venerdì 7 dicembre 2012

Ivàn Turgenev, un arrangiatore di passioni e sentimenti


Ivàn Turgenev 


Locandine film


Ivàn Sergeevič Turgenev, grande scrittore russo e classico da non dimenticare, ha scritto sempre dell’amore in tutte le sue forme, passando dall’amore tenero e puro a quello egoistico e torbido (spesso un vero e proprio gioco sentimentale), dal desiderio ardente (spesso un vero e proprio fuoco bruciante) alla passione cupa e travolgente (spesso un sentimento tragico e fatale). Diversi suoi scritti (tra cui il romanzo Padri e figli) sono considerati capolavori della letteratura russa, e non solo, del xix secolo.

Turgenev nacque a Orel, nella omonima provincia russa, il 9 novembre del 1818. Era il figlio di un prestante ufficiale degli ussari (di nobili origini tartare ma senza soldi, morto quando Ivàn aveva sedici anni) e di una proprietaria terriera piena di denaro. La madre, insoddisfatta, amava non riamata il bel marito molto più giovane di lei ed era una donna tirannica e inflessibile in famiglia, e dura e dispotica con la servitù (l’identica situazione del racconto Primo amore, già passato in rassegna nel post precedente). Questa madre terribile tentò di tagliare al figlio qualsiasi aiuto finanziario, cercando di diseredarlo e d’interdirlo, e ne segnò in modo indelebile il carattere (alto e imponente, divenne tremendamente timido e riservato; aveva scritto: «La felicità di ciascuno è costruita sull’infelicità di un altro»). Con lei, Ivàn ebbe rapporti difficilissimi e rotture clamorose. L’aver trascorso la sua infanzia nella tenuta materna di Spasskoe (insieme ai fratelli Nikolaj e Sergej) mise ben presto Turgevev a contatto con la crudeltà di trattamento dei servi della gleba e ne scatenò i vivaci rigurgiti di rivolta contro la chiusa società russa e contro la madre che ne era una spaventosa rappresentante. Questo substrato familiare lo rese un profondo analista degli archetipi familiari russi del suo periodo e dei relativi difficili rapporti interpersonali.

Turgenev studiò filosofia presso le università di Mosca e Pietroburgo, ove si legò a Puskin e Gogol’ che brillavano nel mondo letterario del tempo. Dal 1838 al 1841 studiò anche all’estero (soprattutto a Berlino) e fu anche in Italia: ebbe così modo di conoscere e frequentare i circoli filosofici hegeliani e gli scrittori esuli appartenenti alla corrente dell’idealismo russo. Rientrato in Russia, era talmente convinto della bontà della modernità della società dell’Europa Occidentale rispetto a quella russa da sposare le idee “filo–occidentali” e da fraternizzare con gli esponenti del progressismo e dell’occidentalismo (in contrapposizione alle posizioni “slavofile” e conservatrici).

Nel 1841 Ivàn visse un amore infelice per una intelligente e bella ragazza che faceva parte della schiera dei servi della madre: avrebbe voluto sposarla ma l’implacabile genitrice allontanò la giovane, togliendole la bimba nata dalla relazione, che fece crescere come una serva tra i servi. Soltanto più tardi, Turgenev seppe di Pelageja, la figlia naturale, e dopo un tremendo litigio la portò via cercando di sistemarla degnamente. Aveva scritto: «Guai al cuore che non ha amato fin da giovane! […] L’anima degli altri è come un bosco oscuro, specialmente l’anima di una fanciulla. […] Voi non potete immaginare ciò che un giovane inesperto, educato alla maniera sbagliata, può scambiare per amore!» (da “Un nido di nobili” del 1859).

Tra il 1841 e il 1843 lo scrittore svolse un’attività burocratica presso il Ministero degli Interni (ottenuta a causa delle pressioni materne) ma continuò a interessarsi di poesia romantica. Nel 1843 esordì con il primo volume di versi Parasa (che fu ben accolto dalla critica) e con il lavoro teatrale Un’imprudenza, mentre nel 1844 pubblicò il suo primo racconto in prosa Andrej Kolosov. I suoi primi lavori letterari rivelarono un talento geniale e furono accolti bene dal pubblico e dalla critica, rappresentata soprattutto dal critico letterario russo anti–tradizionalista e progressista Vissarion Grigorevič Belìnskij (1811-1848), che tanta influenza ebbe sulla “intelligencija” socialista e su tutta la generazione degli scrittori russi della seconda metà dell’Ottocento (fu il critico che diede slancio all’iniziale carriera di Dostoevskij, allontanandosi poi dalle sue posizioni ideologiche).

Pur essendo amico di uomini politici russi, Turgenev rifuggì da qualsiasi impegno sociale e ignorò le motivazioni ideologico–politiche del mondo russo, a differenza dei suoi contemporanei Tolstoj e Dostoevskij, che non lo amarono considerandolo un nichilista senza convinzioni e senza consistenza.

