Michelangelo Antonioni
Il 29 settembre del
1912, cento anni addietro, nasceva a Ferrara il grande maestro Michelangelo
Antonioni, un gigante della moderna cinematografia mondiale, Leone d'Oro alla
carriera nel 1983 e Oscar alla carriera nel 1995, regista ma non solo, anche sceneggiatore
e montatore, oltre che scrittore di “asciutta densità” e sensibile pittore
negli ultimi anni della sua vita (i suoi quadri, le sue Montagne incantate sono
attualmente esposte al Museo “Michelangelo Antonioni” di Ferrara).
Appartenente alla media borghesia, conseguì la laurea in
Economia e commercio presso l'Università di Bologna, maturando alcune giovanili
esperienze teatrali universitarie che gli fecero conoscere i testi ambigui e
controversi di Pirandello, Ibsen e Cechov. Interessato al cinema, negli anni
Trenta e Quaranta, iniziò a scrivere articoli di cinematografia sul «Corriere
Padano» e sulla rivista «Cinema». Frequentò soltanto per un semestre il “Centro
Sperimentale di Cinematografia”, venendo richiamato alle armi, e curò alcune sceneggiature
come quella di Un pilota ritorna (1942)
di Roberto Rossellini, di Caccia tragica
(1945) di Giuseppe De Santis, e di Sceicco
bianco (1952) di Fellini. Nel 1942 ottenne un contratto con la Scalera Film
che lo prese come sceneggiatore e aiuto regista di Enrico Fulchignoni per il
film I due Foscari. Fu aiuto-regista
del grande regista francese Marcel Carné nel film italo-francese Les visiteurs du soir e girò il
lungometraggio Gente del Po (filmato
nel 1943 con uno stile neorealista, su «un’umanità fluviale», quella della sua
terra) – «L'ambiente è quello
che conosce meglio e che ama, ma la sua attenzione più che su luoghi e cose si
accentra sugli uomini, la loro vita e i loro sentimenti. Il lavoro finale non
sarà però quello voluto: la guerra costringe Antonioni a lasciare incompiute le
riprese, e ad abbandonare le pellicole girate, parte delle quali si deteriora;
solo nel '47 il materiale rimasto verrà montato.»
(http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm). Del 1948 è N. U. -
Nettezza urbana che vinse il Nastro d'Argento, «semplicemente un
capolavoro, solo un grande visionario in grado di scoprire significati nascosti
della realtà poteva rendere poetica la Nettezza Urbana»
(http://lorenzocostanzini.wordpress.com/2007/07/31/63/).
(http://lorenzocostanzini.wordpress.com/2007/07/31/63/).
Antonioni esordì nel cinema vero e proprio nel 1950 con Cronaca di un amore, che vinse il
Nastro d'argento e che segnò la fine del Neorealismo, aprendo a un cinema
italiano più moderno e più profondamente introspettivo, volto a rappresentare il
dramma del disagio esistenziale e il tormento dell'alienazione dell'uomo
moderno, coinvolto essenzialmente dai risvolti psicologici dei personaggi. «Negli
anni in cui il cinema neorealista è interessato prevalentemente a temi come
dopoguerra e povertà, Antonioni ha il coraggio di uscire dagli schemi e dalle
tendenze ricorrenti: il suo film è un dramma d'amore nell'ambiente dell'alta
borghesia e mostra la profonda trasformazione che l'Italia subisce in quegli
anni.» (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm). Storia di un
adulterio maturato nel mondo dell'alta borghesia industriale lombarda falso ed
egoista e nell'ambito di una coppia in
crisi; nonostante la morte accidentale del marito, del quale la moglie aveva
programmato l'assassinio insieme all'amante giovane, bello ma povero, il senso
di colpa separerà per sempre i due innamorati. Alain Resnais lo definì «un
romanzo noir americano… pavesiano». «È un giallo freddo ed elegante che scava
impietosamente nell'alta borghesia di una metropoli industriale come Milano e
che integra in un'unica entità ambiente e personaggi, come Gente del Po aveva
lasciato presagire. […] Il rapporto fra uomo e ambiente e il rapporto fra caso
e destino aprono invece una meditazione più universale sull'esistenza.
