giovedì 14 febbraio 2013

San Valentino, Jacques Prévert e la poesia dei giovani innamorati


Jacques Prévert


Certamente Jacques Prévert (1900–1977) ha scritto le poesie d’amore più conosciute e amate nel mondo (scritte per sé, per la persona amata e per tutti quelli che si amano o si sono amati) e può considerarsi senz’altro come il poeta elettivo dei giovani innamorati.

Riporto una poesia che è un vero e proprio inno all’amore:

Questo amore (Cet amour) (da “Paroles”, 1946)
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
Cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gioioso
Così irrisorio
Tremante di paura come un bambino quando è buio
Così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che faceva paura
Agli altri
E li faceva parlare e impallidire
Questo amore tenuto d’occhio
Perché noi lo tenevamo d’occhio
Braccato ferito calpestato fatto fuori negato cancellato
Perché noi l’abbiamo braccato ferito calpestato fatto
fuori negato cancellato
Quest’amore tutt’intero
Così vivo ancora
E baciato dal sole
è il tuo amore
è il mio amore
è quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
Che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda viva come l’estate
Sia tu che io possiamo
Dimenticare
E poi riaddormentarci
Svegliarci soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognarci della morte
Ringiovanire
E svegli sorridere ridere
E il nostro amore non si muove
Testardo come un mulo
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Stupido come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
Ci parla senza dire
E io l’ascolto tremando
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me per tutti quelli che si amano
E che si sono amati
Oh sì gli grido
Per te per me per tutti gli altri
Che non conosco
Resta dove sei
Non andartene via
Resta dov’eri un tempo
Resta dove sei
Non muoverti
Non te ne andare
Noi che siamo amati noi t’abbiamo
Dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci morire assiderati
Lontano sempre più lontano
Dove tu vuoi
Dacci un segno di vita
Più tardi, più tardi, di notte
Nella foresta del ricordo
Sorgi improvviso
Tendici la mano
Portaci in salvo.
(da “Poesie d’amore e libertà” di Jacques Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)

La poesia termina con l’implorazione all’amore di non andare via, di non dimenticarsi di noi, di non lasciarci morire di freddo nell’abbandono, di darci un segno di vita tendendoci la mano nella notte per portarci in salvo. Io credo molto nel potere salvifico dell’amore (e parlo per esperienza personale): vada malissimo il lavoro, manchi la realizzazione professionale, stenti l’aspetto economico nella vita di ciascuno di noi, se esiste accanto a noi l’amore caldo e vivo di una persona vicina e partecipe, si può comunque sopravvivere e guardare avanti. Già nel passato il poeta tragico Sofocle (496–406 a.C.), uomo complesso e piuttosto pessimista, venerato in Grecia dopo la sua morte come un eroe, diceva: «Una parola ci libera da tutto il peso e il dolore della vita: quella parola è “amare”.».

Un’altra nota e stupenda poesia è Parigi di notte (Paris at night) (da “Paroles”, 1946): «Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte / Il primo per vederti tutto il viso / Il secondo per vederti gli occhi / L’ultimo per vedere la tua bocca / E tutto il buio per ricordarmi queste cose. / Mentre ti stringo fra le braccia.» (da “Poesie d’amore e libertà” di Jacques Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma, 1999)

E vorrei ricordare: Semplice come il buongiorno (Simple comme bonjour), musicata da Henri Crolla e parte della raccolta “Soleil de nuit”, pubblicata postuma nel 1980:
L’amore è chiaro come il giorno
l’amore è semplice come il buongiorno
l’amore è nudo come la mano
ma è il tuo amore il mio amore
perché parlare di grande amore
perché cantare alla grande vita?
Il nostro amore è felice di vivere
e ciò gli basta.

è vero l’amore è molto felice
e anche un po’ troppo… può darsi
e quando chiudi la porta
sogna di andarsene dalla finestra

Se il nostro amore voleva partire
facevamo di tutto per farlo restare
che cosa sarebbe senza di lui la vita
un valzer lento senza la musica
un bambino che non ride mai
un romanzo che nessuno legge
la meccanica della noia
senza amore né vita!
(da “Jacques Prévert – Le Foglie Morte”, a cura di Maurizio Cucchi, Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981)

Quelle di Prévert sono bellissime pagine di poesia surreale ma popolare, che esprimono tutte le diverse sensazioni e tutte le possibili sfaccettature di quel sentimento familiare a coloro che hanno amato almeno una volta nella vita. E il suo modo di comunicare è molto naturale e immediato, fatto di frasi apparentemente spezzate o disarticolate e di metrica senza punteggiatura, privo di metafore o trasfigurazioni, fresco e ingenuamente infantile, intenso e senza ipocrisie, come se il poeta parlasse al “popolo” dei suoi lettori di cose banali e senza importanza. In realtà, con una forza lirica facile ed espressiva, Prévert parla dell’esistenza dell’uomo e dei suoi dolori, della sua cieca disperazione ma anche della sua contagiosa gioia di vivere.

