Jacques Prévert
Certamente Jacques Prévert (1900–1977) ha scritto le poesie d’amore più
conosciute e amate nel mondo (scritte per sé, per la persona amata e per tutti
quelli che si amano o si sono amati) e può considerarsi senz’altro come il
poeta elettivo dei giovani innamorati.
Riporto
una poesia che è un vero e proprio inno all’amore:
Questo
amore (Cet amour) (da “Paroles”, 1946)
Questo
amore
Così
violento
Così
fragile
Così
tenero
Così
disperato
Questo
amore
Bello
come il giorno
Cattivo
come il tempo
Quando il
tempo è cattivo
Questo
amore così vero
Questo
amore così bello
Così
felice
Così
gioioso
Così
irrisorio
Tremante
di paura come un bambino quando è buio
Così
sicuro di sé
Come un
uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo
amore che faceva paura
Agli
altri
E li
faceva parlare e impallidire
Questo
amore tenuto d’occhio
Perché
noi lo tenevamo d’occhio
Braccato
ferito calpestato fatto fuori negato cancellato
Perché
noi l’abbiamo braccato ferito calpestato fatto
fuori
negato cancellato
Quest’amore
tutt’intero
Così vivo
ancora
E baciato
dal sole
è il tuo amore
è il mio amore
è quel che è stato
Questa
cosa sempre nuova
Che non è
mai cambiata
Vera come
una pianta
Tremante
come un uccello
Calda viva
come l’estate
Sia tu
che io possiamo
Dimenticare
E poi
riaddormentarci
Svegliarci
soffrire invecchiare
Addormentarci
ancora
Sognarci
della morte
Ringiovanire
E svegli
sorridere ridere
E il
nostro amore non si muove
Testardo
come un mulo
Vivo come
il desiderio
Crudele
come la memoria
Stupido
come i rimpianti
Tenero
come il ricordo
Freddo
come il marmo
Bello
come il giorno
Fragile
come un bambino
Ci guarda
sorridendo
Ci parla
senza dire
E io
l’ascolto tremando
E grido
Grido per
te
Grido per
me
Ti
supplico
Per te
per me per tutti quelli che si amano
E che si
sono amati
Oh sì gli
grido
Per te
per me per tutti gli altri
Che non
conosco
Resta
dove sei
Non
andartene via
Resta
dov’eri un tempo
Resta
dove sei
Non
muoverti
Non te ne
andare
Noi che
siamo amati noi t’abbiamo
Dimenticato
Tu non
dimenticarci
Non
avevamo che te sulla terra
Non
lasciarci morire assiderati
Lontano
sempre più lontano
Dove tu
vuoi
Dacci un
segno di vita
Più
tardi, più tardi, di notte
Nella
foresta del ricordo
Sorgi
improvviso
Tendici
la mano
Portaci
in salvo.
(da “Poesie
d’amore e libertà” di Jacques
Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma
1999)
La poesia termina con l’implorazione
all’amore di non andare via, di non dimenticarsi di noi, di non lasciarci
morire di freddo nell’abbandono, di darci un segno di vita tendendoci la mano
nella notte per portarci in salvo. Io credo molto nel potere salvifico
dell’amore (e parlo per esperienza personale): vada malissimo il lavoro, manchi
la realizzazione professionale, stenti l’aspetto economico nella vita di
ciascuno di noi, se esiste accanto a noi l’amore caldo e vivo di una persona
vicina e partecipe, si può comunque sopravvivere e guardare avanti. Già nel
passato il poeta tragico Sofocle (496–406 a.C.), uomo complesso e piuttosto
pessimista, venerato in Grecia dopo la sua morte come un eroe, diceva: «Una
parola ci libera da tutto il peso e il dolore della vita: quella parola è “amare”.».
Un’altra nota e stupenda poesia è Parigi
di notte (Paris at night) (da “Paroles”, 1946): «Tre fiammiferi accesi uno per uno
nella notte / Il primo per vederti tutto il viso / Il secondo per vederti gli
occhi / L’ultimo per vedere la tua bocca / E tutto il buio per ricordarmi
queste cose. / Mentre ti stringo fra le braccia.» (da “Poesie d’amore e libertà”
di Jacques Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda
Editore, Parma, 1999)
E vorrei ricordare: Semplice come il
buongiorno (Simple comme
bonjour), musicata da Henri Crolla
e parte della raccolta “Soleil de nuit”, pubblicata postuma nel 1980:
L’amore è
chiaro come il giorno
l’amore è
semplice come il buongiorno
l’amore è
nudo come la mano
ma è il
tuo amore il mio amore
perché
parlare di grande amore
perché
cantare alla grande vita?
Il nostro
amore è felice di vivere
e ciò gli
basta.
