Anna Karenina (miniserie TV
1974)
Valeria Ciangottini (Kitty) Sergio Fantoni (Levin)
La seconda coppia
coprotagonista nel romanzo Anna Karenina
di Lev N. Tolstoj è quella di Levin – uomo orgoglioso e geloso, amico
d’infanzia di Stiva e proprietario entusiasta di una grande azienda agricola,
un esperto di economia rurale e «un appassionato coltivatore della terra», convinto dell’utilità del lavoro nei campi
– e Kitty, deliziosa e tranquilla ragazza dal carattere sincero e determinato.
Kitty è la sorella
di Dolly, cognata di Anna Karenina e moglie dell’infedele Stiva, una ragazza graziosa e
ragionevole che riceve una dichiarazione d'amore dal timido e serio Konstantin
Levin, «un uomo superiore... tutto d’un pezzo». Kitty – che è corteggiata anche dal vacuo Aleksandr Vronskij,
ricchissimo e seducente aiutante dell’imperatore con molte relazioni mondane –
respinge, però, con dispiacere Levin che ne soffre grandemente. Anna e Vronskij
si conoscono ed è subito colpo di fulmine. Durante un ballo dal quale Kitty –
interessata a Vronskij – si aspetta molto, i due flirtano insieme e gettano
nello sconforto la ragazza che si ammala, sia perché capisce di non essere
amata, sia perché si vergogna di aver mal riposto la sua fiducia in un uomo
indegno come Vronskij, umiliando con un rifiuto un uomo sensibile e degno come
Levin.
Dopo
il breve doloroso intermezzo con Vronskij, i due giovani si sposano e condividono
tutto. Kitty si preoccupa di ciò che interessa Levin: «Essa sapeva che Levin aveva in campagna tutta un’attività
che gli era cara: di quest’attività non capiva nulla e non voleva capirne, ma
la riteneva molto importante […] lo amava
perché lo capiva, perché sapeva tutto di lui e perché tutto ciò che stava a
cuore a lui stava a cuore anche a lei […]». Levin, a sua volta, ama ciò che piace a
Kitty: «La libertà! Che doveva farne della libertà? La felicità
consisteva nell’amare, nel vivere dei pensieri, dei desideri di lei. Quella era
la felicità. […] in quel momento capì che il
cuore di lei era all’unisono col suo […] egli
non sapeva più distinguere dove finiva lei, dove cominciava lui.». E questo avviene, nonostante i piccoli
inevitabili litigi per motivi insignificanti (con le successive tenere riconciliazioni)
e nonostante le meschine preoccupazioni quotidiane! Essi si amano di un amore autentico
ed eterno: il vero grande amore e il legame indissolubile della vita coniugale
sono per loro un insieme che prescinde dalla falsità del loro marcio ambiente
aristocratico. Levin vive in uno stato di esaltazione e – come soggiogato
da una forza esterna – non può vivere senza
Kitty: «[…] sapeva che per lui tutte le ragazze si dividevano in due
categorie: a una appartenevano tutte le ragazze di questo mondo, e queste
ragazze avevano tutte le debolezze umane; all’altra categoria apparteneva
soltanto lei e non aveva nessuna debolezza ed era superiore a ogni cosa
terrena […] Egli non poteva sbagliarsi. C’era
al mondo soltanto un essere capace di concentrare in sé tutta la vita, tutto
l’universo per Levin.».
