Roberta Torre
Compie in questi
giorni cinquant'anni Roberta Torre, la talentuosa regista milanese – ma anche
sceneggiatrice, produttrice, scrittrice e fotografa – nata a Milano il 21
settembre del 1962. Laureatasi in Filosofia, si è specializzata in regia presso
la “Civica Scuola di Cinema e Televisione” e si è diplomata in recitazione e
drammaturgia alla “Scuola d'arte drammatica Paolo Grassi”. Nel 1990 Roberta
Torre è venuta a contatto con la drammatica realtà di Palermo, ove si era trasferita
per collaborare con i registi Ciprì e Maresco, maestri di regia e di realismo grottesco,
e ove è rimasta per circa quindici anni.
Si fece notare ben presto con i suoi cortometraggi e
documentari, che le meritarono diversi premi in festival cinematografici
nazionali e internazionali. Sono da ricordare: Tempo da buttare (1991); Hanna
Schygulla (1992), un ritratto–intervista
dell'attrice feticcio del grande regista tedesco Rainer Werner Fassbinder
(1945–1982) e Zia Enza è in partenza
(1992); Femmine Folli (Barbablù
Tango, Lady M, La donna dei lupi) (1993) e Il
teatro è una bestia nera (1993); Angelesse
(1994) dedicato alle donne della periferia palermitana, Le anime corte (1994) e Senti
amor mio? (1994) vincitore del premio Aiace a Venezia; Il cielo sotto Palermo (1995) costituito da appassionate interviste
con detenuti dell'Ucciardone, Angeli con
la faccia storta (1995) e Spioni
(1995) sui bambini di Borgo Nuovo e la mafia; il ritratto del cantante Nino
D'angelo La vita a volo d'Angelo
(1996), Verginella (1996) e Palermo Bandita (1996), dedicato ai ragazzi
di Brancaccio. Nel sito della regista è scritto: «La cifra stilistica che li
percorre è costantemente quella di una stretta commistione tra documentario e
finzione, dove la realtà più cruda è mescolata a toni teatrali e stranianti.»
(http://www.robertatorre.com).
Ma il successo –
quello vero – arrivò con Tano da morire (1997), originale e
coloratissimo, ironico e grottesco fin quasi al demenziale, musical a tempo di
rap sulla mafia e sui suoi riti, recitato da numerosi eccezionali attori non
professionisti, che ottenne un gran successo aggiudicandosi tre Nastri
d'Argento e due David di Donatello (la Torre come migliore regista esordiente e
Nino D'angelo per le migliori musiche). Il film è ispirato a una storia vera,
l'omicidio di Tano Guarrasi, apparentemente un macellaio di Palermo ma in
effetti un importante esponente della mafia. Ha scritto Morando Morandini: «Storia
parlata, cantata, suonata e un po' ballata di Tano Guarrasi, boss palermitano
di quartiere ucciso nel 1988 da un sicario dei corleonesi, e delle sue quattro
sorelle zitelle. […] è un film dove si mette in musica – non in burla –
la mafia, rappresentata dall'interno, partendo dall'immaginario dei suoi
personaggi/attori che la sentono come un sistema di valori che ha strutture,
necessità, codici, riti. […] Film impudico e blasfemo che trasforma
l'antropologia in spettacolo e comunicazione con una qualità rara nel cinema
italiano (europeo): l'energia. 1° premio a Sulmona.» (http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=24596).
Ha scritto Fabio Secchi Frau del film: «La Torre mischia Tati e Waters in una
serie di gag strepitose, coadiuvata dalle musiche di Nino d'Angelo, e gioca con
il tema della mafia (pur facendone una satira) in chiave originale, […]» (http://www.mymovies.it/biografia/?r=7450).
Gianni Canova parla di «film originale e intelligente […] inconsueto musical
sulla mafia» che utilizza «un linguaggio ridondante ma di sicura efficacia» e
che mette in scena «l'immaginario e il sistema di valori dei mafiosi osservati
con un occhio più antropologico che politico» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009).