Parlando dello stile di Prévert, Maurizio Cucchi (Ugo Guanda Editore, 1981) nell’introduzione di Le foglie morte scrive: «Uno stile e una personalità che lo portano a muoversi sempre con noncurante disinvoltura tra l’arrogante e il tenero, tra l’aristocratico e il plebeo, nell’insieme di composizioni che costituiscono sempre un accortissimo artificio, un paradosso perfettamente riuscito, un meccanismo affascinante.». Cucchi accenna pure a un’«accattivante cialtroneria garbata», a «elenchi incongrui, stravaganti» e a un agire poetico «sciolto, felicemente e senza disagi in posizione bassa, lontano da tendenze o tentazioni (che guarda con estremo sospetto) al sublime».  

Nella poesia Alicante (da “Paroles” del 1946), con intenso erotismo, Prévert scriveva: «Un’arancia sulla tavola / Il tuo vestito sul tappeto / E nel mio letto tu / Dolce presente del presente / Freschezza della notte / Calore della mia vita.» (da “Poesie d’amore e libertà di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999).

Nella notissima e lunga composizione lirica I ragazzi che si amano (Les enfantes qui s’aiment) (da “Spectacle” del 1951), Prévert racconta il rapimento creato dall’amore e mostra i ragazzi che rapiti si baciano di nascosto, suscitando la derisione e i risolini (ma in fondo anche l’acida invidia) dei passanti: «I ragazzi che si amano si baciano in piedi / Contro le porte della notte / E i passanti che passano li segnano a dito / Ma i ragazzi che si amano / Non ci sono per nessuno / Ed è soltanto la loro ombra / Che trema nel buio […] / I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno / Loro sono altrove ben più lontano della notte / Ben più in alto del sole / Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.» (da “Poesie d’amore e libertà di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)

E come non ricordare Baciami (Embrasse-moi) (da “Histoires - D’autre histoires” del 1963), nella quale il poeta invita gli amanti a cogliere l’attimo fuggente: «[…] / Stringimi tra le braccia / Baciami / Baciami a lungo / Baciami / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra vita è ora / […] / Se tu smettessi di baciarmi / Credo che ne morrei soffocata / Abbiam pure il diritto di baciarci / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra vita è ora / Baciami!». (da “Poesie d’amore e libertà di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)

Jacques Prévert nacque il 4 febbraio del 1900 da padre bretone e madre dell’Alvernia a Neuilly–sur Seine in Bretagna, una regione che lo influenzò con le sue usanze vivaci e con le sue popolari tradizioni folcloristiche. Fece studi scarsi e irregolari e presto iniziò a guadagnarsi da vivere nei modi più disparati. Nel 1920 fece il servizio militare e quindi ritornò a Parigi, ove mise su abitazione a Montparnasse (una casa frequentata da molti artisti e aperta all’intensa vita culturale di allora) insieme col fratello minore Pierre (1906–1988), regista, e con i due amici Yves Tanguy (1900–1955), un pittore appartenente alla corrente dadaista, e Marcel Duhamel (1884–1966), editore della Gallimard. Ben presto prese posizioni anarcoidi contro l’ipocrisia del mondo borghese del suo tempo e contro lo status quo del potere precostituito, cimentandosi nelle esperienze più nuove e sperimentando tutti gli stimoli culturali più innovativi (musica moderna, alcolici, influenze di mondi diversi, partecipazione a film in qualità d’attore, scrittura di testi di canzoni da caffè–concerto, etc.). Diceva di essere un uomo che viveva una vita «a briglie sciolte». Giovanissimo, si legò di grande amicizia con André Breton (1896–1966) e Louis Aragon (1897–1982), i maggiori esponenti del Surrealismo, e con lo scrittore esistenzialista Raymond Queneau (1903–1976). Nel 1931 si fece conoscere con una satira trasgressiva dai toni acri e sarcastici e dal lungo titolo Tentativo di descrizione di un pranzo di teste a Parigi, Francia (Tentative de description d’un diner de tetes a Paris, France)