è vero l’amore è molto felice
e anche
un po’ troppo… può darsi
e quando
chiudi la porta
sogna di
andarsene dalla finestra
Se il
nostro amore voleva partire
facevamo
di tutto per farlo restare
che cosa
sarebbe senza di lui la vita
un valzer
lento senza la musica
un
bambino che non ride mai
un
romanzo che nessuno legge
la
meccanica della noia
senza
amore né vita!
(da “Jacques
Prévert – Le Foglie Morte”, a
cura di Maurizio Cucchi, Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981)
Quelle di Prévert sono bellissime pagine di
poesia surreale ma popolare, che esprimono tutte le diverse sensazioni e tutte
le possibili sfaccettature di quel sentimento familiare a coloro che hanno
amato almeno una volta nella vita. E il suo modo di comunicare è molto naturale
e immediato, fatto di frasi apparentemente spezzate o disarticolate e di
metrica senza punteggiatura, privo di metafore o trasfigurazioni, fresco e
ingenuamente infantile, intenso e senza ipocrisie, come se il poeta parlasse al
“popolo” dei suoi lettori di
cose banali e senza importanza. In realtà, con una forza lirica facile ed
espressiva, Prévert parla dell’esistenza dell’uomo e dei suoi dolori, della sua
cieca disperazione ma anche della sua contagiosa gioia di vivere.
Parlando dello stile di Prévert, Maurizio
Cucchi (Ugo Guanda Editore, 1981) nell’introduzione di Le foglie morte scrive:
«Uno stile e una personalità che lo portano a muoversi sempre con
noncurante disinvoltura tra l’arrogante e il tenero, tra l’aristocratico e il plebeo,
nell’insieme di composizioni che costituiscono sempre un accortissimo
artificio, un paradosso perfettamente riuscito, un meccanismo affascinante.». Cucchi accenna pure a un’«accattivante
cialtroneria garbata», a «elenchi
incongrui, stravaganti» e a un agire poetico
«sciolto, felicemente e senza disagi in posizione bassa, lontano da
tendenze o tentazioni (che guarda con estremo sospetto) al sublime».
Nella poesia Alicante (da “Paroles” del
1946), con intenso erotismo, Prévert scriveva: «Un’arancia sulla tavola / Il
tuo vestito sul tappeto / E nel mio letto tu / Dolce presente del presente
/ Freschezza della notte / Calore della mia vita.» (da “Poesie d’amore e libertà di Jacques Prévert”,
traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999).
Nella notissima e lunga composizione lirica I ragazzi che si amano (Les enfantes qui
s’aiment) (da “Spectacle” del
1951), Prévert racconta il rapimento creato dall’amore e mostra i
ragazzi che rapiti si baciano di nascosto, suscitando la derisione e i risolini
(ma in fondo anche l’acida invidia) dei passanti: «I ragazzi che si amano si
baciano in piedi / Contro le porte della notte / E i passanti che passano li
segnano a dito / Ma i ragazzi che si amano / Non ci sono per nessuno /
Ed è soltanto la loro ombra / Che trema nel buio […] / I ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno / Loro sono altrove ben più lontano della notte / Ben
più in alto del sole / Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.» (da “Poesie d’amore e libertà
di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore,
Parma 1999)
E come non ricordare Baciami (Embrasse-moi) (da “Histoires
- D’autre histoires” del 1963), nella
quale il poeta invita gli amanti a cogliere l’attimo fuggente: «[…] / Stringimi tra le braccia / Baciami
/ Baciami a lungo / Baciami / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra vita è
ora / […] / Se tu smettessi di baciarmi / Credo che ne morrei soffocata /
Abbiam pure il diritto di baciarci / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra
vita è ora / Baciami!». (da “Poesie
d’amore e libertà di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G
Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)
Jacques Prévert nacque il 4 febbraio del 1900
da padre bretone e madre dell’Alvernia a Neuilly–sur Seine in Bretagna, una
regione che lo influenzò con le sue usanze vivaci e con le sue popolari
tradizioni folcloristiche. Fece studi scarsi e irregolari e presto iniziò a
guadagnarsi da vivere nei modi più disparati. Nel 1920 fece il servizio
militare e quindi ritornò a Parigi, ove mise su abitazione a Montparnasse (una
casa frequentata da molti artisti e aperta all’intensa vita culturale di
allora) insieme col fratello minore Pierre (1906–1988), regista, e con i due
amici Yves Tanguy (1900–1955), un pittore appartenente alla corrente dadaista,
e Marcel Duhamel (1884–1966), editore della Gallimard. Ben presto prese
posizioni anarcoidi contro l’ipocrisia del mondo borghese del suo tempo e
contro lo status quo del potere precostituito, cimentandosi nelle
esperienze più nuove e sperimentando tutti gli stimoli culturali più innovativi
(musica moderna, alcolici, influenze di mondi diversi, partecipazione a film in
qualità d’attore, scrittura di testi di canzoni da caffè–concerto, etc.). Diceva
di essere un uomo che viveva una vita «a briglie sciolte». Giovanissimo, si legò di grande amicizia
con André Breton (1896–1966) e Louis Aragon (1897–1982), i maggiori esponenti
del Surrealismo, e con lo scrittore esistenzialista Raymond Queneau (1903–1976).
