Lev Nikolaevič Tolstoj
Il sette novembre di cento anni addietro moriva Lev Nikolaevič Tolstoj, grandissimo scrittore russo, nato il 28 agosto del 1828 alla periferia di Mosca, nella tenuta agricola di Jasnaja Poljana, da un'antica e nobile famiglia.
Rimasto orfano, fu cresciuto insieme ai quattro fratellini tra Mosca e Pietroburgo da alcune zie. Da giovane seguì studi di filosofia e giurisprudenza, conducendo una vita inquieta e scioperata (giocando e perdendo molto denaro al tappeto verde); seguì la carriera burocratica e si arruolò poi tra i granatieri. Nel 1862 sposò Sòfja, una nobile ragazza diciassettenne che amò per quasi cinquant'anni (dandole tredici figli): la moglie lo aiutò nella stesura del suo lungo capolavoro Guerra e pace (copiò e ricopiò con dedizione le migliaia di pagine del manoscritto).
In età avanzata lo scrittore si ritirò nella tenuta natale, ove lavorò moltissimo dal punto di vista letterario e ove assunse il ruolo di opinionista molto apprezzato e di guida morale molto ascoltata dai contemporanei (era chiamato «il profeta di Jasnaja Poljana»).
Il suo grande romanzo Guerra e pace (1869) ha ispirato film, sceneggiati televisivi e adattamenti radiofonici. Nel firmamento del cinema, indimenticabile resta il classico film War and Peace (1956), diretto da King Vidor, alla cui complicata sceneggiatura parteciparono anche gli italiani Mario Camerini, Ennio De Concini, Ivo Perilli, Gian Gaspare Napolitano e Mario Soldati, con le musiche di Nino Rota, e con la partecipazione di Audrey Hepburn (interpretò Nataša Rostova), Henry Fonda (era Pierre Bezukhov), Mel Ferrer (prestò il suo volto al Principe Andrej Bolkonskij) e Vittorio Gassman (interpretò Anatole Kuragin). Nel 1957 il film si aggiudicò il Golden Globe (come migliore film straniero), due Nastri d'argento (per la scenografia e la musica), e ricevette tre nomination ai Premi Oscar.
Com'è noto il ponderoso romanzo corale è dedicato agli avvenimenti storici che partono dalla invasione napoleonica del 1812, e le vicende di guerra si mescolano ai sentimenti dei protagonisti, l'ufficiale vedovo Bolkonskij e la fidanzata, la giovane Nataša, che lascia libera quando s'innamora di un altro. La guerra li disperderà ma si ritroveranno poi a Mosca, mentre la città brucia.
Anche l'altro grande romanzo Anna Karenina, ispirato a un fatto realmente accaduto e scritto durante un periodo di forte crisi spirituale, è stato cannibalizzato da cinema, teatro e televisione. Narra l'intensa storia d'amore di Anna, sorella del principe Oblonskij, sposo infedele di Dolly che vorrebbe lasciarlo dopo aver scoperto il suo ultimo tradimento. Andata a trovarli da Pietroburgo a Mosca, Anna riesce a ricomporre con abile semplicità il dissidio tra i due sposi ma involontariamente ruba alla sorella di Dolly, Kitty, il corteggiatore Vronskij, ufficiale bello e prestante.
Per lui, Anna abbandona il marito (un alto burocrate rigido e perbenista) e il figlio; si amano, viaggiano, hanno una bimba, e Anna impara a vivere soltanto per Vronskij, che è la sua felicità ma anche la sua infelicità. Il marito la punisce con l'allontanamento dal figlio e il fermo rifiuto del divorzio, costringendola a vivere nel disprezzo sociale. Dimessosi dalla carriera militare, annoiato dalla vita presente, Vronskij inizia a provare del rancore per Anna e pensa forse di abbandonarla. In preda a un folle furore amoroso, timorosa per la fine della loro passione e disperata, Anna si abbandona a un fatale suicidio.
Questa storia struggente ha ispirato una serie interminabile di film, tra i quali ricordo soltanto la versione di Clarence Brown (1935) con la grande Greta Garbo (che era Anna per la seconda volta: la prima volta l'aveva interpretata nel film Love di Edmund Goulding del 1927) e con Fredric March. Desidero inoltre ricordare il nostro grandioso sceneggiato televisivo del 1974 per la sapiente regia di Sandro Bolchi (quella vecchia televisione che fu e che non esiste più!), prodotto in concomitanza del centenario della pubblicazione dell'opera tolstojana, con la sensibilissima Lea Massari (ha regalato misura e modernità ad Anna, solitamente, un'eroina smisuratamente romantica e appassionata), con Pino Colizzi e con Giancarlo Sbragia (il critico Maurizio Porro ha ritenuto Bolchi «capace di una sottigliezza e di una ferocia espressiva rare... di vitalità nuova... di un'aderenza che non rinuncia ad alcuna delle ricchezze politiche, religiose, sociali dell'autore»; mentre Aldo Grasso ha sottolineato come esso «venendo incontro alle richieste di un pubblico che sembrava reclamare gli sceneggiati della televisione delle origini, si sforzasse di mantenere in vita un genere in cui la RAI incominciava a non credere più»).
Gli ultimi anni della vita di Tolstoj non furono purtroppo felici, poiché si guastarono in modo irrimediabile i rapporti con la moglie, che non comprendeva più le sue idee e che non approvava più suoi comportamenti (la rinunzia dei diritti d’autore in favore di una setta religiosa aveva ridotto la famiglia sul lastrico).
Alla fine dell’ottobre del 1910, a ottantadue anni, stanco e amareggiato, lo scrittore riuscì a trovare il coraggio per una fuga da casa ma, dopo appena dieci giorni, moriva nella piccola isolata stazione di periferia Astapovo, stroncato dal freddo e dalla malattia.
Quest'ultima triste fase della sua vita è stata il soggetto dell'ottimo film di Michael Hoffman (2010), dal titolo The Last Station: la fine di Tolstoj (basato sul romanzo omonimo di Jay Parini), con Helen Mirren (la moglie Sofja) – rappresentata in modo forse duro: più interessata a rivendicare per lei e per i figli i diritti sul patrimonio letterario che alle sofferenze del marito morente (che avrebbe voluto lasciare i suoi diritti d'autore al popolo russo) – e Christopher Plummer (il vecchio e stanco Tolstoj).
Negli ultimi istanti di vita di Lev, però i due sposi finalmente si ritroveranno. ("Persinsala.it", 8 novembre 2010)
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