge all'Università di Atene. Trasferitosi a Parigi per studiare letteratura alla Sorbona, fu spinto dalla sua passione per il cinema a iscriversi presso l'Institut des Hautes études Cinématographiques (HIDEC), che abbandonò nel 1962 per collaborare con il Musée de l'Homme e con Jean Rouch (1917–2004), un etnologo e regista francese, studioso di "antropologia visuale", iniziatore di quel che egli stesso chiamò "cinéma vérité", e antesignano della "Nouvelle Vague". Ritornato in Grecia, dal 1964 al 1967 Angelopoulos diresse il quotidiano di sinistra "Demokratiki Allaghi", liquidato con l'arrivo al potere dei Colonnelli.

Rifugiatosi in esilio a Parigi, nel 1968 diresse il cortometraggio La trasmissione, che lo impose all'attenzione del pubblico e della critica (ebbe la menzione speciale al Festival di Berlino). Seguì Ricostruzione di un delitto (1970), un thriller vincitore al Festival d’Hyeres; a proposito dei vuoti di narrazione e dello spazio vuoto di azione in questo film, il regista scrisse: «Credo che, per la prima volta in un film europeo, sia stato usato lo spazio “off”… Ma è sempre esistito come regola nella tragedia antica. Agamennone, per esempio, viene ucciso dietro la scena…».

Fu poi la volta della trilogia greca: I giorni del '36 (1972) – ambientato prima dell'elezione durante la quale il Generale Metaxas impose la sua dittatura, ricostruisce il sequestro di un membro reazionario del Parlamento, dell'uccisione del rapitore e della dura repressione successiva –; La recita (1975) – considerato un capolavoro del cinema moderno, è un grande affresco concentrato su una troupe di attori che si muovono in Grecia tra il 1939 e il 1952 (Premio della critica internazionale a Cannes nello stesso anno) –; e I cacciatori (1977) – vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino –, dedicato alla dittatura e alle non felici condizioni del popolo greco.

Del 1980 è il film Alessandro il Grande con Omero Antonutti e Francesco Carnelutti, storia monumentale di un brigante anarchico che diviene un dispotico tiranno (vincitore del Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia).

Nelle sue opere, al di fuori del conformismo della cinematografia greca del tempo, brillarono un nuovo stile ideologico e un nuovo linguaggio filmico (aveva scritto: «Con o senza parola, il cinema è linguaggio, un linguaggio in continua evoluzione… Si cerca sempre di rinnovare il proprio linguaggio, si cerca di andare più lontano, di aggiungere ancora qualche parola…»), i suoi temi stilizzati, e tutte le sue più tipiche caratteristiche dirette a creare un diverso senso del tempo e la sua dissoluzione, quali: l'uso sapiente dei tempi morti, l'esaltazione del piano sequenza, l'utilizzazione dell'inquadratura fissa, il rifiuto deliberato e intelligente del passaggio cronologico dal passato al presente, la forte drammatizzazione che allude al substrato classico (Angelopoulos era convinto del carattere poetico ed educativo del mito) e la tragica dimensione dei caratteri dei personaggi, rappresentati sotto il peso della storia, alla luce di un destino umano universale. Ebbe modo di dire: «Le sceneggiature sono scritte con le mie esperienze personali, con i miei sentimenti, quello che ho vissuto, letto o sentito. Cose che vengono dalla mia infanzia, dal mio ieri, dal mio adesso, tutto ciò costituisce quello che possiamo chiamare la mia biografia spirituale. Siccome i miei film sono sempre una specie di autobiografia spirituale, la poesia (anch'io ho cominciato scrivendo poesie) è il modo attraverso il quale comprendo meglio un fatto o, se si vuole, esprimo meglio un fatto. Questo è il motivo per cui io mi esprimo con la poesia… Il rischio dell'uso della parola è che questa possa fiaccare l'immagine. Però la mia sensazione è che la parola poetica in realtà moltiplichi la forza dell'immagine… Parola e immagine vengono insieme. Per me non possono separarsi… Non so se possiamo parlare di verità o di bugie. In questo discorso c'è sempre una zona oscura. L'importante non è la verità. E poi nel cinema non si ottiene altro che il verosimile. C'è in altre parole solo quello che chiamiamo senso della verità, ma non la verità… Credo che la memoria non sia né ricostruzione né ricreazione. Quello che chiamiamo memoria è qualcosa che esiste con noi e noi senza la memoria non esistiamo… Credo che la memoria sia il continuo riformarsi nel presente di un avvenimento filtrato dal tempo…» (da "Theo Angelopoulos - La scrittura del cinema, a cura di Irini Stathi, Sonia Marzetti e Annio Gioacchino Stasi, http://www.omero.it/archivi/cine_angelopoulos.htm.).

