Elsa Morante
Il 18 agosto
di cento anni addietro nasceva a Roma Elsa Morante (vi morì il 25 novembre del
1985). Non soltanto grandissima scrittrice, fu anche una sensibile poetessa, un'acuta
saggista e un'abile traduttrice. Il suo magico talento narrativo, la sua
immaginazione vivace e fantasiosa, e la sua inventiva originalità nella
parola
(espressione di una separazione piena di angoscia dalla realtà) ben presto la
lanciarono all'attenzione del pubblico e della critica. Tutti i suoi romanzi sono
oggi considerati i testi migliori del dopoguerra e della letteratura italiana
in genere.
Era la figlia naturale di Irma Poggibonsi (una maestra
ebrea di origine modenese) e di un uomo di origine siciliana, ma fu
riconosciuta dal marito della madre e visse un'infanzia complicata nel
quartiere popolare del Testaccio a Roma insieme ai fratelli Aldo, Marcello – anch'egli
scrittore – e Maria. Non frequentò la scuola elementare,
imparando a leggere e a scrivere da autodidatta. Alla
fine del liceo lasciò la famiglia per andare a vivere da sola; s'iscrisse alla
facoltà di Lettere ma fu costretta ad abbandonare gli studi per mantenersi, dando
lezioni private di italiano e latino e dedicandosi alla stesura di tesi di
laurea.
Giovanissima, si fece conoscere per le sue filastrocche
e favole per bambini, per le poesie e per i racconti brevi che pubblicò su diverse
riviste (“Corriere dei piccoli”,“Meridiano di
Roma”,“I
diritti della scuola”, e “Oggi”),
scrivendo con gli pseudonimi maschili di Antonio Carrera e Renzo o Lorenzo
Diodati. Non a caso, perché si definiva «scrittore» al maschile, in
quanto «il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte,
risente ancora della società degli harem» (http://lettura.corriere.it/la-mia-elsa-morante-incendiaria/). Si è detto: «Esplicitamente dichiarata nei
primi racconti […], questa centralità della fantasticheria, che da strumento
diviene ragion d'essere, valore da difendere e discrimine decisivo tra la sua
narrativa e il mondo, ispirò alla Morante le opere maggiori […] di largo
respiro, in cui il modello realistico di stampo ancora ottocentesco viene
restituito a un'inesauribile produttività di invenzioni.» (http://www.treccani.it/enciclopedia/elsa-morante/).
Nel 1941 pubblicò il primo libro che raccoglieva
alcune di quelle storie giovanili, dal titolo Il gioco segreto; nel 1942 seguì il libro per ragazzi intitolato Le bellissime avventure di Caterì dalla
trecciolina (scritto quando Elsa aveva soltanto tredici anni), che nel 1959 fu modificato e ripubblicato come Le straordinarie avventure di Caterina.
Nel 1936 aveva conosciuto lo scrittore Alberto Moravia;
lo sposò nel 1941. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i due scrittori furono
costretti a lasciare Roma occupata dai nazisti per riparare sulle montagne di
Fondi, in provincia di Latina nella Ciociaria, paese che ispirò gli ambienti e
le atmosfere di diverse opere narrative di Morante e Moravia. La Morante: «Nell'estate del '44 ritorna a Roma, ma intanto il suo
complicato e difficile rapporto con Moravia alterna momenti di comunicazione
intensa ad altri di distacco e malessere. In Elsa Morante, infatti, il bisogno
di autonomia contrasta con una forte esigenza di protezione e di affetto. Allo
stesso modo desidera e rifiuta la maternità, a cui rinuncia, ma di cui
rimpiange, al tempo stesso, la possibilità perduta.» (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html).
In quel periodo la Morante tradusse Scrapbook, il diario di Katherine
Mansfield, scrittrice con la quale scoprì molte affinità sia esistenziali sia
di gusto letterario, che la influenzò, e alla quale s'ispirò nei suoi romanzi.
