giovedì 22 dicembre 2011

Pietro De Vico, caratterista di bravura strepitosa



Pietro De Vico


A Napoli cento anni addietro (il 21 febbraio del 1911) nasceva Pietro De Vico da Adolfo e Carmela Mollo, in una famiglia che fu la sua scuola d'arte (il nonno era un musicista, il padre un amante del teatro e lo zio un professore di musica), in un ambiente che fu uno straordinario humus culturale.

Ancora bambino, debuttò nella compagnia di Vincenzino Scarpetta con la farsa Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta, interpretando Peppiniello. Negli anni trenta (era appena ventenne) lavorò nella compagnia di avanspettacolo del padre insieme ai fratelli Antonio e Mario (il "Trio De Vico"), che fu per lui una vera palestra di recitazione. Dotato di notevole senso comico e di fantastiche capacità mimiche, s'ispirò per far ridere alla balbuzie di Ciccio De Rege (con il quale aveva lavorato).

Si è detto anche che avesse riscoperto la macchietta del "Balbuziente" di Trilussa: certamente divenne il balbuziente per antonomasia. Una mitica serie televisiva per ragazzi, La nonna del corsaro nero (andata in onda tra il 1961 e il 1966), gli diede una popolarità enorme: De Vico era il balbuziente e pauroso nostromo Nicolino; la moglie Anna Campori, cantante d'operetta e attrice romana sposata nel 1937, era Giovanna – «la nonna che è più forte di un bicchiere di gin» –; e Giulio Marchetti interpretava il maggiordomo Battista, compito e fedele.

In tarda età, De Vico è entrato nella prosa impegnata dalla porta principale: nel 1962, con Eduardo De Filippo, in Natale in casa Cupiello, nella parte di Nennillo (sostituendo Peppino De Filippo); fu poi chiamato dal grande regista salernitano Antonio Calenda, facendosi notare in Farsa (1981) di Antonio Petito con Pupella Maggio, Cinecittà (1984) di Pier Benedetto Bertoli e dello stesso Calenda con Anna Campori e Rosalia Maggio, Aspettando Godot (1987) di Beckett con Mario Scaccia, Pupella Maggio e Sergio Castellitto, e nel 1988 come interprete de L'aria del continente di Nino Martoglio con Nino Frassica e di Alta distensione da Achille Campanile con Anna Campori. Dal 1971, e per molto anni, recitò nel teatro napoletano insieme a Luisa Conte, Nino Veglia e Ugo D'Alessio, avendo grande successo (trionfò soprattutto con Annella di Portacapuana, che inaugurò il nuovo teatro Sannazzaro di Napoli, soprannominato la "Bomboniera di via Chiaia").

Nel cinema è stato un superbo caratterista e una duttile spalla comica (ad esempio con Totò) in più di settanta film, alcuni considerati impropriamente di serie B, quali: Totò cerca casa (1949) di Steno e Monicelli, Il giudizio universale (1961) di De Sica, Totò diabolicus (1962) di Steno, Che fine ha fatto Totò Baby? (1964) di Alessi, Brancaleone alle crociate (1970) di Monicelli, Sgarro alla camorra (1973) di Fizzarotti, La mazzetta (1978) di Corbucci, La messa è finita (1985) di Moretti, Scandalo segreto (1990) di Monica Vitti, e Ladri di futuro (1991) di Enzo De Caro.

De Vico morì a Roma il 10 dicembre del 1999 (due giorni dopo Pupella Maggio): aveva ottantotto anni, e sette anni prima era stato colpito da un ictus. In un articolo dal titolo "Addio De Vico, sorriso del varietà", comparso sul Corriere della Sera in occasione della sua morte (11 dicembre 1999), Maurizio Porro scriveva: «Il teatro napoletano perde un altro protagonista: dall'avanspettacolo arrivò fino a Beckett. Si spengono i riflettori, traballa il varietà, crolla la passerella: è morto un pilastro, Pietro De Vico, figlio d'arte... Una vita passata a strabuzzare gli occhi, a prender papere, a fare il tonto, la spalla, il balbuziente, secondo le regole dell'avanspettacolo tramandate dalla commedia dell'arte... Era quel mondo sublime e plebeo amato da Fellini, le passerelle del "felicibumta", le paillettes usate, le soubrettine del cappuccino e brioche, treni di terza classe, paghe scarse. ... nel DNA di De Vico, un artista purosangue a tre colori, il comico, il tragico e il folle, c'era qualcosa di eterno, una risata la cui eco ci seguirà.».

Ha scritto Bruno Gambarotta: «Forse la nostalgia non è più quella di un tempo, ma i ragazzi di cinquant'anni hanno in comune il ricordo di un mitico programma della Tv dei Ragazzi, "Giovanna, la nonna del Corsaro Nero"... L'autore dei testi di "Giovanna", il grande umorista Vittorio Metz, ambientava gli episodi (recitati, cantati e ballati) nelle epoche e nei luoghi più vari: nel regno degli Incas, al tempo di Robin Hood, nel regno di Atlantide, fra i Thugs di salgariana memoria, nella Spagna dei toreri, in Scozia. Ogni volta costumista e scenografo si lanciavano in una maniacale documentazione neanche si fosse trattato di un film storico...».


Nel suo libro "I programmi che hanno cambiato l'Italia" (1994, Feltrinelli), dedicato a quarant'anni di televisione, Walter Veltroni ha riservato un commosso capitolo ai protagonisti di questa indimenticabile serie televisiva. ("Persinsala.it", 24 febbraio 2011)

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