William Motter Inge Picnic
Splendore nell'erba
William Inge, grande autore
di Hollywood nei mitici anni Cinquanta
Nel maggio di questo
anno avrebbe compiuto 100 anni il grande drammaturgo e sceneggiatore William
Motter Inge (nato il 3 maggio 1913 a Indipendence nel Kansas), vincitore del
Premio Pulitzer nel 1953 per l'opera teatrale “Picnic” e premio Oscar alla
migliore sceneggiatura originale nel 1962 per lo stupendo film “Splendore
nell'erba”. Si è distinto come il creatore di personaggi solitari e
appassionati ma ricchi di fascino e interiorità, pur nelle loro difficoltà a
relazionarsi con gli altri per una
educazione repressiva.
Inge completò gli studi all'Independence Community College,
laureandosi nel 1935 in “Speech and
Drama” presso l'University of Kansas a Lawrence. Frequentò un “Master of Arts” al
George Peabody College for Teachers di Nashville (Tennessee), interrompendolo
poco dopo ma completandolo più tardi. Dopo una breve esperienza di lavoro, dal
1937 al 1938 insegnò “English and drama” presso la Cherokee County Community
High School a Columbus (Kansas) e dal 1938 al 1943 allo Stephens College in
Columbia (Missouri). Nel 1943 divenne critico teatrale del St. Louis Star-Times.
Era, quindi un professore e un intellettuale della convenzionale provincia
americana, rurale e vivace ma mortificata dalla repressione sessuale, che lo
ispirò per i suoi drammi e le sue sceneggiature, e che fece dire ai critici di
trovarsi dinanzi al «Playwright of the Midwest» (Drammaturgo del Midwest). [Per
altre informazioni, ved.: http://www.britannica.com/EBchecked/topic/288051/William-Inge]
Incoraggiato nei suoi primi tentativi drammaturgici da
Tennessee Williams, suo estimatore della prima ora cui aveva inviato alcuni
suoi testi, si fece notare con il primo dramma in un atto Farther Off from Heaven (1947), prodotto a Dallas nel Texas, e con Come Back Little Sheba (Torna piccola
Sheba) (1950), dramma scritto mentre insegnava presso la Washington
University in St. Louis (tra il 1946 e il 1949), che fu rappresentata a Broadway
e che fece vincere un Tony Awards alla tenera e intensissima interprete Shirley
Booth e al vigoroso e tormentato Sidney Blackmer. Il regista teatrale del testo
di Inge a Broadway fu il quasi coetaneo Danny Mann (1912–1991), che nel 1952 lo
trasformò nel film del suo debutto, grande e intimo capolavoro benedetto da due
grandissime interpretazioni, quella confusa e dolente di Shirley Booth (che Mann
volle anche nel film) e quella malinconica e struggente di Burt Lancaster: gli
occhi di entrambi, tristi e velati, lasciano intuire spazi illimitati di
solitudine e di sofferenza. Il film fece vincere a Shirley Booth un Oscar e un Golden
Globe. Scrivono i Morandini: «[…] sposato con una sciattona maldestra, senza
figli, ex alcolista nutre un morboso affetto per una ragazza e rimane sconvolto
quando lei si fa corteggiare da un giovanotto. La leggerezza non è certamente
una delle qualità di questo interno familiare che conta soprattutto per
l'interpretazione dell'esimia teatrante S. Booth, premiata con l'Oscar.» (il Morandini, Zanichelli editore). La
trama è drammatica e sofferta: Doc Delaney è un maturo signore alcolizzato e
frustrato, in crisi matrimoniale con la moglie Lola che ha sposato molto
giovane, interrompendo i suoi brillanti studi di medicina soltanto perché la
credeva incinta. Entrambi pensano con rimpianto alla piccola Sheba, la
cagnolina che avevano allevato insieme e che è scappata per non ritornare mai
più. Decidono di affittare una stanza della loro casa a una ragazza con lo
scopo di trovarsi meno soli e di sconfiggere la solitudine. Mary entra nel loro
infelice e soffocante ambiente familiare –
arido specchio dell'anima e della sensibilità ferita dei protagonisti – portando una nuova dimenticata
vitalità e mettendo in crisi Doc che ne è subito conquistato. Molto ben
rappresentato vi è il dramma dell'alcolismo e dei suoi devastanti effetti, e
piuttosto interessanti risultano gli interventi (abbastanza inediti allora) dell'associazione
Alcolisti Anonimi nel supportare l'alcolizzato e i suoi familiari. Lo
scrittore, vittima dell'alcolismo cronico, conosceva gli Alcolisti Anonimi per
esperienza diretta e presso gli AA incontrò la moglie che si chiamava appunto Lola
coma la protagonista del suo dramma.