Antonioni ricerca inoltre uno stile “totale” (figurativo, recitativo, musicale,
narrativo) per caricare al massimo le immagini e, di conseguenza, le atmosfere.»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.)
Girati spesso tra le difficoltà con la produzione e la
incomprensione del pubblico, seguirono: I
vinti (1953) che, rappresentando la violenza di un mondo giovanile in crisi
di valori, raccontava tre delitti compiuti da tre giovani in tre episodi
ambientati in diverse nazioni, Francia, Inghilterra e Italia (fu tagliato e censurato
perché l'episodio italiano coinvolgeva due omosessuali); Amore in città (1953), film a episodi girato da Marco Ferreri con
il segmento “Tentato suicido”, molto originale nel precorrere il film-inchiesta;
La signora senza camelie (1953) con
Lucia Bosè (ma pensato per Gina Lollobrigida), un altro ritratto di donna che
tenta una inutile ascesa nel cinema allargato al divismo cinematografico (la
critica al mondo del cinema e ai suoi assurdi meccanismi è forte): «Il disagio
creato dal passaggio dall'ambiente naturale della piccola borghesia a quello
artificiale del cinema è il primo sintomo della perdita di personalità e della
progressiva assuefazione al cinismo e alla mediocrità. Questa Signora è
l'archetipo di tutte le eroine di Antonioni: disponibile, vulnerabile,
cosciente della propria crisi, alla ricerca di un'identità.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.);
e Le amiche (1955), tratto dal
romanzo Tra donne sole di Cesare
Pavese (Leone d'Argento alla Mostra di Venezia), riflessione sulla condizione e
sulle inquietudini della donna moderna: «Il lavoro e la vita sentimentale di
quattro donne sole mettono a nudo la futilità dei rapporti fra le persone e consentono
di indagare ancora sul tema del suicidio (oltre alla più fragile delle quattro
anche l'autore del racconto si era suicidato). […] chi non si adatta
all'ambiente (al cinismo, alla mediocrità, alla solitudine, al vuoto) è
destinato ad estinguersi.»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.)
Il grido (1957) è
un film capolavoro concentrato sul tormento esistenziale dell'individuo ed esemplificato
da un proletario in crisi, costretto a un viaggio senza meta e sperso in una
società che gli è divenuta estranea, la cui unica possibile soluzione finale è
salire in cima a una torre della fabbrica e buttarsi giù. Non compreso del
tutto, il film fu un insuccesso al botteghino e fu giudicato dalla critica come
«un film frammentario, freddo e formalista» ma in Francia si gridò al
capolavoro (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm). «Il pessimismo
è più duro rispetto a quello dei film precedenti in quanto l'operaio, a
differenza delle eroine che lo hanno preceduto, non si limita a subire passivamente
l'alienazione, cerca in ogni modo di salvarsi, di resistere, di non adattarsi e
non estinguersi; ciononostante soccombe, la vita finisce senza pietà. […] Le
tre grandi crisi “private” di Antonioni [la crisi di incomunicabilità, la crisi
di identità e la crisi di estinzione] sono ormai parte integrante di ogni uomo.»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.). In effetti, il film pose Antonioni
su di un “piedistallo prestigioso” (Franco Nebbia).
Restano superbi e indimenticabili i tre film girati tra il
1960 e il 1962, appartenenti alla “trilogia dell'incomunicabilità”, con una
giovane e sensibile Monica Vitti (parte di un sodalizio con Antonioni nel
cinema e nella vita), e accolti in modo contrastante dal pubblico e dalla
critica. Con questa trilogia l'autore esprimeva «una difficoltà più generale,
storica ed esistenziale, provocata dal dissidio tra un “vecchio” che crolla e
che non serve e un “nuovo” che impaurisce.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/michelangelo-antonioni/).
