Ivàn Turgenev
Locandine film
Ivàn Sergeevič Turgenev, grande scrittore
russo e classico da non dimenticare, ha scritto sempre dell’amore in tutte le
sue forme, passando dall’amore tenero e puro a quello egoistico e torbido
(spesso un vero e proprio gioco sentimentale), dal desiderio ardente (spesso un
vero e proprio fuoco bruciante) alla passione cupa e travolgente (spesso un sentimento
tragico e fatale). Diversi suoi
scritti (tra cui il romanzo Padri e figli) sono considerati capolavori della letteratura russa, e non solo, del xix secolo.
Turgenev
nacque a Orel, nella omonima provincia russa, il 9 novembre del 1818. Era il figlio
di un prestante ufficiale degli ussari (di nobili origini tartare ma senza
soldi, morto quando Ivàn aveva sedici anni) e di una proprietaria terriera
piena di denaro. La madre, insoddisfatta, amava non riamata il bel marito molto
più giovane di lei ed era una donna tirannica e inflessibile in famiglia, e dura
e dispotica con la servitù (l’identica situazione del racconto Primo amore, già passato in rassegna nel
post precedente). Questa madre terribile tentò di tagliare al figlio qualsiasi
aiuto finanziario, cercando di diseredarlo e d’interdirlo, e ne segnò in modo
indelebile il carattere (alto e imponente, divenne tremendamente timido e
riservato; aveva scritto: «La felicità di ciascuno è costruita sull’infelicità
di un altro»). Con lei, Ivàn ebbe rapporti difficilissimi e rotture clamorose.
L’aver trascorso la sua infanzia nella tenuta materna di Spasskoe (insieme ai
fratelli Nikolaj e Sergej) mise ben presto Turgevev a contatto con la crudeltà
di trattamento dei servi della gleba e ne scatenò i vivaci rigurgiti di rivolta
contro la chiusa società russa e contro la madre che ne era una spaventosa
rappresentante. Questo substrato familiare lo rese un profondo analista degli
archetipi familiari russi del suo periodo e dei relativi difficili rapporti
interpersonali.
Turgenev
studiò filosofia presso le università di Mosca e Pietroburgo, ove si legò a
Puskin e Gogol’ che brillavano nel mondo letterario del tempo. Dal 1838 al 1841
studiò anche all’estero (soprattutto a Berlino) e fu anche in Italia: ebbe così
modo di conoscere e frequentare i circoli filosofici hegeliani e gli scrittori
esuli appartenenti alla corrente dell’idealismo russo. Rientrato in Russia, era
talmente convinto della bontà della modernità della società dell’Europa
Occidentale rispetto a quella russa da sposare le idee “filo–occidentali” e da fraternizzare con gli
esponenti del progressismo e dell’occidentalismo (in contrapposizione alle
posizioni “slavofile” e conservatrici).
Nel 1841 Ivàn
visse un amore infelice per una intelligente e bella ragazza che faceva parte
della schiera dei servi della madre: avrebbe voluto sposarla ma l’implacabile
genitrice allontanò la giovane, togliendole la bimba nata dalla relazione, che
fece crescere come una serva tra i servi. Soltanto più tardi, Turgenev seppe di
Pelageja, la figlia naturale, e dopo un tremendo litigio la portò via cercando
di sistemarla degnamente. Aveva scritto: «Guai al cuore che non ha amato fin da
giovane! […] L’anima degli altri è come un bosco oscuro, specialmente l’anima
di una fanciulla. […] Voi non potete immaginare ciò che un giovane inesperto,
educato alla maniera sbagliata, può scambiare per amore!» (da “Un nido di
nobili” del 1859).
Tra il
1841 e il 1843 lo scrittore svolse un’attività burocratica presso il Ministero
degli Interni (ottenuta a causa delle pressioni materne) ma continuò a
interessarsi di poesia romantica. Nel 1843 esordì con il primo volume di versi Parasa
(che fu ben accolto dalla critica) e con il lavoro teatrale Un’imprudenza,
mentre nel 1844 pubblicò il suo primo racconto in prosa Andrej Kolosov. I
suoi primi lavori letterari rivelarono un talento geniale e furono accolti bene
dal pubblico e dalla critica, rappresentata soprattutto dal critico letterario
russo anti–tradizionalista e progressista
Vissarion Grigorevič Belìnskij (1811-1848), che tanta influenza ebbe sulla “intelligencija”
socialista e su tutta la generazione degli scrittori russi della seconda metà
dell’Ottocento (fu il critico che diede slancio all’iniziale carriera di
Dostoevskij, allontanandosi poi dalle sue posizioni ideologiche).
Pur
essendo amico di uomini politici russi, Turgenev rifuggì da qualsiasi impegno
sociale e ignorò le motivazioni ideologico–politiche del mondo russo, a differenza dei suoi contemporanei
Tolstoj e Dostoevskij, che non lo amarono considerandolo un nichilista senza
convinzioni e senza consistenza.