Nata in Nuova Zelanda nel 1888, la Mansfield
era malata di tubercolosi e amava molto la natura; scriveva infatti: «Voglio la
salute. Per salute intendo la possibilità di condurre una vita piena, adulta,
viva, completa, in stretto contatto con tutto ciò che amo: la terra e le sue
meraviglie, il mare, il sole…». E la natura che lei amava, riempiva liricamente
i suoi testi. Nel 1917 (dopo cinque anni di vani tentativi in riviera o in
sanatorio allo scopo di arrestare la malattia) Katherine
Mansfield moriva ad appena 34 anni. Dopo la sua morte, il devoto marito – John Middleston Murry, grande
critico letterario e scrittore del tempo, che romanticamente si entusiasmò di
lei e della sua opera e che la sposò dopo il suo divorzio – pubblicò postumo nel Diario (1927) – tradotto in Italia dalla Morante (Katherine Mansfield, Quaderno d'appunti, Longanesi, Milano 1945; Feltrinelli 1979) – e
nelle Lettere (1928),
tutto ciò che la Mansfield aveva scritto, facendo rivivere lei (che avrebbe voluto
vivere a tutti i costi) nella lettura e nel ricordo dei suoi lettori. La
Morante tradusse anche altri testi della scrittrice neozelandese (Il meglio di Katherine Mansfield, Rizzoli, Milano 1945).
Dopo aver viaggiato in Francia e in Inghilterra, nel
1948, la Morante pubblicò il primo dei suoi grandi romanzi, Menzogna e sortilegio, che vinse il
Premio Viareggio (il romanzo fu conosciuto nel 1951 anche dal pubblico
americano col titolo House of Liars,
grazie alla traduzione di Adrienne Foulke e Andrew Chiappe). Al centro della
narrazione, sta il declino di una nobile famiglia meridionale, osservato e ricostruito
attraverso l'occhio allucinato della giovane Elisa, reclusa nella sua stanza,
nutrita da fantasmi ambigui e da miti funesti. Elisa racconta il matrimonio
della nonna Cesira che, da istitutrice, sposa Teodoro Massia (il discendente di
una famiglia ricca e aristocratica); il sentimento ambiguo della figlia Anna («una
Santa») per il bel cugino Edoardo dal carattere
cupo e irascibile («un ras dei deserti d'oltretomba»), figlio della zia Concetta («una profetessa
regina»); e le vicende di Francesco Di Salvo (figlio
di contadini che si fa passare per un aristocratico) e della sua esuberante
ragazza Rosaria che riesce a suscitare l'interesse di Edoardo. Ed Elisa è la
figlia di Francesco («un granduca in incognito»)
e Anna mentre Edoardo, malato di angoscia, si esclude dall'esistenza vivendo in
un mondo di fantasmi. Rimasta sola (ha perso il padre in un incidente sul
lavoro e la madre, contagiata dalla malattia di Edoardo, si strazia nella
lettura ossessiva delle oscure lettere ricevute dall'amato cugino), Elisa
osserva che «Si fissarono così, in solenni aspetti a me familiari, le
maschere delle mie futili tragedie...». Dopo
molti anni, la ragazza incontra Rosaria che ne diviene l'amica e la maestra di
vita. Ha scritto Francesco Troiano: «Nel
narrare i casi d'una benestante famiglia meridionale destinata alla decadenza,
tramite lo sguardo febbrile e tormentato d'una giovane donna isolatasi dal
mondo, la Morante s'allontana in maniera assai netta dall'imperante modello
neorealistico: si precisa, da subito, la sua predilezione pel magico e la
fantasticheria, in una chiave tuttavia caricata d’angoscia dal confronto coi
dati della realtà.»
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/bibliografia.htm).
è
stato anche commentato: «il romanzo
riprende i grandi modelli della tradizione, da Stendhal a Tolstoj, in cui la
narrazione diventa specchio della società umana»
http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/menzognasortilegio.htm).
