martedì 7 agosto 2012

Daniel Mann, un interessante regista quasi dimenticato


Daniel Mann


Cento anni addietro, l'otto agosto del 1912, nasceva a New York City Daniel Mann (nato Daniel Chugerman, meglio conosciuto come Danny Mann), un grande regista cinematografico e televisivo americano che – nonostante quattro o cinque film indimenticabili (che io ho amato moltissimo) – oggi è ingiustamente trascurato e negletto.

Studiò alla New York's Professional Children's School. Si perfezionò con Sanford Meisner al Neighborhood Playhouse, divenendo il suo assistente, e fu tra i primi insegnanti dell'Actors Studio, prima che Lee Strasberg ne divenisse il direttore artistico
(http://www.cinekolossal.com/registi/m/manndaniel/).

Attore e regista teatrale a Broadway, sotto la sua direzione Sidney Blackmer e Shirley Booth vinsero il Tony Award per il dramma da lui diretto Come Back, Little Sheba (Torna piccola Sheba), che divenne nel 1952 il bel film del suo debutto, grande e intimo capolavoro benedetto da due grandissime interpretazioni, quella confusa e dolente di Shirley Booth (che volle anche nel film) e quella malinconica e struggente di Burt Lancaster: gli occhi di entrambi, tristi e velati, lasciano intuire spazi illimitati di solitudine e di sofferenza. Basterebbe questo film per decretarne la statura di autore indiscusso e indimenticabile! Il film è tratto dalla pièce teatrale (1949) di William Motter Inge (1913-1973) – grande drammaturgo statunitense che vinse nel 1953 il Premio Pulitzer per Picnic e nel 1962 l'Oscar per la sceneggiatura del film Splendore nell'erba – adattata da Ketti Frings. Scrivono i Morandini: «[…] sposato con una sciattona maldestra, senza figli, ex alcolista nutre un morboso affetto per una ragazza e rimane sconvolto quando lei si fa corteggiare da un giovanotto. La leggerezza non è certamente una delle qualità di questo interno familiare che conta soprattutto per l'interpretazione dell'esimia teatrante S. Booth, premiata con l'Oscar.» (il Morandini, Zanichelli editore). La trama è drammatica e sofferta: Doc Delaney è un maturo signore alcolizzato e frustrato in crisi matrimoniale con la moglie Lola, che ha sposato molto giovane interrompendo brillanti studi di medicina soltanto perché la credeva incinta. Entrambi pensano con rimpianto alla piccola Sheba, la cagnolina che avevano allevato insieme e che è scappata per non ritornare mai più. Decidono di affittare una stanza della loro casa a una ragazza con lo scopo di trovarsi meno soli e di sconfiggere la solitudine. Mary entra nel loro infelice e soffocante ambiente familiare (arido specchio dell'anima e della sensibilità dei protagonisti) portando una nuova dimenticata vitalità e mettendo in crisi Doc che ne è subito conquistato. Molto ben rappresentato è il dramma dell'alcolismo e dei suoi devastanti effetti, e piuttosto interessanti risultano gli interventi dell'associazione Alcolisti anonimi nel supportare l'alcolizzato e i suoi familiari.

Seguì Addio signora Leslie (About Miss Leslie) (1954) con Shirley Booth e Robert Ryan, storia coinvolgente di una cantante di night–club che grazie all'intervento di un suo cliente facoltoso riesce a raccogliere il denaro sufficiente per aprire una pensione e rendersi così indipendente.

Fu la volta di Piangerò domani (I'll Cry Tomorrow) (1955), film drammatico musicale con Susan Hayward, Richard Conte, Eddie Albert e Jo Van Fleet, storia amara tratta dalla biografia di Lillian Roth, cantante–attrice in voga negli anni Trenta, che conosce la gloria passando da un successo all'altro e da un teatro all'altro, ma la sua vita sentimentale è una catastrofe. Rimasta vedova, Lillian si abbandona all'alcol ma riuscirà a riscattarsi in un nuovo amore. Nel 1956 il film ebbe 4 nomination (una delle quali a Susan Hayward per la Migliore attrice protagonista) e un premio a Helen Rose per i Migliori costumi in un film in bianco e nero. Con questa pellicola Susan Hayward vinse al festival di Cannes il premio per la migliore interpretazione femminile.

