sabato 25 febbraio 2012

Assia Noris, la diva ingenua e sognatrice



Assia Noris



Il 26 febbraio del 1912, cento anni addietro, nasceva a San Pietroburgo (capitale dell'Impero Russo) Anastasia Noris Von Gerzfeld, attrice italiana di origini russe, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Assia Noris. Girò circa 26 film.

Figlia di un conte ufficiale tedesco e di una donna ucraina, dopo la rivoluzione di Ottobre, fuggì con la famiglia a Nizza, in Francia, ove frequentò il liceo. Aveva appena compiuto sedici anni quando, nel 1928, apparve nel film muto Venus (Venere moderna) di Louis Mercanton, insieme a Costance Talmadge (vedere: Enrico Lancia e Roberto Poppi, Dizionario del cinema italiano. Le attrici dal 1930 ai giorni nostri, Gremese editore, 2006).

Giunse in Italia nel 1929 e, ancora giovanissima, nel 1932 debuttò nel cinema con Trois hommes en habit di Mario Bonnard e – grazie alla sua versatilità nelle lingue – nel 1933 girò con lo stesso regista la versione per il mercato italiano intitolata Tre uomini in frack, insieme con Maria Wronska, Milly, Eduardo e Peppino de Filippo, e Tito Schipa. Recitò con Bonnard ancora in Ève cherche un père (1933), La marche nuptiale e la sua versione italiana La marcia nuziale (1934) con Kiki Palmer, Tullio Carminati ed Enrico Viarisio.

Fu però il regista Mario Camerini (1895–1981) – definito «il cineasta che parla sottovoce» e tecnicamente scaltro ed elegante, amò i toni crepuscolari e il chiaroscuro, l'intimismo e la levità dei sentimenti, il mondo della piccola borghesia e del proletariato, l'umanità minuta e le storie ricche di patetismo – che mise in luce il potenziale dell'attrice e le consentì di raggiungere il grande successo popolare. Camerini sposò Assia Noris nel 1940 (l'amore finì e si lasciarono nel 1943) e la trasformò da bambolina leziosetta e vanesia in una sensibile attrice, facendola recitare spesso insieme al grande divo del momento: il giovane e frizzante Vittorio De Sica nel personaggio del bravo ragazzo scherzoso e ironico, un po' sbruffone ma simpatico. Con i film di Camerini e grazie al suo tandem con De Sica (il “bel giovane rubacuori”) Assia Noris divenne l'attrice più richiesta del mondo della celluloide italiano. Aveva quella grazia gentile e delicata che le consentiva d'interpretare al meglio – in quelle commedie d'intrattenimento, dall'intreccio comico–sentimentale, leggere e garbate, tipiche del periodo – il ruolo della ragazza timida e ingenua, onesta e di nobili sentimenti, sognatrice ma in fondo con i piedi ben saldi sulla terra, la fidanzatina di tutti e la ragazza della porta accanto («pian piano alla naturale espressività aggiunse dei tempi da ottima attrice comica», scrisse Tullio Kezich). La presenza semplice e sincera di Assia – metafora di un'Italia povera ma dignitosa e pulita – rappresentò certamente uno degli elementi dominanti per il successo dei film di Camerini, quali Giallo (1933) – da un racconto di Wallace, nel ruolo di Henriette, con Sandro Ruffini ed Elio Steiner –; Darò un milione (1935) con Vittorio De Sica; Ma non è una cosa seria (1936) – da una commedia di Pirandello, nel ruolo della signorina Loletta Festa, con Vittorio De Sica nel ruolo di Memmo Speranza (la parte più importante di Gasparina toccò a Elisa Cegani) –; Il signor Max (1937) con Vittorio De Sica; Batticuore (1939) con John Lodge e Luigi Almirante; I grandi magazzini (1939) con Vittorio De Sica (presentato in concorso alla 7ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia); Centomila dollari (1940) con Amedeo Nazzari; Una romantica avventura (1940) – versione italiana di un racconto di Thomas Hardy, nel ruolo di Annetta, con Gino Cervi e Leonardo Cortese –; e Una storia d'amore (1942) con Piero Lulli e Carlo Campanini, nel ruolo sofferto di Anna Roberti, prostituta pentita che dopo aver ucciso il suo ricattatore muore di parto in prigione (vedere: Massimo Scaglione, Le dive del ventennio. Torino, Edizioni Lindau, 2003).