Da un'esperienza vissuta in età infantile nel Kansas ebbe
origine il dramma Picnic (1953), che
rappresentava la storia di una giovane donna intensa e indimenticabile (e della
madre e della giovanissima sorella) in una piccola cittadina del centro America,
la bella del paese, che preferisce fuggire con un affascinante vagabondo ricco
di sex appeal, lasciando il fidanzato ricco e affidabile, dopo il picnic durante
una festa campestre in commemorazione del Labor Day, ignorando le tensioni
latenti che l'arrivo del vagabondo ha provocato. Fu un successo strepitoso a
Broadway, diretto dal regista Joshua Logan (vinse due Academy Awards), e meritò
a Inge il premio Pulitzer nel 1953. Il testo divenne l'omonimo indimenticabile
film del 1956, diretto dallo stesso Joshua Logan, con William Holden, Kim
Novak, Betty Field, Rosalind Russell e Susan Strasberg. Il film fece incetta di
nomination e di Oscar (per la migliore scenografia e per il miglior montaggio).
Scrisse Logan: «Ho voluto fare un film sulla solitudine dei belli». A proposito
di questo film, Raul Radice, ha scritto sull'“Europeo” (21 febbraio 1960) un
articolo dal titolo Il solito petto
villoso che turba le comari del Kansas; Carlo Terron sul “Tempo” (23 aprile
1960) ha scritto un articolo dal titolo Angustie
d'orizzonti. [vedere in: “Repertorio bibliografico della letteratura
Americana in Italia: 1945-1949”, a cura di Biancamaria Tedeschini Lalli, Centro
italiano di studi americani, Rome, Italy]. Credo che il film si sia molto
avvantaggiato del ruolo di William Holden, il classico «bravo ragazzo americano»,
dall'atteggiamento disincantato e malinconico, dalla parlata laconica ma dallo
sguardo aperto, che «interpretò il ruolo dell'affascinante giramondo, che porta
lo scompiglio e il turbamento emotivo in una cittadina del Kansas facendo
innamorare di sé due donne» (in William
Holden, vol. 6, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De
Agostini, Novara 1981).
Inge divenne allora uno degli autori più rappresentati a
Broadway negli anni Cinquanta. Seguirono due altri grandi successi: Bus Stop (1955), presentato al “The Music Box Theatre”
e The Dark at the Top of the Stairs,
ispirato alla prima sua opera teatrale “Farther Off from Heaven” e presentato a
New York nel 1957 per la regia di Elia Kazan. Entrambi furono trasformati in
due grandi film. Il primo, Fermata
d'autobus (1956), diretto da Joshua
Logan, con Marilyn Monroe nel ruolo della tenera Cherie (uno dei suoi migliori,
per aderenza e intensità) e Don Murray nel ruolo del rude e casto Bo Ducker;
era la storia di un giovane e aitante cowboy che sogna di sposare un angelo e
che lo trova nella cantante–entraineuse
di uno squallido night di Phoenix che costringe a salire in autobus con lui per
ritornare nel Montana (nel 1956 il film fu inserito dal “National Board of
Review of Motion Pictures” tra i dieci migliori film dell'anno). Il secondo Il buio in cima alle scale (1960) per
la regia di Delbert Mann, con Robert Preston, Dorothy McGuire, Eve Arden e Angela
Lansbury, che racconta la storia triste di due coppie di coniugi in una
cittadina dell'Oklahoma negli anni Venti, i cui rapporti – anche felici alla'apparenza – sono
logorati dalla frustrazione e dall'incomprensione, e il nascere del primo amore
che si conclude in tragedia tra la figlia adolescente di una delle due coppie e
il fidanzatino ebreo, cacciato da un ballo, il quale pone fine alla sua vita.
