Anna Karenina Greta Garbo Sophie Marceau
Desidero parlarvi
della vicenda d’amore e d’adulterio di Anna Karenina, eroina del romanzo Anna Karenina di Lev Tolstoj
(1828-1910). Questo grande romanzo
ebbe una difficile gestazione. Tolstoj era stato ispirato da un fatto realmente
accaduto a Mosca e vi lavorò per ben cinque anni, in un momento di forte crisi
spirituale. Per motivi politici – una larvata polemica nei confronti della
guerra che la Russia zarista aveva appena intrapreso contro la Turchia che lo scrittore
considerava una soluzione selvaggia e terribile – fu costretto a pubblicarlo a
sue spese nel 1877. Ebbe però un successo travolgente, addirittura superiore a
quello di “Guerra e pace”
(1869), il ponderoso romanzo corale in sei libri dedicato agli avvenimenti
storici iniziati con l’invasione napoleonica del 1812, che già gli aveva
meritato grande fama in patria.
Parlando
di tutte le eroine tragiche che hanno condiviso il destino fatale di Emma
Bovary e di Anna Karenina, nel saggio Una stanza tutta per sé (traduzione
di Maria Antonietta Saracino, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998),
Virginia Woolf ha scritto che sono «le donne che hanno illuminato come fiaccole
accese le opere di tutti i poeti fin dalla notte dei tempi». Simboli di un moderno disagio borghese, queste due
donne inquiete hanno vissuto in pieno la crisi dell’Ottocento, tradendo tutti i
codici morali ottocenteschi e minando l’istituzione familiare per giungere
infine sino al suicidio finale (l’una si avvelena con l’arsenico, l’altra finisce
sotto le ruote di un treno).
La storia di Anna Karenina è nota ma val la pena di ricordarla.
Anna è la sorella del principe Stiva Oblonskij, uomo allegro e superficiale che
vive a Mosca ed è lo sposo infedele di Dolly, che vorrebbe lasciarlo dopo aver
scoperto l’ultimo suo tradimento con la governante dei bambini. Andata a
trovarli da Pietroburgo a Mosca, Anna riesce a comporre con abile semplicità il
dissidio tra i due sposi che sono i genitori di ben cinque figli. Dolly è la
sorella di Kitty, una ragazza graziosa e ragionevole che riceve una
dichiarazione d’amore dal timido e serio Konstantin Levin. Kitty, che è corteggiata
anche dal vacuo Aleksandr Vronskij, ricchissimo e seducente aiutante
dell’imperatore con molte relazioni mondane, respinge con dispiacere Levin, che
ne soffre grandemente. Anna è una donna bella ed elegante, vivace e annoiata. Vive
a Pietroburgo ove è sposata con Aleksej Aleksandrovic, un alto burocrate (influente,
rigido e perbenista), ed è la madre affettuosa di un ragazzo, Sereza. Anna e
Vronskij si conoscono ed è subito colpo di fulmine. Durante un ballo dal quale
Kitty – interessata a
Vronskij – si aspetta molto,
i due flirtano insieme e gettano nello sconforto la ragazza. Anna è presa da un
amore senza il quale non può esserci né gioia, né dolore, e neppure vita. Rimane
incinta, partorisce una figlia e si ammala gravemente. Alla fine decide di
unirsi a Vronskij e di lasciare il marito e il figlio. I due amanti viaggiano
per tre mesi per l’Europa e vanno in Italia, ove Anna impara a vivere soltanto
per Vronskij, che è la sua felicità ma anche la sua infelicità. Il marito la
punisce con il completo allontanamento dal figlio e con il fermo rifiuto del
divorzio. La corrotta aristocrazia pietroburghese, chiusa a riccio nelle sue
ipocrite convenienze formali, costringe Anna a vivere nel disprezzo mentre, in
qualche modo, perdona Vronskij e si apre per lui. Nonostante tutto, Anna è «imperdonabilmente felice».