Seguì il corale Sud
Side Stori – La storia vera di Romea e Giulietto (2000), un altro
particolare musical con Mario Merola e Little Tony, incentrato su una moderna
coppia di giovani amanti e interpretato da alcune centinaia d'immigrati
africani sbarcati sulle coste della Sicilia (la regista ha curato anche la scenografia,
i testi e le musiche multietniche in collaborazione con altri). Il titolo
richiama ironicamente il famosissimo musical degli anni Cinquanta West Side Story. Ha scritto Gianni
Canova: «Più confuso e meno controllato […], in cui il mélange di frammenti
diversi (da spezzoni di finto cinema verità a numeri musicali veri e propri)
risulta poco riuscito» (Cinema, le
garzantine, Garzanti, 2009).
Fu poi la volta del mèlo Angela (2002), con Donatella Finocchiaro e Andrea Di Stefano,
storia d'amore fra una donna di mafia (che copre i suoi loschi traffici in un
negozio di scarpe) e un “mafiosetto”, Masino, sentimentale e chiacchierone. Presentato
con successo alla Quinzaine des Realizateurs di Cannes nel 2002, è stato vincitore
di premi ai Festival internazionali di Tokio e Mosca, e candidato a sette David
di Donatello. Durante un'intervista rilasciata in occasione dell'uscita del
film successivo, Mare Nero, la Torre
ha detto: «In Angela, il mio film precedente, la sceneggiatura era ferrea e al
tempo stesso semplice, quasi una cronaca. Questo mi ha dato la possibilità di
fare un grande lavoro con gli attori proprio perché sapevo di avere dei punti
fermi sul piano narrativo. È un bel modo di lavorare ma devi avere anche un
meccanismo produttivo che te lo permette e più tempo per le riprese. Mare Nero è un film concepito in nove
settimane di riprese, ridotto via via a sei. Sicuramente l’aver dovuto ridurre
in corsa la sceneggiatura non ha giovato. Ma era un rischio che avevo
sottovalutato perché io ho sempre lavorato in condizioni limite, tranne per Angela appunto, che ritengo il film dove
ho potuto avere realmente quello che serviva, le mie esperienze produttive sono state sempre di adattamento.
Da un certo punto di vista mi è servito perché quando hai pochi mezzi devi
avere molte più idee (Tano da Morire
è un film “di cartone” se ci si pensa… sei settimane di riprese, attori presi
per strada, scenografie di cartapesta…) ma ci sono casi in cui non lo puoi
fare.» (http://www.blackmailmag.com/Intervista_a_Roberta_Torre.htm).
Ha scritto di Angela
Pino Farinotti: «Roberta Torre fa di nuovo parlare di sé. Con Tano da morire aveva, nel suo piccolo,
reinventato un genere, successivamente molto apprezzato dagli americani che
hanno, in un certo senso, adottato la regista. Sarebbe stato facile, per lei,
ripercorrere quella strada: quasi una franchigia, una garanzia di successo.
Invece ha cambiato direzione. L’ambiente continua ad essere quello della mala
siciliana, ma i toni diversi. è storia
d’amore. […] Lei perde la testa e crede di poter ricominciare rinnegando tutto
il resto. Ma proprio non si può. Il film ha ottenuto un buon successo di
critica (presentato a Cannes) e anche di pubblico. La Torre, così come Muccino
(certo, per contenuti completamente diversi), sta acquisendo i contorni di
“autore di culto”. Vedremo.»
(http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=34221).
Con Mare Nero
(2006) la Torre ha realizzato un noir affascinate (fotografia di Daniele Ciprì),
interpretato da Luigi Lo Cascio e Anna Mouglalis, che narra del “viaggio infernale”
di un ispettore di polizia che, alle prese con le sue ossessioni, deve lottare
contro i demoni del Dubbio e del Tradimento. Ambientato nel torbido mondo
notturno dei club privé e degli scambi di coppia, come al solito, il film si è
fatto notare in diversi festival internazionali. A proposito di questo film (che
l'ha fatta «soffrire parecchio» e da lei definito «psicoanalitico») e dei suoi
limiti di produzione che hanno influito sul suo contenuto artistico
provocandone una non perfetta riuscita, ha rivelato Roberta Torre in
un'intervista: «In realtà devo dire che da quando ho iniziato a fare cinema io
non ho mai creduto alle storie e cioè non credo che la trama di per sé possa o
meno garantire il valore di un film. Film senza storia in senso classico sono
capolavori (basti pensare a Godard) e storie bellissime possono diventare film
mediocri. Quando ho pensato a Mare Nero
non ho pensato a una storia da raccontare, piuttosto sono partita dall'idea di
fare un viaggio e prima ancora da un'ossessione.
