martedì 29 novembre 2011

Harold Pinter: le nevrosi e i tabù del mondo contemporaneo



Harold Pinter



Il 10 ottobre di ottant'anni addietro (nel 1930) nasceva a Londra Harold Pinter, grande e innovativo, ma anche controverso e provocatorio, drammaturgo teatrale (ha scritto, però, anche in prosa e poesia, e ha sceneggiato e diretto testi per la radio, il cinema e la televisione).

Un "fil rouge", attraversando il mondo, lega Harold Pinter all'americano Edward Albee – vincitore di tre premi Pulitzer e autore del tormentato e dissacrante “Chi ha paura di Virginia Woolf?” (1962) – e al francese Eugene Ionesco. Pinter fu attratto in modo particolare dall'irlandese Samuel Beckett, altro maestro dell'assurdo, di cui divenne amico.

Studiò alla Royal Academy of Dramatic Art e rappresentò il suo primo testo teatrale The Room (La stanza) nel 1957 con l'aiuto degli studenti dell'università di Bristol. All'inizio della carriera fu stroncato dai critici, che consideravano i suoi lavori incomprensibili e insensati; in modo particolare fu massacrato The Birthday Party (Il compleanno) (1958), che fu un solenne fiasco.

L'autore (oggi osannato), i cui testi sono divenuti ormai dei veri e propri classici della drammaturgia, aveva scritto: «Adesso sono diventato comprensibile e accettabile, eppure le mie commedie sono quelle di allora. Non ho cambiato una sola battuta!». Quella che è cambiata è la sensibilità del pubblico e della critica, che egli aveva saputo anticipare!

Lo spettacolo successivo The Caretaker (Il guardiano) (1960) – sceneggiato per il cinema dal regista Clive Donner nel 1963 – vide però un'inversione d'interesse; seguirono: The Homecoming (Il ritorno a casa) (1964), The Basement (Il seminterrato) (1966), Landscape (Paesaggio) (1967) e Silence (Silenzio) (1968), testi per i quali si parlò di «commedia della minaccia» (una situazione apparentemente tranquilla diviene ansiogena e inspiegabile sia per gli altri protagonisti sia per il pubblico) e s'inventò il termine di stile «pinteresco». Della logora istituzione matrimoniale, fu svelato ciò che si nasconde sotto la crosta della borghese normalità, sotto l'apparenza degli ipocriti rapporti sociali: cioè le tensioni interpersonali dirompenti, le umiliazioni insopportabili, la crudele ostilità, l'odio e la frustrazione, la rabbia e lo smarrimento, in ultima analisi l'estrema solitudine esistenziale.

Dagli anni settanta, Pinter (schierato a sinistra e contro la violazione dei diritti umani e l'oppressione comunque esercitata) si è rivolto soprattutto alla regia e alla produzione di brevi testi a impronta politica. In Mountain Language (Il linguaggio della montagna) (1988) si scagliò contro la mancanza di libertà dei curdi in Turchia e contro la soppressione della loro lingua. Di questo periodo sono da ricordare: Betrayal (Tradimenti) (1978), Family Voices (Voci di famiglia) (1982), One for the Road (Il bicchiere della staffa) (1984), Party Time (1991), Moonlight (Chiaro di luna) (1993), Ashes to Ashes (Ceneri alle ceneri) (1996), e Celebration (Anniversario) (1999).

Contrario all'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, assunse posizioni critiche – quasi sferzanti – nei confronti di Bush e Blair, e dal 2005 (dopo il conferimento del Nobel con la motivazione: «nelle sue commedie ha scoperto il baratro che sta sotto le chiacchiere di tutti i giorni ed è entrato nelle chiuse stanze dell'oppressione») si è dedicato molto attivamente alla politica, trascurando la letteratura.

Nel gennaio del 2007, a conferma di una grandezza ormai riconosciuta, gli è stata assegnata dalla Francia la Legion d'Onore.

Morì a Londra il 24 dicembre del 2008, la notte della vigilia di Natale (una pregressa chemioterapia per un tumore esofageo compromise per anni la sua salute): aveva 78 anni.

Il teatro dell’assurdo dei primi lavori di Harold Pinter non è quel gioco senza senso che sembra ma una critica corrosiva delle banalità che uccidono l’individualità dell’uomo e un tentativo di svelare la spiritualità dell'uomo nascosta sotto i pregiudizi e il vieto perbenismo. E i suoi «eroi» – soli e incapaci a comunicare – non sono più quelli del teatro tradizionale ma "uomini vuoti" che ripetitivamente esprimono la loro lucida sofferenza.

