Una vampata d’amore
Talora, l’amore tra una persona giovane e una più anziana può provocare gelosia e umiliazioni senza fine, quando nel loro legame non esistono né un adeguato rispetto né una fiducia reciproca.
Il grande regista svedese Ingmar Bergman (1918–2007), convinto che «l’amore è il significato segreto del vivere», nel suo film Una vampata d’amore (Gycklarnas afton) (1953) – forse il migliore del suo primo periodo (aveva fornito il soggetto e aveva fatto la sceneggiatura e la regia) – narra con fascino irrepetibile l’amore cupo e disperato per una giovane cavallerizza, nato in un piccolo circo (che è una simulazione, lo specchio della realtà e della vita), da parte del direttore, un uomo brutto e vecchio, che per lei lascia la moglie e i figli. Il film presenta una specie di prologo in cui il regista mostra una donna non più giovane che fa il bagno, irrisa da un branco di militari; la donna è Alma (Gudrun Brost), la moglie del clown Frost (Anders Ek), che la prende in braccio per portarla sotto il tendone del circo ma entrambi cadono facendosi male e vengono soccorsi dagli altri clown. Al prologo segue la storia di Albert (Åke Grönberg), il direttore del circo, che trascina una torbida e umiliante relazione con la sua amante Anne (la mitica Harriet Andersson, attrice feticcio di Bergman). Albert è lacerato dalla gelosia mentre Anne è oppressa dalla noia di un rapporto ormai stanco. Durante il suo girovagare, il circo perviene, intanto, nella città ove abita Agda (Annika Tretow), la tradita moglie di Albert. Spinto dal desiderio di ricominciare una nuova vita con lei, Albert le chiede di ritornare con lui ma la donna, disgustata dal suo comportamento, lo respinge. Intanto, Anne tradisce Albert con Frans (Hasse Ekman), un attore di teatro che l'attira e la inganna regalandole un bel gioiello che si rivelerà falso. Albert va da Frans per chiedergli alcuni costumi in prestito ma l'attore lo tratta malissimo, insultandolo, prendendolo in giro e costringendolo a una colluttazione. Preso a pugni e abbandonato nella polvere, Abert decide di tornare nel suo carrozzone e di uccidersi; rivolge poi, invece, la sua pistola verso un orso e lo uccide, riprendendo con il circo la sua vita dolorosa e disillusa. Nel film c'è anche Gunnar Björnstrand (altro attore feticcio, che interpreta il signor Sjuberg). In un intreccio tumultuoso, si mescolano malinconico erotismo, umiliante gelosia e tragico disincanto.
La critica francese ha giudicato il film «come una delle più perfette delle opere “nere” di Bergman», in cui si muove confusamente un'umanità infelice, incapace di vero amore e senza possibilità di modificare la sua condizione d'infelicità.
è scritto su il Morandini di Laura, Luisa e Morando Morandini (Zanichelli editore): «Le miserevoli peripezie sentimentali del direttore di un piccolo circo ambulante che ha abbandonato moglie e figli per una cavallerizza. Erotismo, gelosia e umiliazione in combinazioni variabili per uno dei film più cupi e disperati di Bergman, qui palesemente influenzato, a livello stilistico, dall'espressionismo e incline a metafore e persino allegorie (il circo come palcoscenico della vita). Una delle vette del primo Bergman. “È un tumulto, ma un tumulto ben organizzato… un film relativamente sincero e svergognatamente personale” (I. Bergman). La fotografia è del fido Sven Nykvist.».
Alfonso Moscato (in Ingmar Bergman – La realtà e il suo doppio, Edizioni Paoline, Roma, 1981) ha scritto: «Il romanticismo, trionfante o residuale, dei film precedenti è completamente superato da una forma di aggressività estetica che si esprime attraverso l'espressionismo delle immagini, la virulenza della recitazione e quella specie di sadismo con il quale vengono scarnificati, umiliati, annientati il personaggio e l'umanità che esso rappresenta.».
Lo stesso Bergman, pluridivorziato, sceneggiatore del film L’infedele, girato da Liv Ullman nel 2000 e incentrato su adulterio e divorzio, a proposito del fallimento dell'amore e del matrimonio, fa leggere da una voce recitante all’inizio del film le seguenti parole: «Nessuna forma di fallimento comune, né malattia o rovina finanziaria né sfortuna professionale provoca un’eco tanto crudele e profonda nell’inconscio quanto il divorzio. Tocca direttamente l’origine dell’angoscia e la risveglia con un colpo solo, penetra fin dove arriva la vita.».
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