sabato 11 maggio 2013

William Inge, grande autore di Hollywood nei mitici anni Cinquanta


 William Motter Inge                                   Picnic 


     Splendore nell'erba


William Inge, grande autore di Hollywood nei mitici anni Cinquanta

Nel maggio di questo anno avrebbe compiuto 100 anni il grande drammaturgo e sceneggiatore William Motter Inge (nato il 3 maggio 1913 a Indipendence nel Kansas), vincitore del Premio Pulitzer nel 1953 per l'opera teatrale “Picnic” e premio Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1962 per lo stupendo film “Splendore nell'erba”. Si è distinto come il creatore di personaggi solitari e appassionati ma ricchi di fascino e interiorità, pur nelle loro difficoltà a relazionarsi con  gli altri per una educazione repressiva.

Inge completò gli studi all'Independence Community College, laureandosi  nel 1935 in “Speech and Drama” presso l'University of Kansas a Lawrence. Frequentò un “Master of Arts” al George Peabody College for Teachers di Nashville (Tennessee), interrompendolo poco dopo ma completandolo più tardi. Dopo una breve esperienza di lavoro, dal 1937 al 1938 insegnò “English and drama” presso la Cherokee County Community High School a Columbus (Kansas) e dal 1938 al 1943 allo Stephens College in Columbia (Missouri). Nel 1943 divenne critico teatrale del St. Louis Star-Times. Era, quindi un professore e un intellettuale della convenzionale provincia americana, rurale e vivace ma mortificata dalla repressione sessuale, che lo ispirò per i suoi drammi e le sue sceneggiature, e che fece dire ai critici di trovarsi dinanzi al «Playwright of the Midwest» (Drammaturgo del Midwest). [Per altre informazioni, ved.: http://www.britannica.com/EBchecked/topic/288051/William-Inge]

Incoraggiato nei suoi primi tentativi drammaturgici da Tennessee Williams, suo estimatore della prima ora cui aveva inviato alcuni suoi testi, si fece notare con il primo dramma in un atto Farther Off from Heaven (1947), prodotto a Dallas nel Texas, e con Come Back Little Sheba (Torna piccola Sheba) (1950), dramma scritto mentre insegnava presso la Washington University in St. Louis (tra il 1946 e il 1949), che fu rappresentata a Broadway e che fece vincere un Tony Awards alla tenera e intensissima interprete Shirley Booth e al vigoroso e tormentato Sidney Blackmer. Il regista teatrale del testo di Inge a Broadway fu il quasi coetaneo Danny Mann (1912–1991), che nel 1952 lo trasformò nel film del suo debutto, grande e intimo capolavoro benedetto da due grandissime interpretazioni, quella confusa e dolente di Shirley Booth (che Mann volle anche nel film) e quella malinconica e struggente di Burt Lancaster: gli occhi di entrambi, tristi e velati, lasciano intuire spazi illimitati di solitudine e di sofferenza. Il film fece vincere a Shirley Booth un Oscar e un Golden Globe. Scrivono i Morandini: «[…] sposato con una sciattona maldestra, senza figli, ex alcolista nutre un morboso affetto per una ragazza e rimane sconvolto quando lei si fa corteggiare da un giovanotto. La leggerezza non è certamente una delle qualità di questo interno familiare che conta soprattutto per l'interpretazione dell'esimia teatrante S. Booth, premiata con l'Oscar.» (il Morandini, Zanichelli editore). La trama è drammatica e sofferta: Doc Delaney è un maturo signore alcolizzato e frustrato, in crisi matrimoniale con la moglie Lola che ha sposato molto giovane, interrompendo i suoi brillanti studi di medicina soltanto perché la credeva incinta. Entrambi pensano con rimpianto alla piccola Sheba, la cagnolina che avevano allevato insieme e che è scappata per non ritornare mai più. Decidono di affittare una stanza della loro casa a una ragazza con lo scopo di trovarsi meno soli e di sconfiggere la solitudine. Mary entra nel loro infelice e soffocante ambiente familiare – arido specchio dell'anima e della sensibilità ferita dei protagonisti – portando una nuova dimenticata vitalità e mettendo in crisi Doc che ne è subito conquistato. Molto ben rappresentato vi è il dramma dell'alcolismo e dei suoi devastanti effetti, e piuttosto interessanti risultano gli interventi (abbastanza inediti allora) dell'associazione Alcolisti Anonimi nel supportare l'alcolizzato e i suoi familiari. Lo scrittore, vittima dell'alcolismo cronico, conosceva gli Alcolisti Anonimi per esperienza diretta e presso gli AA incontrò la moglie che si chiamava appunto Lola coma la protagonista del suo dramma.

