L'angelo azzurro
Nell'ambito di amore senile e degradazione, ricordo l’amore malato e degradante ne L’Angelo azzurro (Der Blaue Engel) dell’anziano professor Unrat per la fatale Lola–Lola, interpretata da Marlene Dietrich, che da questo film ricevette la sua consacrazione come diva internazionale. Film barocco e raffinato, intriso di decadentismo, fu girato nel 1929 (proiettato a Berlino nel 1930) dal grande regista tedesco–americano Joseph von Sternberg (1894–1970), che si spostò da Hollywood a Berlino proprio per dirigere Marlene, della quale fu il regista privilegiato e l’attento maestro artistico.
Il film, veramente grande da un punto di vista artistico, è tratto da Il professore Unrat, il primo libro del geniale Heinrich Mann (1871–1950) (i piccoli brani da me citati sono tratti dalla versione tradotta da Anna Reali, Newton Compton Editori, Roma, 1995). Vi si narra, in modo crudo e satirico, l’amore senile e dissennato di un anziano professore berlinese di liceo, il professor Unrat, rigido e perbenista (ma che rivela nel suo Io profondo un «interessante lato anarchico»), grottesco e autoritario, molto odiato dai suoi allievi per la sua severità (aveva «lo sguardo di un tiranno con la coscienza sporca»). L’uomo è sempre vissuto in modo monotono e grigio in una città di provincia, stretto in un rigoroso formalismo e senza avventure sentimentali (nel film si chiama professor Immanuel Rath ed è interpretato da Emil Jannings). Il professore vuol conoscere la bellissima e sensuale ballerina di cabaret Rosa Frohlich, nel film Lola–Lola («Laggiù, tra il fumo, si distingueva solo una cosa scintillante, un oggetto vivacissimo, qualcosa che agitava braccia, spalla e gambe, insomma un lembo di carne chiara illuminata a giorno da un riflettore, e spalancava una gran bocca nera...»), frivola e cinica, sciantosa dell’“Angelo azzurro”, la donna di tutti, amata e desiderata in foto dagli odiatissimi allievi, distratti durante la scuola a causa sua. La incontra e diventa il suo insostituibile cavaliere. Nel desiderio di salvarla, l’avvolge nella sua ala protettiva ed è fiero di lei: «...era unica e il suo posto era a fianco di Unrat, al di sopra del resto dell’umanità... Era superiore a tutti, sacra e sola al cospetto dell’umanità...». Ne diventa lo schiavo, odiando il suo pubblico di soli uomini e contrapponendola al resto del mondo; impara a truccarla e diviene indispensabile nel suo camerino. Se ne innamora perdutamente, e infine – gongolando di dissennata vanità senile e di entusiasmo puerile – ne fa una parte di sé e la sua sposa: «All’improvviso vide che tutta la sua energia creativa era subordinata a lei, che la sua volontà già da tempo era rivolta a lei e che tutto ciò cui aspirava nella vita si esauriva in lei... Su di lei si era riversata l’esasperata tenerezza del misantropo... L’amore di Unrat era votato alla protezione della Frohlich, e per lei andava a caccia della preda: era l’amore vero d’un maschio. Eppure anche quell’amore finiva per essere una debolezza...». Nello scandalo generale, provocato dalle chiacchiere per la sua condotta disdicevole, e dopo aver perso l’insegnamento, Unrat sfida tutti e diviene ancora più arido e maligno, iniziando una sordida e autodistruttiva vita di sottomissione e degradazione «nel buio sempre più cupo del peccato e della perdizione», che coinvolge in un marcio processo di corruzione la città intera. Nel romanzo, Unrat finisce in manette (dopo aver tentato di strozzare un odiato allievo, spasimante di Rosa) in mezzo ai poliziotti e alla folla urlante, insieme con la moglie resa da lui una mondana di lusso, più arrogante e indegna di prima. Tuttavia non si pente di nulla: «Una cosa è certa: chi riesce a raggiungere le vette più alte è uno che conosce bene anche i più impenetrabili abissi.». Nel film, dotato forse di una forza sardonica più sconvolgente di quella del romanzo, Unrat–Rath, invece, si degrada a tal punto da rappresentare una squallida parte di penoso clown in un numero di varietà in mezzo alla derisione sguaiata del pubblico; quando scopre che la moglie, che ama profondamente, lo tradisce con un giovane attore della compagnia, schiantato dalla vergogna, tenta di strangolare Lola Lola ma viene portato in manicomio e rinchiuso in una camicia di forza. Quando, infine, viene liberato, va a morire misero e solo nella sua vecchia scuola, sulla sua perduta cattedra di professore. Heinrich Mann era il fratello maggiore del grandissimo scrittore Thomas Mann (1875–1955) – col quale Heinrich si trovò spesso in posizioni di duro antagonismo – che scriveva «E’ l’amore, non la ragione, che è più forte della morte».
Ha scritto Pino Farinotti a proposito di questo grande capolavoro cinematografico: «Il film è del 1930. È il grande momento della Germania, della Repubblica di Weimar che rappresenta la più alta manifestazione culturale del nostro secolo. Un vero fenomeno, una sorta di Rinascimento del diciannovesimo secolo. Letteratura, teatro, pittura, design, scienza, cinema: Weimar detta nuove regole al mondo. Sono invenzioni fondamentali i cui segni rimangono vivi e attivi anche nel nostro tempo. Una delle parole chiave è “espressionismo”. Un gruppo di autori di lingua tedesca come Lang, Murnau e von Sternberg trova questa nuova forma, mediata dalle arti figurative, importantissima, decisiva. Molti di questi autori, dopo il 1933, con l'avvento di Hitler, abbandoneranno il loro paese portando la corrente in tutto il mondo civile, soprattutto in America. Marlene Dietrich arrivava nel momento più opportuno, a rappresentare qualcosa di ben più vasto di una parte in un film. Catalizzava fisicamente quella tendenza. Ne era, forse inconsapevolmente, una sorta di sintesi. Veniva da ruoli insignificanti e si trovò titolare di un personaggio, Lola Lola, che avrebbe costruito un precedente imprescindibile tramandato per decenni dalla stessa Dietrich e imitato con assoluta trasparenza. I grandi segni erano: cappello a cilindro, calze e giarrettiere nere, boa di piume. Di suo l'attrice ci mise una voce roca e profonda, una carnagione bianchissima di contrasto e due gambe notevoli…» (http:// www.mymovies.it/ dizionario/recensione.asp?id=1636).
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