«La trilogia segna il punto più schematico dell'intellettualismo e del
didascalismo di Antonioni e il punto più accademico della sua analisi
psicologica e sociologica. Più che trame da raccontare o da spiegare sono
romanzi di costume e di comportamento…»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Il primo film, L'avventura
(1960), presentato al festival di Cannes si aggiudicò il premio speciale
della giuria e fu fischiato dal pubblico ma osannato dalla critica, «per molti
è la rivelazione di un autore raffinato e poetico che avrà sempre più consensi
nella critica che fra il grande pubblico» (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
Alain Resnais ha parlato di un «film mitico», di una «padronanza straordinaria
della disposizione degli attori in rapporto alla scenografia» e di una «utilizzazione
della profondità di campo che c'imprigiona come mosche in una tela di ragno». è stato osservato che «La precarietà
dei sentimenti determina l'itinerario dei due protagonisti; la rassegnazione
davanti all'incostanza umana e la pietà per le sue disastrose conseguenze
morali (soprattutto il rimorso di vivere) costituiscono la meta del viaggio;
gli ambienti ([…]) si dilatano e si svuotano, le atmosfere si sfaldano e si
rarefanno, i personaggi si tradiscono l'un l'altro e restano soli. La
dialettica del distacco dalla loro emotività li lascia a penzolare senza
appiglio sui loro abissi.»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Nel secondo film, La
notte (1961), Orso d'oro e premio speciale della giuria a Cannes, con
Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, «si parla della crisi di una coppia per
parlare in realtà di una profonda crisi sociale» (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
Un intellettuale (metafora dello stesso Antonioni) e la sua compagna vanno a
trovare un amico ricoverato in ospedale per un male incurabile (innamorato
silenzioso della donna), e dopo una giornata di futili occupazioni all'insegna
di diversi stimoli sessuali, la sera, mentre tornano a casa, la donna informa
il compagno della morte dell'amico. Si abbracciano e si coricano sull'erba ed è
già l'alba: «Ancora una volta il rimorso della vita, i tradimenti, l'ennesimo
triangolo in cui due si amano abbandonando un terzo al suo tragico destino,
anzi quasi contenti che la morte lo elimini.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Il terzo film, L'eclisse (1962), Premio speciale della
Giuria al Festival di Cannes, narra di una ricca ragazza romana (Monica Vitti)
che, lasciato un vecchio amante (un intellettuale come lei), crede di trovare
amore e calore umano in un giovane agente di cambio, che altro non è che un
cinico e impenitente donnaiolo: «La scena finale è il capolavoro di tutto il
cinema antonionano: oltre la fine del rapporto fra due persone la camera scorre
verso la fine di tutto in un misto apocalittico di mistero, suspense,
depressione, solitudine esistenziale.»
(http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.). è stato scritto che «L'opera, a tratti
esageratamente intellettualistica, lenta e poco comprensibile nel messaggio, si
snoda lungo un intenso rapporto tra spazio e personaggi.» (http://www.1aait.com/larovere/antonion.htm).
A proposito di questa trilogia, ha
commentato Gianni Canova: «Sono film che rappresentano il vuoto assoluto
di esistenze perdute nella quotidianità, di personaggi borghesi annoiati e/o
immobilizzati in una crisi la cui prima spia è la fine di una storia d'amore,
ma sono, soprattutto, opere che rinnovano la drammaturgia filmica. Comunicazione
rarefatta, lunghi e dilatati piani-sequenza, tempi morti, finali aperti;
Antonioni trasforma le sue storie in una sorta di autopsia dei rapporti umani,
una lenta e inesorabile dissezione del disagio di essere (Cinema, le garzantine,
Garzanti, Milano 2009). è stato
osservato che «L'avventura, La notte, L'eclisse, e Deserto rosso, tutti
interpretati dall'allora sua compagna Monica Vitti, costituiscono la tetralogia
dei sentimenti, o meglio del viaggio analitico attraverso la malattia dei
sentimenti, secondo le parole dello stesso regista. Questi film consacrano
Antonioni tra i dieci registi più importanti del mondo, e gli fanno ottenere un
contratto per tre film con la Metro Goldwin Mayer.» (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
Seguì poi Il deserto
rosso (1964), il primo film a colori (pregevole la fotografia di Carlo Di
Palma) e il primo in cui venivano trattati temi profondamente legati
all'ecologia, Leone d'oro come miglior film al Festival di Venezia, in cui il
tema dell'alienazione e dell'incomunicabilità veniva affrontato con perfezione
stilistica e tecnica matura. Il film racconta la grave crisi di Giuliana
(Monica Vitti), moglie di un ingegnere, che vive in una cittadina padana
stravolta dal moderno processo d'industrializzazione; ha tentato il suicidio ma
è stata dimessa più depressa e angosciata di prima, in preda a un'invincibile
nevrosi. è stato commentato: «L'alienazione
causata dall'industrializzazione si manifesta più che dalle maschere ormai
schematiche soprattutto attraverso il paesaggio deprimente, grigio e fumoso,
sommerso da ciminiere e serbatoi; per la prima volta Antonioni fa uso del
colore e si comporta come un pittore astratto; […] Antonioni afferma la
funzione psicologica del colore e tenta di definire un'estetica pittorica della
fabbrica.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.). L'uso del colore
non naturalistico riesce infatti a trasmettere in modo sorprendente tutte le
sensazioni soggettive.
