domenica 17 marzo 2013

René Clément, uno dei più grandi registi francese del dopoguerra


René Clément


Il 18 marzo di questo anno, avrebbe compiuto cento anni il grande regista René Clément, distintosi per le enormi qualità artistiche, per l'eccezionale talento cinematografico e per l'abile mestiere. I suoi film più importanti hanno spesso portato avanti un giudizio morale severo e inappellabile sugli orrori della guerra e sulle mostruosità del nazismo, combattute grazie a una Resistenza descritta con i toni di «un'epopea anti–retorica».

René Clément nacque a Bordeaux nel 1913 ed era ancora un giovane studente di architettura presso l'École des Beaux-Arts (che dovette abbandonare per la morte del padre), quando nel 1934 incontrò Jacques Tati che lo mise a contatto con il cinema (insieme sceneggiarono filmetti comici, scritti a quattro mani). Di quell'anno è il suo primo cortometraggio, On demande une brute, de Charles Barrois. Iniziò quindi la sua attività di aiuto regista e operatore, girando documentari in Arabia e in Africa del Nord (attraversando traversie di salute e subendo anche alcuni arresti); di quel periodo è da ricordare L'Arabia proibita (L'Arabie interdite) del 1937. Dello stesso 1937 è il film Cura il tuo sinistro (Soigne ton gauche), che sceneggiò insieme con Tati, interpretato dallo stesso attore comico.

Durante la guerra, da soldato semplice, collaborò con il servizio cinematografico dell'esercito, e in quel periodo girò il bel documentario La grande pastorale (1943).

Imparò molto dal direttore della fotografia parigino Henry Alekan (1909–2001) e insieme raggiunsero la celebrità con il film diretto da Clément Operazione Apfelkern (La bataille du rail) (1946), opera di grande realismo, dedicata alla Resistenza, espressa non tanto come lotta partigiana armata quanto piuttosto come sabotaggio per fiaccare l'occupazione nazista; la pellicola narra di un attentato ferroviario; scrive Gianni Canova: «Girato nei veri luoghi della vicenda e con autentici operai delle ferrovie, il film imprime una virata al cinema francese innestandovi una dose di asciutto realismo e ottiene il Gran premio della giuria per la miglior regia a Cannes.» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009). Sempre con la collaborazione di Henry Alekan, Clément girò I maledetti (Les maudits) (1947) con Fosco Giachetti e Henri Vidal, un apologo sulle mostruosità naziste che aveva come cupo teatro un sottomarino tedesco (in seguito Alekan collaborò anche con Jean Cocteau, André Cayatte, Marcel Carné, Yves Allégret, Abel Gance, Jean Delannoy e Wim Wenders, rivelandosi anche un vero maestro della fotografia in bianco e nero). Clément fu accanto a Jean Cocteau e Alekan in La bella e la bestia (La belle et la bête) (1946) con Jean Marais (attore feticcio di Cocteau).

Nel 1946 Clément girò Il padre tranquillo (Le Père tranquille o La Vie d'une famille française durant l'occupation), nel quale il regista celebrava – senza mistificazioni – la lotta partigiana durante l'occupazione di un buon padre di famiglia che conduceva la sua personale resistenza dall'interno della quotidianità e della sua abitazione piccolo–borghese. Diresse, quindi, Le mura di Malapaga (Audelà des grilles) (1949), rappresentazione romantica e sentimentale ma anche amara e disillusa delle ferite del dopoguerra genovese, con un grande Jean Gabin e una sofferta Isa Miranda, premiato a Cannes e vincitore dell'Oscar come miglior film straniero (alla sceneggiatura collaborarono i nostri Cesare Zavattini e Suso Cecchi d'Amico); per questo film si è parlato di film «di ambizioni psicologiche», di tentativo di «fondere il “vecchio” verismo francese con il neorealismo italiano» (Il cinema francese del dopoguerra, 3° volume, cap. 40, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). Da ricordare anche L'amante di una notte (Le château de verre) (1950), storia melodrammatica di fuga e tradimenti con Fosco Giachetti, Jean Marais ed Elisa Cegani.

Già nell'empireo dei grandi del cinema, nel 1952 Clément diresse il lirico e delicato film di guerra Giochi proibiti (Jeux interdits), certamente il suo capolavoro, ove ritorna nuovamente la dolorosa e impietosa rappresentazione dei traumi della guerra in due ragazzini orfani che si creano un “universo segreto” (Paulette di cinque anni e Michel di undici anni); il film si aggiudicò il Leone d'Oro a Venezia, il premio della critica a Cannes e l'Oscar per il miglior film straniero. Scrive Canova: «è un'opera che tenta di scrutare senza morbosità, il fondo oscuro che la tragedia della guerra ha sedimentato nella psiche di due bambini, i quali per i loro giochi si sono costruiti un finto cimitero» (Cinema, le garzantine, Garzanti, 2009).

Continuando la sua arrestabile ascesa, nel 1954 Clément presentò a Cannes il brillante ma sarcastico e amaro film inglese Le amanti di Monsieur Ripois (Monsieur Ripois o Knave of Hearts) con un immenso e «incontenibile» Gérard Philipe (insieme con Valerie Hobson e Joan Greenwood) nella parte di un “tragico” e “ridicolo” dongiovanni, sullo freddo e disincantato sfondo di una Londra crudele, che si aggiudicò un Premio speciale della giuria a Cannes.