Uno dei più grandi successi di Daniel Mann fu La rosa tatuata (The Rose Tattoo) (1956), film tratto da un soggetto di Tennessee Williams, sceneggiato dallo stesso Williams con Anna Magnani (Serafina delle Rose). Per lei Williams aveva scritto la pièce teatrale e Mann diresse a Broadway il dramma di Williams con Maureen Stapleton (la Magnani rinunciò per le difficoltà di recitare in inglese) nella parte dell'inconsolabile vedova italo–americana e con Eli Wallach in quella di Alvaro. Gli altri interpreti del film erano Burt Lancaster (Alvaro Mangiacavallo) e Marisa Pavan (Rosa Delle Rose). La storia è forte e appassionata. Serafina Delle Rose, di origine siciliana, è la moglie innamorata di Rosario (un vigoroso camionista che trasporta la droga col suo mezzo) e una brava sarta. Una donna bella e sensuale, Estella Hohengarten (Virginia Grey), per dispregio, chiede a Serafina di cucire per l'uomo che ama una camicia di seta rossa (Estella è l'amante del marito ma Serafina ignora il tradimento). Rosario poi muore sul suo camion, coinvolto in un incidente durante un inseguimento della polizia e Serafina si chiude in un cupo dolore, trascurando se stessa e gli altri. Vorrebbe coinvolgere nel suo lutto senza rimedio anche la figlia Rosa, che educa in modo estremamente severo. Dopo qualche tempo Serafina conosce Alvaro Mangiacavallo, un camionista come Rosario, un emigrante siciliano buffonesco e sopra le righe ma caldo e simpatico, e sente nascere un forte interesse per lui, anche grazie alla forte somiglianza tra Alvaro e Rosario (hanno la medesima rosa rossa tatuata sul petto: Alvaro si è infatti sottoposto all'identico tatuaggio proprio per attrarre l'attenzione di Serafina). Quando la donna scopre la verità (il mestiere nascosto del marito e il vile tradimento con l'esistenza di un'amante), si sente ferita nell'onore e sente diminuire la cieca devozione nutrita nei confronti del marito. Rinunciando al passato e come liberata, spezza l'urna con le ceneri del marito, dà il suo consenso al matrimonio della figlia con un ragazzo di provata fede cattolica, e regala la camicia di seta rossa ad Alvaro decidendosi ad accettare la sua corte. Nel 1956 il film fece incetta di Oscar (Miglior attrice protagonista ad Anna Magnani – che superò Susann Hayward in Piangerò domani, altro film diretto da Mann –, Migliore fotografia e Migliore scenografia) e di Golden Globe (Miglior attrice in un film drammatico ad Anna Magnani e Miglior attrice non protagonista a Marisa Pavan); Daniel Mann fu nominato ai Directors Guild of America Award.  Hanno commentato i Morandini: «In Louisiana, nel Sud degli USA, dopo la morte del marito, la siciliana Serafina passa tre anni chiusa in casa dedita al culto delle rimembranze, finché irrompe nella sua vita Alvaro Mangiacavallo, nerboruto camionista anch'egli siciliano, tra le cui braccia dà addio al romitaggio vedovile. […] Film d'attori, migliora nella 2° parte grazie al duetto buffonesco e umanissimo tra Serafina e Alvaro. Il merito è soprattutto della Magnani che prende possesso con gloriosa sicurezza del personaggio, lo squassa e lo modula con un brio che le fece guadagnare un Oscar e contribuì al successo internazionale del film. […]» (il Morandini di Laura, Luisa e Morando Morandini, Zanichelli editore).  