Era qualcosa che conoscevo bene emotivamente, qualcosa che mi apparteneva. La
scommessa era far diventare tutto questo una storia, quindi una sceneggiatura e
poi un film. Mentre le ossessioni e le emozioni che volevo ritrovare nel
protagonista del film mi erano chiarissime (tradimento, delirio di gelosia, senso
di abbandono) non sapevo davvero dove mi avrebbero portato in termini
drammaturgici. So che qualcosa di tutto questo è rimasto in quel film, altro si
è perso o non ha trovato una sua strada definitiva. […] Volevo raccontare
“semplicemente” la paura di un uomo che guarda la donna che ha accanto e si
accorge di non sapere assolutamente chi sia e quindi ha chiaramente e nello stesso momento il
terrore di perderla. Naturalmente questo terrore passa attraverso la
possibilità di un tradimento ed ecco dove viene messo in gioco il corpo. Il
corpo di quella donna diventa Il Corpo che scatena ossessioni. Ma in fondo la
sua è una paura più antica, assomiglia a qualcosa che ha a che fare con la
perdita, con la morte. […] Comunque sarebbe meglio dire: è un viaggio. E a quel
punto uno sa che cosa aspettarsi. […] Sono stata nei locali di scambisti ed è
lì che ho sentito questo senso esasperante di morte, una lentezza quasi rituale
di gesti sessuali di uomini e donne senza volto. Corridoi bui e buchi dove
guardare. E tutto in un silenzio irreale.». Parlando dei protagonisti Luigi Lo
Cascio e Anna Mouglalis, ha detto tra l'altro Roberta Torre: «Con gli attori mi
piace che siano anche i loro lati autentici a mescolarsi con quelli del
personaggio, che si mettano in gioco il più possibile, che si compromettano sul
piano personale. Ho capito che entrambi l’avrebbero fatto pur partendo da
esperienze e tecniche diverse.». In questa stessa intervista, Roberta Torre si
è lamentata della mancanza di libertà del cinema odierno: «Oggi quella libertà
si è totalmente perduta stritolata dall’utopia degli incassi (che spesso non ci
sono comunque) e, quel che è più grave, da una sorta di censura preventiva e
sottile operata su argomenti e sceneggiature. […] Non si può raccontare la
violenza, non si può mostrare mai nulla
che sia vero, reale, doloroso, umano. Il lato oscuro della realtà, la passione
deve scomparire a favore di una visione addomesticata e ipocrita. […] credo che
viviamo in un periodo di fortissima censura. La cosa grave è che è così
scontata che viene considerato normale. Ormai i criteri di realizzabilità sono
criteri televisivi e quindi tutto deve essere uniformato in quel senso.»; la
regista parla anche di «un contesto di melassa e rassicuranti sceneggiature
paratelevisive»
(http://www.blackmailmag.com/Intervista_a_Roberta_Torre.htm).
Gianni Canova ha parlato di «torbida indagine su un ambiguo
omicidio a sfondo sessuale, in cui l'ispettore di polizia L. Lo Cascio è
tormentato da morbose pulsioni.» (Cinema,
le garzantine, Garzanti, 2009).
Spirito poliedrico, nel 2007, la Torre ha creato una sua
casa di produzione, la “Rosettafilm”, con la quale ha realizzato I tiburtinoterzo (2009), dedicato alle
borgate romane e allo storico quartiere di Roma. Ha scritto Roberto Rippa: «“Tiburtino
terzo è come una riserva indiana”, così dice Daniele – detto “Er porpo” (perché
ha “sempre le mani dappertutto”) – per descrivere il suo quartiere. E il
Tiburtino terzo, noto quartiere popolare di Roma, è davvero una riserva
indiana, dove vivono Daniele, Jari, Emilianino, Massimo e Robertino, ragazzi di
vita con il mito della bella vita fatta di soldi facili, cocaina a fiumi e
notti passate sul raccordo a guidare senza meta. Sullo sfondo Roma e le sue
tante strade, il suo presente e futuro carico di aspettative. Come un miraggio.