Dal 1847
sino alla morte, visse sempre all’estero, sia per sganciarsi dall’incombente presenza
della madre (della quale lo infastidiva anche il solo ricordo), sia per stare
accanto all’amata di sempre, alla passione di tutta una vita, la cantante–attrice di origini spagnole Pauline
Garcia Viardot. Con lei Turgenev instaurò uno strano rapporto a tre: Ivàn era,
infatti, molto amico anche del marito di lei e seguiva la famiglia Viardot in
tutti i suoi spostamenti. Fu in Germania (a Baden–Baden), in Inghilterra (dopo lo scoppio della guerra franco–prussiana), e in Francia ove comprò
una villa nei pressi di Parigi. In tutti questi suoi soggiorni si legò di
amicizia con molti grandi scrittori stranieri del tempo, frequentando i salotti
letterari alla maniera di un ambasciatore ideale della letteratura russa. In
tal modo ebbe il merito di far conoscere all’estero i grandi capolavori russi, che
venivano tradotti in francese proprio dal marito di Pauline. Turgenev divenne
così uno dei più occidentali tra i letterati russi, circondato da stima e
rinomanza internazionale: la prestigiosa università di Oxford gli conferì una
laurea Honoris Causa in Diritto. Intellettuale ateo e liberal–democratico, pur vivendo in una
società arretrata ma agli albori del socialismo, con la denuncia dei suoi
scritti, seppe dare un contributo notevole all’abolizione della servitù della
gleba. Fu il primo russo a rappresentare nella sua opera gli umili servi della
gleba, osservati nell’ambito delle loro difficoltà esistenziali, mai descritti
come personaggi grotteschi bensì come individui ricchi di dignità: e ciò senza
eccedere nella retorica o nelle descrizioni di cieca brutalità. Il libro Racconti di un cacciatore (1852),
formato da storie d’ambiente rurale e contadino, rappresentate con grande
sensibilità, al di là degli stessi intendimenti di Turgenev, è stato considerato
come un forte atto d’accusa di questa barbara servitù. Sembra che questo volume
abbia avuto una positiva influenza sullo zar Alessandro ii, che stava proprio pensando a una qualche emancipazione
dei servi della gleba.
Rientrato in Russia nel
1852, Turgenev ebbe dei problemi a causa di un necrologio anticonformista e troppo
acceso scritto in occasione della morte di Nikolaj Gogol’ (1809-1852), che
idolatrava; vi scriveva tra l’altro: «Gogol’ è morto! […] quale cuore russo non
è scosso da queste tre semplici parole? […] egli se ne è andato, quell’uomo che
ora noi abbiamo il diritto, l’amaro diritto conferitoci dalla sua morte, di
chiamare Gogol’ il Grande». Fu arrestato per un mese, ma si trattò in realtà soltanto
di un pretesto: gli si facevano pagare i duri atteggiamenti di denuncia e di
critica del periodo precedente. Durante un anno di esilio forzato fu recluso presso
la tenuta che aveva ereditato dopo la morte della madre, avvenuta nel 1850,
senza che il poeta riuscisse a vederla ancora in vita.
Così come
non furono facili i rapporti di Ivàn con gli scrittori russi, non lo furono
neanche quelli con il pubblico russo, dal momento che i lettori di allora
pretendevano dai loro autori un forte impegno ideologico e un’alta funzione di
guida che facevano fatica a rintracciare nell’umile realismo delle storie di
Turgenev. Questi contrasti scatenavano critiche e polemiche a non finire che
amareggiavano moltissimo lo scrittore, il quale si sentì sempre un incompreso. Nonostante
ciò, nel 1857 a Baden–Baden
aiutò economicamente sia Tolstoj, che aveva perso tutto al gioco e non poteva
ritornare i patria, sia Dostoevskij completamente rovinato dalla passione per
il gioco d’azzardo.
Nelle
opere di quel periodo Rudin (1857) – il protagonista era un rappresentante del
mondo intellettuale degli anni quaranta – , Un nido di nobili (1859) e All’epoca
(1960) dai contenuti molto anticonformisti, prese forma il ruolo dell’“uomo
superfluo”, dell’idealista buono, infiammato ed eloquente (attivo solo a
parole) ma nella realtà un uomo debole e inetto, privo di volontà e incapace
sia di azioni che di scelte.
Tra i
suoi libri, fu soprattutto il grande capolavoro Padri e figli
(1862) a non essere capito né dai progressisti né dai conservatori (fu
attaccato soprattutto da parte dei giovani radicali, che vi videro una
canzonatura, anzi una caricatura, della nuova generazione degli anni Sessanta e
una difesa connivente della reazione). In realtà, in questa sorta di romanzo
sociale, in modo autobiografico Turgenev aveva rappresentato il contrasto tra
le generazioni, evidenziando la discontinuità e la separatezza di due mondi
spirituali diversi che vivevano di frizioni e fratture dolorose: la vecchia generazione
dei padri (aristocratici idealisti ma immobili e legati a un passato pieno di
privilegi) e quella giovane dei figli (anti–idealisti, anzi materialisti o nichilisti, ma democratici e
desiderosi di profondo rinnovamento). Riuscì ad analizzare nella profondità
quel conflitto generazionale e a raccontare quella crisi esistenziale che avvertiva
già da antesignano ma che per gli altri sarebbe esplosa più tardi. Questo
particolare conflitto tra gli intellettuali degli anni Quaranta e quelli degli
anni Sessanta sarà nel 1873 l’argomento anche del capolavoro di Dostoevskij “I
Demoni”.