Vronskij (che si è dimesso dalla carriera militare) si strugge, invece,
dalla noia rimpiangendo la sua precedente esistenza gaia e libera. Vronskij e
Anna vivono nel lusso e nell’eleganza una vita agiata e superficiale. Vronskij
soffre perché la figlia porta il nome di Karenin e vorrebbe convincere Anna a
chiedere il divorzio per sposarlo e risolvere così le mille complicazioni della
loro situazione. Anna non è, però, interessata al divorzio sia perché non
riesce a voler bene ad Anny, la bambina di Vronskij, sia perché sa che il
divorzio in ogni caso non le restituirà il figlio che ama. Anna si limita a rendersi
attraente e seducente per Vronskij, è tesa e nervosa perché teme di perderlo e
riesce a dormire soltanto quando usa una pozione a base di morfina. Pur
apprezzando la sua dedizione, Vronskij sente il peso di quelle reti amorose
nelle quali Anna tenta di avvilupparlo e diventa sempre più freddo e distante,
in taluni istanti, anche ostile e crudele: non intende sacrificare la sua
indipendenza di uomo a quell’amore oppressivo, rimpiangendo la libertà perduta. Si
affacciano i primi gravi dissapori con i segni inequivocabili della fine di
quella passione disperata. Anna avverte di perdere il controllo della
situazione: si sente capace di qualunque follia e inizia ad aver paura di se
stessa; sente che accanto all’amore si è inserito uno spirito maligno che la
spinge a una lotta crudele con l’uomo che ama.
I due vanno a Mosca: Vronskij per affari, Anna in attesa delle
decisioni del marito riguardo al divorzio: «Eppure non esisteva una
cagione esterna di dissidio, ma ogni tentativo fatto per calmare
quest’irritazione latente non faceva che accrescerla. Il male veniva di dentro.
Per lei l’irritazione nasceva dal veder diminuire l’amore di Vronskij; per lui,
dal riconoscere di essersi messo, a cagione di Anna, in una situazione penosa
che essa, invece di alleviare, rendeva sempre più penosa. Né l’uno né l’altra
conveniva dei motivi di questa irritazione, ma ognuno di loro credeva che
l’altro avesse torto e ad ogni occasione essi lo volevano dimostrare. Anna
avrebbe preteso che Vronskij concentrasse tutta la sua vita in lei e quindi era
gelosa. Non era gelosa di una data donna, ma la diminuzione dell’amore di lui
la rendeva gelosa ed essa cercava un oggetto per la sua gelosia. […] Ed essendo
gelosa, Anna si adirava contro Vronskij e cercava tutte le occasioni per prendersela
con lui. Lo accusava di tutto ciò che aveva di penoso la sua situazione.
Attribuiva a lui lo stato tormentoso di attesa nel quale s’era trovata a Mosca,
sospesa fra cielo e terra, la lentezza e l’indecisione di Aleksej
Aleksandrovic, la sua solitudine. Era colpa di lui se stavano a Mosca invece
che in campagna. Era colpa di lui se essa era divisa da suo figlio. Anche quei
rari momenti di tenerezza che capitavano fra loro non la calmavano: ora negli
slanci amorosi di lui essa vedeva una tranquillità, un’assoluta sicurezza che
non c’era prima e che l’irritava.».
Le discussioni e le recriminazioni tra Anna, ormai distrutta dalle
continue torture morali, e Vronskij, non più in grado di affrontare la
situazione penosa nella quale lo ha posto l’amore per lei, continuano sempre
più aspre e crudeli. Anna scopre in Vronskij una punta di antipatia nei suoi
confronti; ormai è convinta che lui non l’ami più, che tutto è finito o deve
finire. Nella sua anima regna la tempesta e si sente a una svolta della sua
vita che potrebbe avere conseguenze terribili. Comincia a pensare alla morte
come alla sola cosa in grado di risolvere tutto, di riaccendere l’amore e di
provocare in lui pentimento, commozione e sofferenza. Nonostante il desiderio
di consolarla e la paura per una tremenda minaccia che Anna pronuncia in tono
disperato, Vronskij decide di andare dalla madre ove si trova anche la principessina
Sorokina (che la madre vorrebbe fargli sposare). Anna è presa dal disgusto e
dall’odio: sente di amarlo e di odiarlo nello stesso tempo. Come un automa, fa
una strana e confusa visita a Kitty e Dolly, e decide di andare in stazione e
di prendere un treno per coglierlo in flagrante. Durante il viaggio, in mezzo alla
confusione e alle innumerevoli distrazioni, in un soliloquio delirante che i
critici hanno chiamato «monologo
interiore», Anna passa in rassegna
tutta la sua vicenda esistenziale. Arrivata in stazione, cede all’impulso di
gettarsi sotto le ruote del vagone di un treno merci e di liberarsi così da
tutti e da se stessa. A lei che si era chiesta: «Perché non dobbiamo
spegnere la candela quando tutto ciò che vediamo ci fa orrore?», nell’istante della morte «in un
lampo la vita le apparve con lo splendore di tutte le sue gioie passate». Allora si pente e fa il tentativo
impossibile e inutile di ritirarsi, chiede perdono al Signore e la luce si
spegne per sempre.