Questi tre film americani, sempre più innovativi, fecero di Antonioni
un regista d'élite a livello internazionale. Deputati all'analisi approfondita della
crisi della modernità e del consumismo, furono girati in inglese e all'estero,
con attori internazionali, produttore Carlo Ponti.
Blow-Up (1966), il
suo successo commerciale più grande, Gran premio internazionale a Cannes, tratto
da un soggetto di Julio Cortázar e interpretato da David Hemmings, è ambientato
in Inghilterra e narra di un fotografo di moda che crede di avere immortalato
nei suoi scatti fotografici un omicidio che forse non esiste. Dominato da un pessimismo
angoscioso, il film esita in un totale rifiuto della realtà e in una totale
incomunicabilità: «La conclusione è pirandelliana: alla fine l'individuo si
rende conto che solo fingendo si può continuare a vivere. […] Blow-up è anche
la suprema metafora sull'illusione: dalla foto che mostra ciò che era sfuggito
all'occhio alla partita di tennis finale, tutto il film è giocato sui limiti e
sulle distorsioni della percezione.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Il film vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes e fu nominato all'Oscar come
Miglior regista e Migliore sceneggiatura originale (a Tonino Guerra).
Zabriskie Point (1970), purtroppo un disastro finanziario, ambientato
nell’America della contestazione giovanile e del rock, ruota attorno alla
contestazione giovanile e racconta di una giovane segretaria di Los Angeles che
compie un viaggio solitario in auto, la quale incontra a Zabriskie Point, in un
luogo deserto, uno studente deluso dai moti universitari che ha rubato un
aereo; i due ragazzi si amano in solitudine ma la conclusione tragica è in
agguato (quando il giovane torna per restituire l'aereo, viene ucciso da un
poliziotto). Fu «considerato un film contro l'America, e come tale boicottato,
pur contenendo alcune tra le sequenze più belle e particolari girate dal
regista; solo anni dopo se ne apprezzerà la poesia.»
(http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
è un film di grande spessore
poetico: «Pur non riuscendo ad eludere il destino di morte e solitudine a cui
Antonioni condanna i suoi eroi, questi due ragazzi, generati dall'utopia dei
figli dei fiori, rappresentano una generazione positiva, che tenta di
riscattare il mondo dalla schiavitù del consumismo, anche se non possiede
ancora la forza per sopravvivere alla feroce repressione messa in atto dal
Sistema.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Professione: reporter
(1975) con Maria Schneider e Jack Nicholson, tratto da un soggetto di Mark
Peploe, filmato a Barcellona e in Africa, è un film bello e misterioso per l'impenetrabilità
della realtà che si fa sempre più complessa mettendosi in conflitto con
l'individuo e che è rappresentata dal rapido cambio d'identità del protagonista
(è stato definito da Mereghetti: «assolato, vitreo, impareggiabile nell'usare
scenari tanto diversi»). Racconta di un giornalista televisivo inglese in
crisi, un esponente di una generazione fallita, stanco della moglie che lo
tradisce, che va in Africa per un reportage su un movimento di liberazione ma che
è in realtà tanto privo di entusiasmo e nauseato dal suo mestiere che decide di
assumere l'identità di un suo vicino morto, cacciandosi nei guai e finendo
ucciso (anzi, meglio, si lascerà uccidere): «La vita è un tentativo
impossibile, la morte è l'unica possibile fuga dall'identità del vivo. Per
Antonioni il suicidio è l'unico atto eroico.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
«Il film è divenuto famoso per la spettacolare sequenza finale girata con una
macchina da presa particolare.»(http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
«Di pari passo con lo svolgimento tematico, un continuo processo di sperimentazione formale portò il regista a cercare con maggiore chiarezza di intenti la via della metafora, che permetteva da una storia particolare di arrivare alla descrizione allusiva delle ambiguità di fondo della nostra esistenza.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/michelangelo-antonioni/).
