Renato Rascel
Cento anni addietro, a Torino (ma soltanto
per caso, perché era romano da ben sette generazioni), il 27 aprile del 1912,
nasceva Renato Rascel (all'anagrafe Renato Ranucci), il “piccolo–grande” artista di varietà, eclettico
quanto mai, che si cimentò nella recitazione, come ballerino comico e cantante,
ma anche nella stesura dei suoi testi e come poeta–cantautore e persino come inviato–giornalista, commentatore sportivo e scrittore di fiabe per
bambini.
Figlio d'arte, il padre Cesare era un cantante di operetta
mentre la madre, Paola Massa, era una ballerina classica. Renato nacque durante
una tournée e per l'impegno teatrale dei genitori fu affidato a una zia insieme
con la sorella Giuseppina (morta a soli diciassette anni). Talento precoce, a
dieci anni faceva parte già del “Coro delle Voci Bianche” della Cappella
Sistina e si esibiva come batterista in un complessino jazz. Sulle orme
paterne, ancora ragazzino, debuttò a fianco di Cesare nella filodrammatica del
padre “Fortitudo”, e all'età di tredici anni già lavorava come musicista nel
locale “La Bomboniera”. Fu una palestra impareggiabile per quel giovanissimo,
nato per il teatro e per la musica! Durante gli anni trenta, scelto lo
pseudonimo di Renato Rascel, si fece le ossa nell'avanspettacolo e nel 1933 fu notato
dalla critica al Teatro Lirico di Milano, con la compagnia teatrale Schwartz,
nella parte di Sigismondo nell'operetta Al
Cavallino Bianco.
Estroso e anticonformista, in quel periodo decise di
sfruttare la sua piccola statura (era chiamato “Renatino, il piccoletto”),
creandosi l'originale personaggio dell'omino candido e surreale, un originale ingenuo
e infantile, che – calato in
abiti di alcune taglie più grandi della sua – si abbandonava a sproloqui apparentemente senza senso ma pieni
di novità e invenzioni, e di una moderna e comica ironia (riuscì a conquistarsi
il grande l'entusiasmo di una grossa fetta di pubblico, che pure appariva
disorientata dalle sue battute prive di logica). è del 1939 la sua surreale tiritera È arrivata la bufera: «È arrivata la bufera / è arrivato il
temporale / chi sta bene e chi sta male / e chi sta come gli par», che diventò
il suo delizioso biglietto da visita. Seguirono altre filastrocche paradossali –
tra le quali: Mi chiamo Viscardo,
La canzone del baffo e La canzone della zanzara tubercolotica – che attirarono anche l'attenzione
della censura fascista. Scrisse di lui Cesare Zavattini nel 1940: «Ricava il
massimo dai suoi mezzi limitatissimi e io subisco l'incanto della sua pochezza,
senza voce senza recitazione senza spirito improvvisatore. Ci sentiamo tutte
madri davanti a Renato Rascel che canta le filastrocche con i modi di un
bambino tardivo e solitario». Lo stesso Rascel aveva detto: «Molti di quei
giochi di parole surreali li inventavo in scena, poi li scrivevo e rileggendoli
mi sembravano insensati» (http://www.italiamemoria.it /rascel/dichi.htm).
Il cinema si accorse di questo piccolo–grande attore. Nel 1942 Cesare
Zavattini e Vittorio Metz scrissero per lui la sceneggiatura di una commediola
scanzonata diretta da Giacomo Gentilomo, che
avrebbe dovuto intitolarsi “Un manoscritto in bottiglia”. Durante la
lavorazione del film, Rascel conobbe l'attrice Tina De Mola (per lei scrisse la
canzone Pazzo d'amore, che diventerà
la colonna sonora dell'omonimo film) e si sposarono ma per le vicende della
guerra gli sposini furono costretti a fuggire trovando rifugio in Vaticano (Rascel
era inviso ai nazisti che avevano occupato Roma). Quella di Rascel rimase soltanto
una piccola parte ma molto interessante.
