Osea
Il profeta Osea, figlio di Beeri, nato e
vissuto in Israele, operò sotto il regno di Geroboamo II (783-743 a.C.). In
ebraico il nome Osea significa “il Salvatore”. Fu il primo dei profeti minori
del canone ebraico della Bibbia, e la sua canonicità è ben documentata dal
fatto che molti dei suoi vaticini sono stati citati nel Nuovo Testamento. Il
libro consta di 14 capitoli ed è diviso in due parti: la prima parte comprende
i primi tre capitoli ed è incentrata sul matrimonio (è stata certamente
ispirata dall’unione infelice di Osea con «una donna di prostituzione» e dalla
sua vita familiare deludente); la seconda parte comprende tutti gli altri
capitoli e contiene la dura rappresentazione della corruzione generale e
dell’idolatria d’Israele (che aveva preso ad adorare un vitello d’oro), la
minaccia di punizioni, un vaticinio di consolazione e l’invito di Dio al suo
popolo affinché ritorni ai giorni puri dell’alleanza nel deserto.
Abbandonandosi
al tempo della giovinezza e della fedeltà d’Israele, Osea aspira all’«ideale
del deserto», che con la sua solitudine spinge il popolo ebreo a mantenersi
fedele al suo Dio. Nei suoi scritti pieni di forza drammatica ma anche di
tenerezza e di strisciante sensualità, il matrimonio assume la forza grande di
un simbolo: Dio parla per bocca del suo profeta ed è rappresentato come uno
sposo, che – pur amando molto e
ostinatamente – è tradito dal
suo popolo (la sposa adultera) che infrange l’alleanza del Sinai, cioè lo
stretto patto d’amore che prima li univa. Si discute se il matrimonio sia
veramente esistito nella vita d’Osea, oppure se sia stato soltanto un pretesto
allegorico.
1. La sposa infedele di Osea. […] / Quando
il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: / «Va’, prenditi in moglie una
prostituta e abbi figli di prostituzione, / poiché il paese non fa che
prostituirsi / allontanandosi dal Signore». / Egli andò a prender Gomer, figlia
di Diblaim: essa concepì e gli partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: / «Chiamalo
Izreel (nome simbolico di una pianura di Galilea), / perché tra poco
/ vendicherò il sangue di Izreel / sulla casa di Ieu / e porrò fine al regno / della
casa d’Israele. / In quel giorno / io spezzerò l’arco d’Israele nella valle di
Izreel». / La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a
Osea: / «Chiamala Non–amata, / perché non amerò più / la
casa di Israele, / non ne avrò più compassione. / […]». / Dopo aver divezzato
Non–amata, Gomer concepì e
partorì un figlio. E il Signore disse / a Osea: / «Chiamalo Non–mio popolo, / perché voi non siete
mio popolo / e io non esisto per voi». […]
2. Riconciliazione. […]
“Rimproveri
e minacce.”
Dite ai
vostri fratelli: «Popolo mio» / e alle vostre sorelle: «Amata». / Accusate
vostra madre, / accusatela, / perché essa non è più mia moglie / e io non sono
più suo marito! / Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni / e i
segni del suo adulterio dal suo petto; / altrimenti la spoglierò tutta nuda (punizione
inflitta allora a una sposa infedele) / e la renderò come quando
nacque / e la ridurrò a un deserto, / come una terra arida, / e la farò morire
di sete. / I suoi figli non li amerò, / perché sono figli di prostituzione. / La
loro madre si è prostituita, / la loro genitrice si è coperta di vergogna. / Essa
ha detto: «Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la
mia lana e il mio lino, / il mio olio e le mie bevande». / Perciò ecco, ti
sbarrerò la strada di spine / e ne cingerò il recinto di barriere / e non
ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà,
/ li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima
/ perché ero più felice di ora». / Non capì che io le davo / grano, vino nuovo
e olio / e le prodigavo l’argento e l’oro / che hanno usato per Baal (l’idolo
profano). / Perciò anch’io tornerò a riprender / il mio grano, a suo
tempo, / il mio vino nuovo nella sua stagione; / ritirerò la lana e il lino / che
dovevano coprire le sue nudità. / Scoprirò allora le sue vergogne / agli occhi
dei suoi amanti / e nessuno la toglierà dalle mie mani. / Farò cessare tutte le
sue gioie, / le feste, i noviluni, i sabati, / tutte le solennità. / Devasterò
le sue viti e i suoi fichi, / di cui essa diceva: / «Ecco il dono che mi han
dato i miei amanti». / La ridurrò a una sterpaglia / e a un pascolo di animali
selvatici. / Le farò scontare i giorni dei Baal / quando bruciava loro i
profumi, / si adornava di anelli e collane / e seguiva i suoi amanti / mentre
dimenticava me! / – Oracolo del
signore.