Molto
romantica è la descrizione dell’incontro decisivo tra Levin e Kitty in casa di
Stiva e Dolly (dopo un anno dal rifiuto di Kitty) e del loro riconoscersi
innamorati: «Quando seppe che era là, provò a
un tratto un tale piacere e insieme un tale timore che gli si mozzò il respiro
e non riuscì a pronunziare le parole che voleva dire […] Come l’avrebbe trovata? Pensava […] era un’altra. Era spaventata, timida, e perciò più
simpatica. Lo vide subito: l’aspettava […]
Arrossì, impallidì, poi arrossì di nuovo, con le labbra che le tremavano. Egli,
dopo aver salutato la padrona di casa, le si avvicinò, s’inchinò e si diedero
la mano in silenzio […] Non c’era nulla di
straordinario in quello che diceva, ma egli trovava un significato che non si
poteva esprimere in parole in ogni sillaba, in ogni movimento delle labbra,
negli occhi, nelle mani di lei, vi trovava una fiducia, una carezza che
implorava il perdono, una promessa, una speranza, e l’amore del quale oramai
non poteva più dubitare. Levin si sentiva come se gli fossero cresciute le ali […] Levin sapeva che lei stava ascoltando le sue parole e che
le faceva piacere udirle. E soltanto quest’unica cosa lo interessava […] Si sentiva a un’altezza tale da fargli girare la testa, e
là in basso, da qualche parte, lontano, stavano tutti quei buoni e bravi
Karenin, Oblonskij e tutto il mondo […] Fra
lei e Levin era cominciata una conversazione, ma non era neppure una
conversazione, era qualcosa d’intimo, di misterioso che li avvicinava sempre
più e li rendeva felici e insieme atterriti dinanzi all’ignoto nel quale
entravano […] Egli vide soltanto quegli occhi
chiari, sinceri, spaventati dallo stesso radioso amore che riempiva tutta
l’anima di lei. Essa si fermò tanto vicino a lui che quasi lo toccava. Alzò le
mani e gliele posò sulle spalle, dandosi tutta in quel gesto timido e pieno di
gioia. Egli l’abbracciò e premette le labbra sulla sua bocca che cercava quel
bacio.».
E
quando Kitty resta incinta, la nascita di un figlio sembra a Levin un fatto
straordinario ma anche «un avvenimento così
misterioso che sfuggiva alle previsioni umane […] non poteva pensare senza terrore al momento che si avvicinava […]». Si sente quasi
colpevole per le sofferenze di Kitty e nella fase finale del parto sembra quasi
non poter più sopportare lo strazio cui è sottoposta la giovane moglie durante
il lungo travaglio. Quando infine nasce il bambino, vivo e sano, e quando Kitty
è ormai salva e libera dai patimenti, egli è finalmente felice!
Il romanzo non
finisce, però, con il suicidio di Anna Karenina! C’e una Parte Ottava – quasi un epilogo morale – nel quale si
narra la soluzione per via religiosa della grave crisi spirituale di Levin,
personaggio autobiografico, così tormentato dalla necessità di conoscere la sua
vera natura e i tanti “perché” della vita da giungere sin quasi sulla
soglia del suicidio. Levin – che «si sentiva conficcare sempre più nella
terra come un aratro» – comprende
infine che deve custodire, come una vestale, il fuoco sacro della terra e del
suo arcaico lavoro che molti nobili hanno abbandonato. Intuisce che deve
iniziare a vivere non soltanto per sé ma anche per il bene comune e per Dio.
Per dare un significato alla sua vita, s’impone una missione che consiste nella
conoscenza del bene, nel recupero dei valori evangelici e nella realizzazione
della legge morale che ogni uomo porta scritta in sé. (Brani tratti da Anna
Karenina, nella traduzione di
Enrichetta Carafa D’Andria, Newton Compton Editori, Roma 1996)
P.S. Nel film di
Julien Duvivier (1948) con Vivien Leigh (Anna) e Kieron Moore (Vronskij), Kitty era
interpretata da Sally Ann Howes e Levin da Niall MacGinnis. Invece nel
film di Bernard Rose (1997), con Sophie Marceau (Anna) e Sean Bean (Vronskij), Kitty era Mia Kirshner e Levin il concreto e solido Alfred Molina.
Nella miniserie
televisiva italiana del 1974 di Sandro Bolchi, con Lea Massari (Anna), Pino
Colizzi (Vronskij) e uno straordinario Giancarlo
Sbragia (Karenin), Kitty era interpretata dalla sensibile e fresca Valeria
Ciangottini mentre Levin era un eccezionale Sergio Fantoni (i Morandini – ne il Morandini, Zanichelli editore
– hanno
scritto della sua interpretazione:
«quest'ultimo in uno dei suoi personaggi più scavati: è il possidente di
sentimenti democratici che sottintende lo stesso Tolstoj»).
complimenti a silvia iannello da un concittadino
RispondiEliminaGrazie per questo commento. Alcune pagine di Anna Karenina sono tra le cose più belle che io abbia mai letto. Mi chiedo se Lev Nikolaevich dipingesse. Alcune descrizioni di personaggi femminili e del paesaggio in cui sono inseriti sembrano quadri impressionisti. Grazie ancora a Silvia Iannello
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