I primi anni cinquanta furono i suoi anni d'oro. Ritornò al
teatro di rivista con la straordinaria maschera (non la chiamerei macchietta,
il termine mi sembrerebbe limitativo) del Piccolo
Corazziere, timido e accattivante anti–eroe, che con autoironia sbeffeggiava la sua bassa statura e il
suo dover convivere con un elmo e con una sciabola enormi. Così recitava la
lunga e talora sconclusionata filastrocca: «Mamma ti ricordi quando ero piccoletto,
/ che mi ci voleva la scaletta accanto al letto, / come son cresciuto mamma mia
devi vedere… / figurati che faccio il corazziere // Dicono che di crescere non
mi dovrò fermare / dicono che posso ancor più alto diventare / e perciò la sera
quando c'è la ritirata / mi danno l'acqua come all'insalata // […] // Quando
noi di scorta andiamo appresso a una vettura, / noi dobbiamo essere tutti
uguali di statura, / io perciò cammino tutto dritto appresso al cocchio / che i
miei compagni marciano in ginocchio // […] // Dice il comandante che farò una
gran carriera / perché c'ho la spada gli speroni e la panciera / per quel piede
dolce, saldo il cuor la mano lesta / e c'ho sta cassarola sulla testa // Quando
vo per la città / tutti esclaman: “Guarda là di quel corazziere se ne vede la
metà!” // […] // Se vedi un elmo che cammina solo / salutalo e sollevalo dal
suolo / che sotto mamma mia con gran piacere / ci troverai tuo figlio
corazziere». Ha scritto Gianni Canova: «Piccoletto, fisico nervoso, faccia
arguta e simpatica, buon fantasista e ballerino, di tip tap, ottiene notevole
successo nel varietà sino a formare una sua compagnia.» (Cinema, le garzantine, a cura di Gianni Canova, Garzanti, 2009). Di
sé, aveva scritto Rascel: «Era proprio un mio desiderio quello di portare al
pubblico un uomo che non fosse mai vincitore, ma sempre uno sconfitto: anche le
mie “bufere”, il mio corazziere, il mio Napoleone erano i drammi di un uomo
piccolo» (http://www.italiamemoria.it/rascel /dichi. htm).
Nonostante i grandi successi teatrali, non trascurò il
cinema. «Lento e irto di ostacoli, il cammino della ricostruzione tocca anche i
territori del cinema. […] Un paio di generi si contendono le preferenze del
pubblico, il comico e il feuilleton. Nel primo troneggia l'esuberante vena
partenopea di Totò […] Godranno di una certa popolarità anche Macario […], Tino
Scotti […], Walter Chiari […] e Renato Rascel […].» (ne “I generi del cinema
italiano”, Il Cinema – Grande storia
illustrata, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981). Di questi anni
ricordiamo «numerose pellicole che lo ripropongono pedissequamente come
macchietta comica dallo sproloquio verbale» (Gianni Canova); tra le più
importanti: Botta e risposta (1950)
di Mario Soldati con Nino Taranto e Isa Barzizza; Figaro qua figaro là (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia con Totò e
Isa Barzizza; Io sono il Capataz
(1950) di Giorgio Simonelli con Silvana Pampanini; Amor non ho… però… però (1951) di Giorgio Bianchi con Gina
Lollobrigida e Aroldo Tieri; Napoleone
(1951) di Carlo Borghesio con Carlo Ninchi, Sergio Tofano e Raimondo Vianello;
e Il bandolero stanco (1952) di
Fernando Cerchio con Lauretta Masiero e Tino Buazzelli.
Nel 1952 interpretò il film Il cappotto, di Alberto Lattuada, tratto dal noto racconto di
Nikolaj Gogol', che fu uno dei suoi grandi successi. Rascel per la prima volta
si misurò con un ruolo drammatico, uscendone vittorioso e dimostrando tutte le
sue corde di attore sensibile e coinvolgente (si meritò il Nastro d'Argento con
la seguente motivazione: «per l’estrosa collaborazione data al regista Alberto
Lattuada nel comporre il personaggio principale»). Gogol' così ci presenta
Akakij Akakievič Basmackin, il suo eroe, nel suo racconto Il cappotto (in “Racconti
di Pietroburgo”, Mondadori 1986): «Quando e in quale momento egli fosse entrato
nella divisione e chi l'avesse nominato nessuno ricordava. Per quanti direttori
e responsabili vari cambiassero, lui fu visto sempre allo stesso posto, nella
stessa posizione, nella stessa carica, sempre il medesimo impiegato alla
corrispondenza; tanto che poi si convinsero che lui evidentemente era venuto al
mondo già proprio bell'e fatto, con l'uniforme e la calvizie sul capo. Nella
divisione non lo tenevano in alcuna considerazione. I custodi non solo non
s'alzavano quando passava, ma non gli rivolgevano neppure uno sguardo, come se
una semplice mosca fosse volata attraverso la sala di ricevimento. I capi lo trattavano
in una maniera freddamente dispotica.». Gesualdo Bufalino (Dizionario di personaggi di romanzo, Oscar Mondadori, 1989) ha così
descritto il personaggio interpretato mirabilmente da Renato Rascel: «[…] non
si rifiuta mai di copiare; assolve, copiando, la propria sorte di solitario e
dannato nell'inferno polveroso degli archivi. Finché l'acquisto di un cappotto
non lo precipita nella rovina; un cappotto che vorrebbe essere il segno della
sua mite riscossa e diventa oggetto d'una esclusiva passione amorosa, gli fa
vece d'amante. Glielo rubano, muore. E, tramutato in fantasma, erra nella notte
inseguendo sul meglio incappottato burocrate di Pietroburgo la sua vendetta.».