Tornato in patria, fu la volta del film Viaggio a Cyteria (1984) con Manos Katrakis e Giulio Brogi; lavorò per la prima volta col nostro poeta e scrittore Tonino Guerra (col quale mantenne una lunga collaborazione) e vinse il premio internazionale della Critica al festival di Cannes per la migliore sceneggiatura. Il film segue lo struggimento di un regista che vuol fare un film sul padre e del suo rapporto–scontro con un vecchio che ritorna in patria dopo un esilio di trenta anni, sentendosi uno straniero nella sua terra di origine, in una società che sembra avere perduto ogni spiritualità (soltanto la vecchia moglie gli è rimasta fedele e ne condivide il destino). Autobiograficamente, Angelopoulos riuscì a esprimere la sua profonda disillusione sulla Grecia democratica.

Seguirono il film Il volo (1986) con Marcello Mastroianni – l'ultimo tragico viaggio di un uomo anziano, un maestro apicultore, che ha lasciato la sua famiglia –, e il bel lungometraggio Paesaggio nella nebbia (1988), nel quale il suo magico sguardo accarezza le difficoltà di due fratelli, una ragazzina e il fratellino di cinque anni, in viaggio a piedi sotto le intemperie verso la Germania, ove vive un fantomatico padre emigrato, alla mercé di un mondo privo di qualsiasi spiritualità (si aggiudicò un Leone d'argento a Venezia).

Ma il suo vero grande capolavoro è Il passo sospeso della cicogna (1991) con Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, storia di un giornalista che ha l'impressione di riconoscere in un esule un noto e importante uomo politico scomparso.

Seguirono due film di grande successo: Lo sguardo di Ulisse (1995) nel quale aveva scelto come protagonista Gian Maria Volontè, che morì purtroppo durante le riprese, ripiegò poi su Harvey Keitel (il film è focalizzato sulla impietosa guerra nella ex Jugoslavia e sul sogno di pace, quasi autobiografico, del protagonista che vuol soltanto ritornare a casa; e il viaggio nella storia dei Balcani s'intreccia con il viaggio individuale di un uomo attraverso la sua vita, i suoi amori e le sue cadute ma nessun ritorno a Itaca è possibile per questo Ulisse); e L'eternità e un giorno (1998) con Bruno Ganz, film fortemente letterario e metaforico, storia di un viaggio lucido ed emozionale, nel presente e nel passato, di un anziano e famoso scrittore che abbandona la sua abitazione a Salonicco per andare in un ospedale, nel quale forse concluderà la sua esistenza.

Nel 2004, con il film La sorgente del fiume, iniziò una nuova trilogia (rimasta incompleta), volta a raccontare la storia della Grecia dall'emigrazione dalla Russia bolscevica alla fine della Seconda Guerra Mondiale; ha girato il secondo film La polvere del tempo con Willem Dafoe, Bruno Ganz e Michel Piccoli (presentato al festival di Berlino 2009), storia di un regista americano venuto a Cinecittà per completare un suo film, turbato per la separazione dalla moglie e per la sofferenza della figlia adolescente, e attanagliato dalla morsa dei ricordi. Il terzo film della trilogia è rimasto interrotto: s’intitolava L’altro mare – protagonista Toni Servillo – e, ambientato ad Atene, era incentrato sulla storia di un padre e di sua figlia; aveva osservato amaramente il regista: «Sarà un film sul destino degli uomini, sui loro sogni. Il 20° secolo ha creato una speranza di cambiamento, ma adesso il sogno è svanito e ci troviamo a vivere in un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti.».


Nel suo articolo "Addio a Theo Angelopoulos  - raccontò la Grecia più vera", ha scritto Fulvia Caprara (LASTAMPA.it): «Figura di spicco del “Nouveau cinema” greco, carattere non semplice, esigente, puntiglioso, Angelopoulos ha descritto, meglio di tutti, la condizione del suo popolo negli ultimi decenni. La Grecia dei suoi film è lontana anni luce dagli stereotipi di sapore turistico che ne hanno sempre caratterizzato le rappresentazioni. Nelle sue opere, spesso sotto un cielo grigio e piovoso, tra distese montuose desertiche, è emerso il cuore duro e profondo del Paese, quel nucleo di sofferenza che forse, solo oggi, con l’esplosione della crisi economica, è apparso chiaro agli occhi del mondo.».

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