Seguirono lo stupendo Gervaise (1956), forte e naturalistico nella sua descrizione di una sordida e opprimente Parigi dei bassifondi (tratto dall'“Assomoir” di Émile Zola); il film, interpretato da Jany Holt e una superba Marie Schell (con il seducente bianconero di René Juillard), racconta le vicende tristi amare di una lavandaia di fine Ottocento, costretta a logorarsi per mantenere la famiglia e il marito ubriacone, la quale viene umiliata anche dall'amante. Maria Schell si aggiudicò la coppa Volpi a Venezia.

Seguirono: La diga sul Pacifico (This Angry Age) (1958), colossal di produzione internazionale con Silvana Mangano, Anthony Perkins e Richard Conte, tratto dall'omonimo romanzo di Marguerite Duras e dedicato alla dissoluzione nell'Indocina francese di una famiglia di proprietari terrieri (fu definito dalla critica lo «Zoo di vetro in Oriente»); Delitto in pieno sole (Plein Soleil) (1959), tratto dal romanzo di Patricia Highsmith “The talented Mr. Ripley”, con Alain Delon, Maurice Ronet e Marie Laforêt, influenzato in modo percettibile da Hitchcock, così da pagare il suo tributo alla grande tradizione del giallo; Che gioia vivere (Quelle joie de vivre) (1961), uno dei rari film comici di Alain Delon e René Clément; Il giorno e l'ora (Le jour et l'heure) (1963), con Simone Signoret, Geneviève Page e Stuart Whitman, considerato un film sconclusionato, in grado di mettere in difficoltà anche la grande attrice Simone Signoret nel ruolo di una signora parigina malmaritata che ha una tresca con un aviatore texano; Crisantemi per un delitto (Les félins) (1964) con Jane Fonda e Alain Delon; Parigi brucia? (Paris brûle–t–il?) (1966) con Jean-Paul Belmondo, Charles Boyer e Alain Delon, tratto dal best-seller di D. Lapierre e L. Collins, nel quale ritorna la rappresentazione della Resistenza nella Parigi occupata; L'uomo venuto dalla pioggia (Le passager de la pluie) (1969) con Gabriele Tinti, Charles Bronson e Marlène Jobert; La corsa della lepre attraverso i campi (La course du lièvre à travers les champs) (1972) con Jean-Louis Trintignant, Robert Ryan e Lea Massari;  e Babysitter – Un maledetto pasticcio (Jeune fille libre le soir) (1975), con Maria Schneider e Sydne Rome, che fu il suo ultimo film.

Intensa fu anche la sua attività di sceneggiatore; infatti, di molti dei suoi film Clémente scrisse le sceneggiature. Ritiratosi piuttosto prematuramente dall'attività cinematografica per l'esaurirsi della sua vena, morì nel Principato di Monaco il 17 marzo del 1996.

Ne Il cinema francese del dopoguerra, 3° volume, cap. 40 (“Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981), si è osservato che nel dopoguerra una nuova generazione di autori si affacciava, tra i quali appunto René Clemént, che con “Operazione Apfelkern” forniva «un saggio – insolito per il film francese – di neorealismo integrale, non privo di affinità con quello di Rossellini»; si è parlato anche di «stile di spoglia epicità e di asciutta tensione». In Tendenze del cinema francese negli anni Cinquanta, 4° volume, cap. 49 (“Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981) è stato riportato che Clément fu «essenzialmente un artigiano che dipendeva formalmente dal copione e che non sembrava particolarmente animato dall'ansia di esplorare le potenzialità del mezzo di espressione che aveva scelto».

Ha scritto nell'Enciclopedia del Cinema (2003), Bruno Roberti: «Al centro del suo cinema vi è la nozione di conflitto, sia nel senso di un'indagine sulle vicende e le ferite della Seconda guerra mondiale, sia, più in generale, nella resa visiva di azioni e passioni umane osservate lucidamente e nella dimensione esistenziale che sovente imprigiona i suoi personaggi in un ingranaggio implacabile. L'inventiva e il virtuosismo tecnico di Clément risultano così, di volta in volta, agganciati all'analisi, spinta fino all'evidenza crudele, di situazioni limite, esemplari delle condizioni di crisi cui l'azione del film offre sbocco psicologico e snodo drammatico. […] La puntualità nel costruire un'architettura filmica che in modo stringente si attagliava alla progressione drammatica, coadiuvata in questo dall'incisività luminosa e dalla fluidità nel muovere la macchina da presa in situazioni elaborate e difficili di un grande operatore come Henry Alekan, restò caratteristica di molte opere di Clément.». Sostiene ancora Roberti che, nei suoi primi film dedicati alla Resistenza Clément: «seppe esaltare l'unicità di un'esperienza filmica di tal genere, facendo così emergere uno stile che univa l'efficacia drammatica dei film bellici statunitensi alla scabra durezza del Neorealismo italiano.». Parlando, invece, dei numerosi gialli e noir, scritti e diretti da Clément, ha osservato Roberti: «tutte variazioni sul thriller che, pur nella loro macchinosità e nell'accentuazione contorta delle psicologie, testimoniano l'abilità di Clèment nel costruire ingranaggi drammaturgici capaci di trasmettere suggestione e angoscia, ma anche di comunicare la densità precisa di un ambiente e di un personaggio, il senso concreto dell'ambiguità del reale». – vedere anche su
http://www.treccani.it/enciclopedia/rene-clement_(Enciclopedia-del-Cinema)/.

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