Da un'esperienza vissuta in età infantile nel Kansas ebbe origine il dramma Picnic (1953), che rappresentava la storia di una giovane donna intensa e indimenticabile (e della madre e della giovanissima sorella) in una piccola cittadina del centro America, la bella del paese, che preferisce fuggire con un affascinante vagabondo ricco di sex appeal, lasciando il fidanzato ricco e affidabile, dopo il picnic durante una festa campestre in commemorazione del Labor Day, ignorando le tensioni latenti che l'arrivo del vagabondo ha provocato. Fu un successo strepitoso a Broadway, diretto dal regista Joshua Logan (vinse due Academy Awards), e meritò a Inge il premio Pulitzer nel 1953. Il testo divenne l'omonimo indimenticabile film del 1956, diretto dallo stesso Joshua Logan, con William Holden, Kim Novak, Betty Field, Rosalind Russell e Susan Strasberg. Il film fece incetta di nomination e di Oscar (per la migliore scenografia e per il miglior montaggio). Scrisse Logan: «Ho voluto fare un film sulla solitudine dei belli». A proposito di questo film, Raul Radice, ha scritto sull'“Europeo” (21 febbraio 1960) un articolo dal titolo Il solito petto villoso che turba le comari del Kansas; Carlo Terron sul “Tempo” (23 aprile 1960) ha scritto un articolo dal titolo Angustie d'orizzonti. [vedere in: “Repertorio bibliografico della letteratura Americana in Italia: 1945-1949”, a cura di Biancamaria Tedeschini Lalli, Centro italiano di studi americani, Rome, Italy]. Credo che il film si sia molto avvantaggiato del ruolo di William Holden, il classico «bravo ragazzo americano», dall'atteggiamento disincantato e malinconico, dalla parlata laconica ma dallo sguardo aperto, che «interpretò il ruolo dell'affascinante giramondo, che porta lo scompiglio e il turbamento emotivo in una cittadina del Kansas facendo innamorare di sé due donne» (in William Holden, vol. 6, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981).

Inge divenne allora uno degli autori più rappresentati a Broadway negli anni Cinquanta. Seguirono due altri grandi successi: Bus Stop  (1955), presentato al “The Music Box Theatre” e The Dark at the Top of the Stairs, ispirato alla prima sua opera teatrale “Farther Off from Heaven” e presentato a New York nel 1957 per la regia di Elia Kazan. Entrambi furono trasformati in due grandi film. Il primo, Fermata d'autobus (1956), diretto da Joshua Logan, con Marilyn Monroe nel ruolo della tenera Cherie (uno dei suoi migliori, per aderenza e intensità) e Don Murray nel ruolo del rude e casto Bo Ducker; era la storia di un giovane e aitante cowboy che sogna di sposare un angelo e che lo trova nella cantante–entraineuse di uno squallido night di Phoenix che costringe a salire in autobus con lui per ritornare nel Montana (nel 1956 il film fu inserito dal “National Board of Review of Motion Pictures” tra i dieci migliori film dell'anno). Il secondo Il buio in cima alle scale (1960) per la regia di Delbert Mann, con Robert Preston, Dorothy McGuire, Eve Arden e Angela Lansbury, che racconta la storia triste di due coppie di coniugi in una cittadina dell'Oklahoma negli anni Venti, i cui rapporti – anche felici alla'apparenza – sono logorati dalla frustrazione e dall'incomprensione, e il nascere del primo amore che si conclude in tragedia tra la figlia adolescente di una delle due coppie e il fidanzatino ebreo, cacciato da un ballo, il quale pone fine alla sua vita. Il film ricevette una nomination agli Oscar (a Shirley Knight che interpretava Reenie Floode, l'infelice adolescente) e due nomination ai Golden Globe nel 1961 mentre il “National Board of Review of Motion Pictures” nel 1960 lo ha inserito tra i dieci film migliori dell'anno. A proposito di quest'ultimo film, Albero Moravia sull'“Espresso” (12 marzo 1961) ha scritto un articolo dal titolo Un film americano. La moglie punisce il marito fallito.

Il successo continuò con Glory in the Flower (1953), teletrasmesso con grande successo con il titolo di Omnibus (con Hume Cronyn, Jessica Tandy e James Dean). Fu poi la volta del dramma A Loss of Roses (1960) (con Carol Haney, Warren Beatty e Betty Field) che ispirò il film The Stripper (Donna d'estate) (1963), diretto da Franklin J. Schaffner, con Joanne Woodward, Richard Beymer e Claire Trevor; il film racconta la storia melodrammatica ma ricca di sentimenti delicati di una ex reginetta di bellezza che, divenuta una spogliarellista, torna nella sua città natale nel Kansas e s'innamora di un giovanissimo meccanico. A proposito del film,  Ercole Patti ha scritto un articolo sul “Tempo” (6 luglio 1963) dal titolo Una ragazza commovente.  