Nel 1955 Daniel Mann ebbe il merito di lanciare a Broadway James Dean con la sua performance del ragazzo arabo gay nella scandalosa versione teatrale del romanzo di André Gide The Immoralist. Nonostante Dean abbandonasse ben presto la rappresentazione per andare a Hollywood a girare La valle dell'Eden (1955), vinse un Theatre World Award grazie alla sua intensa interpretazione.

Seguì il film La casa da tè alla luna d'agosto (The Teahouse of the August Moon) (1956) con Marlon Brando (Sakini), Glenn Ford (Capt. Fisby) e Machiko Kyô (Lotus Blossom); il film fu nominato al Festival di Berlino. Tratto dalla commedia di John Patrick, ispirata dal romanzo di Vern J. Sneijder, narra di Sakini, un interprete giapponese che a Okinawa nel 1947 mette le truppe d'occupazione americane a contatto con i piaceri e il modo di vivere giapponese. Scrivono i Morandini: «Fu Brando stesso a offrirsi per il personaggio di Sakini al quale si preparò con un lungo soggiorno in Giappone. Pur interessante come veicolo di conoscenza dei valori della cultura giapponese per il pubblico USA, è un mediocre esempio di teatro filmato. Dopo i primi 20 minuti si sprofonda nella noia. Si poteva salvarlo in forma di musical.».

Mann volle di nuovo Shirley Booth in La tua pelle brucia (Hot Spell) (1958), con Shirley MacLaine e Anthony Quinn. Hanno scritto i Morandini: «In una cittadina del Sud una disillusa casalinga di mezza età cerca di chiudere gli occhi davanti alla realtà di un marito che si è presa una cotta per una ventenne e dei figli che hanno parecchi problemi. Da un dramma teatrale di Lonnie Coleman (1920-1982). È un'occasione per vedere in azione (ben doppiata) una grande attrice di teatro come S. Booth. Enfatico melodramma con qualche pericolosa scivolata nel farsesco.».

Seguirono il film di guerra Tempesta sulla Cina (The Mountain Road) (1960) con James Stewart e Lisa Lu, e il film drammatico Addio dottor Abelman! (The Last Angry Man) (1961) con Paul Muni, David Wayne e Betsy Palmer, narrazione della vita di un medico dedito ai poveri ormai alla fine della sua attività, e la storia è filtrata attraverso gli occhi disincantati di un cinico giornalista chiamato a scrivere su di lui (il film ebbe due candidature all'Oscar, per il Miglior attore protagonista e la Migliore scenografia).

Un gran successo al botteghino e una prova notevole di Liz Taylor nell'interpretazione sofferta e sfrontata di Gloria Wandrous fu Venere in visone (Butterfield 8) (1960), film intenso e melodrammatico tratto dall'omonimo romanzo di John O'Hara (1935), con Laurence Harvey (Weston Liggett), Eddie Fisher (Steve Carpenter), Dina Merrill (Emily Liggett) e Mildred Dunnock (Mrs. Wandrous, la mamma di Gloria). Gloria Wandrous è una modella di New York cinica e amorale ma inquieta, in bilico tra il suo essersi trasformata in una prostituta di lusso e il desiderio di una ricca rispettabilità alimentato dalla madre conformista. S'innamora di Weston Liggett, un avvocato alcolizzato, tipico esponente di una famiglia borghese, tormentato e scontento della sua vita e del suo matrimonio. Iniziano una tumultuosa relazione clandestina che manda in crisi entrambi. La moglie Emily tenta di salvare il rapporto matrimoniale ma è esasperata dai tradimenti del marito. Quando Gloria capisce che Weston non lascerà mai la moglie, a titolo di risarcimento s'impadronisce di una pelliccia di visone di Emily. Furioso, Weston la tratta pubblicamente come una volgare prostituta. In preda allo sconforto, Gloria decide di cambiar vita e di andare a Boston ma Weston la rintraccia e le chiede di rimanere con lui per sempre. Sembra che Gloria acconsenta ma all'improvviso si mette alla guida della sua macchina in una corsa disperata verso la morte. Weston ritorna dalla moglie desideroso di riscatto e di una nuova vita. Nel 1961 la Taylor vinse il Premio Oscar come Migliore attrice protagonista ma in un'intervista confessò di non aver amato il film e parlò in un regista impaziente e pressante che dirigeva con mano pesante gli attori senza dar loro spazio. A proposito del ruolo di donna ferita e umiliata nella sua ricerca dell'amore, nel capitolo “Elizabeth Taylor” (Il Cinema – Grande storia illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981) è scritto: «Le maniere raffinate delle giovani donne dell'alta società che Liz impersonava sullo schermo si trasformavano in comportamenti più usali tipici di personaggi più comuni, mentre il suo stile si faceva più aspro via via che acquistava disinvoltura e temperamento, via via che la sfrontatezza e il sarcasmo mandavano in frantumi quell'aureola d'inaccessibile “ingenua” che in fondo aveva sempre rifiutato. […] Questa immagine – Liz sfortunata in amore, femmina meravigliosa e vittima di sbandate romantiche – le è rimasta incollata addosso, nella vita privata e sullo schermo, dove ha raggiunte punte esasperate di manierismo. è fuor di dubbio che la Taylor sia attratta da queste figure di amanti e di mogli calpestate, da queste donne tormentate da sventure romantiche, perché riflettono aspetti della sua insicurezza.».