Grazie alla sua bellezza slava (occhi azzurri e boccoli biondi), alla sua grazia e al suo esotico accento straniero, divenne una delle grandi dive del cinema degli anni trenta, l'eroina di un mondo lindo e romantico, premiato spesso e volentieri dallo stereotipato “e vissero felici e contenti”. In quegli anni lavorò (talora soltanto in particine) con Anatole Litvak in Mayerling (1936) insieme a Charles Boyer e Danielle Darrieux; con Mario Mattoli ne L'uomo che sorride (1936) insieme a Vittorio De Sica, Umberto Melnati ed Enrico Viarisio; con Goffredo Alessandrini in Una donna tra due mondi (1936) insieme a Isa Miranda, Gustav Diessl e Mario Ferrari; con Nunzio Malasomma ne La signorina dell'autobus (1933) insieme ad Antonio Gandusio, Franco Coop e Osvaldo Valenti, e in Nina, non far la stupida (1937) insieme a Nino Besozzi; e con Marco Elter nel comico Allegri masnadieri (1937) insieme a Guido e Giorgio De Rege e a Camillo Pilotto. Fu anche in Maman Colibri (1937) di Jean Dréville con Huguette Duflos e Jean–Pierre Aumont, e in Voglio vivere con Letizia (1938) di Camillo Mastrocinque con Gino Cervi e Umberto Melnati.

Continuò a volare sulle ali del successo con Dora Nelson (1939) di Mario Soldati (delizioso film tratto dalla pièce teatrale di Louis Verneuil, nel quale Assia interpretava un ruolo doppio: l'ingenua Pierina e l'insopportabile Dora, diva piena di capricci, insieme a Carlo Ninchi e Luigi Cimara), e con i film dei registi più famosi del tempo, quali Con le donne non si scherza (1941) di Giorgio Simonelli con Umberto Melnati e Carlo Campanini; Luna di miele (1941) di Giacomo Gentilomo con Aldo Fiorelli e Luigi Cimara; Un colpo di pistola (1942) – tratto da un testo di Puškin, nel ruolo di Mascia, e la sua bellezza radiosa fu esaltata dai superbi costumi disegnati da Maria De Matteis – di un esordiente Renato Castellani con Fosco Giachetti e Antonio Centa; e Capitaine Fracasse (1942) di Abel Gance con Fernand Gravey, Roland Toutain e Alice Tissot. In alcuni di questi film si cimentò anche in ruoli drammatici, rivelando un certo spessore nella recitazione.

Pian piano, con la fine della seconda Guerra mondiale, il successo di Assia Noris sembrò destinato a tramontare. Aveva avuto modo d'incontrare Adolf  Hitler, che descrisse in modo ironico: egli avrebbe voluto utilizzare a scopo politico quell'attrice così perfetta a incarnare l'ideale ariano della pura razza eletta (la Noris gli diede una risposta negativa per recitare nel cinema di Stato tedesco). Ha scritto Roberto Festorazzi (“Assia Noris, una diva alla corte di Goebbels”, www.avvenire.it/Cultura/Pagine/Noris-alla-corte-di-goebbels.aspx, 13 ottobre 2011): «Un'artista che torna alla ribalta attraverso una rilettura del rapporto tra il mondo del cinema e i regimi forti del Novecento. […] Assia divenne così la regina del cinema autarchico di Cinecittà, vero contraltare di Hollywood celebrato dal Duce come l'arma propagandistica più forte, in grado di plasmare l'immaginario delle masse. […] Nel dopoguerra, lamentò presunte persecuzione ordite ai suoi danni dalla censura del Minculpop, poi addirittura una sua deportazione in Germania. Di questa diva dell'Asse ho trovato alcune fotografie inedite che raccontano però un'altra verità: le sue connessioni con l'alta politica del Reich nazista. Le immagini la ritraggono in compagnia di Joseph Goebbels, il potente ministro della Propaganda di Hitler. […] Le dive di celluloide, oltre che ambasciatrici dei propri rispettivi Paesi, si prestavano a divenire intime collaboratrici di quest'alleanza, o matrimonio, tra i due modelli  autoritari e antibolscevichi che a quel tempo parevano vincenti in Europa. Le attrici del cinema di Goebbels e di Mussolini, oggetto di un nuovo culto popolare, come nuove dee di un rito collettivo politeista, attraverso il loro volto e la presenza stessa nella vita delle proprie nazioni, contribuirono infatti a celebrare il mito di una nuova civiltà che trovava i suoi natali proprio nella fondazione dell’Asse. Come prodotto di esportazione, poi, il cinema totalitario ambiva ad essere strumento di attiva penetrazione delle idee–guida di quei regimi, e dunque arma propagandistica per eccellenza. Con il crollo di quei regimi che l'avevano lanciata come un astro nel firmamento pavesato di croci uncinate, Assia Noris vide franare anche gli ultimi sogni.». Al contrario, si raccontava di suoi rapporti difficili con il regime – in particolare con il Ministero della Cultura Popolare e con il ministro Gaetano Polverelli – a causa del comportamento anticonformista dell'attrice, in nulla rispondente all'“etica del regime” ipocrita e bacchettona, ma sembra che – come riporta Roberto Festorazzi – Assia fosse gradita a Roberto Farinacci, il potente ras di Cremona, ministro di Stato ed esponente dell'ala filo–germanica del regime fascista, che una volta durante una sua visita ufficiale compiuta in Germania tra la fine di settembre e l'inizio di ottobre del 1940, si servì della bionda attrice come interprete.