Ma il romanzo non finisce qui! C’e una Parte Ottava – quasi un epilogo morale – nella quale si racconta, tra l’altro, la disperazione di Vronskij che,
indurito dal dolore ma arricchito da una nuova forza interiore, parte
volontario per la guerra in Turchia, pronto a morire o a rinascere nell’eroica
lotta. (Brani tratti da Anna
Karenina, nella traduzione di
Enrichetta Carafa D’Andria, Newton Compton Editori, Roma 1996)
Il romanzo di
Tolstoj non narra la storia di un banale adulterio o di un passeggero capriccio
sentimentale, bensì quella di un’attrazione reciproca fortissima e
irresponsabile tra due esseri in fondo molto diversi. Questo trasporto si
trasforma in una passione travolgente e fatale, non lasciando spazio agli
impegni presi, agli affetti già esistenti, alle abitudini inveterate o alle convenzioni
sociali. Vronskij è un aristocratico privo d’interiorità e dall’elevata
posizione mondana, che ama la vita militare e il suo reggimento, che predilige
i cavalli e che gode nel divertirsi con donnine allegre: non ha mai preso in
considerazione la possibilità del matrimonio, non amando la vita di famiglia.
Anna, invece, è una donna sensibile e tormentata, che sceglie per amore di
cedere a «quello che l’anima sua desiderava e che la sua ragione temeva […]
uno spaventevole e tanto più seducente sogno di una felicità impossibile». Si convince ad accettare un rapporto
adulterino, rinunciando alla sua rispettabilità di donna sposata: «Devi
capire che per me, dal primo giorno che t’ho amato, tutto si è trasformato. Per
me non c’è che una cosa sola: il tuo amore. Se lo posseggo, mi sento così in
alto che nulla può umiliarmi. Sono orgogliosa della mia situazione […]». In realtà, Anna paga l’adulterio con
tremendi complessi di colpa, con l’abbandono del figlio e con uno sdoppiamento
di sé: «C’era qualcosa di terribile, di odioso nel ricordo di quello che
avevano pagato col prezzo della loro vergogna […] Anna gli teneva stretta una
mano e non si muoveva. Sì, quei baci li aveva comprati a prezzo del suo onore,
quella mano era la mano del suo complice […] Ella sentiva che le era impossibile
di tradurre in parole la vergogna, l’orrore, la gioia che provava di fronte a
questo ingresso in una nuova vita […]».
Tra l’altro, Anna
ha anche preso consapevolezza della crisi del suo soffocante legame matrimoniale
che vive d’ipocrisie: a lei sembra ingiusto continuare a vivere nella finzione,
rimanendo accanto a un marito che non ama: «I suoi rapporti con lui
avevano sempre avuto una tinta come di falsità, ma ora ne ebbe una coscienza
chiara e dolorosa […] Si sentiva fasciata da un’impenetrabile corazza di
menzogna!». In seguito, pur
continuando ad amare Vronskij, Anna è costretta ad accorgersi che dentro di sé
ha creato di lui «un’immagine superiore al vero e impossibile nella
realtà». D’altra parte, Vronskij
comincia a notare ben presto che «Anna non era più la stessa per lui:
moralmente e fisicamente era mutata. La guardava come un uomo guarda il fiore
che ha colto e che ora è appassito, e dura fatica a ritrovarvi quella bellezza
per la quale lo ha colto e sciupato.».