«Di pari passo con lo svolgimento tematico, un continuo processo di sperimentazione formale portò il regista a cercare con maggiore chiarezza di intenti la via della metafora, che permetteva da una storia particolare di arrivare alla descrizione allusiva delle ambiguità di fondo della nostra esistenza.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/michelangelo-antonioni/).
Dopo cinque anni di mutismo creativo, Antonioni girò per la
televisione il film sperimentale Il
mistero di Oberwald (1980), con Moniva Vitti, un mèlo a tinte noir, tratto
da L'aigle à deux têtes di J. Cocteau
e realizzato in alta definizione con mezzi innovativi; viene considerato come
il primo esempio di cinema elettronico della storia: «grazie ad uno strumento
chiamato correttore di colori per Antonioni è possibile dipingere i fotogrammi,
cambiando o togliendo colori in base all'effetto psicologico che vuole
ottenere.»
(http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
«Ma non è arida
sperimentazione: Antonioni tenta di cavar poesia dall'elettrocromatica
televisiva, di far storia, sentimenti e dialoghi solo attraverso i colori che
illuminano e rabbuiano lo schermo. Il colore come forma, apparenza, del pathos;
ectoplasma ipnotico che riveste le immagini di significato.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.). Gianni
Canova ha definito il film: «interessante ma verboso» (Cinema, le garzantine, Garzanti, Milano 2009).
Dopo un lungo periodo di silenzio, ritornò al cinema nel
1982 con Identificazione di una donna,
interpretato da Tomas Milian, un'analisi piena di erotismo di una crisi
sentimentale e comportamentale che si contorce attorno ai temi tipici del
regista (il vuoto, la solitudine e la morte), «nervoso e spregiudicato» grazie
al montaggio dello stesso Antonioni. Storia di un regista intellettuale in
crisi d'identità, alla ricerca della protagonista di un suo film (prova una
giovane aristocratica, intellettuale ed emancipata, vivace e disponibile, e una
modesta attrice teatrale dai gusti piccolo-borghesi): «Il linguaggio
cinematografico di atmosfere nevrotiche e scene metaforiche è fluente ed
elegante; i paesaggi sono ormai tutto (non a caso Antonioni si serve di attori
minori e spesso fuori ruolo) e l'intellettuale tiene salotto cinematografico
con il suo virtuosismo.» (http://www.scaruffi.com/director/antonion.html.).
Dopo la lavorazione di questo film, Antonioni fu colpito da
un ictus che lo paralizzò all'emilato destro e che lo rese afasico,
costringendolo alla sedia a rotelle. Assistito dalla seconda moglie Enrica
Fico, sposata nel 1985, continuò a lavorare tra grandi difficoltà (Enrica divenne
la mano destra e la lingua di un intellettuale ancora vigile e attento che
aveva detto: «Fare un film è per me vivere»). In quel periodo si diede
soprattutto alla scrittura e alla pittura: «Per il regista dipingere e scrivere
non sono operazioni estranee al cinema, ma anzi un “approfondimento dello
sguardo”» (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
Appartengono a questo periodo: Ritorno a Lisca Bianca (1983) per Raitre – un breve documentario a colori sui luoghi del film L'Avventura
–, Kumbha Mela (1989) – presentato
a Cannes che utilizzava del materiale girato nel 1977 in India in occasione di
una suggestiva festa religiosa –,
12 registi per 12 città (1989) con
il segmento “Roma”, e diversi altri documentari.
Nel 1995, dopo più di un decennio, ritornò a girare, con
l'assistenza dell'amico Wim Wenders, Al
di là delle nuvole, tratto da alcuni racconti del suo volume Quel bowling sul Tevere (Einaudi, Torino
1983); ha scritto del film Gianni Canova: «irrisolto e didascalico, soffre di
un eccesso d'ostentata “poeticità” nella sceneggiatura firmata da T. Guerra» (Cinema, le garzantine, Garzanti, Milano
2009). Nel 2004, il cortometraggio “Il filo pericoloso delle cose (The
Dangerous Thread of Things)” (tratto da un altro racconto di Quel bowling sul Tevere e scritto da
Tonino Guerra) fu inserito nel film Eros,
insieme ai due cortometraggi girati da Wong Kar Wai e da Steven Soderbergh. Del
2004 è pure il documentario Lo sguardo
di Michelangelo, che vede protagonisti i due “Michelangelo”: Antonioni e
Buonarroti col suo Mosè.