“Conversione.”
Perciò,
ecco, la attirerò a me, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore. / Le
renderò le sue vigne / e trasformerò la valle di Acor (ingresso per la terra
promessa) / in porta di speranza. / Là canterà / come nei giorni
della sua giovinezza, / come quando uscì / dal paese d’Egitto. / E avverrà in
quel giorno / – Oracolo del
Signore – / mi chiamerai:
Marito mio, / e non mi chiamerai più: Mio padrone. / […] / Ti farò mia sposa
per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nella
benevolenza e nell’amore, / ti fidanzerò con me nella fedeltà / e tu conoscerai
il Signore. / […] [Da “Libro di Osea” (2a metà dell’VIII secolo
a.C.), ne La Sacra Bibbia – Antico Testamento, Edizione Ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana - CEI
S.R.L. per il Testo Sacro, Roma 1974]
In questo
scritto dotato di un evidente respiro letterario si notano sentimenti
umanissimi di mortificazione per i tradimenti della moglie (che Osea considera
una prostituta), insieme a un gran desiderio di rivalsa che spinge il profeta a
vagheggiare l’umiliazione della donna e il suo totale annientamento di fronte
agli amanti: «la ridurrò a un deserto… a una sterpaglia e a un pascolo di
animali selvatici… scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti».
Le parole sono di una suggestione enorme, in quanto Osea mescola l’invettiva
contro la moglie con quella contro il popolo infedele («Le farò scontare i
giorni dei Baal»), confondendo prostituzione e idolatria. Osea sa anche usare,
però, toni d’infinita tenerezza per questa moglie infedele e frasi che hanno la
straordinaria bellezza di una poesia d’amore: «Perciò, ecco, la attirerò a me,
/ la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore».
Il
ritorno al deserto diviene per Osea un’immagine di rigenerazione morale, anche
con riferimento alla moglie. E sempre c’è la sovrapposizione tra Gomer, la
donna indegna, e la gente d’Israele, il popolo indegno («Là canterà / come nei
giorni della sua giovinezza, / come quando uscì / dal paese d’Egitto»), commistione
tra il tradimento di Gomer e quello degli Israeliti, identificazione tra
l’amore di Osea per la moglie e quello di Dio per il suo popolo ingrato. Dio
ama lo stesso («Verrà a noi come la pioggia d’autunno, / come la pioggia di
primavera, che feconda la terra»), nonostante l’amore del popolo d’Israele sia
labile «come una nube del mattino, / come la rugiada che all’alba svanisce» (6.
Superficiale ritorno a Dio.).
Contro i
peccati di questo popolo corrotto, Osea scaglia parole di fuoco e preannunzia orribili
castighi: «E poiché hanno seminato vento / raccoglieranno tempesta. / Il loro
grano sarà senza spiga, / e il germoglio non darà farina, / e se ne produce, la
divoreranno gli stranieri.» (8. I peccati.). Infuriato continua: «[…] / L’aia
e il tino non li nutriranno / e il vino nuovo verrà loro a mancare. / […] /
Pane di lutto sarà il loro pane, / coloro che ne mangiano diventano immondi. / […]
/ Sono venuti i giorni del castigo, / sono giunti i giorni del rendiconto, / […]
/ ma egli si ricorderà della loro iniquità, / farà il conto dei loro peccati. /
[…]»; e il Signore è indignato: «Per i loro misfatti / li scaccerò dalla mia
casa, / non avrò più amore per loro; / […] / la loro radice è inaridita, / non
daranno più frutto. / Anche se generano, farò perire / i cari frutti del loro
grembo. / […]» (9. Israele deportato.).
