Gianni Santuccio
Gianni Santuccio nacque a Clivio (paesetto sulle colline nei dintorni di Varese) il 21 maggio 1911: avrebbe compiuto cento anni in questi giorni. Grandissimo attore vecchia maniera, fu un grande del teatro, attivo anche in radio, televisione e cinema.
Elegante e affascinante narcisista, aveva un'inconfondibile voce pastosa e fu un interprete moderno, che – pur amando l'impostazione classica della recitazione – mostrò di saper scavare profondamente nella psicologia del personaggio. Lanciato dai microfoni dell'EIAR, si fece notare con È passato qualcuno di Bassano (1941) di N. Meloni; l'anno dopo si diplomò all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica e fu lanciato sul palcoscenico dall'attore napoletano G. Donadio.
Tutti i grandi del teatro hanno lavorato con lui: Ruggero Ruggeri, dal quale imparò il rifiuto della recitazione istrionica ottocentesca, Diego Cimara, del quale imitò il piglio aristocratico e la recitazione sobria, e la grande Sarah Ferrati, con la quale condivise il rigore recitativo. Passò poi al Piccolo Teatro di Milano ove brillò sia nei testi classici (Alfieri, Shakespeare, Goethe, Čechov e Ibsen) sia nei testi dei più rilevanti autori contemporanei (Pirandello, Betti e Sartre).
Ebbe il suo primo importante successo come primo attore con Piccoli borghesi (1946) di Gor´kij per la regia di Giorgio Strehler. Come dimenticare le sue stupende interpretazioni degli anni 1948 e 1949, per la regia di G. Strehler, in Riccardo II, La tempesta, Romeo e Giulietta e La bisbetica domata di Shakespeare, oppure le magnifiche performance con Il gabbiano di Čechov, Assassinio nella cattedrale di Eliot o l’adattamento teatrale di Delitto e castigo di Dovstoeskij.
Un incontro fatale e decisivo fu quello con Lilla Brignone, con la quale stabilì un sodalizio artistico e sentimentale (si ricordano le memorabili interpretazioni in Come le foglie e Il Crogiuolo, per la direzione di L. Visconti); fecero poi compagnia rendendo grande il Teatro Manzoni di Milano, prima con Memo Benassi quindi con Salvo Randone e Lina Volonghi (tutti indimenticabili e insostituibili interpreti, come ben sa chi – come me – ha avuto modo di vederli recitare e di giudicare la loro irraggiungibile grandezza interpretativa). Ritornò al Piccolo di Milano con Marat–Sade di Weiss e col Giardino dei ciliegi di Čechov; tra le sue più celebrate ultime interpretazioni sono da ricordare: Servo di scena di Harwood, Finale di partita di Beckett e I giganti della montagna di Pirandello. La sua escalation di successi culminò nel 1970 con il "Premio Riccione" per la regia di Danza di morte di Strindberg, ma proseguì inalterata sino agli anni Ottanta (morì a Milano il 29 settembre del 1989).
Fu anche un mattatore del teatro radiofonico, che negli anni Cinquanta era amato dal pubblico di massa che non poteva andare a teatro ma che ha avuto così la possibilità di conoscere il grande teatro di tutti i tempi: ricordiamo Macbeth (1951) di Shakespeare, Casa di bambola di Ibsen (1953), L'allodola di Anouilh (1954), I fratelli Karàmazov di Dovstoeskij (1954), Il Tartufo di Molière (di cui Santuccio fece anche la regia, 1956), Carmosina di De Musset (1957) e Poltava di Puškin (1959). La sua attività radiofonica continuò anche negli anni Sessanta (L'aiuola bruciata di Betti, Il Passatore di Dursi e La signora delle camelie di Dumas) e negli anni Settanta (Paesaggio di Pinter, Cesare e Cleopatra di Shaw, Il turno di Pirandello e le Interviste impossibili).
Fu presente anche nel cinema; ricordiamo alcuni film: Vortice (1954) di R. Matarazzo, I sogni muoiono all'alba (1961) di I. Montanelli, Venere imperiale (1962) di J. Dellanoy, Domani non siamo più qui (1967) di B. Rondi e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di E. Petri. Ha scritto Tettamanti (Corriere della Sera, "Cose dell'altro secolo", 30–3–2011): «Il cinema, inspiegabilmente, lo trascurerà chiamandolo solo a interpretare parti di secondo piano in quel ruolo di cinico e cattivo che non rende giustizia a un grande attore.».
Anche in televisione Santuccio fu un interprete indimenticabile, suscitando l'entusiasmo del pubblico; ricordiamo: La sorridente signora Beudet (1956) con Lilla Brignone, per la regia di G. Morandi; Romanzo (1956) con Lea Padovani ed Elena Cotta e Ma non è una cosa seria (1957) con Diana Torrieri e Sergio Tofano, per la regia di D. D'Anza; L'idiota (1959) con Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, per la regia di G. Vaccari; Una tragedia americana (1962) con Warner Bentivegna e Giuliana Lojodice, per la regia di A.G. Majano; e L'affare Dreyfus (1968) insieme a molti altri grandi attori, per la regia di L. Cortese.
Ma perché la nostra televisione pubblica non ripropone tutto questo prezioso materiale, facendo conoscere un meraviglioso patrimonio di attori e registi ai giovani che forse non li hanno mai sentiti nominare?
Nel 2008, a Varese, gli è stato intitolato "Il Teatrino" (divenuto "Il teatrino di Gianni Santuccio"), storico teatro, inaugurato nel 1932 e rimasto chiuso per più di cinquant'anni (una piccola arena circondata da armoniose scalinate di marmo). Ha scritto Tettamanti: «Gianni Santuccio ha saputo conquistare la critica e il pubblico. Per una vita intera. Il 29 settembre del 1989 è calato il sipario. La città di Varese gli ha dedicato il teatrino di via Sacco, davanti al palazzo comunale e ai Giardini Estensi. Nel cuore della città e della gente.».
Presso la Biblioteca e Museo Teatrale del Burcardo (sito nel centro di Roma) si trova "Il fondo Gianni Santuccio", composto di libri, foto, premi, lettere autografe, programmi e ritagli di stampa sull'attività di questo grande attore scomparso. ("Persinsala.it", 25 maggio 2011)
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