Franco Battiato Charles Aznavour
Mina
Carmen Consoli
Vorrei introdurre l'argomento chiedendomi, e chiedendovi, che cos’è
l’amore? è ovvio che la parola “amore” ha un
significato universale in grado di abbracciare una moltitudine di sentimenti. Il
miglior metodo per erudirsi in proposito, mi sembra la ricerca elementare dai
più diffusi dizionari. Nel Dizionario
di G. Devoto – G.C. Oli (Dizionari Le Monnier, Firenze 1971), una
vecchia copia che tengo nella mia libreria, viene data la seguente definizione di “Amore”: «fra due persone di
sesso diverso, dedizione appassionata ed esclusiva, istintiva e intuitiva,
volta ad assicurare reciprocamente felicità o benessere o voluttà». Gli autori
elencano, inoltre, i vari tipi d’amore: «appassionato, morboso, casto,
sensuale, contrastato, romantico, platonico, carnale, materno, filiale,
coniugale, familiare, di patria, per Dio, per il prossimo, eccetera». In
realtà, il riferimento alle «due persone di sesso diverso» sconcerta alquanto
perché sembra escludere completamente l’amore omosessuale, che pure è stato
grandemente esaltato nella letteratura e che ha ispirato pagine di estrema
bellezza: basti pensare a Saffo con le sue liriche struggenti e ai numerosi
grandi poeti o scrittori omosessuali del passato e del presente. Un
approfondimento ulteriore nella mia copia più aggiornata del Dizionario Garzanti (I Grandi Dizionari, Garzanti, Milano, 2005)
consente di leggere sotto la voce “Amore”: «affetto intenso, sentimento
di profonda tenerezza o devozione... inclinazione forte ed esclusiva per una
persona, fondata sull’istinto sessuale, che si manifesta come desiderio fisico
e piacere dell’unione affettiva». In questo dizionario più moderno, qualsiasi riferimento al sesso diverso è
scomparso; questo succede perché, in questi ultimi trenta anni, il nostro modo
di sentire è certamente (e per fortuna) molto cambiato. Nel
dizionario inglese The New Shorter Oxford English Dictionary (Clarendon
Press, Oxford, 1999) ho trovato una deliziosa definizione dell’amore; sotto la
voce “Love”, viene riportato testualmente: «That state of feeling with regard to a person
which manifests itself in concern for the person’s welfare, pleasure in his or
her presence, and often desire for his or her approval; deep affection; strong
emotional attachment… sexual passion… amatory relations… (Quel sentimento rivolto a una persona, che si
manifesta con l’interesse per il benessere di qualcuno, col piacere per la sua
presenza, e spesso col desiderio per la sua approvazione; affetto profondo;
forte attaccamento emotivo… passione sessuale… relazioni amorose…)».
Dovendo dare una
definizione sintetica dell’“Amore”, che includa anche l’amore omosessuale,
parlerei di un rapporto intersessuale selettivo ed elettivo che comprenda
reciprocità, intesa, solidarietà e possesso. Accanto alla capacità di
aprirci all’amato, richiamerei anche l’importanza di tentare di cambiare noi
stessi nell’amore per l’altro; quello che dico è esemplificato in modo ideale
nella bellissima frase di Gabriel García
Márquez (il grande scrittore
colombiano triste e misterioso, premio Nobel nel 1892): «Ti amo non per chi sei tu, ma per chi sono
io quando sto con te».
Sono molti gli
scrittori che hanno parlato dell’Amore, affrontando l’argomento con crudo
realismo o con intensa ispirazione lirica, e nel passato quasi sempre amore e
fidanzamento, o amore e matrimonio, sembravano coincidere o comunque
accavallarsi. La psicologia e la psicanalisi, che si occupano dei
sentimenti umani fondamentali, hanno prestato e prestano molta attenzione
all’Amore e ne hanno facilitato una più intima comprensione.
Ma sono anche molti gli autori di canzoni, i
cui testi hanno il respiro lirico della poesia. D’altra parte, la canzone
d’autore altro non è che autentica letteratura, di un genere diverso ma fra
l’altro molto sensibile ai cambiamenti rapidi della storia, della società e del
costume. La letteratura, da parte sua, si è spesso occupata della canzone:
Jaques Brel, artista poliedrico, ha scritto bellissime canzoni e Gesualdo
Bufalino, fine intellettuale, ha tradotto alcune canzoni di Charles Trenet. E perché
non misurare col metro della letteratura i testi di Fabrizio De Andrè oppure
quelli di Sergio Endrigo (così ricchi di solitaria e struggente malinconia)?
Desidero prendere in considerazione i testi
di alcune grandi canzoni di autori italiani.