è stato osservato ancora: «Così assediata da
tali “magnifiche” ombre, l'io narrante di Menzogna e sortilegio s'incammina
verso la necropoli del proprio mito familiare: pari a un archeologo che parte
verso una città leggendaria.» (commento all'edizione di Einaudi, Torino 2005).
Con il miglioramento della loro situazione economica, Morante
e Moravia presero possesso di un attico in via dell'Oca, che divenne uno dei
più vivaci e frequentati centri intellettuali romani (si raccoglievano intorno
ai due grandi scrittori: Giorgio Bassani, Attilio Bertolucci, Natalia Ginzburg,
Pier Paolo Pasolini, Sandro Penna, Umberto Saba ed Enzo Siciliano). La Morante
collaborò poi con la Rai e, insieme con una delegazione culturale, visitò l'Unione
Sovietica e la Cina.
L'altro grande romanzo L'isola di Arturo fu pubblicato nel 1957 (con grande successo di
pubblico e di critica) e vinse il Premio Strega (gli dedicherò un articolo a
parte).
Nel 1958 pubblicò 16 poesie raccolte in un volume dal
titolo Alibi, tutte poesie d'amore, immaginario
o reale non ha importanza, ma un amore «vissuto
come un male, e insieme come la sola liberazione dal male». Si tratta di
«poesie da album, ma un album visitato da una
tristezza veggente di chiromante pazza, che interroga, cieca, le linee confuse
e arruffate del suo destino, senza riuscire ad afferrarlo», un destino che appare «sempre più simile a una condanna e a un inferno»
a «una ragazza sognatrice che vuole l'amore e
aspetta la felicità» ma che indulge alle
cantilene e ai sortilegi che accompagnano la magia (commento all'edizione di Einaudi,
Torino 2012).
Durante gli anni Sessanta, Elsa Morante attraversò un
lungo periodo di riflessione, mostrandosi scontenta di ciò che aveva scritto
(il periodo di crisi fu forse innescato dalla separazione tra la Morante e
Moravia, iniziata nel 1961 e realizzatasi definitivamente nel 1962, anno a
partire dal quale e fino al 1978, Moravia ebbe come compagna Dacia Maraini). Frequentò
il regista Luchino Visconti, il pittore newyorkese Bill Morrow – conosciuto nel
1959 durante un suo viaggio negli Stati Uniti e morto suicida precipitando da
un grattacielo (Elsa porterà
per anni con sé lo sconvolgimento provocato da questo grande dolore) –, il critico Cesare Garboli e l'attore Carlo Cecchi
(che le rimase accanto sino alla fine). Nel 1960, senza lasciare la casa
coniugale e lo studio dei Parioli, si trasferì in via del Babuino. Andò con
Moravia in Brasile e l'anno successivo con Pasolini viaggiò in giro per l'India.
Continuò poi da sola i suoi viaggi per il mondo, andando in Andalusia e Messico,
e nel Galles.
Sia la Morante sia Moravia manifestarono curiosità e
interesse per il cinema (Moravia fu anche critico cinematografico per
quotidiani e settimanali) e affidarono al cinema la trasposizione di molti dei
loro lavori. Nel 1961 Elsa Morante volle partecipare come attrice (interpretava
una detenuta) al film epico e tragico di Pier Paolo Pasolini Accattone (sceneggiato dallo stesso
Pasolini con la collaborazione di Sergio Citti), insieme con Franco Citti
(Cataldi Vittorio detto Accattone), Franca Pasut (Stella), Silvana Corsini
(Maddalena), Paola Guidi (Ascenza), Adriana Asti (Amore) e ad altri numerosi
attori non protagonisti, considerati dal regista interpreti «puri e
incontaminati». Il film era dedicato a rappresentare un sottoproletario romano
il cui stile di vita dei protagonisti era improntato alla necessità del
sopravvivere giorno per giorno, anno dopo anno. Divenne una metafora di quella segmento
povero dell'Italia che viveva e moriva disperato nelle periferie delle grandi
città. Il film era nelle corde della tematica della Morante, che non si rifiutò
alla proposta di Pasolini, amico di una vita. Il film fu presentato alla 26ª
Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia ma ricevette dure
contestazioni. Alla Prima del film al cinema Barberini a Roma, ci furono
disordini e colluttazioni (il film venne poi bloccato dalla censura e fu ritirato
da tutte le sale italiane).