Dal 1847 sino alla morte, visse sempre all’estero, sia per sganciarsi dall’incombente presenza della madre (della quale lo infastidiva anche il solo ricordo), sia per stare accanto all’amata di sempre, alla passione di tutta una vita, la cantante–attrice di origini spagnole Pauline Garcia Viardot. Con lei Turgenev instaurò uno strano rapporto a tre: Ivàn era, infatti, molto amico anche del marito di lei e seguiva la famiglia Viardot in tutti i suoi spostamenti. Fu in Germania (a Baden–Baden), in Inghilterra (dopo lo scoppio della guerra franco–prussiana), e in Francia ove comprò una villa nei pressi di Parigi. In tutti questi suoi soggiorni si legò di amicizia con molti grandi scrittori stranieri del tempo, frequentando i salotti letterari alla maniera di un ambasciatore ideale della letteratura russa. In tal modo ebbe il merito di far conoscere all’estero i grandi capolavori russi, che venivano tradotti in francese proprio dal marito di Pauline. Turgenev divenne così uno dei più occidentali tra i letterati russi, circondato da stima e rinomanza internazionale: la prestigiosa università di Oxford gli conferì una laurea Honoris Causa in Diritto. Intellettuale ateo e liberal–democratico, pur vivendo in una società arretrata ma agli albori del socialismo, con la denuncia dei suoi scritti, seppe dare un contributo notevole all’abolizione della servitù della gleba. Fu il primo russo a rappresentare nella sua opera gli umili servi della gleba, osservati nell’ambito delle loro difficoltà esistenziali, mai descritti come personaggi grotteschi bensì come individui ricchi di dignità: e ciò senza eccedere nella retorica o nelle descrizioni di cieca brutalità. Il libro Racconti di un cacciatore (1852), formato da storie d’ambiente rurale e contadino, rappresentate con grande sensibilità, al di là degli stessi intendimenti di Turgenev, è stato considerato come un forte atto d’accusa di questa barbara servitù. Sembra che questo volume abbia avuto una positiva influenza sullo zar Alessandro ii, che stava proprio pensando a una qualche emancipazione dei servi della gleba.

Rientrato in Russia nel 1852, Turgenev ebbe dei problemi a causa di un necrologio anticonformista e troppo acceso scritto in occasione della morte di Nikolaj Gogol’ (1809-1852), che idolatrava; vi scriveva tra l’altro: «Gogol’ è morto! […] quale cuore russo non è scosso da queste tre semplici parole? […] egli se ne è andato, quell’uomo che ora noi abbiamo il diritto, l’amaro diritto conferitoci dalla sua morte, di chiamare Gogol’ il Grande». Fu arrestato per un mese, ma si trattò in realtà soltanto di un pretesto: gli si facevano pagare i duri atteggiamenti di denuncia e di critica del periodo precedente. Durante un anno di esilio forzato fu recluso presso la tenuta che aveva ereditato dopo la morte della madre, avvenuta nel 1850, senza che il poeta riuscisse a vederla ancora in vita.

Così come non furono facili i rapporti di Ivàn con gli scrittori russi, non lo furono neanche quelli con il pubblico russo, dal momento che i lettori di allora pretendevano dai loro autori un forte impegno ideologico e un’alta funzione di guida che facevano fatica a rintracciare nell’umile realismo delle storie di Turgenev. Questi contrasti scatenavano critiche e polemiche a non finire che amareggiavano moltissimo lo scrittore, il quale si sentì sempre un incompreso. Nonostante ciò, nel 1857 a Baden–Baden aiutò economicamente sia Tolstoj, che aveva perso tutto al gioco e non poteva ritornare i patria, sia Dostoevskij completamente rovinato dalla passione per il gioco d’azzardo.

Nelle opere di quel periodo Rudin (1857) – il protagonista era un rappresentante del mondo intellettuale degli anni quaranta – , Un nido di nobili (1859) e All’epoca (1960) dai contenuti molto anticonformisti, prese forma il ruolo dell’“uomo superfluo”, dell’idealista buono, infiammato ed eloquente (attivo solo a parole) ma nella realtà un uomo debole e inetto, privo di volontà e incapace sia di azioni che di scelte.

Tra i suoi libri, fu soprattutto il grande capolavoro Padri e figli (1862) a non essere capito né dai progressisti né dai conservatori (fu attaccato soprattutto da parte dei giovani radicali, che vi videro una canzonatura, anzi una caricatura, della nuova generazione degli anni Sessanta e una difesa connivente della reazione). In realtà, in questa sorta di romanzo sociale, in modo autobiografico Turgenev aveva rappresentato il contrasto tra le generazioni, evidenziando la discontinuità e la separatezza di due mondi spirituali diversi che vivevano di frizioni e fratture dolorose: la vecchia generazione dei padri (aristocratici idealisti ma immobili e legati a un passato pieno di privilegi) e quella giovane dei figli (anti–idealisti, anzi materialisti o nichilisti, ma democratici e desiderosi di profondo rinnovamento). Riuscì ad analizzare nella profondità quel conflitto generazionale e a raccontare quella crisi esistenziale che avvertiva già da antesignano ma che per gli altri sarebbe esplosa più tardi. Questo particolare conflitto tra gli intellettuali degli anni Quaranta e quelli degli anni Sessanta sarà nel 1873 l’argomento anche del capolavoro di Dostoevskij “I Demoni”.