Tramontata la sua stella nel mondo del cinema – come ha scritto Matteo Contin (in “Rapporto Confidenziale”, numero 34, estate 2011): «il cinema italiano era appena passato dalla rivoluzione neorealista e un volto legato a un modo di fare cinema così differente, era considerato poco adatto» –, tentò la via del teatro, debuttando nel 1944 nella commedia di Anna Bonacci L'ora della fantasia con Carlo Ninchi e Roldano Lupi (da questa commedia, nel 1952, Camerini trasse il film Moglie per una notte, interpretato da una splendida Gina Lollobrigida). Nel 1945 Assia partecipò alla rivista di Morbelli Col Cappello sulle ventitré con Dina Galli e Odoardo Spadaro per la regia di Camillo Mastrocinque (vedere: Enrico Lancia e Roberto Poppi, Dizionario del cinema italiano. Le attrici dal 1930 ai giorni nostri, Gremese editore, 2006).

La Noris continuò a lavorare nel cinema con alterna fortuna; da ricordare: Le voyageur de la Toussaint (1943) di Louis Daquin con Jean Desailly, Gabrielle Dorziat e Jules Berry; Una piccola moglie (1943) di Giorgio Bianchi – tratto dall'omonimo romanzo ungherese di Zoltan Szatnyai – con Fosco Giachetti, Clara Calamai e Renato Cialente; Che distinta famiglia! (1945) di Mario Bonnard con Gino Cervi, Aroldo Tieri, Paolo Stoppa e Rina Morelli; Nessuno torna indietro (1943) di Alessandro Blasetti – tratto dall'omonimo bel romanzo di Alba de Céspedes – con molte delle più belle e brave attrici dell'epoca (Dina Sassoli, Elisa Cegani, Mariella Lotti, Doris Duranti, Maria Mercader, Valentina Cortese e Maria Denis); e La peccatrice bianca alias Amina (1950) di Goffredo Alessandrini, girato in Egitto, con Youssef Wahaby e Rouchdy Azaba.