A proposito di
Anna, riporto ciò che ha scritto Gesualdo Bufalino nel suo Dizionario dei personaggi di romanzo (Oscar
Saggi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1989): «L’adulterio nella meteorologia amorosa dell’Ottocento è non
di rado un’acquata di primavera. Per Anna Karenina è l’alluvione che spacca la
diga. Da quando Vronskij le apparve, nel suo fatuo splendore di denti e
spalline, non esistono più per lei, benché per un po’ insista a rispettarli, né
l’alfabeto mondano né il codice dei valori morali. Finirà sotto le ruote di un
treno, pietosamente, chiudendo tra una banchina e l’altra di una stazione il
curricolo nero della sua deroga. È una vendetta del cielo? E Anna la meritava?
O non la meritava piuttosto il mondo che la spinse alla morte? […]».
E Aleksej
Aleksandrovic Karenin, il marito tradito? Per Anna, non è un essere umano ma
una macchina ministeriale. Per Vronskij, è un personaggio scomodo e
apparentemente superfluo! Anna lo ha sposato senza amore (più vecchio di lei di
venti anni), non conoscendo l’amore, ed egli è un uomo veramente molto
enigmatico e difficile da amare. Forse non aveva mai amato veramente Anna né
guardato nell’anima di sua moglie, e certamente non aveva mai tentato di
entrare nel segreto dei suoi sentimenti. All’inizio, è impotente davanti alla
sfacciata passione dei due: «Come un bue che china dolcemente il capo,
egli aspettava il colpo che sentiva sospeso su di sé […] Era come un uomo,
furioso, di non aver potuto spegnere un incendio, che dice al fuoco: “Brucia!
Fai pure!” […] non voleva guardare in faccia la sua situazione. Preferiva
chiudere come in uno scrigno sigillato il suo affetto per la moglie e per il
figlio, e anzi era diventato freddo verso il bambino, lui un tempo padre tanto
premuroso […] andava inventando pretesti di lavorare per non aprire quello
scrigno sigillato, dove erano racchiusi sentimenti e pensieri che il tempo
rendeva sempre più penosi […] Non voleva pensare a queste cose e non ci
pensava, ma giù, in fondo in fondo all’anima, sapeva, pur senza averne le
prove, ma sapeva senza dubitarne di essere un marito tradito, e ne soffriva
profondamente […] non soltanto non pensava di uscire da quella situazione ma
non voleva riconoscerla, appunto perché era toppo terribile, troppo contro
natura […] egli non voleva vedere e non vedeva […] non voleva penetrare nei
sentimenti di sua moglie, gl’importavano solo i segni esteriori […]». In seguito, piuttosto brutalmente, Anna gli
confessa il suo amore: «No, non sbagliate […] Io ero disperata e lo sono
ancora. Vi ascolto e penso a lui. Io lo amo, sono la sua amante, non ne posso
più, ho paura, vi odio... Fate di me quel che volete […]». In un primo
momento Aleksej Aleksandrovic resta
immobile «in quella solennità che hanno i visi dei morti» ma diviene poi un giudice implacabile per quella
che considera «una donna depravata... senza onore e senza cuore, senza
religione». Pensa di chiedere il
divorzio dopo il riconoscimento dell’adulterio, in modo che il figlio non possa
assolutamente rimanere con la madre. Cessa di occuparsi di lei e di suo figlio,
e senza nessuna indulgenza prende tutte le rigide misure indispensabili per
tutelare le apparenze e il suo decoro, e per salvare ciò che resta del suo
onore. Si organizza, inoltre, per vivere nel modo più conveniente e per
vendicarsi di Anna nella maniera più tremenda: «Non era più la gelosia
che lo tormentava ma il desiderio che Anna non trionfasse, che pagasse il fio
della sua colpa.». Quando però – in
seguito al parto di una bimba e a una febbre puerperale – Anna sta per morire e
lo chiama al suo capezzale per chiedergli perdono, egli è preso da una strana
commozione e da un più alto sentimento di pietà: con la sua generosità umilia
Vronskij, il quale tenta il suicidio sparandosi un colpo di revolver alla parte
sinistra del petto senza però toccare il cuore. Anna guarisce e riprende a
detestare Aleksej Aleksandrovic, desiderando di essere liberata dalla sua
odiosa presenza: «Ho sentito dire che le donne amano gli uomini anche
per i loro vizi, ma io l’odio per la sua bontà. Non posso vivere con lui […] Lo
odio per la sua magnanimità […] Stiva dice che lui acconsente a tutto,
ma io non posso accettare la sua generosità […]». Rinunzia allora al divorzio onorevole che le è stato proposto e parte
con Vronskij e la bambina per l’Italia, lasciando il marito solo col figlio nel
loro appartamento.