È un mondo dove il futuro è il tempo che non si sa se verrà mai, dove solo il
presente vale e tutto deve essere qui e ora, bruciato in fretta e poi di nuovo
a correre sul raccordo. In questa corsa verso non si sa dove i nostri si
raccontano, ridono, piangono aspettano, pensano ai sogni di ragazzini e alle
aspettative da uomini […] La regista, che confessa un’attrazione morbosa per le
periferie, dichiara di non avere pensato di realizzare un film e definisce
questi materiali come appunti di lavoro. I tiburtinoterzo è un breve film di
grande fascino, testimonianza di parte dell'eredità italiana degli anni '70 che
si vorrebbe vedere sviluppata in ancora più sensi e ritratto di un quartiere di
Roma da cui la città pare lontanissima. Da vedere, sperando riesca a trovare
una distribuzione in Italia e non solo.»
(http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=2425).
Sempre prodotto dalla “Rosettafilm”, seguì La notte quando è morto Pasolini (2009),
documentario–intervista di Pino
Pelosi sulla morte di Pierpaolo Pasolini, che si sviluppa tra i ricordi del passato
e un difficile presente, una sintesi del materiale di documentazione raccolto dalla
Torre per un lavoro teatrale sul regista friulano ucciso nel 1975.
Nel 2010 Roberta Torre ha prodotto e girato il film I baci mai dati, «un apologo sugli
inganni della fanciullezza», storia di un'adolescente catanese che vede la
Madonna e sembra poter fare miracoli, con Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello,
Carla Marchese, Pino Micol e una partecipazione “straordinaria” (nel senso
etimologico della parola) di Piera Degli Esposti. Il film ha aperto al Lido di
Venezia la sezione Controcampo Italiano della 67° Mostra di Venezia del 2010, al
Sundance Festival di Robert Redford, nel 2011 fu l'unico film italiano in
concorso, e ha ottenuto due candidature ai Nastri d'Argento. In un'intervista
rilasciata a Venezia da Roberta Torre, l'attrice ha sostenuto di credere ai
miracoli e di non temere i critici (non c’entrano niente con il successo o meno
di un film); ha aggiunto, inoltre, che in Italia (e anche nel cinema) domina la
cultura dell’appartenenza, mentre lei non appartiene a nessuno: «il mio è un
film libero» (http://luigilocatelli.wordpress.com/2010/09/01/intervista-a-roberta-torre-domani-a-venezia-con-i-baci-mai-dati/).
Ha scritto Laura Frigerio nel suo articolo–intervista “Donna della
Settimana. Roberta Torre alla regia”: «Roberta Torre è una donna che non si
ferma mai: attiva su più fronti artistici, passa da un progetto all'altro
riuscendo sempre a fare centro.»; alla domanda come le fosse venuta l'idea per
questo film, la Torre ha risposto: «È una storia totalmente inventata, tratta
da un racconto. Volevo che fosse una sorta di favola ma alla fine è diventata
abbastanza cruda. Per l'ambientazione ho scelto un quartiere di periferia, con
la giusta connotazione metafisica.» (http://www.alfemminile.com/donne-societa-diritti-della-donna/intervista-roberta-torre-d20130.html).
Ha scritto Domenico Barone (Vivilcinema): «Suggestivo,
grottesco ed eccentrico viaggio di formazione di un’adolescente in fuga da un
mondo che non comprende e non riconosce, raccontato con ironia ed umorismo nero
in un teatro dell’assurdo popolato da acconciature cotonate, volti deformati
dal trucco e dall’uso del grandangolo, filtrati dalla comica esasperazione del
falso. […] I baci mai dati evita la
retorica, sfrutta la radicata attenzione antropologica per i caratteri di un
mondo invisibile, rifugio surreale illuminato da luci al neon, in un cinema
naif e folcloristico, fragile e corale che resta brillante, eccessivo, ricco di
finte bionde, di soffocanti amori materni, unghie laccate, vestiti leopardati e
che conquista con la forza dello stupore e l’eterna curiosità per statue e
misteri religiosi.»
(http://www.robertatorre.com/).