Aveva scritto di lui Alberto Bevilacqua nel 1965: «Fra tutti i nostri comici,
Renato Rascel è a un tempo il più antico e il più moderno, per quella forza
della contraddizione non priva di logica. La sua faccia può assumere le argute
amarezze di Gogol', ma anche spalancarsi alla lucidità di un assurdo in quanto
tale, a un vuoto simbolico».
Trascinato dal successo de Il cappotto, nel 1953 Rascel volle cimentarsi nella regia
cinematografica: girò, insieme con Valentina Cortese e Paolo Stoppa, La passeggiata, tratto da un altro
racconto di Gogol', La prospettiva,
che raccontava la storia di un impacciato istitutore di collegio in una città
di provincia che s'innamora di una prostituta e la invita a una cerimonia, provocando
la reazione ipocrita dei benpensanti. Ha commentato Morando Morandini: «è una
commedia che riflette in pieno il tipo di comicità e di ambientazione piccolo borghese
nelle quali eccelleva» (il Morandini
– Zanichelli editore). Lo stesso Rascel aveva detto: «Sono un personaggio
russo. Potrei fare tutti i personaggi russi che esistono: dalle Anime morte a quello che prende gli
schiaffi. A me Il cappotto andava
bene di taglia e di cervello» (http://www.italiamemoria.it/rascel/dichi.htm).
Nel 1952, un vero anno fatato per Rascel, debuttò con Attanasio cavallo vanesio al Teatro
Sistina di Roma con la ditta Garinei e Giovannini (divenuto l'omonimo film nel
1953 per la regia di Camillo Mastrocinque); seguirono Alvaro piuttosto corsaro (1953) e Tobia, candida spia (1954). Non erano spettacoli di varietà ma vere
e proprie “favole musicali”, ricche di un lirico surrealismo. Dopo aver creato
una sua compagnia di prosa, il "Teatro del Piccolo", con risultati
non felici, nel 1957 ritornò alla grande commedia musicale al Teatro Lirico di
Milano con Un paio d'ali insieme a
Giovanna Ralli. Nel 1958 vinse la “Maschera d’argento” per il teatro di prosa.
Nel 1957 Rascel diventò noto in tutto il mondo grazie alla sua
tenera canzone Arrivederci Roma. Un
produttore di Hollywood gli propose The
Seven Hills of Rome (1958) di M. Russo e R. Rowland, con il tenore Mario
Lanza e Marisa Allasio, girato a Roma e distribuito in Italia con il titolo
della canzone.