L’ultima
parte del libro descrive l’amore del “Dio–sposo”
per il suo “popolo–sposa” (e prostituta)
con parole appassionate: «[…] / Io li guarirò dalla loro infedeltà / li amerò
di vero cuore, / poiché la mia ira si è allontanata da loro. / Sarò come la
rugiada per Israele; / esso fiorirà come un giglio / e metterà radici come un
albero del Libano / si spanderanno i suoi germogli / e avrà la bellezza
dell’olivo / e la fragranza del Libano. / Ritorneranno a sedersi alla mia
ombra, / […] / io sono come un cipresso sempre verde, / grazie a me tu porti
frutto. / […]» (14. Invito al ritorno.).
Ritornando
alla metafora del matrimonio, l’amore rinato tra l’uomo placato e la donna
perdonata è vissuto però nell’ambito dell’amore per Dio: «Ti farò mia sposa per
sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nella
benevolenza e nell’amore, / ti fidanzerò con me nella fedeltà / e tu conoscerai
il Signore». Nella prima lettera di Giovanni, scritta a Efeso nell’anno 100 per
i cristiani dell’Asia Minore, è ripreso questo concetto: «Carissimi, amiamoci
gli uni e gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e
conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. […] Noi
abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi
sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.».
In “Osea
e Gomer: il profeta e la prostituta”, scritto da Annalisa Margarino (tratto dal
numero 14 di Diogene, dossier: La
prostituta: vittima o degenerata?), si osserva: «Nella Bibbia la
prostituzione è dichiaratamente condannata perché è considerata come un
sovvertimento della legge divina e un abuso della sessualità, che dovrebbe
essere vissuta secondo il progetto di Dio, il quale prescrive all’uomo e alla
donna di diventare una carne sola e d’amarsi in un rapporto di coppia.
Prostituirsi significa quindi violare la Legge consegnata a Mosè che norma gli
atteggiamenti con Dio, con se stessi e con il prossimo. […] Era prevista la
lapidazione, sanzione che spettava a tutti gli atti riconosciuti come infami
nella casa di Israele, perché disonoranti e non rispettosi della legge di Dio e
del prossimo. È nota la severità di Israele in fatto di pene! […] La
prostituzione è idolatria. […] Nei libri profetici si trovano numerose
invettive di Dio contro Gerusalemme che si è data alla “prostituzione”. Questa
diventa, così, un simbolo, un indicatore per eccellenza della condizione di
Israele. […] “Va’, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di
prostituzione, poiché il Paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal
Signore”, questo è l’invito che il profeta Osea si sente rivolgere dal suo Dio.
[…] La cosa sconcerta sempre a un primo impatto. Dio che ordina di sposare una
prostituta? Dio comanda a Osea di sposarsi con una prostituta proprio perché
Israele, il popolo eletto di Dio, da lui tanto amato, si sta prostituendo e sta
mancando nella sua fedeltà. Così lo sposalizio tra Osea e Gomer, la prostituta,
simboleggia il matrimonio corrotto tra Dio e il suo popolo che concede il suo
culto ad altri idoli e vive superficialmente non manifestando più fedeltà
all’Alleanza. Quale sarà però il risultato del matrimonio tra il profeta,
simbolo di colui che ascolta e parla apertamente mantenendo fedeltà al suo Dio,
e Gomer, simbolo dell’infedeltà e della chiusura? Il risultato di tale non–relazione sono due figli, di nome
Non–amata e Non–mio–popolo. I figli di prostituzione non possono essere amati,
perché non sono nati da un rapporto d’amore. Ma proprio per questo il profeta
deve trasformare la sua compagna da una prostituta a un oggetto d’amore: […].
Questi versetti hanno un significato centrale: sono, in realtà, pieni di amore,
perché il Profeta, dopo aver eseguito gli ordini del Signore, si rende conto
che la sua prostituta non può che generare non–amati, perché, prima ancora dei suoi figli, è lei stessa la non–amata. La relazione che libera la
prostituta è il risultato di un rapporto che la pone nella condizione di
“neonata”. […]. Dio non accetta l’essere considerato solo come padrone e che la
sua donna–Israele corra tra le
false sicurezze di tanti amanti: “[…] Io li seminerò di nuovo per me nel Paese
e amerò Non–amata; e a Non–mio–popolo dirò: 'Popolo mio', ed egli mi dirà: 'Mio Dio'” […].