Nel 1964, a sorpresa, Assia Noris ritornò sullo schermo da protagonista nel suo ultimo film quasi profetico, La Celestina P. R. di Carlo Lizzani (lo aveva scritto e prodotto lei stessa, scegliendo il suo regista), con Beba Loncar, Raffaella Carrà, Venantino Venantini, Marilù Tolo, Nino Crisman e Piero Mazzarella. Il film racconta di Celestina, una donna d'affari elegante e raffinata ma intraprendente e senza scrupoli, che procura ragazze disponibili (oggi diremmo “escort”) a facoltosi uomini di potere, che la donna ricatta con fotografie e videoregistrazioni per procurarsi il denaro che le consente di condurre una vita piena di agi e di lusso, in un mondo che sembra aver perso tutti i suoi ideali, fagocitati dall’arrivismo più cinico e dalla voglia di ricchezza fine a sé stessa. In una sua critica al film, Matteo Contin (in “Rapporto Confidenziale”, numero 34, estate 2011) ha scritto: «Questo film di Lizzani è una semplice commedia di costume da cui emergono in maniera divertita non solo i vizi e i segreti della Milano da bere, ma anche come il boom economico abbia trasformato tutto in commercio, anche il corpo delle donne. Il ritratto sottilmente negativo di questa Milano è una scelta ben precisa e non semplicemente il riflesso del sentire di un'epoca sulla superficie del film. L'intento del film è una chiara e (in parte) coraggiosa presa di posizione (anche se travestita da commedia), purtroppo non sostenuta a dovere dalla sceneggiatura. […] Il film, utilizzando i toni della commedia (a dire il vero abbastanza innocua), critica sarcasticamente quel tipo di società mettendosi però dalla sua parte, ovvero facendo della Celestina il personaggio con cui lo spettatore riesce a immedesimarsi di più. Partecipiamo con lei alle sue malefatte e con lei condividiamo i suoi scopi, senza arrivare mai ad odiarla del tutto anche quando, alla fine della pellicola, scappa per evitare guai giudiziari. Non sempre la sceneggiatura ([…], prendendo spunto da “La Celestina” di Fernando De Rojas) centra il bersaglio con la sua satira, forse perché i toni sono talmente pacati che graffiare qualcuno è praticamente impossibile. Ogni tanto qualche buon colpo va a segno, ma questo non basta per rendere il film corrosivo quanto avremmo voluto. […] Assia Noris si rimette in gioco e costruisce un personaggio ambiguo al punto giusto, sottilmente malvagio, la cui astuzia è trasfigurata visivamente in un corpo attoriale che si fa immagine e icona, con il suo trucco eccessivo, i gioielli sfarzosi e i numerosi cambi d'abito. La Noris s'impegna e porta a casa un personaggio interessante, che non sempre convince (soprattutto quando diventa colonna portante del film), ma che grazie a dei buoni attori di contorno, riesce a uscirne con dignità e classe.». Lizzani ammise di aver accettato il film, incuriosito dal compito di rappresentare una commedia popolare che raccontava con ironia il presente ma che voleva anche mandare un messaggio critico alla degradata società milanese del tempo.

Ritiratasi definitivamente dalle scene, la Noris tagliò tutti i ponti col passato, vivendo assolutamente appartata e negandosi a interviste o a partecipazioni televisive. Morì in ospedale a Sanremo (ove viveva) il 27 gennaio del 1998. Aveva 85 anni e portava con sé tutti i segreti della contessa Anastasia Noris Von Gerzfeld. Come tutte le dive che si rispettino, si era sposata cinque volte: il primo marito fu il conte Gaetano Assia (dal suo cognome aveva preso il nome d'arte), il secondo Roberto Rossellini (ma soltanto per due giorni), seguito da Mario Camerini, dall’ufficiale inglese Jacob Pelster (che la lasciò ben presto vedova) e dal ricco ingegnere petroliere egiziano Tony Habib.

Nel suo articolo “Aveva 85 anni. Cinque matrimoni, fu moglie di Rossellini Addio Assia Noris, diva del mistero nel cinema dei "telefoni bianchi"” (Corriere della Sera, 28 gennaio 1998), Tullio Kezich così scriveva: «Assia Noris, la semplicità e il mistero. La semplicità sullo schermo, dove per tutti gli anni Trenta e oltre fu Lauretta (il nome che appioppavano volentieri ai suoi personaggi), la ragazza della porta accanto, la fidanzatina d'Italia alla quale ogni giorno scrivevano centinaia di ammiratori. E il mistero più fitto nella vita. […] Sposata a un principe d'Assia (da cui in nome)? A Francesco Savio, in un'intervista del '73 precisò: “Mai conosciuto il principe d'Assia. Ho conosciuto Hitler, Mussolini, il re d'Inghilterra, ma questo "mio marito" non l'ho mai conosciuto”. Di mariti ne conobbe comunque altri, 4 o 5, fra i quali Roberto Rossellini non ancora regista e Mario Camerini, regista già famoso che le dedicò una decina di film. […] Era piccola di statura, aveva le gambe non belle, e tuttavia scatenò gli entusiasmi (e l'irritazione dei moralisti) apparendo in un costume estremamente succinto in “Darò un milione”; ma con Savio minimizzò: “In fondo era come andare al mare”. […] Sensibile agli umori delle platee, nel dopoguerra l'attrice diradò le apparizioni sullo schermo, andò a vivere in Egitto seguendo il marito di turno e dopo uno sfortunato tentativo di riproporsi nel '65 con “La Celestina P.R.” optò per un tranquillo ritiro a Sanremo. Nessuno riuscì a coinvolgerla nei frequenti riti celebrativi del cinema dei “telefoni bianchi”, nel frattempo tornato di moda. E nessuno ha mai saputo se era bianco anche quel telefono di casa sua, al quale era così difficile trovarla.».

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