Nel 1961 Inge scrisse la sceneggiatura del film Splendor in the Grass (Splendore nell'erba) (1961), di Elia Kazan, con Natalie Wood (Deannie Loomis) e Warren Beatty (Bud Stamper), che vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Il film, ambientato nel Kansas chiuso e convenzionale degli anni Venti, narra l'amore impossibile (perché contrastato dai rispettivi genitori) tra Bud, studente di liceo e figlio di un ricco e ambizioso imprenditore del petrolio che per il figlio desidera una moglie ricca e altolocata, e la compagna di scuola Deannie, educata in modo grettamente puritano da un'ipocrita famiglia perbenista. Dopo un tentativo di suicidio e un lungo ricovero in una casa per malattie mentali di Deannie, i due ragazzi si perdono di vista. Quando si rivedono, Bud è sul lastrico per la grave crisi del '29 (il padre si è suicidato) e si è sposato mentre Deannie ha rinunciato definitivamente al suo sogno d'amore e ritrovato un nuovo e diverso equilibrio senza l'amato perduto. Del film Inge fu anche produttore e si ritagliò un piccolo cameo. Hanno commentato i Morandini (ne il Morandini – Zanichelli editore): «Forse il melodramma più fiammeggiante sul primo amore che mai sia stato fatto al cinema. E i suoi ultimi 5 strazianti minuti sono uno dei culmini creativi del cinema di Kazan. Esordio del ventiquattrenne W. Beatty e primo film made in USA che pose esplicitamente l'accento sulla sessualità adolescenziale. Superlativa direzione d'attori: N. Wood fu candidata all'Oscar, ma le fu preferita la Sophia Loren di La ciociara.». A proposito di questo film Sergio Frosali sulla “Nazione” (4 dicembre 1961) ha scritto un articolo dal titolo Due giovani troppo innamorati nell'America del Charleston.  

Questo splendido film ha fatto entrare nei nostri cuori il poeta inglese vittoriano William Wordsworth (17701850), con un verso e una strofa recitati nel film, tratti dall’Ode Intuizioni di immortalità nei ricordi dell’infanzia (Intimation of Immortality from Recollections of Early Childhood) (1807); questi sono i versi citati nel film: «Se niente può far sì che si rinnovi / all’erba il suo splendore o che riviva il fiore, / della sorte funesta non ci dorremo allora / ma, ancor più saldi in petto, godrem di quel che resta» (traduzione letterale dall’inglese: «Se niente può far sì che torni indietro il tempo / dello splendore nell’erba, della gloria nel fiore; / non ci rattristeremo ma piuttosto troveremo / forza in quel che resta»). Questa tristissima poesia esprime la nostalgia degli ideali e di ciò che non può più essere insieme con la necessità di vivere nella realtà anche soltanto ciò che rimane dei sogni in un poeta, Wordsworth, segnato dalla povertà e dalle sventure domestiche (la perdita dei genitori quando era bambino e la morte precoce di un fratello e di due dei cinque figli). Nei versi iniziali, l’Ode (da me tradotta dall’originale) così recita: «C’era un tempo in cui prato, boschetto, e fiume, / la terra e ogni vista comune / a me sembravano, / avvolti dalla luce celeste, / la gloria e la freschezza d’un sogno. / Or non è più com’è stato allora; / per quanto mi possa rigirare da ogni parte, / di notte o di giorno, / le cose che ho visto non posso più vederle ora. / [...]».

Del 1963 fu il dramma Natural Affection, focalizzato sulla violenza familiare immotivata e senza senso (al centro una madre single e il suo adolescente figlio illegittimo), che ebbe la sfortuna di debuttare a Broadway, diretto da Tony Richardson, durante un lungo sciopero dei giornali, che vide un crollo di presenze e di vendita di biglietti, e che fu rappresentato soltanto per alcuni mesi (il testo ispirò a Truman Capote il suo inquietante Cold Blood).

Durante gli anni settanta, Inge visse a Los Angeles e insegnò drammaturgia all'University of California a Irvine ma gli ultimi suoi lavori ebbero poco riscontro di pubblico e di critica, e ciò lo precipitò in una tremenda crisi esistenziale e in una grave depressione. Nell'ultimo testo drammatico The Last Pad (1970), originariamente titolato The Disposal, lo scrittore parlava apertamente di omosessualità, focalizzando l'attenzione su un Archie, un protagonista gay (probabilmente lo stesso Inge pativa una certa ambiguità sessuale). Il dramma venne presentato al Southwest Ensemble Theatre di Phoenix in Arizona, diretto da Keith A. Anderson, con Nick Nolte, Jim Matz e Richard Elmore. Dopo il trasferimento della compagnia a Los Angeles, si ebbe l'apertura soltanto pochi giorni dopo il suicidio di William Inge che moriva ancora giovane a Hollywood in Los Angeles il 10 giugno del 1973 (si avvelenò col monossido di carbonio). Questo lavoro fu proclamato the Best Play del 1972 in Arizona mentre a Los Angeles diede inizio alla trascinante carriera di Nick Nolte, premiato per la sua incisiva interpretazione. Dopo la sua tragica scomparsa, tuttavia, alcuni dei suoi lavori hanno continuato a essere rappresentati con successo.


Il “The William Inge Collection at Independence Community College”, in onore a Inge, ha raccolto una ricca collezione di manoscritti (circa 400), film, lettere, programmi teatrali e molto altro ancora, mentre la sua città natale Independence ha istituito l'annuale “William Inge Theatre Festival”. Ralph F. Voss gli ha dedicato il libro A Life of William Inge: The Strains of Triumph (Lawrence, Kansas: University Press of Kansas 2000).


2 commenti:

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