Di Franco Battiato e Manlio Sgalambro,
desidero ricordare La Cura: «Ti proteggerò dalle paure delle
ipocondrie, / dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via. / Dalle
ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, / dai fallimenti che per tua natura
normalmente attirerai. / Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, /
dalle ossessioni delle tue manie. / Supererò le correnti gravitazionali, / lo
spazio e la luce / per non farti invecchiare. / E guarirai da tutte le
malattie, / perché sei un essere speciale, / ed io, avrò cura di te. // […] //
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. / Percorreremo assieme le vie
che portano all’essenza. / I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi, / la
bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi. / Tesserò i tuoi capelli come
trame di un canto. / Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono. / Supererò
le correnti gravitazionali, / lo spazio e la luce per non farti invecchiare. /
Ti salverò da ogni malinconia, / perché sei un essere speciale ed io avrò cura
di te... / io sì, che avrò cura di te.» (Da
“L’Imboscata” di Franco Battiato e di Manlio Sgalambro,
PolyGram 1996). Questo pezzo di Battiato è bellissimo; infatti, tutte
le donne – più o meno giovani – amerebbero sentirsi dire queste belle parole
dall’amato: ricevere grande cura da parte di qualcuno è tutto ciò che ogni
donna sogna per la vita, soprattutto se questo qualcuno la gratifica col
silenzio e la pazienza. Al contrario, accade molto spesso che i nostri uomini molto
amati siano parlatori a vanvera, intolleranti e trascurati!
Un’altra canzone di Battiato, tratta da “Fisionomica”, è da considerarsi bellissima (è ovvio che
il termine “canzonette” presente nel titolo è soltanto una provocazione): si
tratta di E ti vengo a cercare,
di cui riporto qualche verso: «E ti vengo a cercare / anche solo per
vederti o parlare / perché ho bisogno della tua presenza / per capire meglio la
mia essenza. / Questo sentimento popolare / nasce da meccaniche divine / un
rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te. / […] E ti vengo a cercare / con
la scusa di doverti parlare / perché mi piace ciò che pensi e che dici / perché
in te vedo le mie radici […]». (Emi
Records, 1988).
In Fleurs – esempi affini
di scrittura e simili, dedicato
alla rilettura di canzoni di altri grandi cantautori, Franco Battiato ha scelto
e selezionato brani musicali di così grande bellezza da considerarsi appartenenti
più al mondo della letteratura popolare che a quello della canzonetta; come
esempi ricordo: Te lo leggo negli
occhi di Sergio Endrigo, La
canzone dell’amore perduto
e Amore che vieni amore che vai di Fabrizio De Andrè (favole di amore e
malavita, veri e propri componimenti poetici), La canzone dei vecchi amanti di Jacques Brel, e Che resterà di Charles Trenet. Un comune percorso poetico di strisciante di
malinconia e di nostalgica letteratura sembra legare tutti questi cantautori.
Battiato ha citato anche Charles Aznavour,
il cantautore franco-armeno – lanciato negli anni Cinquanta da Edith Piaf – che
ho tanto amato nei miei giovanili anni perduti per le sue canzoni piene di
poesia pura, interpretate con una voce bassa e roca dal fascino inimitabile.
Aznavour fu molto apprezzato nell’Italia degli anni 60–70 e rappresentò
l’interprete ideale dell’amore spezzato – lui che ha vissuto, al contrario, un
lungo e felicissimo matrimonio d’amore. Tra i suoi brani italiani ricordo Ti amo, Lei (la bellissima She ripresa nel film “Notting
Hill” e cantata tra gli altri da Elvis
Costello), Mio commovente amore, Morire
d’amore, e Com’è triste Venezia. Alla bellissima E io tra di voi, inserita da Battiato in “Fleurs”, desidero dedicare qualche parola e recitarvi per intero il testo stupendo
della canzone. è la storia di un tradimento e della
solitudine di un uomo innamorato, che durante una triste serata segue
malinconicamente gli sguardi e i gesti complici della sua amata che in modo
sfacciato corteggia un altro: egli capisce tutto ma è assolutamente incapace di
reagire e resta impotente dinanzi ai due amanti che neanche si curano di lui.