Il film ricevette una nomination agli Oscar (a Shirley Knight che interpretava Reenie
Floode, l'infelice adolescente) e due nomination ai Golden Globe nel 1961
mentre il “National Board of Review of Motion Pictures” nel 1960 lo ha inserito
tra i dieci film migliori dell'anno. A proposito di quest'ultimo film, Albero
Moravia sull'“Espresso” (12 marzo 1961) ha scritto un articolo dal titolo Un film americano. La moglie punisce il
marito fallito.
Il successo continuò con Glory in the Flower (1953), teletrasmesso con grande successo con
il titolo di Omnibus (con Hume
Cronyn, Jessica Tandy e James Dean). Fu poi la volta del dramma A Loss of Roses (1960) (con Carol
Haney, Warren Beatty e Betty Field) che ispirò il film The Stripper (Donna
d'estate) (1963), diretto da Franklin J. Schaffner, con Joanne Woodward,
Richard Beymer e Claire Trevor; il film racconta la storia melodrammatica ma ricca
di sentimenti delicati di una ex reginetta di bellezza che, divenuta una spogliarellista,
torna nella sua città natale nel Kansas e s'innamora di un giovanissimo meccanico.
A proposito del film, Ercole Patti ha
scritto un articolo sul “Tempo” (6 luglio 1963) dal titolo Una ragazza commovente.
Nel 1961 Inge scrisse la sceneggiatura del film Splendor in the Grass (Splendore nell'erba)
(1961), di Elia Kazan, con Natalie Wood (Deannie Loomis) e Warren Beatty
(Bud Stamper), che vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Il
film, ambientato nel Kansas chiuso e convenzionale degli anni Venti, narra
l'amore impossibile (perché contrastato dai rispettivi genitori) tra Bud,
studente di liceo e figlio di un ricco e ambizioso imprenditore del petrolio che
per il figlio desidera una moglie ricca e altolocata, e la compagna di scuola
Deannie, educata in modo grettamente puritano da un'ipocrita famiglia
perbenista. Dopo un tentativo di suicidio e un lungo ricovero in una casa per
malattie mentali di Deannie, i due ragazzi si perdono di vista. Quando si
rivedono, Bud è sul lastrico per la grave crisi del '29 (il padre si è
suicidato) e si è sposato mentre Deannie ha rinunciato definitivamente al suo
sogno d'amore e ritrovato un nuovo e diverso equilibrio senza l'amato perduto.
Del film Inge fu anche produttore e si ritagliò un piccolo cameo. Hanno
commentato i Morandini (ne il
Morandini – Zanichelli editore): «Forse il melodramma più fiammeggiante sul
primo amore che mai sia stato fatto al cinema. E i suoi ultimi 5 strazianti
minuti sono uno dei culmini creativi del cinema di Kazan. Esordio del
ventiquattrenne W. Beatty e primo film made in USA che pose esplicitamente
l'accento sulla sessualità adolescenziale. Superlativa direzione d'attori: N.
Wood fu candidata all'Oscar, ma le fu preferita la Sophia Loren di La ciociara.».
A proposito di questo film Sergio Frosali sulla “Nazione” (4 dicembre 1961) ha
scritto un articolo dal titolo Due
giovani troppo innamorati nell'America del Charleston.