Non si può negare che tutti gli autori teatrali citati, sul solco del teatro dell'assurdo, hanno proposto il rapporto di coppia che si decompone, assumendo un ruolo coraggioso e determinante nello squarciare il velo dell’ipocrisia piccolo–borghese e nel portare in scena le nevrosi e i tabù del mondo contemporaneo, mostrando il malessere e le degenerazioni della società moderna ove falsi valori hanno sostituito quelli reali, creando confusione tra realtà e illusioni, e provocando l’irreversibile disfacimento del sogno occidentale e l’agonia di un’umanità alla deriva.

Certamente, da loro è stato portato in superficie un insieme di forze dolorose e oscure. (www.zam.it, News, 15/10/2010)

P.S. Ashes to Ashes (Ceneri alle ceneri) fu rappresentata in Inghilterra nel 1996; nel 1998, fu messa in scena in Italia dallo stesso Pinter, con debutto a Palermo e protagonisti Adriana Asti e Jerzy Stuhr. Adriana Asti mise il suo indiscusso talento al servizio di Rebecca, una donna sposata, usa a stare seduta in posa plastica su una imponente poltrona bianca, in un camera da letto con camino, quasi immobile, con gli occhi spalancati e con la voce tagliente. Rebecca dialoga in continuazione col marito Devlin (l'attore polacco Jerzy Stuhr), che con fare duro e inquisitorio la tortura psicologicamente interrogandola su un possibile suo amante misterioso. Sotto quello stringente interrogatorio, si ha poi, però, una lenta deviazione verso una diversa e tragica vicenda di oppressione: Rebecca sembra ricordare il terribile scenario di una fabbrica, che ha l'aspetto di un lager, dei treni, un campo di concentramento, dei bambini strappati alle loro madri. E tutto sembra prospettare che dietro queste persone mondane e di buona educazione si possano nascondere una vittima e il suo carnefice. Dal dramma, nel 1998, è stata tratta una versione televisiva per la Rai di Torino (sempre allestita da Harold Pinter). Come ha scritto Rodolfo Di Giammarco (in "Con Adriana Asti e Jerzy Stuhr arriva in tv un inedito Pinter", Repubblica – 18 dicembre 2005, pagina 65, sezione: Spettacoli): «...gli inediti 55 minuti di queste bellissime immagini costituenti un piccolo capolavoro autonomo vanno in onda oggi su RaiSat Premium alle ore 15,00, con conclusiva intervista alla Asti, all' interno del programma "Playtime" di Roberta Carlotto e Ariella Beddini. E' un' occasione preziosa, questa, per (ri)conoscere attraverso il piccolo schermo gli strumenti tematici avvincenti e misteriosi, il tipico linguaggio intimo e insieme metaforico, l'uso raccolto ma anche universale di una "stanza", e la presenza costante di una suggestione e di un monito nel teatro quasi cinquantenario di un drammaturgo che è il massimo genio mondiale in materia di conversation–pièce tesa a sondare l'animo umano e le aberrazioni politico–sociali. Qui, in "Ashes to Ashes (Ceneri alle ceneri)", si ritrova appunto questo concentrato d'identità. Da non perdere: gli insistiti primi piani televisivi, l'imponente e incombente spazio, la gestione delle voci e dei silenzi.».


Alessandra Serra, la traduttrice italiana storica di Harold Pinter, in una sua intervista ha detto: «Sono più di venticinque anni che lavoro per, e con Pinter. Quando, nel 1998, ha diretto Ceneri alle ceneri in Italia con Adriana Asti e Jerzy Sthur, oltre ad essere la traduttrice della commedia e l'interprete (Adriana e Jerzy non parlano l'inglese), sono stata anche sua aiuto–regista. E per quanto riguarda una traduzione quella è stata una verifica con V maiuscola. Gli attori si sono trovati benissimo, Pinter non conosce l'italiano ma capisce tutto e si trovava a suo agio...». ("Intervista ad Alessandra Serra, traduttrice del teatro di Harold Pinter", di Dori Agrosì in "Focus Personaggio", N.d.T. – La nota del Traduttore – http://www.lanotadeltraduttore.it/index.php).


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