Turgenev
scrisse in seguito altri due romanzi: Fumo (1867), parodia dei russi
emigrati per motivi politici (il fumo emesso dal treno era la metafora della
confusione della vita che avvolgeva lui e l’amata Russia), e Terra vergine
(1877), dedicato al risveglio delle coscienze nel movimento rivoluzionario
russo (quest’opera avrebbe dovuto costituire il romanzo nuovo per gli uomini
nuovi, in grado di preparare appunto questa rivoluzione).
Scrisse
anche per il teatro, ammantando di moderno realismo psicologico i suoi testi,
tra i quali è degno di nota Un mese in campagna (1850).
Scrisse inoltre quattro volumi di racconti, per i quali è considerato veramente
grande: quelli appartenenti al primo periodo erano ispirati a un lieve realismo
lirico–sentimentale mentre quelli
appartenenti al secondo periodo, ricchi di fantasiosa malinconia e di una
concezione tragica della vita umana, svelavano l’angoscia esistenziale che
attanagliò Turgenev negli ultimi anni di vita. Di grande bellezza e d’intenso
approfondimento psicologico sono: Asja
(1858), Primo amore (1860) e Acque di primavera (1872). Nel 1868
scrisse Memorie letterarie e di vita, e nel 1882 – un anno prima della morte avvenuta
a Bougival, Parigi, il 3 settembre del 1883 per un tumore alla spina dorsale – Poesie in prosa (o Senilia), dominate dal triste
presentimento della morte vicina (aveva scritto: «Sì, prova un po’ a negare la
morte. È lei che ti nega, e basta!»). Per suo espresso desiderio, la salma fu
tumulata nel cimitero della città di Pietroburgo, ove aveva lasciato i suoi
legami più tenaci e il più profondo attaccamento, a dispetto delle sue lunghe
assenze.
A
proposito di questo forte legame di Ivàn Turgenev con la sua terra natale, ha
osservato la critica (La Nuova
Enciclopedia della Letteratura Garzanti, Garzanti editore, Milano 1985): «Ma
le sue radici erano nella Russia del suo tempo, di cui seppe registrare la
complessità, l’inquietante, tragico conflitto fra il bisogno di nuovo e l’attaccamento
spesso disperato al vecchio. I suoi romanzi in una lingua tra le più limpide e
perfette nella storia letteraria russa dopo Puškin, non sono, come certi
contemporanei credettero, serie indagini sociologiche, bensì attente letture
psicologiche di un’epoca di grande fermento. E i suoi personaggi rimangono
esempi ancor oggi suggestivi di tormentata ambiguità, di sotterranea crescita
spirituale.».
Scrisse
il critico e scrittore statunitense Edmund Wilson (1895-1972): «La particolare
abilità di Turgenev consiste nel mostrare, attraverso i rapporti con gli altri,
quello che le persone realmente sono. Per questo riesce così bene nella
rappresentazione dei vari tipi di società.».
P.S. Due altri bei film (insieme a quelli considerati nel
post precedente), tratti da opere di Turgenev, sono:
- Nido di gentiluomini (1969),
film prodotto in Unione Sovietica e diretto da Andrei Konchalovsky, con Irina
Kupchenko, Leonid Kulagin, Beata Tyszkiewicz, Tamara Chernova, Viktor
Sergachyov, Vasili Merkuryev, Aleksandr Kostomolotsky, Mariya Durasova,
Vladimir Kochurikhin e Sergei Nikonenko. è la storia di Fedor, un giovane appartenente
a un’antica famiglia nobiliare che riceve una educazione severa che include il
disprezzo per il genere femminile; s’innamora di Varvara e la sposa, ma lei lo
tradisce e lo lascia cadendo sempre più in basso. Fedor non saprà allora mettere
a frutto il suo amore per Liza, una tenera e ingenua fanciulla, che finirà la
sua vita in un convento, in una regione remota della Russia.
- Acque di primavera (1989),
film franco–anglo–italiano che partecipò al Festival di
Cannes, di Jerzy Skolimowski, con Timothy Hutton, Nastassja Kinski, Valeria
Golino e William Forsythe (alla fotografia ha partecipato Dante Spinotti) è il ritratto tenero ed elegante di un uomo debole, il
giovane proprietario terriero russo Dimitri Sanin, combattuto
tra due donne forti, la ragazza di origine italiana Gemma Rosselli
conosciuta durante un suo viaggio, e la ricchissima Maria Nicolaievna, moglie
del principe Ippolito Polozof, suo amico, che lo seduce vivendo con lui un’ardente
breve relazione sentimentale e provocando la rottura con Gemma, che Dimitri rimpiangerà
per tutta la vita.
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