Prévert è stato anche un grande cantautore: ha scritto quasi 100 canzoni, ed è sua la bellissima Le foglie morte (Le feuilles mortes), emblema della canzone francese di tutti i tempi, musicata da Joseph Kosma (compositore ungherese fuggito dalla Germania), che è entrata a pieno titolo nella storia della musica. Come non ricordare l’emozione suscitata dalle bellissime parole di Prévert cantate dalla struggente Edith Piaf o dalla diafana Juliette Greco (la musa degli esistenzialisti) o dall’affascinante Yves Montand: «Oh, vorrei tanto che anche tu ricordassi / i giorni felici del nostro amore / Com’era più bella la vita / E com’era più bruciante il sole / Le foglie morte cadono a mucchi… / Vedi: non ho dimenticato / Le foglie morte cadono a mucchi / come i ricordi, e i rimpianti / e il vento del nord porta via tutto / nella più fredda notte che dimentica / Vedi: non ho dimenticato / la canzone che mi cantavi / è una canzone che ci somiglia / Tu che mi amavi / e io ti amavo / E vivevamo, noi due, insieme / tu che mi amavi / io che ti amavo / Ma la vita separa chi si ama / piano piano / senza nessun rumore / e il mare cancella sulla sabbia / i passi degli amanti divisi / […] / Eri la mia più dolce amica… / Ma non ho ormai che rimpianti / E la canzone che tu cantavi / la sentirò per sempre / […]» (da “Jacques Prévert – Le Foglie Morte”, a cura di Maurizio Cucchi, Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981). E alcuni refrain si ripetono in un’affascinante maniera nostalgica e malinconica. Il poeta francese Paul Verlaine ha scritto la Canzone d’autunno che presenta una certa affinità con il tema di Prévert: «I singhiozzi lunghi / dei violini / d’autunno / mi feriscono il cuore / con languore / monotono. / Ansimante / e smorto, quando / l’ora rintocca, / io mi ricordo / dei giorni antichi / e piango; / e me ne vado / nel vento ostile / che mi trascina / di qua e di là / come la foglia / morta.» (nella traduzione di Lanfranco Binni, Garzanti, Milano 1993).

Le poesie più belle di Prévert sono raccolte in Parole (Paroles) (1946), Storie (Histoires) (1946), Spettacolo (Spectacle) (1951), Le Grand Bal du Printemps (Il grande ballo di primavera) e La pioggia e il bel tempo (La pluie et le beau temps) (1955). Pubblicò in seguito le raccolte di versi Storie – Altre storie (Histoires – D’autre histoires) (1963), Cose ed altro (Choses et autres) (1972) e Alberi (Arbres) (1976).

Nonostante qualche momentaneo periodo di crisi, Jacques Prévert fece parte del movimento surrealista e frequentò il “Groupe Octobre” della Federazione Teatro Operaio. Per questa struttura teatrale di sinistra, che promuoveva una forma di “teatro sociale”, scrisse numerosi testi di drammaturgia, messi in scena tra il 1932 e il 1937. Dal 1945 riprese l’attività teatrale, lavorando insieme a Pablo Picasso per la rappresentazione del balletto L’incontro (Le rendez-vous).