Nel 1931 si fece conoscere con una satira trasgressiva dai toni acri e sarcastici
e dal lungo titolo Tentativo di
descrizione di un pranzo di teste a Parigi, Francia (Tentative de description
d’un diner de tetes a Paris, France).
Prévert è stato anche un grande cantautore:
ha scritto quasi 100 canzoni, ed è sua la bellissima Le foglie morte (Le feuilles mortes), emblema della canzone
francese di tutti i tempi, musicata da Joseph Kosma (compositore ungherese
fuggito dalla Germania), che è entrata a pieno titolo nella storia della
musica. Come non ricordare l’emozione suscitata dalle bellissime parole di Prévert
cantate dalla struggente Edith Piaf o dalla diafana Juliette Greco (la musa
degli esistenzialisti) o dall’affascinante Yves Montand: «Oh, vorrei
tanto che anche tu ricordassi / i giorni felici del nostro amore / Com’era più
bella la vita / E com’era più bruciante il sole / Le foglie morte cadono a
mucchi… / Vedi: non ho dimenticato / Le foglie morte cadono a mucchi / come i
ricordi, e i rimpianti / e il vento del nord porta via tutto / nella più fredda
notte che dimentica / Vedi: non ho dimenticato / la canzone che mi cantavi / è una canzone che ci somiglia / Tu che
mi amavi / e io ti amavo / E vivevamo, noi due, insieme / tu che mi amavi / io
che ti amavo / Ma la vita separa chi si ama / piano piano / senza nessun rumore
/ e il mare cancella sulla sabbia / i passi degli amanti divisi / […] / Eri la
mia più dolce amica… / Ma non ho ormai che rimpianti / E la canzone che tu
cantavi / la sentirò per sempre / […]»
(da “Jacques Prévert – Le Foglie Morte”, a cura di Maurizio Cucchi,
Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981). E alcuni refrain si ripetono in un’affascinante maniera nostalgica e
malinconica. Il poeta francese Paul Verlaine ha scritto la Canzone d’autunno che presenta una certa affinità con il tema di Prévert: «I singhiozzi
lunghi / dei violini / d’autunno / mi feriscono il cuore / con languore /
monotono. / Ansimante / e smorto, quando / l’ora rintocca, / io mi ricordo /
dei giorni antichi / e piango; / e me ne vado / nel vento ostile / che mi
trascina / di qua e di là / come la foglia / morta.» (nella traduzione di Lanfranco Binni, Garzanti, Milano 1993).
Le poesie più belle di Prévert sono raccolte
in Parole (Paroles) (1946), Storie (Histoires) (1946),
Spettacolo (Spectacle) (1951), Le Grand Bal du Printemps (Il grande ballo di primavera) e La pioggia e il bel tempo (La pluie et le beau temps)
(1955). Pubblicò in seguito le raccolte di versi Storie –
Altre storie (Histoires –
D’autre histoires) (1963), Cose ed altro (Choses et autres) (1972) e Alberi (Arbres) (1976).
Nonostante qualche
momentaneo periodo di crisi, Jacques Prévert fece parte del movimento
surrealista e frequentò il “Groupe Octobre” della Federazione Teatro Operaio. Per questa struttura teatrale di sinistra,
che promuoveva una forma di “teatro sociale”, scrisse numerosi testi di drammaturgia, messi in scena tra il 1932 e
il 1937. Dal 1945 riprese l’attività teatrale, lavorando insieme a Pablo
Picasso per la rappresentazione del balletto L’incontro (Le rendez-vous).