Gli anni Sessanta videro il declino inarrestabile di Daniel Mann. Girò diverse commedie e alcuni spy movie; di questo periodo sono da ricordare: Ada Dallas (Ada) (1961), Signora di lusso (Five Finger Exercise) (1962), Come ingannare mio marito (Who's Got the Action?) (1963), Le cinque mogli dello scapolo (Who's Been Sleeping in My Bed?) (1963), Judith (1965) con Sophia Loren e Peter Finch (tratto da un racconto di Lawrence Durrel e sceneggiato da J.M. Hayes, storia di un'ebrea austriaca reduce da Dachau che arriva in un kibbutz nel 1947, intenzionata a vendicarsi del marito, un generale della Wehrmacht che l'aveva denunciata destinandola al lager con il figlio), Il nostro agente Flint (Our Man Flint) (1966), Un uomo per Ivy (For Love of Ivy) (1968), e La stirpe degli dei (A Dream of Kings) (1970).

Degno di nota è Willard e i topi (Willard) diretto nel 1971, film horror a basso costo con Bruce Davison (Willard Stiles), Ernest Borgnine (che diede una prova superba interpretando il malvagio Al Martin), Elsa Lanchester (la madre Henrietta Stiles) e Sondra Locke (Joan, la collega di Willard). Tratto dal racconto Ratman's Notebook di Stephen Gilbert, il film fu nominato agli Eddie Awards come Miglior montatore e Migliore sceneggiatura. Narra di Willard Stiles – un mite individuo disadattato, maltrattato dal suo datore di lavoro Mr. Martin, che vive in una grande casa con la madre malata – e della sua strana passione per i topi e i ratti. Si servirà dei suoi amici roditori per vendicarsi di Mr. Martin, liberandoli a un suo party. Quando la madre muore e i suoi amici cominciano a moltiplicarsi, è costretto a derubare Mr. Martin per poterli nutrire. Quando Mr. Martin uccide un suo amico ratto, Willard guida i suoi animali capitanati dal ratto Ben per uccidere Mr. Martin. Il piano riesce. Soverchiato dagli animali, Willard cerca di liberarsi di loro ma non ci riesce. Il film termina con Willard, chiuso dentro una stanza, aggredito e ucciso dai topi che rosicchiando la porta sono riusciti a entrare, e con un mostruoso primo piano del ratto Ben.   

