Elsa Morante
L'ultimo intenso e
misterioso racconto di Elsa Morante, Aracoeli,
fu pubblicato nel 1982 (iniziato nel 1976, fu portato a termine e pubblicato soltanto
sei anni dopo a causa dei problemi di salute seguiti alla frattura di un
femore). La Morante vi delinea con tragico pessimismo il ritratto impietoso e
sofferto di un “diverso” emarginato e non realizzato, alla ricerca del ricordo,
o meglio del fantasma, della madre Aracoeli. Nel 1984 il romanzo le guadagnò il
Prix Médicis, prestigioso premio letterario francese fondato da Gala Barbisan e
Jean–Pierre Giraudoux.
Dominato da sentimenti ambivalenti, il protagonista è
proteso in maniera disperata a rideterminare la storia dell'amata madre
perduta, attraverso un viaggio della memoria e una ricostruzione della sua personalità.
La Morante inizia il romanzo con un originalissimo incipit: «Mia madre era
andalusa. Per caso, i suoi genitori portavano, di nascita, l'uno e l'altra, il
medesimo cognome Muñoz: così che lei, secondo l'uso spagnolo, portava il doppio
cognome Muñoz Muñoz. Di suo nome di battesimo, si chiamava Aracoeli.» (Einaudi,
Torino 1982).
La storia è dolorosa e appassionate: nel 1975 il non più giovane
e solitario Manuel (nato nel 1932, durante l'ascesa del Nazismo in Germania) vive
nell'angoscia, dominato da cupe ombre perché si sente brutto e goffo e perché è
omosessuale; drogato e in miserevoli condizioni fisiche ed economiche, augura
una «Malanotte» alla madre Aracoeli (“ara del cielo”), alla quale imputa l'imperdonabile
misfatto di averlo generato e di averlo «intossicato per sempre» con il suo
latte (da quel difficile rapporto materno, divenuto oramai una catena e una
prigione, parte l'omosessualità di Manuel che lo porta a diversi tentativi di
suicidio tentati o immaginati). Durante gli anni Trenta, Aracoeli era una bella
ragazza andalusa, superstiziosa e barbarica, stupidamente ignorante e analfabeta,
e di lei si era innamorato Eugenio, un ufficiale piemontese di marina di nobili
natali. Rieducata con cura dalla famiglia acquisita era divenuta un'ottima
moglie e madre ma a causa di una malattia tumorale che ne aveva minato il
fisico e ne aveva sconvolta la mente, Aracoeli, aveva cessato di essere la
moglie casta e la madre devota per concedersi con sfacciataggine ad altri
uomini appena conosciuti e infine aveva lasciato il marito e il figlio Manuele (a
lei morbosamente attaccato da un rapporto esclusivo e totalizzante), per morire
infine nel 1939 insieme alla neonata Carina. Nel 1946, alla fine della seconda
guerra mondiale, Manuel perse anche il padre divorato dall'abuso di alcol.
Parlando dalla parte di Manuel, che narra di sé in prima persona, scrive la
Morante: «E allora mi sono guardato negli occhi. Raramente ci si guarda, con se
stessi, negli occhi, e pare che in certi casi questo valga per un esercizio
estremo. […] nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la
piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta
segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d'amore ormai
scaduta e inservibile, ma ostinata fino all'indecenza.» (Einaudi, Torino, 1982).
Mosso da un disegno quasi divino e da un ricordo infantile
impossibile a morire («Anda niño, anda que Dios te lo manda»), bramando il fascino
favoloso del mondo spagnolo, come in un viaggio iniziatico Manuel si rivolge
alla terra natale della madre Aracoeli, ormai morta da anni, l'Andalusia e il piccolo
villaggio dell'Almeria El Almendral: «El Almendral io non lo trovai su nessuna
carta. Ma intanto quel minimo punto periferico, ignorato dalla geografia, da
ultimo era diventato l'unica stazione terrestre che indicasse una direzione al
mio corpo disorientato. Il suo era un richiamo senza nessuna promessa, né
speranza. Sapevo, al di là di ogni dubbio, che esso non mi proveniva dalla
ragione, ma da una nostalgia dei sensi, tale che nemmeno la certezza della sua
esistenza non mi era una condizione necessaria.» (Einaudi, Torino, 1982).
