Boris Pasternak
Boris L. Pasternak – poeta e narratore oltre che dissidente russo – moriva il 30 maggio di cinquant'anni addietro nel sobborgo moscovita di Peredelkino, nel 1960, controllato dal regime sovietico, incompreso dal mondo letterario russo e abbandonato dai suoi stessi concittadini.
Era nato a Mosca il 10 febbraio del 1890 da una colta famiglia di origini ebraiche: il padre era un pittore famoso (illustratore dei libri di Lev Tolstoj, che Boris frequentò) e la madre, una concertista. Si alimentò di vivaci esperienze intellettuali: scriveva «Vivere significa sempre lanciarsi in avanti... verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivare...». Studiò composizione musicale e Filosofia presso l'università di Mosca ma poi abbandonò tutto per dedicarsi alla poesia.
Scritte sotto l'influsso dei futuristi (dai quali si allontanò poi, per privilegiare la scarnificazione del verso e l'intimismo), le sue liriche furono riunite in diverse raccolte, tra le quali Mia sorella vita che lo impose all'attenzione della critica. Negli anni '20 con i poemi L'anno 1905 e Il luogotenente Schmidt si volse alla storia, dando una sua lettura della rivoluzione del 1905 alla quale aveva aderito con entusiasmo.
Visse lo stalinismo, assistette impotente al carcere e al suicidio di molti amici (come quello del poeta Majakovskij, avvenuto nell'aprile del 1930, e al quale non aveva creduto; dinanzi alla maschera funebre di Majakovskij scrisse: «…la sua era un’espressione con cui si dà inizio, e non si pone fine alla vita. Era imbronciato e indignato»), e fu coinvolto negli orrori della guerra, ma nonostante tutte queste atrocità rimase sempre fedele al regime sovietico.
Sentimentalmente inquieto, nel 1922 sposò Evgenija – ragazza povera ma piena di slanci che nel suo diario aveva scritto di essere «alla ricerca del cerbiatto d'oro» – ed ebbe un figlio; divorziò nel 1931 e sposò nel 1934 l'amata Zinaida con la quale si trasferì in una dacia a Peredelkino. In Dichiarazione scriveva: «... / E io dinanzi al miracolo di mani, / schiena, spalle e di un collo di donna / con devozione di servo / la vita tutta riverisco /...». In Poesia d'amore con nostalgia declamava: «... / E di nuovo ricamerà la brina, / e di nuovo mi prenderanno / la tristezza di un anno trascorso / e gli affanni di un altro inverno, /... / Ma... / Il silenzio coi passi misurando / tu entrerai, come il futuro. / Apparirai presso la porta, / vestita senza fronzoli...».
Agli inizi degli anni '40 diede inizio alla composizione del romanzo autobiografico Il dottor Živago (rimasto unico e immortale) che, in modo grandioso e combinando stile lirico con spunti epici, ricostruiva gli aspetti bui della rivoluzione d'ottobre e si snodava per mezzo secolo mostrando la fragilità e la solitudine dell'intellettuale dinanzi alla Storia (aveva scritto: «Non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. A loro non si è svelata la bellezza della vita.»).
Il testo fu aspramente criticato dagli intellettuali e bandito come "libello antisovietico" dal regime, e Pasternak fu considerato "un borghese deviazionista". Isolato e mortificato da gravi problemi economici, riuscì a far uscire dalla Russia il suo manoscritto, che fu pubblicato in Italia nel 1957 (nella traduzione di Pietro Zveteremich) grazie al fiuto e all'audacia della casa editrice Feltrinelli (valutato da Italo Calvino, il testo era stato respinto in precedenza da Einaudi). Il 20 maggio del 1956, consegnando il suo manoscritto a Sergio d'Angelo (collaboratore di Radio Mosca e incaricato di Giangiacomo Feltrinelli), Pasternak diede inizio a uno strepitoso caso culturale (disse: «Questo è il Dottor Živago. Che faccia il giro del mondo»).
In un contagio globale, il testo fu tradotto in ventinove lingue e venduto in milioni di copie, trasformando Pasternak nel testimone scomodo della realtà russa e nel simbolo della dissidenza. L'assegnazione del Premio Nobel nel 1958 – con la seguente motivazione: «Per le sue importanti conquiste nella poesia lirica contemporanea e nel campo della tradizione epica della grande Russia» – fu accolta in Russia come un pretestuoso insulto alla rivoluzione e scatenò un putiferio.
Poiché il premio Nobel prevedeva che l'opera premiata fosse scritta nella lingua dell'autore, la CIA intercettò un manoscritto in lingua originale e lo fece stampare con intestazione e caratteri tipografici russi. Minacciato dal KGB di espulsione e confisca dei beni (il premio era ormai divenuto un fatto politico di guerra fredda!), Pasternak rinunciò di ritirare il premio, dando un tributo d'amore alla patria oppressa e rimanendo a Mosca in una sorta di esilio volontario (nel novembre 1958 aveva scritto sulla Pravda «l'abbandono della Russia sarebbe la mia morte»).
Si ritirò nel silenzio di Peredelkino, lottando contro le censure del realismo socialista, sognando una Russia diversa, e difendendo gli esuli e gli internati. Scelse la miseria e le persecuzioni del regime – aveva scritto: «L'arte non è pensabile senza rischio e sacrificio spirituale di sé» – ma contribuì a dare inizio in Unione Sovietica al disgelo culturale.
La fama del libro trovò nuovo impulso grazie allo stupendo film tratto dal romanzo, diretto nel 1965 da David Lean, con Omar Sharif e Julie Christie (uno dei maggiori successi di Carlo Ponti). Il romanzo fu pubblicato ufficialmente in Russia soltanto nel 1988, grazie a Gorbačëv. Nel 1989, finalmente, il figlio dell'autore poté andare in Svezia per ritirare quel prestigioso premio che il padre era stato costretto a rifiutare.
Tra le altre migliori opere di Pasternak sono da ricordare Autobiografia e nuovi versi, anch'essa pubblicata per la prima volta in Italia nel 1958 (nella quale lo scrittore definiva la Mosca di fine secolo «angolo remoto, tanto pittoresco da sembrare favoloso... terza Roma... capitale dell'epoca eroica...»), e Il salvacondotto (testo autobiografico che racconta sia vicende di vita quotidiana sia il costruirsi di una vocazione intellettuale).
Nessun commento:
Posta un commento