Infine, disperato, ma negando ogni sofferenza, afferma addirittura di aver
passato «sì, una bellissima serata»:
«Lei di nascosto / osserva te, / tu sei nervoso / vicino a me. / Lei
accarezza / lo sguardo tuo / tu ti abbandoni / al gioco suo. / E io tra di voi
/ se non parlo mai / ho visto già / tutto quanto. / E io tra di voi / capisco che
ormai / la fine di tutto / è qui. / Lei sta spiando / che cosa fai / tu
l’incoraggi / perché lo sai. / Lei sa tentarti / con maestria / tu, tu sei
seccato / che io ci sia. / E io tra di voi / nascondo così / l’angoscia che / sento
in me. / Lei di nascosto / sorride a te, / tu parli forte / chissà perché. / Lei
ti corteggia / malgrado me, / tu, tu ridi poco / hai scelto già. / E io tra di
voi / se non parlo mai / ho gonfio di pianto il cuore. / E io tra di voi / da
solo vedrò / la pena che cresce in me. // Ma no / no, non è niente / forse un
po’ di fatica / no, cosa vai a pensare, / al contrario / è stata una bellissima
serata / sì, una bellissima serata.».
Tra
le canzoni che meritano qualche commento affettuoso, come non ricordarne alcune
degli anni ’60 cantate da Mina che hanno lasciato una forte impronta in me,
adolescente ingenua e sognatrice, accompagnando tutti i più importanti eventi
della mia vita? Ricordo le parole di E se domani (Rossi e Calabrese,
1967), che nella loro semplicità non mancano di un genuino lirismo: «E se domani io non potessi rivedere
te? / mettiamo il caso che ti sentissi stanco di me / quello che basta
all’altra gente / non mi darà nemmeno l’ombra della perduta felicità / e se
domani, e sottolineo se / all’improvviso perdessi te / avrei perduto il mondo
intero, non solo te […]». Come non
ricordare anche Un anno d’amore (Mogol, Testa e Ferrer, 1965), sempre cantata
da Mina, che recita: «Si può finire qui / ma tu davvero vuoi / buttare
via così / un anno d’amore? / Se adesso te ne vai / da domani saprai / un
giorno com’è lungo e vuoto / senza me. / E di notte / e di notte / per non
sentirti solo / ricorderai / i tuoi giorni felici ricorderai / tutti quanti i
miei baci […] / E capirai / in un solo momento / cosa vuol dire / un anno
d’amore. / […] Se adesso te ne vai / non le ritroverai / le cose conosciute / vissute
/ con me […]». Come Mina, molte di noi
si sono trovate spesso nella condizione di dire al proprio uomo: «[…] quando più stava cercandomi / forse
io mi allontanai / certo non lo rifarei / se tornasse caso mai […] / Le
importanti cose inutili (che ossimoro straordinario!)
/ che non gli ho saputo dire mai / forse le ricorderei / se tornasse caso mai.» (Se tornasse caso mai, Calabrese-Hermann,
1967). Si tratta di parole ingenue ma che non mancano di struggente forza
sentimentale!
E vorrei
ricordare anche Quattordici luglio, una bella
canzone di Carmen Consoli, la “cantantessa” originale e ricca di talento, vera icona
del mondo giovanile: «Guardavo le sue mani che stuzzicavano
insolenti una rosa finta / ed era così dolce il modo in cui / nascondeva
l’imbarazzo / mentre parlava e sorrideva ironicamente / delle proprie sventure
teneva gli occhi bassi // Guardavo le sue mani che si intrecciavano / tra i
ricami di una tovaglia / riuscivo a stento a trattenere la voglia / di
afferrarle di aggredire il suo dolore // misto all’incenso il sapore di un
pasto frugale / i ricordi storditi dal tempo / pur essendo simile a tante e a
tante altre persone / era speciale… speciale // Guardavo le sue mani che
enfatizzavano / opinioni con eleganza / tra le improvvise somiglianze / simbiotiche
intuizioni l’amichevole trasporto // misto all’incenso il sapore di un pasto
frugale / i ricordi storditi dal tempo / pur essendo simile a tante e a tante
altre persone / era speciale… speciale // mi lasciavo sedurre dalle sue manie /
mi lasciavo sedurre dalle sue manie / mi lasciavo sedurre dalle sue manie».
Moltissime
canzoni di altri autori e cantanti hanno parlato d’amore in modo straordinario
e, naturalmente, non si tratta di quelle canzoni piagnucolose e dolenti, quasi
comiche nel loro grondare deteriore sentimentalismo e melodramma, piene di
lacrime e singhiozzi, delle quali hanno scritto – con allegra ironia e cinico sarcasmo ma con competenza e
intuito – Paolo Madeddu e Paola
Maraone nel loro Da una lacrima sul viso... Come guarire i mali del mondo
attraverso l’ascolto omeopatico delle 50 canzoni più deprimenti del pop
italiano (Kowalsky editore, Milano, 2006). Nel libro gli autori consigliano
una sorta di terapia omeopatica, al fine di guarire dalla schiavitù di testi così
tristi da far male.
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