Quello stesso 1957 vide l'annullamento del suo matrimonio
con Tina De Mola, dalla quale viveva separato pur mantenendo vivo il sodalizio
artistico. Nel 1966 sposò la sua segretaria personale Huguette Cartier, che
lasciò dopo l'incontro con l'attrice Giuditta Saltarini, con la quale ebbe nel
1973 Cesare, l'unico figlio, e che sposò nel 1980.
Nel 1959 interpretò il malinconico film Policarpo, ufficiale di scrittura di Mario Soldati con Carla Gravina
(Rascel vinse il premio David di Donatello e il film si aggiudicò al 12º
Festival di Cannes nello stesso anno il premio come miglior commedia mentre nel
1960 vinse il Nastro d'argento per i migliori costumi). Rascel ritornava a
interpretare un piccolo burocrate, Policarpo De Tappetti, un impiegato
ministeriale della Roma umbertina, uno zelante calligrafo molto simile ad
Akakij Akakievič, preciso e diligente ma vessato dal severo capo ufficio, il
Cav. Pancarano (un inimitabile Peppino De Filippo), il quale a un certo punto crederà
addirittura di essere ricattato da Policarpo, perché implicato in una storia di
tangenti per le macchine da scrivere dell'ufficio. Ha scritto Morandini: «Liberamente
ispirato a un libretto (1903) dell'umorista e giornalista Luigi Arnaldo
Vassallo (più celebre come Gandolin), è un film di garbo, una miscela di ironia
e di sentimento alla cui riuscita tutti hanno collaborato, dagli attori ai
tecnici. Squisito livello figurativo.» (il
Morandini – Zanichelli editore). Rascel abbandonerà il cinema nel 1969 dopo
aver girato l'ultimo film, Il trapianto
di Steno, con Carlo Giuffrè e Graziella Granata; ha scritto Morandini: «Miliardario
ottantenne offre un miliardo a chi, con un trapianto, gli consentirà di
riacquistare la perduta virilità. I prescelti sono: boscaiolo veneto, impiegato
romano con 14 figli, barone siciliano. Steno riesce a tenere sulle righe un
tema che poteva degenerare nel trucido, scritta con Giulio Scarnicci, Stefano
Strucchi, Raimondo Vianello.». E Rascel interpretava l'impiegato dai tanti
figli.
Negli anni cinquanta anche la Radio gli fece la corte:
interpretò nel 1952 le Avventure del
Barone di Münchhausen e Una domanda
di matrimonio da un testo di Anton Cechov, e da allora fu sempre presente
nei numerosi programmi che fecero della Radio di allora la regina
dell'intrattenimento leggero. Nel 1969 fu il conduttore di un programma
radiofonico di sport, Tutto da rifare,
appuntamento del lunedì con il pubblico che l'amava.
Naturalmente anche la neo–nata Televisione non poteva non
interessarsi del nostro grande Rascel. Gli furono proposti: 'Na voce, 'na chitarra e un po' di Rascel
(1955), Rascel la nuit (1956) e Stasera a Rascel–City (1958), col la
regia di Eros Macchi e la musica di Bruno Canfora, che fu un insuccesso clamoroso
ma che io ricordo bene e che m'impressionò per la poesia degli stracci
indossati da Rascel, Tina De Mola, Mario Carotenuto ed Ernesto Calindri, e per
il fascino insolito della inquietante periferia suburbana ricreata nello spettacolo.
Parlando d'«ironia commovente e umana», ha scritto Aldo Grasso: «Lo spettacolo
riunisce e fonde le caratteristiche del varietà, della rivista e della commedia
musicale. Rascel–City è una strana città di straccioni: tra essi c'è anche
Rascel, che lotta quotidianamente per la sopravvivenza, inventandosi i lavori
più improbabili per guadagnare qualche soldo. Il tema del barbone che vive ai
margini della società, privo di vincoli e di obblighi, e a cui dunque tutto è
consentito fa da filo conduttore del programma […]» (Enciclopedia della televisione, Garzanti, 2008). La TV gli diede forse
le sue più grandi soddisfazioni, però, soltanto alla fine degli anni Sessanta e
negli anni Settanta con Courteline (Les
Boulingrins, 1967, per la regia di José Quaglio), Ionesco (Delirio a due con Fulvia Mammi, per la
regia di Cottafavi) e Gilbert K. Chesterton (I racconti di padre Brown, di Vittorio Cottafavi con Arnoldo Foà). Questa
serie, costituita da sei episodi, uno dei maggiori successi della stagione, vedeva
come protagonista «il prete– investigatore Padre Brown, impersonato da Renato
Rascel, assai più casereccio dell'acuto personaggio inventato dallo scrittore
inglese, ma altrettanto efficace. Vera antitesi del detective tradizionale,
candido e saggio, risolve i casi con sagacia e arguzia. Degno comprimario è
Arnoldo Foà, nella parte del ladro redento, ma non troppo Flambeau […]» (Enciclopedia della televisione, a cura
di Aldo Grasso, Garzanti, 2008). Nel 1972 Rascel condusse la trasmissione Senza Rete, in cui ritornò alle sue “strampalate”
filastrocche cantate. Nel 1977 interpretò un “cameo” per Franco Zeffirelli (era
il nato cieco) nel kolossal televisivo Gesù
di Nazareth. Negli anni Ottanta, le sue presenze si fecero rare e preziose:
con Giuditta Saltarini fu nella “situation comedy” Nemici per la pelle (1980) e nel 1983 condusse il varietà La porta magica, che rappresentò il suo congedo definitivo dal pubblico della TV.