Sono parole di una dichiarazione d’amore. Alla prostituzione si oppone il
desiderio di un’alleanza, di un continuo riconoscimento di sé e dell’altro,
alla fuga, alla precarietà si contrappone la fedeltà. Ai linguaggi della
prostituzione dove tutto è sfuggente, si contrappongono linguaggi di
radicalità, totalità, parole di relazione. […] La relazione salvifica promessa
da Dio nell’Antico Testamento tramite Isaia, Osea, Ezechiele trova compimento
nel Nuovo. Una delle frasi più lapidarie e sconvolgenti del Vangelo riguarda
proprio le prostitute: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel
regno di Dio” (Matteo 21,31). […]»
(http://www.diogenemagazine.eu/home/index.php?option=com_content&view=article&id=89:osea-e-gomer-il-profeta-e-la-prostituta&catid=16:sessualita&Itemid=110).
Concludendo,
il libro di Osea rappresenta la prima occasione in cui il rapporto tra Dio e il
popolo di Israele nella Bibbia è associato a un matrimonio. L’immagine è stata ripresa
poi da Geremia e più tardi è stata piuttosto ricorrente nel Nuovo Testamento.
P.S. Nel film La via lattea (La voie lactée) (1968) di Luis Buñuel con Christine
Simon (la ragazza incatenata), Pierre Clémenti (il demone), Georges Marchal (il
gesuita), Jean Piat (il giansenista), Michel Etcheverry (l’inquisitore), e Alain
Cuny (l'uomo col mantello), si narra di due vagabondi dei giorni nostri: Jean,
giovane e scettico (Laurent Terzieff), e Pierre, vecchio e credente (Paul
Frankeur), che partono insieme da Fontainebleau in Francia per raggiungere il
santuario di Santiago de Compostela in Spagna (la via Lattea è appunto il nome
di quella strada attraverso la quale i pellegrini da Parigi raggiungevano
il santuario di San Giacomo, sorto a Santiago
de Compostela nel 1075 per ospitare le spoglie miracolosamente ritrovate dell’apostolo
di Cristo). I due pellegrini fanno degli incontri interessanti con eresie del Cristianesimo
antico e moderno, imbattendosi in tutta una serie di situazioni assurde e di
diabolici personaggi che indossano abiti di epoche passate. Hanno scritto i
Morandini: «Il surrealismo del vecchio maestro spagnolo è al massimo della sua
forma in questa deliziosa, sarcastica scorribanda attraverso le eresie, da lui
prese come segni di una dialettica tra fede e ideologia, potere e libertà.
Scritto con Jean-Claude Carrière. L'attore che fa Gesù è Bernard Verley.» (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27487).
Alla fine del film il regista ci tiene a sostenere la veridicità storica delle
dispute teologiche rappresentate nel film.
Come ha scritto laulilla, concludendo la sua
recensione dal titolo “Uno strano pellegrinaggio” (mercoledì 20 aprile 2011): «Le
religioni, dunque, sono per Buñuel nient’altro che ipocriti veli dell’autorità
politica; la Chiesa si alimenta delle ambiguità contenute nel messaggio
cristiano, che non è solo un messaggio d’amore, ma contiene in sé anche i germi
della violenza che ha contraddistinto tutta la sua storia: non a caso, nelle
ultime scene del film, gli apostoli seguiranno Cristo, proprio dopo che avrà
indicato nella guerra e nella divisione anche dei nuclei familiari più stretti,
la sostanza della propria predicazione. Solo uno dei due ciechi miracolati, il
più povero e più ingenuo, non lo seguirà. Film blasfemo, come altri del grande
regista, surreale nei modi della rappresentazione, che ricorre anche a stilemi
della letteratura fantastica (metafore ed espressioni verbali che diventano
realtà), diretto magistralmente da un Bunuel in piena forma.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=27487).
E in questo film, dopo aver fatto l'elemosina ai pellegrini Laurent Terzieff e
Paul Frankeur, Alain Cuny cita liberamente il profeta Osea: «Andate… Prendete
una meretrice e generate figli di prostituzione. Chiamerete il primo “Tu non
sei il mio popolo” e il secondo “Non più misericordia”».
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