Ma la ricerca è inutile e il disinganno ancora più mortificante,
nella coincidenza cronologica tra l'altro fra le vicende private di Manuele e
la insensatezze della storia spagnola ed europea (per esempio nel 1938 muore in
Spagna il mitico Manuel, fratello di Aracoeli, in lotta contro i franchisti,
mentre nel 1975, anno in cui si svolge la vicenda, cessa la dittatura
franchista). Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon, a tratti un po' deluso da
quest'ultima opera di una scrittrice che ammirava, scrisse: «il ritmo narrativo
è lento a volte sino all'esasperazione, per cui l'opera riesce coinvolgente per
il lettore solo a tratti, in certi momenti felici: sporadiche sopravvivenze di
uno dei talenti narrativi più felici che l'Italia abbia avuto negli ultimi
decenni».
è stato
commentato: «Tema centrale, costante nell'opera dell’autrice, è il mistero del
legame madre–figlio. Con una prosa magica ed evocativa, l'autrice – attraverso
un io narrante angosciato e deluso – tratteggia il ritratto doloroso d'un
“diverso” e del suo viaggio, reale e della memoria, alla ricerca della madre
perduta e irraggiungibile. […] Ha così inizio il viaggio della memoria tra i
ricordi dell’infanzia e le impressioni della maturità, in una continua
sovrapposizione di luoghi ed immagini alla coscienza presente del fallimento di
un uomo “forastico e misantropo”»
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/aracoeli.htm).
Si è anche parlato di «testimonianza ultima di
un autentico strazio personale, in cui la Morante torna al tema prediletto
delle relazioni familiari, descrivendo in giustapposizione di tempi diversi un
intricato e torbido rapporto madre–figlio»
(http://www.treccani.it/enciclopedia/elsa-morante/).
è stato
scritto inoltre: «Anche in quest'opera, ma con tratti più angosciati e
sconvolti, la prosa della Morante conferma il carattere fondamentale del suo
fascino sottile: un equilibrio miracoloso tra il candore magico–evocativo (una
sorta di attitudine naturale al simbolo) e la sinuosa febbrile capacità di
penetrazione psicologica. (La nuova
Enciclopedia della Letteratura, Garzanti, 1985).
Ha osservato invece Francesco Troiano: «Il commiato di “Aracoeli” è all’insegna di un
pessimismo irredimibile, d'una disperazione lucida che neppure nel ricordo
trova conforto: l'itinerario nella memoria di Manuele, proteso a ricostruire l'adorata
immagine materna, si chiude nella constatazione che fra lui e la genitrice “si
stende una sassaia deserta” (C.Garboli). La stessa, probabilmente, che divide
ormai da tutto e tutti Elsa Morante, costretta per parecchi anni ad una
dolorosa immobilità in clinica prima di spegnersi, nel 1985.»
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/bibliografia.htm).
In
una sua bellissima e sentita lettera scritta a Elsa Morante (Rapallo 12 aprile
1983), che voleva essere anche un messaggio di speranza e di conforto per una
donna ormai allo stremo e con un piede nel baratro, Anna Maria Ortese così
scriveva a proposito di quest'ultimo romanzo: «Cara Elsa Morante, In Aracoeli,
la breve vita di Carina è una delle pagine più alte della letteratura italiana
di ogni tempo. Dissi, ad amici, quanto questo libro, per me, fosse importante –
coraggio e tristezza così rari in questi anni di nulla – ma dissi soprattutto
di quel ritratto: che per sapienza ricorda – e non a me sola – l’oro di sogno
di Las Meninas. La breve quiete – nel vivere – di Carina, la sua infinita
preziosità e dolcezza – sono davvero cosa immortale. Sia contenta, dunque, cara
Elsa Morante, di quanto ha avuto in dono – e ancora cerchi, nel suo giardino,
quanto è nascosto. Pazienza, col proprio corpo, e anche con la propria anima.
Vi saranno “risposte”, sulla pagina; vi saranno altri doni, per cui Lei non
potrà dire grazie, agli Dei o al Dio della Bellezza, che ricordando le proprie
catene. Allora le saranno meno pesanti. E poi, non è detto che non possano
allentarsi da sole. Il mondo non è che un grande prodigio. Non vedere che sia
prodigio, non muta la sua natura di fiaba. Un abbraccio. Un grazie. Un augurio
di gioia».
Un post molto interessante con tanti spunti di riflessione. Mi sono permessa di linkarti.
RispondiElimina