Seguirono: il western La feccia (The Revengers) (1972), Maurie e Interval (1973), Lost in the Stars (1974), e La rotta del terrore (Journey into Fear) (1975) con Sam Waterston, Donald Pleasence, Vincent Price e Shelley Winters (un thriller mozzafiato che racconta di un geologo americano che, ritornando dalla Turchia, deve guardarsi da un losco personaggio che lo pedina per ucciderlo). Mann chiuse definitivamente con il mondo del cinema nel 1978 con la strampalata commedia Uppercut (tratto da un romanzo di Paul Gallico) con Robert Mitchum, che narra di un impresario disoccupato e di pugile fallito che tornano al successo grazie a un canguro pugile.

Negli anni Settanta e Ottanta, Daniel Mann si dedicò alla regia televisiva. Sono da ricordare: The Legend of Silent Night (1968), Another Part of the Forest (1972), The Day the Loving Stopped (1981), e Incatenato all'inferno (The Man Who Broke 1,000 Chains) (1987), il dramma carcerario che chiuse la sua carriera televisiva. Per la TV nel 1977 curò la regia di diversi episodi di Alla conquista del West (How the West Was Won).

La sua migliore opera televisiva fu la miniserie Ballata per un condannato (Playing for Time) del 1980 con Vanessa Redgrave, che si guadagnò un Emmy Awards con la sua interpretazione. Era la storia di Julia (nota come Fania Fenelon), musicista ebrea di cabaret a Parigi durante l'invasione nazista, che finisce insieme ad altri prigionieri nel campo di concentramento di Auschwitz. Organizza un gruppo di musicisti classici che riescono a scampare alla morte affascinando con la musica i loro aguzzini. Fu adattato per la televisione dal grande Arthur Miller (che si aggiudicò un Emmy Award). Gli altri interpreti erano Jane Alexander, Maud Adams, Marisa Berenson, Christine Baranski, Verna Bloom e Viveca Lindfors. Il lavoro vinse quattro Emmy Awards e nel 1981 si aggiudicò il Christopher and Peabody Awards.

Daniel Mann morì a Los Angeles, presso l'UCLA Medical Center, il 21 novembre del 1991 per un'insufficienza cardiaca. Sposato con l'attrice Sherry Presnell, aveva avuto tre figli: Michael, Erica e Alex
(http://community.seattletimes.nwsource.com/archive/?date=19911123&slug=1318929).

In occasione della sua morte, il 23 novembre del 1991, La Repubblica on line ha pubblicato un articolo commemorativo che così riporta: «Daniel Mann, regista americano 79enne, è morto l'altra notte a Los Angeles; ne ha dato annuncio il suo agente newyorkese. Meritatamente noto soprattutto come direttore di attori e, in particolare, come “il regista delle attrici”, Daniel Mann (da non confondere con i due omonimi Anthony e Delbert), ha messo a segno i colpi più riusciti della sua carriera portando, nel corso degli anni Cinquanta, ben tre sue interpreti al traguardo dell'Oscar. […] A proposito del personaggio della Taylor, c'è da notare che sono ricorrenti, nell'universo che il cinema di Daniel Mann predilige, personaggi drammatici, sconfitti dalla vita, duramente provati. In una parola melodrammatici. Un gusto, il suo, che non incontrò quasi mai accese adesioni da parte della critica: fu considerato infatti non più che un mestierante. Attori di peso Daniel Mann ne diresse anche molti altri. Come Marlon Brando in La casa da tè alla luna d'agosto, di nuovo una triste storia di sentimenti contrastati. Ma non mancano nel suo percorso alcune commedie, o film brillanti. […]» (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/11/23/morto-daniel-mann.html).

Gianni Canova (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009), analizzando la carriera di Mann, ha parlato di «esordio all'insegna del dramma robusto e un po' greve», di «didascalismo che lascia spazio a un estro recitativo puntualmente riconosciuto» (l'Oscar ad Anna Magnani), e di «formula che ritorna con maggiore rigidità ed enfasi, o esprimendo corpose messe in scena realistiche». Ha evidenziato anche come Mann si sia mosso tra melodramma, commedia, parodia, thriller, deboli remake e commedie sconclusionate.

1 commento:

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