Dal 2011 la Torre ha in programma di girare il lungometraggio Rose e matematica, ancora in fase di sceneggiatura, incentrato sulla
vita del nonno Pier Luigi Torre, ingegnere aeronautico e inventore della
Lambretta, dei motori dell'idrovolante della sorvolata atlantica di Italo Balbo
e della scatola nera, ma anche di una varietà di “rosa blu” (morto all'età di
80 anni in una casa di cura, Pier Luigi Torre era particolarmente ossessionato
dalla rosa blu).
Roberta Torre è anche una originale e sensibile regista
teatrale; sono da ricordare: La Ciociara
(2010) di Annibale Ruccello con Donatella Finocchiaro,una delle sue attrici
preferite (la Torre ha ottenuto una candidatura al Golden Graal come miglior
regista), e Uccelli (2012) di
Aristofane al Teatro Greco di Siracusa.
Genio multiforme, la regista ha pubblicato nel 2011 il suo
primo romanzo dal titolo I baci mai dati
(edizioni La Tartaruga), «una sorta di diario onirico, una scrittura joyciana,
tra grottesco e drammatico…» (recensione di Roberta Maciocci), ambientato a Librino,
estrema e grottesca periferia di Catania, e dedicato a un'adolescente, Manuela,
sottoposta a pressioni spaventose per un supposto miracolo che mette in moto tutta
una serie di tremende superstizioni (in suo diario intimo, la ragazza si
abbandona al “flusso di coscienza”). Conclude Roberta Maciocci: «Il registro
linguistico stesso del libro rifugge la caratterizzazione geografica: potrebbe
essere una storia ispirata da Calvino, popolata da personaggi, ripeto ancora
una volta, felliniani. Uno scenario di speranza, non di degrado, comunque, dice
l’autrice, perché la speranza che ci sia qualche posto dove un miracolo possa
avvenire è una necessità comune.»
(http://www.diariodipensieripersi.com/2011/07/recensione-i-baci-mai-dati-di-roberta.html).
Nel suo blog su il Fatto Quotidiano (http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/rtorre/),
la regista scrive così: «Sono Roberta Torre faccio film. Come regista,
sceneggiatrice e ora anche come produttrice perché voglio far esordire giovani
registi prima che diventino vecchi registi. […] Ma è stato un caso. In realtà
volevo fare la strizzacervelli. Comunque la voglia di ficcare il naso nella
vita degli altri mi è sempre rimasta. Grazie al cinema ho potuto infilarmi
nella vita di delinquenti, mafiosi, preti, scambisti, truffatori e molto altro.
Uscirne non è stato sempre altrettanto semplice. Ma questo è stato il bello.
Sono nata a Milano e poi per un caso ho vissuto a Palermo quindici lunghi anni
di pura felicità. Ora vivo a Roma, ma sento che traslocherò ancora. Nei miei
film mi piace mescolare tutto: immagini, generi, suoni, corpi, rumori e
soprattutto odori.» (www.robertatorre.com e www.rosettafilm.it).
Ha scritto Fabio Secchi Frau: «Roberta Torre è stata
considerata la regina dei musical–sceneggiata,
molto amata da pubblico e critica per le sue mitiche pellicole che, prendendo
piede dalla realtà, spingevano grottescamente la storia vera in quella della
dimensione fantastica che le alleggeriva del peso della cronaca nera,
consegnando al pubblico dei cult italiani veri e propri: uno su tutti Tano da morire. Poi, però, la Torre
cambia gioco e in mezzo a quella grande scacchiera che è il panorama
cinematografico cambia e si dirige in una dimensione drammatica e romantica
allo stesso tempo. Questa è la mossa della Torre: prendere costantemente in
contropiede lo spettatore.» (http://www.mymovies.it/biografia/?r=7450).
In un recente articolo–intervista
a Roberta Torre dal titolo “L'alchimista del cinema tra realismo e utopia”,
scrive Marisa Labanca: «In un cinema malato di familismo e incapace di
esprimere la realtà, credere nell’Utopia significa credere e impegnarsi nella
realizzazione di un nuovo “sistema di valori possibili”. […] Una donna
determinata, pragmatica e al tempo stesso estrosa e fuori dagli schemi.