Oltre alle poesie e alle opere teatrali, Prévert amò la cinematografia e fece parte di quella scuola francese degli anni Trenta che venne definita del “realismo poetico” per i suoi film, e ne rappresentò prevalentemente «il filone pessimista e drammatico, portati come sono alla descrizione di un ambiente reso amaro dalla società e dalla lotta per la vita» (in Capitolo 5, L’età d'oro del cinema francese, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). Troverebbero le origini nel “Verismo” della narrativa di Emile Zola (1840–1902) con i suoi interpreti costretti nel ruolo di “bestie umane”. Nel 1932 Jacques Prévert esordì nel cinema, scrivendo la sceneggiatura per il film Affare fatto (L’affaire est dans le sac), diretto dal fratello Pierre, appassionato di cinema e aiuto–regista di Jean Renoir (1914–1993); il film era una satirica astrazione intellettuale e ha scritto Gianni Canova (in Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009): «definito un esempio di “burlesco poetico”, con echi surrealisti e anarchici, il film non viene apprezzato dal pubblico, abituato alle commedie brillanti americane». Jacques preparò, quindi, per registi famosi delle straordinarie sceneggiature. Tra il 1938 e il 1944 si dedicò prevalentemente all’attività cinematografica (nel 1938 fu anche a Hollywood), collaborando con Jean Grémillon (1901–1959) – regista di grande ispirazione e «fascinazione visiva» – con cui fece Tempesta (Remorques) (1940) e Luci d'estate (Lumière d'été) (1942). Scrisse per Marcel Carné (1906–1996) le sceneggiature degli splendidi film Quai des brumes (Il porto delle nebbie) (1938) e Alba tragica (Le jour se Lève) (1939) (interpretati da un grande Jean Gabin) e Les enfants du paradis (1945) (il cui titolo italiano è stato trasformato romanticamente in Amanti perduti). Quest’ultimo film rappresenta veramente l’epopea dell’amore impossibile dall’esito tragico e ha come protagonista il triste e appassionato mimo bianco Baptiste, interpretato da un grande e malinconico Jean-Louis Barrault (1910–1994) perduto d’amore per l’enigmatica cortigiana Garance, interpretata dalla magica Arletty (1898–1992). Seguì Mentre Parigi dorme (Les portes de la nuit) (1946). A proposito delle sceneggiature scritte da Jacques per Marcel Carné (uno dei più ispirati e crudi registi francesi del periodo, dal linguaggio alto e dalle intense atmosfere, i cui film sono autentici capolavori dello schermo), ha scritto Gianni Canova (in Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009): «tutte caratterizzate dalla presenza ossessiva del destino, dalla solitudine, dalla morte, dall’infelicità amorosa». In Marcel Carné (“Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981), è scritto: «Così si configurano i temi pressoché costanti della coppia Carné–Prévert individuati da Georges Sadoul nell’“amore che, solo, può dare la felicità, ma che non può durare a lungo, travolto dal destino; la lotta del Bene e del Male in cui i cattivi hanno sempre la meglio; eroi proletari di cui la società ha fatto dei criminali, mai banditi di professione: 'eroi' che sognano un 'altrove' dove l’amore sia possibile ed eterno, scontrandosi con un Destino spesso simbolizzato da uno dei protagonisti o dallo stesso ambiente. E questa fatalità è in definitiva espressione di un ordine sociale, le cui possibilità di modificazione sono viste con pessimismo”». Quel pessimismo era ispirato dalla situazione storica della Francia in cui sembrava svanita ogni speranza sotto l’avanzare del nazifascismo, con le ombre minacciose di una guerra incombente; e quei film divenivano «una metafora dello sfacelo politico e morale», «barometro della sua epoca» ma non «causa delle tempeste rispecchiate e previste».

In seguito Prévert elaborò per il noto regista Jean Renoir la sceneggiatura di Le crime de Monsieur Lange (Il delitto del signor Lange).

Fra il 1961 e il 1968 lavorò per la televisione, collaborando attivamente con il fratello Pierre.

Nel 1947 Jacques Prévert aveva sposato Janine Tricotet, che gli diede la figlia Michelle. Nel 1948 lo scrittore subì un grave incidente, precipitando misteriosamente da una finestra degli uffici della radio e rimanendo in coma per diverse settimane: questo trauma richiese una convalescenza di alcuni anni. Nell’ultimo periodo della sua esistenza si dedicò – oltre che alla scrittura poetica – alla composizione di collage, che espose in una mostra e che furono pubblicati in Guazzabuglio (Fatras), e si concentrò nella scrittura dei due saggi L’universo di Klee (L’universe de Klee) e Juan Mirò.

Distrutto da un cancro al polmone, morì a Omonville–la–Petite l’11 aprile del 1977 dopo lunghi anni di sofferenze, confortato dall’amore appassionato del suo pubblico e dall’affetto di pochi e affezionati amici (Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, Joseph Losey e Serge Reggiani). In base ai dati di un recente sondaggio popolare, Prévert è stato nominato «scrittore del secolo» ed è stato preferito a grandi autori francesi del calibro di Albert Camus (1913–1960), premio Nobel nel 1957, o di Marcel Proust (1871–1922).

2 commenti:

  1. Perché non mettete anche la poesia in francese?.....

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