Oltre alle poesie e
alle opere teatrali, Prévert amò la cinematografia e fece parte di quella
scuola francese degli anni Trenta che venne definita del “realismo
poetico” per i suoi film, e ne rappresentò
prevalentemente «il filone pessimista e drammatico, portati come sono
alla descrizione di un ambiente reso amaro dalla società e dalla lotta per la
vita» (in Capitolo 5, L’età d'oro del cinema francese, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini,
Novara 1981). Troverebbero le origini nel
“Verismo” della narrativa di Emile Zola (1840–1902) con i suoi interpreti
costretti nel ruolo di “bestie umane”. Nel 1932 Jacques Prévert esordì nel
cinema, scrivendo la sceneggiatura per il film Affare fatto (L’affaire
est dans le sac), diretto dal
fratello Pierre, appassionato di cinema e aiuto–regista di Jean Renoir (1914–1993);
il film era una satirica astrazione intellettuale e ha scritto Gianni
Canova (in Cinema, le garzantine,
Garzanti, 2009): «definito un esempio di “burlesco poetico”, con echi
surrealisti e anarchici, il film non viene apprezzato dal pubblico, abituato
alle commedie brillanti americane». Jacques
preparò, quindi, per registi famosi delle straordinarie sceneggiature. Tra il
1938 e il 1944 si dedicò prevalentemente all’attività cinematografica (nel 1938
fu anche a Hollywood), collaborando con Jean Grémillon (1901–1959) – regista di
grande ispirazione e «fascinazione visiva» – con cui fece Tempesta (Remorques)
(1940) e Luci d'estate (Lumière d'été) (1942). Scrisse per Marcel Carné (1906–1996) le sceneggiature degli splendidi
film Quai des brumes (Il porto
delle nebbie) (1938) e Alba tragica (Le jour se Lève) (1939) (interpretati
da un grande Jean Gabin) e Les
enfants du paradis (1945) (il cui
titolo italiano è stato trasformato romanticamente in Amanti perduti). Quest’ultimo film rappresenta veramente l’epopea dell’amore
impossibile dall’esito tragico e ha come protagonista il triste e appassionato
mimo bianco Baptiste, interpretato da un grande e malinconico Jean-Louis
Barrault (1910–1994) perduto d’amore per l’enigmatica cortigiana Garance,
interpretata dalla magica Arletty (1898–1992). Seguì Mentre Parigi dorme (Les portes de la nuit) (1946). A proposito
delle sceneggiature scritte da Jacques per Marcel Carné (uno dei più ispirati e
crudi registi francesi del periodo, dal linguaggio alto e dalle intense
atmosfere, i cui film sono autentici capolavori dello schermo), ha scritto Gianni
Canova (in Cinema, le garzantine,
Garzanti, 2009): «tutte caratterizzate dalla presenza ossessiva del destino,
dalla solitudine, dalla morte, dall’infelicità
amorosa». In Marcel Carné (“Il
Cinema – Grande storia illustrata”,
Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981), è scritto: «Così si configurano i
temi pressoché costanti della coppia Carné–Prévert individuati da Georges
Sadoul nell’“amore che, solo, può dare
la felicità, ma che non può durare a lungo, travolto dal destino; la lotta del Bene
e del Male in cui i cattivi hanno sempre la meglio; eroi proletari di cui la
società ha fatto dei criminali, mai banditi di professione: 'eroi' che sognano
un 'altrove' dove l’amore sia possibile ed eterno, scontrandosi con un Destino
spesso simbolizzato da uno dei protagonisti o dallo stesso ambiente. E questa
fatalità è in definitiva espressione di un ordine sociale, le cui possibilità
di modificazione sono viste con pessimismo”». Quel pessimismo era
ispirato dalla situazione storica della Francia in cui sembrava svanita ogni
speranza sotto l’avanzare del
nazifascismo, con le ombre minacciose di una guerra incombente; e quei film
divenivano «una metafora dello sfacelo politico e morale», «barometro della sua
epoca» ma non «causa delle tempeste rispecchiate e previste».
In seguito Prévert
elaborò per il noto regista Jean Renoir la sceneggiatura di Le crime de
Monsieur Lange (Il delitto del signor Lange).
Fra il 1961 e il
1968 lavorò per la televisione, collaborando attivamente con il fratello
Pierre.
Nel 1947 Jacques Prévert aveva sposato
Janine Tricotet, che gli diede la figlia Michelle. Nel 1948 lo scrittore subì un
grave incidente, precipitando misteriosamente da una finestra degli uffici
della radio e rimanendo in coma per diverse settimane: questo trauma richiese
una convalescenza di alcuni anni. Nell’ultimo periodo della sua esistenza si
dedicò – oltre che alla scrittura poetica – alla composizione di collage, che
espose in una mostra e che furono pubblicati in Guazzabuglio (Fatras), e si concentrò nella scrittura dei
due saggi L’universo di Klee (L’universe de Klee) e Juan Mirò.
Distrutto da un cancro al polmone, morì a Omonville–la–Petite
l’11 aprile del 1977 dopo lunghi anni di sofferenze, confortato dall’amore
appassionato del suo pubblico e dall’affetto di pochi e affezionati amici (Yves
Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, Joseph Losey e Serge Reggiani). In
base ai dati di un recente sondaggio popolare, Prévert è stato nominato «scrittore del secolo» ed è stato preferito
a grandi autori francesi del calibro di Albert Camus (1913–1960), premio Nobel
nel 1957, o di Marcel Proust (1871–1922).
Perché non mettete anche la poesia in francese?.....
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