Antonioni morì a Roma il 30 luglio del 2007 nella sua casa
romana, all'età di 94 anni, spirando serenamente su una poltrona accanto alla
moglie Enrica, per una coincidenza del destino proprio lo stesso giorno in cui
scompariva il regista svedese Ingmar Bergman (altro intellettuale e cineasta che
aveva fatto della crisi dell'uomo la materia viva dei suoi film, il più vicino
ad Antonioni sia per lo stile asciutto e scarno, severo e intransigente – usato come elemento determinante d'indagine
e rinnovamento –, sia per la
tematica della solitudine dell'uomo e dell'incomunicabilità degli esseri umani
soffocati dall'ipocrisia della società). Entrambi avevano creato una sorta di
“neorealismo interiore” (espressione creata dai francesi per Antonioni) (http://www.michelangeloantonioni.it/biografia.htm).
Michelangelo Antonioni fu sepolto nel Cimitero Monumentale della Certosa di
Ferrara.
Di Antonioni ha scritto Gian Piero Brunetta (Storia del cinema italiano: dal 1945 agli
anni ottanta, Editori riuniti, Roma 1982 e Cent'anni di cinema italiano, Laterza, Bari 1991): «[...] già nel
1961 Antonioni è assunto a forza nell'empireo dei massimi maestri del cinema
mondiale e per merito dell'“Avventura” e della “Notte”, oltre che della “Dolce
vita” [di Federico Fellini], il cinema italiano riguadagna quel prestigio che
alla fine degli anni cinquanta appariva un po' appannato [...] alla misurazioni
degli spazi reali Antonioni ha cercato di sostituire le misurazioni degli spazi
interiori».
Aldo Tassone (I film
di Michelangelo Antonioni: un poeta della visione, 3. ed., Gremese, Roma
2002) ha riportato molti commenti di colleghi di Antonioni: ha commentato
Andrej Tarkovskij: «Antonioni fa parte della ristrettissima schiera di
cineasti-poeti che si creano il proprio mondo, i suoi grandi film non solo non
invecchiano ma col tempo si riscaldano»; ha scritto Alain Robbe-Grillet: «Per
me Antonioni è il più grande regista vivente al mondo. L'insieme della sua
opera è qualcosa di assolutamente monumentale, è un'opera che implica una vera
e propria metafisica, un'opera che può essere studiata nelle Università come
Flaubert e Mallarmé.»; Alain Resnais ha detto: «Le sue immagini sono molto
ricercate, ma sempre necessarie. Antonioni maestro dell'astrazione al cinema?
Io lo vedo piuttosto come un artista figurativo, perché fa sempre sentire con
molta precisione dove ci troviamo […] Si è detto a volte che Antonioni è di
ghiaccio: trovo che non sia affatto freddo, al contrario quel “ghiaccio brucia”.
[…] Si direbbe che Antonioni ci intrappoli continuamente per ipnotizzarci.»; ha
commentato Francis Ford Coppola: «Ha lasciato un'impronta su centinaia di
registi contemporanei»; ha oservato Stanley Kubrick: «Antonioni è il grande
artista del nostro tempo» e Akira Kurosawa, a sua volta, ha scritto: «Nell'indagine
dei sentimenti è sceso a profondità insondabili»; Claude Sautet ha annotato: «Antonioni è stato il primo a
trattare della difficoltà di comunicare. Forse è il vero erede di Pavese. Nei
suoi film l'uomo non agisce, non è attivo, è complessato di fronte
all'attivismo sentimentale, sensuale, creativo delle donne».