Un’artista che riconoscendo i limiti reali del cinema italiano contemporaneo,
viziato dall’assenza di meritocrazia e da logiche di appartenenza politica e
culturale, ne prende le distanze, scegliendo la scrittura prima e
l’autoproduzione poi come atti di libertà. La libertà di esprimere la propria
visione della realtà, anche negli aspetti più crudeli della mafia e
dell’immigrazione, mescolandola con i tratti onirici e stranianti del musical e
del teatro. […] Dal 2007 Roberta Torre è anche produttrice dei suoi film
attraverso la Rosettafilm, sua casa di produzione creata per evitare che
logiche estranee possano influenzare e alterare il risultato finale dei suoi
lavori. […] Attualmente la regista e sceneggiatrice è impegnata nel racconto
del reale attraverso la riaffermazione dell’Utopia, concetto ormai desueto nella
nostra società, intesa non come sogno irrealizzabile, ma come “la possibilità
di creare un nuovo sistema di valori possibili”. È questo l’obiettivo comune de
Gli Uccelli, di Aristofane, in scena
dal prossimo 14 maggio al Teatro Greco di Siracusa, e di Rose e matematica, trasposizione cinematografica della vita
dell’inventore Pier Luigi Torre.». A Marisa Labanca, ha confessato la Torre: «È
complicato autodefinirsi. Mi piace paragonare il mio lavoro a quello di un
alchimista, ogni opera, ogni film per me è un costante e complicato, mai finito
lavoro di ricerca, di come elementi apparentemente diversi e inconciliabili
possano fondersi insieme dando un risultato, un’opera mai esistita prima, che
non assomiglia a nulla di esistente. In questa ricerca credo che risieda la
caratteristica fondamentale del mio essere artista. […] La regia è bellissima,
ma senza la produzione in Italia è impossibile da gestire. Credo che quello tra
regista e produttore debba essere un matrimonio azzeccato. […] Ultimamente mi
piace molto dedicare tanto tempo alla sceneggiatura e alla scrittura, proprio
perché in passato ho sempre considerato la sceneggiatura solo un mezzo per
ottenere finanziamenti, ora invece che mi sono liberata da questo vincolo il
mio sguardo è cambiato.». Parlando del cinema italiano, Roberta Torre ha detto:
«Passato glorioso, Presente povero, Futuro incerto. […] Il cinema italiano
rispecchia piuttosto fedelmente lo stato della nostra Italia tutta. In fondo il
cinema in Italia è stato grande e in modo compatto, inequivocabile, nel dopo
guerra perché la nazione era spinta da una potente voglia di riscatto. Forse
non era un periodo di ricchezza, ma certo c’era una potente speranza e una
grande voglia di ricominciare. Il nostro cinema soffre oggi di una pochezza tematica,
di un'incapacità di osservazione della realtà e soprattutto soffre di una
malattia che ha corroso tutta l'Italia: il familismo. […] Quando ho iniziato a
lavorare ho sempre detto che non c’erano differenze di genere. Ora, dopo
diversi anni di lotte e guerre per mantenere intatto il mio lavoro, per
proteggerlo e preservarlo da varie forme di razzia artistica, produttiva,
politica e umana, devo dire che sì c’è una forte discriminazione di genere. E
più in generale credo che sia una questione di autorità. L’autorità femminile è
mal sopportata. […] Il binomio donna autorevole, quindi decisionale, quindi
creatrice di immaginario mal si sposa con l’immagine di una donna femminile e
felice di esserlo. In realtà per me è stato semplice affermarmi, più complicato
mantenere una posizione che mi garantisse la libertà delle mie scelte
artistiche. La libertà è un altro tabù della nostra società. Una
pensatrice/artista libera da logiche di appartenenza fa molta paura. […] Credo
che in Italia siamo ancora molto indietro rispetto alla possibilità delle donne
di essere libere davvero. […]»
(http://www.unosguardoalfemminile.it/wordpress/donne-e-cultura/intervista-a-roberta-torre-lalchimista-del-cinema-tra-realismo-e-utopia).
Francesca
Conti e Giorgio Fonio hanno dedicato al cinema irriverente di Roberta Torre il
saggio I baci mai dati e altre storie
(2011), con un'intervista di Giuseppe Rizzo.
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