Aleksej
Aleksandrovic non è tuttavia quell’uomo freddo e impassibile che tutti credono;
anzi, è un individuo distrutto che soffre intensamente e che resta a
fronteggiare questo dolore in una disperazione solitaria: «Sapeva che la
gente l’odiava e lo disprezzava perché era infelice. Sapeva che, perché il suo
cuore era lacerato, tutti sarebbero stati crudeli con lui. Sapeva che la gente
lo avrebbe scacciato, come i cani sono pronti a dilaniare un povero cane che
urla di dolore. Sapeva che l’unica difesa contro gli uomini era di nascondere
la sua ferita e aveva tentato di farlo per due giorni, ma ora non si sentiva
più la forza di prolungare quella lotta disuguale. In tutta Pietroburgo non
c’era una sola persona alla quale avrebbe potuto confidare il suo tormento, che
l’avrebbe compatito, che avrebbe visto in lui non l’alto funzionario, l’uomo di
alta posizione sociale, ma semplicemente un essere umano che soffriva.». è da notare che nel piano originario del
romanzo, Karenin avrebbe dovuto essere l’eroe tragico al centro della
narrazione mentre Anna avrebbe dovuto rappresentare il personaggio negativo (la
«donna rivoltante»). Nelle mani
di Tolstoj, poi, la situazione si era capovolta con un’Anna nobilitata e un
Karenin trasformato in un burocrate grigio e ottuso. In realtà, io credo che un
lieve pulviscolo dorato della primitiva nobile tragicità del personaggio sia
rimasto appiccicato su Aleksej Aleksandrovic.
Quest’amore così totalizzante sembra, quindi, un errore. Non dimentichiamo,
però, che esistono diversi aforismi che inneggiano all’amore smisurato e senza
freni: il poeta latino Properzio Sesto (45-15 a.C.) sosteneva: «Il vero amore
non ha mai conosciuto misura». Il romanziere e motteggiatore francese Roger
Bussy de Rabutin (1618-1693) scriveva: «Quando non si ama troppo, non si ama
abbastanza», mentre il poeta e commediografo francese Paul Geraldy (1885-1983) –
che aveva pubblicato nel 1913 la raccolta di poesie d’amore Tu e io – si giustificava dicendo: « è perché ti amo troppo,
se ti amo così male».
P.S. Il cinema e la televisione hanno amato Anna Karenina. Sono almeno venti le trasposizioni cinematografiche e televisive dal 1911 (film per la regia di Maurice Maître) al 2012 (film diretto da Joe Wright con Keira Knightley, Aaron Johnson e Jude Law). Da ricordare: Love (1927) per la regia di Edmund Goulding con Greta Garbo e i film Anna Karenina di Clarence Brown (1935) con Greta Garbo, di Julien Duvivier (1948) con Vivien Leigh, e di Bernard Rose (1997) con Sophie Marceau. Desidero rammentare anche la stupenda miniserie televisiva italiana del 1974 di Sandro Bolchi con una superba e indimenticabile Lea Massari.
P.S. Il cinema e la televisione hanno amato Anna Karenina. Sono almeno venti le trasposizioni cinematografiche e televisive dal 1911 (film per la regia di Maurice Maître) al 2012 (film diretto da Joe Wright con Keira Knightley, Aaron Johnson e Jude Law). Da ricordare: Love (1927) per la regia di Edmund Goulding con Greta Garbo e i film Anna Karenina di Clarence Brown (1935) con Greta Garbo, di Julien Duvivier (1948) con Vivien Leigh, e di Bernard Rose (1997) con Sophie Marceau. Desidero rammentare anche la stupenda miniserie televisiva italiana del 1974 di Sandro Bolchi con una superba e indimenticabile Lea Massari.
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