Nel 1960 Renato Rascel, in coppia con Tony Dallara, colse al
Festival di Sanremo un grande successo non privo di polemiche con la canzone Romantica, da lui composta (il testo
era di Dino Verde) e da lui letteralmente “sussurrata” al microfono. Aveva
scritto: «Mi solleticò il desiderio di andare controcorrente. Tutti urlavano e
io sussurravo, tutti si agitavano e io mi presentavo con la mia figura esile a
dichiararmi l'ultimo poeta che sospira alla luna» (http://www.italiamemoria.it/rascel/dichi.htm).
Sue erano anche le romantiche melodie di Con
un po' di fantasia e di Venticello
de Roma.
Ritornato al teatro di qualità, nel 1961 ebbe un grande
risultato con l'indimenticabile commedia musicale Enrico '61, nata sulla scia delle celebrazioni per il Centenario
dell'Unità d'Italia, con Gianrico Tedeschi, Gisella Sofio, Renzo Palmer e
Gloria Paul (replicò il successo anche in televisione nel 1964). Nel 1964
trionfò, accanto a Delia Scala, nella commedia musicale di Garinei e Giovannini
Il giorno della tartaruga (trasmessa
in TV nel 1966). Nel 1966 fu in teatro con lo spettacolo di prosa La strana coppia di Neil Simon, insieme
con Walter Chiari. Nel 1970 fu la volta della nuova commedia musicale di
Garinei e Giovannini Alleluia brava
gente, spettacolo rimasto mitico e riproposto più volte anche da altri, con
un giovane Gigi Proietti; con questo lavoro Renato Rascel si congedò per sempre
dal teatro Sistina. Nel 1972 mise in scena Il
prigioniero della seconda strada di Neil Simon, nel 1973 Il capitano di Köpenick di Carl
Zuckmayer, e nel 1976 Farsa d'amore e
gelosia con Giuditta Saltarini, Arnoldo Foà e Francesca Romana Coluzzi. Nel
1985 fu in D'amore si ride di Murray
Schisgal con la Saltarini e nel 1986 fece la sua ultima apparizione con Walter
Chiari nel dolente Finale di partita
di Samuel Beckett (con questo testo Renato Rascel chiudeva anche la sua partita
con il teatro).
Renato Rascel – che nel 1990 aveva creato una scuola di
teatro con la moglie Giuditta Saltarini – si congedò dal suo pubblico con
un'ultima apparizione pubblica ai Campionati Mondiali di Calcio dello stesso
anno, tenutisi in Italia, cantando le sue indimenticabili melodie e soprattutto
l'immortale Arrivederci Roma. Morì a
Roma il 2 gennaio del 1991 e fu sepolto nel Cimitero Flaminio di Roma
Rascel fu anche uno scrittore sensibile (aveva una vena
poetica molto forte). Come dimenticare la malinconica canzone Ninna nanna del cavallino (Garinei –
Giovannini – R. Rascel, 1953) che ha influenzato il mio immaginario infantile: «Lungo
i pascoli del ciel / cavallino va / tutto d'oro è il tuo mantel / nell'azzurrità.
/ Vecchia luna di lassù / mostragli il cammin. / Stelle d'oro / fate il coro / per
le vie del ciel. / E volando volando / il cavallino
arrivò / sotto una nuvoletta rosa e si fermò. / Cosa cerchi gli domandò una
piccola stella. / “Cerco il mio padroncino” rispose / “ma sono tanto stanco”. /
Allora la stellina chiamò tante altre stelle / e tutte insieme gli fecero un
coro. / Appena il cavallino si addormentò / l'Orsa Maggiore disse: / “Vecchie
stelle di quassù / non cantate più. / Dormi dormi / sogni d'oro. / Buonanotte a
te / Buonanotte…” / Buonanotte… cavallino mio.». Negli anni sessanta scrisse
tre impareggiabili libri di favole per bambini (pubblicati dall'editore
Mursia), tra i quali Il Piccoletto,
tradotti anche in altre lingue.
Nel
1986 la TV – spesso dimentica di quei grandi artisti che l'hanno fatta grande –
gli ha dedicato un interessante programma in dodici puntate, C'era una volta io… Renato Rascel, di Giancarlo Governi, nel quale egli raccontò
la sua vita e i suoi successi e nel quale fece al suo amato pubblico l'ultimo
regalo: cantò la sua ultima canzone E
cammina, cammina…, scritta per la
sigla di coda (il testo era di Massimiliano Governi).
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