Nel 1963 Morante pubblicò la seconda raccolta di
racconti Lo scialle andaluso (che
includeva l'omonimo racconto uscito su “Botteghe
Oscure” nel 1953) e nel 1968 diede alle
stampe Il mondo salvato dai ragazzini,
una moderna miscellanea di poesia, dramma, canzone, satira, dialoghi e
manifesto ideologico ma «l'elemento unificante di tanta disparità
espressiva è una sorta di tensione vitalistica che libera i fantasmi della
sofferenza claustrale nel credo quasi gioioso dell'anarchismo e del pauperismo,
nella fiducia accordata ai “ragazzetti celesti”,
ingenui portatori dell'unica possibile felicità, quella dell'innocenza astorica
e divinamente barbarica.» (La
nuova Enciclopedia della Letteratura, Garzanti, 1985). Ha scritto Francesco Troiano: «qui, sulla scorta della fiducia riposta nei
“ragazzetti celesti”, celebra ancora l'utopia di un'esistenza svincolata da
lacci e lacciuoli, inclusi quelli imposti dalle società strutturate, nei toni
di un “anarchismo metastorico” (G.Fofi).».
(http://www.italica.rai.it/argomenti/grandi_narratori_900/morante/bibliografia.htm)
è stato osservato anche che: «Ne Il mondo Salvato dai ragazzini, la scrittrice
accentuò i caratteri anarchici già presenti nei personaggi delle sue opere.»
(fonte: www.italiadonna.it, in http://www.riflessioni.it/enciclopedia/morante.htm).
Nella sua prefazione (Einaudi, Torino 2012), Goffredo Fofi
ha scritto: «Un libro uscito in una data fatidica, il 1968, che ha accompagnato
una stagione della società italiana segnata dalla volontà di profondo
rinnovamento politico e morale. Un libro di grandi slanci, anche formali. Non
c'è nulla nella tradizione letteraria italiana che gli assomigli anche
lontanamente. […] Un inno all'adolescenza, alla sua energia e alla sua bellezza
come visione politica per cambiare il mondo. Per questo è il libro che
concentra e riassume tutti gli altri libri di Elsa Morante.».
Nel 1974 uscì La
Storia, ambientata a Roma durante la Seconda Guerra Mondiale (dedicherò a
questo vero capolavoro letterario un articolo a parte).
L'ultimo romanzo, Aracoeli,
fu pubblicato nel 1982, e nel 1984 le meritò il “Prix Médicis”. William Weaver,
che aveva già tradotto La storia, tradusse anche Aracoeli, facendo conoscere
questi due superbi romanzi negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone. Dedicherò
ad Aracoeli un articolo a parte.
Negli ultimi anni della sua esistenza iniziò un buio
periodo di sofferenze, povertà, solitudine e rifiuto del declino estetico e fisico
provocato dagli anni. Una frattura al femore e un successivo intervento
chirurgico innescarono una serie tale di complicanze e malattie da lasciarla a letto
senza poter più camminare e da farle tentare il suicidio nell'aprile del 1983
aprendo i rubinetti del gas (fu salvata in extremis da una domestica). Morì nel
1985 per una complicanza ischemica cardiaca dopo un secondo intervento chirurgico
e un lungo coma.
Furono pubblicati postumi,
raccolti a cura di Irene Babboni e di Carlo Cecchi, i Racconti dimenticati che riprendevano molti racconti, dodici brevi aneddoti
infantili, e una storia inedita dal titolo Peccati.
Carlo Cecchi e Cesare Garboli curarono, inoltre, i due volumi di Opere (Mondadori "I
Meridiani", Milano 1988-90).