Turgenev scrisse in seguito altri due romanzi: Fumo (1867), parodia dei russi emigrati per motivi politici (il fumo emesso dal treno era la metafora della confusione della vita che avvolgeva lui e l’amata Russia), e Terra vergine (1877), dedicato al risveglio delle coscienze nel movimento rivoluzionario russo (quest’opera avrebbe dovuto costituire il romanzo nuovo per gli uomini nuovi, in grado di preparare appunto questa rivoluzione).

Scrisse anche per il teatro, ammantando di moderno realismo psicologico i suoi testi, tra i quali è degno di nota Un mese in campagna (1850). Scrisse inoltre quattro volumi di racconti, per i quali è considerato veramente grande: quelli appartenenti al primo periodo erano ispirati a un lieve realismo lirico–sentimentale mentre quelli appartenenti al secondo periodo, ricchi di fantasiosa malinconia e di una concezione tragica della vita umana, svelavano l’angoscia esistenziale che attanagliò Turgenev negli ultimi anni di vita. Di grande bellezza e d’intenso approfondimento psicologico sono: Asja (1858), Primo amore (1860) e Acque di primavera (1872). Nel 1868 scrisse Memorie letterarie e di vita, e nel 1882 – un anno prima della morte avvenuta a Bougival, Parigi, il 3 settembre del 1883 per un tumore alla spina dorsale – Poesie in prosa (o Senilia), dominate dal triste presentimento della morte vicina (aveva scritto: «Sì, prova un po’ a negare la morte. È lei che ti nega, e basta!»). Per suo espresso desiderio, la salma fu tumulata nel cimitero della città di Pietroburgo, ove aveva lasciato i suoi legami più tenaci e il più profondo attaccamento, a dispetto delle sue lunghe assenze.

A proposito di questo forte legame di Ivàn Turgenev con la sua terra natale, ha osservato la critica (La Nuova Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Garzanti editore, Milano 1985): «Ma le sue radici erano nella Russia del suo tempo, di cui seppe registrare la complessità, l’inquietante, tragico conflitto fra il bisogno di nuovo e l’attaccamento spesso disperato al vecchio. I suoi romanzi in una lingua tra le più limpide e perfette nella storia letteraria russa dopo Puškin, non sono, come certi contemporanei credettero, serie indagini sociologiche, bensì attente letture psicologiche di un’epoca di grande fermento. E i suoi personaggi rimangono esempi ancor oggi suggestivi di tormentata ambiguità, di sotterranea crescita spirituale.».

Scrisse il critico e scrittore statunitense Edmund Wilson (1895-1972): «La particolare abilità di Turgenev consiste nel mostrare, attraverso i rapporti con gli altri, quello che le persone realmente sono. Per questo riesce così bene nella rappresentazione dei vari tipi di società.».

P.S. Due altri bei film (insieme a quelli considerati nel post precedente), tratti da opere di Turgenev, sono:

- Nido di gentiluomini (1969), film prodotto in Unione Sovietica e diretto da Andrei Konchalovsky, con Irina Kupchenko, Leonid Kulagin, Beata Tyszkiewicz, Tamara Chernova, Viktor Sergachyov, Vasili Merkuryev, Aleksandr Kostomolotsky, Mariya Durasova, Vladimir Kochurikhin e Sergei Nikonenko. è la storia di Fedor, un giovane appartenente a un’antica famiglia nobiliare che riceve una educazione severa che include il disprezzo per il genere femminile; s’innamora di Varvara e la sposa, ma lei lo tradisce e lo lascia cadendo sempre più in basso. Fedor non saprà allora mettere a frutto il suo amore per Liza, una tenera e ingenua fanciulla, che finirà la sua vita in un convento, in una regione remota della Russia.

- Acque di primavera (1989), film franco–anglo–italiano che partecipò al Festival di Cannes, di Jerzy Skolimowski, con Timothy Hutton, Nastassja Kinski, Valeria Golino e William Forsythe (alla fotografia ha partecipato Dante Spinotti) è il ritratto tenero ed elegante di un uomo debole, il giovane proprietario terriero russo Dimitri Sanin, combattuto tra due donne forti, la ragazza di origine italiana Gemma Rosselli conosciuta durante un suo viaggio, e la ricchissima Maria Nicolaievna, moglie del principe Ippolito Polozof, suo amico, che lo seduce vivendo con lui un’ardente breve relazione sentimentale e provocando la rottura con Gemma, che Dimitri rimpiangerà per tutta la vita.


Nessun commento:

Posta un commento