Mario Riva
Nato Mariuccio
Bonavolontà, Mario Riva vide la luce a Roma il 26 gennaio del 1913 e fu un
mitico conduttore televisivo. Favorì alla grande il lancio della televisione
italiana allora agli albori. Mitici sono rimasti il suo calore umano e la sua
vena popolaresca, amati dagli italiani tutti a prescindere dall'età e dall'estrazioni
sociale. Per notizie più dettagliate, consultate il mio blog del 6 dicembre
2011(http://silvia-iannello.blogspot.it/2011/12/mario-riva-e-la-rai-degli-anni-doro.html)
Figlio d'arte, il padre era il
compositore napoletano Giuseppe Bonavolontà, autore della nota canzone Borgo antico.
Chi può dimenticare la sua genuinità, la sua simpatia e
giovialità, la sua “guascone” cadenza dialettale romana, la sua calorosa
popolarità? Fu un big dell'avanspettacolo, del teatro di varietà, della commedia musicale, del cinema, della
radio e infine della televisione, della quale divenne una star incontrastata e
amatissima (e mi stupisce che la televisione abbia completamente ignorato la
ricorrenza dei suoi cento anni dalla nascita!).
E chi non ricorda l'attore di varietà Riccardo Billi, del
quale Riva fu superba spalla nell'indimenticabile duo “Billi e Riva”? Insieme
contribuirono a fare grandi le mitiche riviste musicali di Garinei e
Giovannini, e insieme girarono con i più grandi attori del tempo circa cinquanta
film, rimasti nella storia del cinema leggero degli anni Cinquanta e dei primi
Sessanta e nel patrimonio culturale di quelli che questo cinema hanno
conosciuto e apprezzato.
Con Diana Dei, incontrata nel 1947, Mario Riva creò un
sodalizio di vita e di spettacolo, e da lei ebbe nel 1951 il figlio Antonello,
noto regista televisivo.
Come dimenticare Il
Musichiere, storica trasmissione televisiva di Garinei e Giovannini, nata
nel 1957 dal format americano “Name that tune (Conosci questo motivo”), originale
quiz musicale televisivo diretto da Antonello Falqui, trasmesso dallo Studio
Uno di Via Teulada ogni sabato alle 21,05 sul programma nazionale (sino al
1960, anno della morte del grande conduttore)? Con una invadenza sconosciuta e
affascinante, il programma riusciva a tenere incollati alla televisione (vera e
propria “scatola magica”) – focalizzandone
l'attenzione – grandi e piccini,
contribuendo a creare quella nuova “civiltà dell'immagine”, quella “fabbrica di
sogni”, quella “magica ritualità” di cui siamo divenuti schiavi! Scrive Aldo
Grasso a proposito de Il Musichiere (trasmissione per la quale parla di «popolarità
televisiva di cui non si è perso il ricordo»): «Il meccanismo del gioco è
semplice: l'orchestra suggerisce alcune note del brano da indovinare e i due
concorrenti, dotati di regolamentari scarpe da ginnastica, scattano dalle sedie
a dondolo per suonare la campana (schiantandosi talvolta contro il muro per
l'impeto della corsa), acquisendo così il diritto di rispondere al quesito
canoro (cantano i motivi da indovinare Nuccia Bongiovanni e Johnny Dorelli, poi
sostituito da Paolo Bacilieri.» (Televisione,
le garzantine, Garzanti editore, Milano 2008). Riva ebbe il merito di
trasformare quello che all'apparenza era un piccolo quiz in uno “spettacolo
totale” e in un programma popolarissimo, creando personaggi indimenticabili
come il cameriere Spartaco d'Itri, campione quasi invincibile che provò
l'ebbrezza di una popolarità meno effimera di quel che era possibile pensare.
Come dimenticare la sigla Domenica è sempre domenica di Gorni Kramer, cantata dallo stesso Mario
Riva? A proposito di questa canzone, scrive Aldo Grasso: «un motivo che ha
percorso tutta l'Italia, diffondendo l'allegria goliardica e un po' sfacciata
tipica del varietà e soprattutto del suo protagonista, Mario Riva» (Televisione, le garzantine, Garzanti
editore, Milano 2008). Essa divenne bandiera della televisione italiana in
bianco e nero monocanale dagli ascolti altissimi, in grado di svuotare cinema e
teatri, grazie al carisma dominante di Riva e ai celeberrimi ospiti d'onore nazionali
e internazionali, introdotti con la storica frase «Nientepopodimenoché», tra i
quali ricordiamo: Fausto Coppi, Gino Bartali, Totò, Mario Soldati, Vittorio
Gassmann, Giorgio Albertazzi, Gary Cooper, Anita Ekberg e Jane Mansfield (e a
tutti veniva regalata la caratteristica "mascotte" del Musichiere).
Ha scritto Aldo Grasso: «Fu soprattutto con Il Musichiere
che Riva fece conoscere al grande pubblico la sua ironia salace e pungente e la
sua istintiva e allegra comunicativa, testimoniata anche dalla celebre sigla,
da lui cantata, Domenica è sempre
domenica (che diede il titolo a un film del 1958, interpretato dallo stesso
Riva, nonché da Sordi, Tognazzi e de Sica).» (Televisione, le garzantine, Garzanti editore, Milano 2008).
Come dimenticare le graziosissime “vallette mute” della
trasmissione (secondo lo stile del tempo): Lorella De Luca, Alessandra Panaro,
Carla Gravina, Patrizia Della Rovere, Marilù Tolo e Brunella Tocci, divenute – sulla scia dell'enorme popolarità
raggiunta – quasi tutte brave e
note attrici degli anni Cinquanta e Sessanta.
Mario Riva morì a Verona – tragicamente e prematuramente (per le ferite e le complicanze
successive a una caduta in una buca del palcoscenico durante la presentazione dello
spettacolo, Il secondo festival del
Musichiere) – il 1°
settembre del 1960: aveva soltanto 47 anni e lasciò un vuoto che non è stato
mai più colmato. Non si è mai più visto un protagonista così notevole nel mondo
dello spettacolo né un beniamino così amato dal pubblico (che lo riconosceva come
un suo vero “Grande Amico”).
Aldo Grasso ha riportato l'addio sentito e commosso a Mario
Riva del grande scrittore e umorista Achille Campanile, durante il suo
funerale: «La morte di Mario Riva, indipendentemente da tutto, è un sincero
dolore per tutti. Con lui, prima ancora che l'uomo popolare, il personaggio
caratteristico del video, o quello che sia, abbiamo perduto una persona cara.
Questa morte è per tutti un po' un lutto di famiglia. E poi c'è il modo stupido
e crudele di essa […] Chi poteva immaginare una cosa simile? In una serata
simile? E per un uomo come lui, vivente allegra negazione dei drammi, delle
tragedie? Ecco quello che fa più crudele la sua morte: il banale incidente che
si poteva benissimo evitare e che lo uccide quando, dopo molti anni di
sfortunate fatiche, aveva appena raggiunto il successo, che per lui si
concretava soprattutto in una immensa straordinaria popolarità e nel fatto che
tutti gli volevano bene. Anche i bambini di tre, quattro anni, lo chiamavano a
nome per strada, gli sorridevano affettuosi come a un caro zio bonario e
divertente.» (Televisione, le
garzantine, Garzanti editore, Milano 2008).
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