La Morante, che da «narratrice nata» aveva offerto
tutta la sua esistenza alla letteratura (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html),
fu anche una colta e appassionata saggista. Ricordiamo: Diario 1938, in cui –
registrando il meglio e il peggio della sua tormentata relazione con
Alberto Moravia – emergevano «le sue personali e familiari inquietudini, il suo
appassionato gusto della finzione» (http://www.italialibri.net/autori/morantee.html), oltre a «una
serie di annotazioni sull'incapacità della scrittrice di trovare la felicità e
la pace»
(fonte: www.italiadonna.it, in
http://www.riflessioni.it/enciclopedia/morante.htm).
Vi scriveva: «Che il segreto dell'arte sia qui? Ricordare come l'opera
si è vista in uno stato di sogno, ridirla come si è vista, cercare soprattutto
di ricordare. Ché forse tutto l'inventare è ricordare.» (Roma, 23 gennaio 1938, a cura di Alba Andreini,
Einaudi, Torino 1989). Fu seguito a pochi mesi di distanza da Paragone (un secondo diario che partiva
dal 1952). Scrisse in seguito: Il poeta
di tutta la vita (1957) dedicato a Umberto Saba; Sul romanzo (1959); Sull'erotismo
in letteratura (1961); Navona mia
(1962); Pro o contro la bomba atomica
(1965), saggio scritto sulla spinta di un forte coinvolgimento nelle inquietudini
del momento – vi scriveva: «Una delle possibili definizioni giuste di scrittore,
per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo cui sta a cuore tutto quanto
accade, fuorché la letteratura.» –,
e Il
beato propagandista del Paradiso (1970) dedicato al Beato Angelico.
La scrittrice Silvia Avallone (autrice dello strepitoso
romanzo d'esordio Acciaio, Rizzoli
2010), che durante la stesura della sua tesi fu molto vicina a Elsa Morante, scrisse
di lei: «Abbiamo tutti bisogno di maestri, se vogliamo conquistarci un'identità
nostra. […] Io ho scelto Elsa Morante […] Una persona difficile, che non è mai diventata mamma e nei suoi
romanzi ha sempre riversato l'ossessione della maternità rimpianta; un
carattere ribelle, che non ha preso partito, perché il suo folle amore per il
mondo non poteva che essere anarchico, utopico e morboso. Uno scrittore che non
ha piegato la letteratura a secondi fini, che non ha mai sincronizzato il tempo
della scrittura con il tempo dei media e del mercato. Una fanatica della parola
letteraria, un romanziere assoluto, una strega ritirata ed eccentrica, un'artista
ambiziosa, atrocemente libera. Insomma, una cattiva maestra perché una maestra
impossibile. […] Quattro romanzi in una vita, due raccolte di poesie, due
racconti. La Morante non ha mai voluto lasciarsi condizionare dal tempo, che
detestava. L'unica cosa che le faceva davvero orrore era la vecchiaia, doversi
ritrovare lei – eterna ragazza – nel corpo sformato e raggrinzito di
una vecchia. Ma sapeva che le parole, loro, sono sempre adolescenti. E che i
suoi libri non sarebbero invecchiati mai.»
(http://lettura.corriere.it/la-mia-elsa-morante-incendiaria/).
Radio3
sta festeggiando il centenario della nascita di Elsa Morante dedicandole, a
partire dal 4 giugno, un ciclo del programma “Ad alta voce”, dal lunedì al
venerdì alle ore 17. Gli attori Iaia Forte, Sandro Lombardi e Maria Paiato rendono
omaggio alla grande scrittrice romana, tracciando a ritroso il percorso
letterario della Morante attraverso la lettura dei tre suoi capolavori:
Aracoeli, La Storia e L’isola di Arturo. In settembre saranno presentate, inoltre,
opere teatrali, letture, esperienze artistiche e sociali ispirate alla
scrittrice (vedere su Repubblica, 4 giugno 2012).
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