è stato
osservato: «I film di Antonioni più che puntare sull'azione puntano a
descriverne le conseguenze; con la “non azione” si compie l'opera di questo
straordinario film-maker. […] Autore di una regia moderna strutturata filmando
i cosiddetti “tempi morti”, gira sequenze e inquadrature che un altro regista
avrebbe tagliato in fase di montaggio. Dunque una cinematografia complessa,
lenta e riflessiva: montaggio essenziale, lunghi e statici piani sequenza
intrisi di ripetuti silenzi, limitati dialoghi esageratamente
intellettualistici se non al limite del comprensibile. […] e alla narrazione
tradizionale viene preferita una casualità degli accadimenti che si evolve su
percorsi poco prevedibili. Per Tonino Guerra Antonioni è: “sempre a un metro
sopra della realtà”. Cinema ermetico, mai d'intrattenimento, intellettuale, […]
La decisa e coerente intransigenza di autore “puro” senza compromessi è entrata
in continuo contrasto con i produttori, che ritenevano una pellicola di
Antonioni un rischio commerciale. Non solo! Anche con la censura ha dovuto
spesso fare i conti. Dunque un cineasta ardito dal nessun compromesso! […] È
dunque la critica della borghesia, presa come terreno di riferimento e studio,
senza dubbio il tema ricorrente e preferito della cinematografia di
Michelangelo Antonioni, tutta interiore, capace di narrare in modo
straordinario l'inquietudine umana e sociale. La sua regia raggiunge altissimi
livelli figurativo-stilistici nel rendere il rapporto tra i personaggi e
l'ambiente; un cinema dentro cui si vaga senza raggiungere mai una meta.» (http://www.1aait.com/larovere/antonion.htm).
Giorgio Gosetti, in Michelangelo
Antonioni il poeta dell’immagine, ha scritto che in occasione del
centenario della nascita di Antonioni, la moglie Enrica Fico lo ha così
ricordato: «Michelangelo non amava guardare indietro, diceva che è un
atteggiamento che ci invecchia. Così il modo migliore di festeggiarlo mi pare
cercare di capire quanto di segreto c'è ancora nella sua visione, un occhio del
Novecento che guarda oltre». Il critico ha riportato che il regista Carlo di
Carlo, «compagno di molte avventure e studioso di riferimento per la sua opera»,
ha osservato: «Parliamo di un artista che è stato un grande sperimentatore,
consapevole e profetico nello stesso tempo, con un approccio alla cultura, all'immagine,
alla musica e al suono del suo tempo che oggi possiamo dire unici». Conclude così
Gosetti: «E nella mente, augurandogli buon compleanno, resta il ricordo del suo
ultimo giorno su un set, del suo passo lento e solenne mentre esce dalla
Basilica di Santa Maria in Vincoli dopo l'assorta contemplazione, un muto
dialogo di sguardi, del Mosé di Michelangelo Buonarroti. Là due artisti si
guardano e ciascuno racconta il suo mondo in una sintesi folgorante oltre il
tempo.»
(http://corriere.com/2012/09/25/michelangelo-antonioni-il-poeta-dellimmagine/).
(http://corriere.com/2012/09/25/michelangelo-antonioni-il-poeta-dellimmagine/).
Il lungo articolo “Michelangelo
Antonioni: centenary of a forgotten giant” (comparso su http://www.guardian.co.uk/film/filmblog/2012/sep/27/michelangelo-antonioni-centenary-forgotten-giant)
lamenta una certa indifferenza nei confronti di questo grande regista, creatore
del “modernismo cinematografico” e focalizza l'attenzione sui suoi film più
importanti. Confronta, inoltre, l'isola misteriosa de L'avventura alla misteriosa e inquietante formazione rocciosa
australiana del film Hanging Rock di Peter
Weir o alle Marabar Caves del film A
Passage to India di EM Forster, epicentri di una “occult metaphysical
crisis”: «Anna has dematerialised. Her atoms have been blown away in the wind.
(Anna si è dematerializzata. I suoi atomi sono stati soffiati via nel vento)».
Per ricordare il centesimo compleanno di Michelangelo
Antonioni, suo massimo orgoglio, il 29 settembre, il Comune di Ferrara ha
programmato una grande festa con omaggi, mostre, una retrospettiva completa dei
suoi film, una targa commemorativa sul prospetto della casa ove il regista
abitò dal 1918 al 1929 e l'intitolazione di “Largo Michelangelo Antonioni” del
piazzale antistante il Conservatorio musicale G. Frescobaldi
(http://www.ferrara24ore.it/news/ferrara/009920-sguardo-michelangelo-antonioni).
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