Questo splendido film ha fatto entrare nei nostri cuori il
poeta inglese vittoriano William Wordsworth (1770–1850), con un verso e
una strofa recitati nel film, tratti dall’Ode Intuizioni di immortalità nei ricordi dell’infanzia (Intimation
of Immortality from Recollections of Early Childhood) (1807); questi
sono i versi citati nel film: «Se niente può far sì che si rinnovi / all’erba
il suo splendore o che riviva il fiore, / della sorte funesta non ci dorremo
allora / ma, ancor più saldi in petto, godrem di quel che resta» (traduzione
letterale dall’inglese: «Se niente può far sì che torni indietro il tempo /
dello splendore nell’erba, della gloria nel fiore; / non ci rattristeremo ma
piuttosto troveremo / forza in quel che resta»). Questa tristissima poesia
esprime la nostalgia degli ideali e di ciò che non può più essere — insieme con la
necessità di vivere nella realtà anche soltanto ciò che rimane dei sogni — in un poeta,
Wordsworth, segnato dalla povertà e dalle sventure domestiche (la perdita dei
genitori quando era bambino e la morte precoce di un fratello e di due dei
cinque figli). Nei versi iniziali, l’Ode (da me tradotta dall’originale) così
recita: «C’era un tempo in cui prato, boschetto, e fiume, / la terra e ogni
vista comune / a me sembravano, / avvolti dalla luce celeste, / la gloria e la
freschezza d’un sogno. / Or non è più com’è stato allora; / per quanto mi possa
rigirare da ogni parte, / di notte o di giorno, / le cose che ho visto non
posso più vederle ora. / [...]».
Del 1963 fu il dramma Natural
Affection, focalizzato sulla violenza familiare immotivata e senza senso
(al centro una madre single e il suo adolescente figlio illegittimo), che ebbe
la sfortuna di debuttare a Broadway, diretto da Tony Richardson, durante un
lungo sciopero dei giornali, che vide un crollo di presenze e di vendita di
biglietti, e che fu rappresentato soltanto per alcuni mesi (il testo ispirò a Truman
Capote il suo inquietante Cold Blood).
Durante gli anni settanta, Inge visse a Los Angeles e
insegnò drammaturgia all'University of California a Irvine ma gli ultimi suoi
lavori ebbero poco riscontro di pubblico e di critica, e ciò lo precipitò in
una tremenda crisi esistenziale e in una grave depressione. Nell'ultimo testo
drammatico The Last Pad (1970),
originariamente titolato The Disposal,
lo scrittore parlava apertamente di omosessualità, focalizzando l'attenzione su
un Archie, un protagonista gay (probabilmente lo stesso Inge pativa una certa
ambiguità sessuale). Il dramma venne presentato al Southwest Ensemble Theatre
di Phoenix in Arizona, diretto da Keith A. Anderson, con Nick Nolte, Jim Matz e
Richard Elmore. Dopo il trasferimento della compagnia a Los Angeles, si ebbe l'apertura
soltanto pochi giorni dopo il suicidio di William Inge che moriva ancora
giovane a Hollywood in Los Angeles il 10 giugno del 1973 (si avvelenò col
monossido di carbonio). Questo lavoro fu proclamato the Best Play del 1972 in
Arizona mentre a Los Angeles diede inizio alla trascinante carriera di Nick
Nolte, premiato per la sua incisiva interpretazione. Dopo la sua tragica
scomparsa, tuttavia, alcuni dei suoi lavori hanno continuato a essere
rappresentati con successo.
Il “The William Inge Collection at Independence Community College”, in
onore a Inge, ha raccolto una ricca collezione di manoscritti (circa 400),
film, lettere, programmi teatrali e molto altro ancora, mentre la sua città
natale Independence ha istituito l'annuale “William Inge Theatre Festival”. Ralph F. Voss gli ha dedicato il libro A Life of William Inge: The Strains of Triumph (Lawrence , Kansas :
University Press of Kansas 2000).
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