Olinto Cristina
Il 17 giugno di
cinquant'anni fa, nel 1962, a 74 anni, moriva a Roma Olinto Cristina, attore e
doppiatore italiano nato a Firenze il 5 febbraio del 1888.
La sua era realmente una famiglia d'arte: il padre era
l'attore Raffaello Cristina, la madre l'attrice Cesira Sabatini e le sorelle
erano le attrici Ines Zacconi (la Perpetua de “I promessi sposi” nel 1941), Jone
Frigerio (la zia Elisabetta del “Piccolo alpino” nel 1940) e Ada Cristina Almirante
(partecipò a “Il sole sorge ancora” nel 1946).
è
alquanto riduttivo classificare Olinto Cristina come un semplice caratterista,
perché nelle sue interpretazioni teatrali, cinematografiche e televisive (pur
piccole) seppe mostrarsi sempre attore intenso e di spessore. Come dimenticare,
poi, la sua voce suadente di doppiatore: era sua quella di Fredric March ne Il dottor Jekyll (1931, diretto da Rouben
Mamoulian), di Thomas Mitchell in Ombre
rosse (1939, diretto da John Ford), di Sig Ruman in Vogliamo vivere! (1942, diretto da Ernst Lubitsch), di Lionel
Barrymore ne La vita è meravigliosa (1946,
diretto da Frank Capra) e in Duello al
sole (1946, diretto da King Vidor), di Charles Laughton ne Il caso Paradine (1947, diretto da
Alfred Hitchcock), di Ray Collins ne L'orgoglio
degli Amberson (1942, diretto da Orson Welles), di Frank Morgan ne Il mago di Oz (1939, diretto da Victor
Fleming, nella versione doppiata nel 1949); è altissimo il numero di attori di
Hollywood ai quali prestò la sua voce.
Fece parlare anche Dotto in Biancaneve e i sette nani (1938), il Corvo in Dumbo (1948) e l'Amico gufo in Bambi
(1948). Nel 1949 diede la sua voce al califfo Oman ne La rosa di Bagdad (1949), un film d'animazione di Anton Gino
Domeneghini (le altre bellissime voci erano di Stefano Sibaldi: il narratore; di
Germana Calderini: la principessa Zeila; di Giulio Panicali: Sheikh Jafar; e di
Carlo Romano; Burk il mago). I bambini della mia generazione hanno molto amato
quest'originale film musicale che, ambientato a Baghdad, raccontava la storia
si Zeila, principessa dall'ugola d'oro, che deve scegliere il suo promesso
sposo ma il mite califfo Omar, suo zio e tutore, è succube del perfido sceicco
Jamar e del mago Burk, i cui piani malefici sono sventati da Amin, gentile
musico, e dal genio della lampada di Aladino. Hanno scritto Laura, Luisa e
Morando Morandini: «Con l'apporto di più di 100 tra disegnatori e tecnici (tra
cui il pittore libico Maraja e l'ideatore dei personaggi Angelo Bioletto,
creatore delle figurine Perugina dei Quattro moschettieri che negli ultimi anni
'30 contagiarono mezza Italia con la caccia al Feroce Saladino), la lavorazione
del film del bresciano A.G. Domeneghini, tribolata dalla guerra e dai
bombardamenti su Milano, cominciò nel '42. Presentato nel '49 alla 10ª Mostra
di Venezia, vinse il 1° premio nella sezione del cinema per ragazzi. Con “I
fratelli Dinamite”, è il 1° lungometraggio a disegni animati di produzione
italiana. Di forbita eleganza nel disegno e nei colori, di vena delicata
nell'invenzione fantastica, è un po' fievole e lasco sul piano narrativo, ma
rallegrato in chiave comico–umoristica
da alcuni numeri musicali (la danza dei tre serpenti, la gazza ladra Kalina) e
dal trio dei buffi consiglieri del califfo dove è visibile l'influenza
disneyana di “Biancaneve e i sette nani”. Musiche di Riccardo Pick-Mangiagalli
(1882–1949).» (il Morandini – Zanichelli editore).
Al cinema Olinto Cristina fu un "prezzemolino",
per cui la sua filmografia è veramente ampia (apparve in circa 80 film). Dal
1932 al 1954 lavorò con tutti i più grandi registi italiani del periodo. Ricordiamo
soltanto i film più importanti: Pergolesi
(1932), Tenebre (1934), Passaporto rosso (1935), Vivere (1937), Chi è più felice di me! (1938), Core 'ngrato (1951) e Noi
peccatori (1952) di Guido Brignone; Il
treno delle 21,15 (1933), Creature
della notte (1934), Il Corsaro Nero
(1937), I figli del marchese Lucera
(1938) e L'elisir d'amore (1941) di
Amleto Palermi; Darò un milione (1935),
Centomila dollari (1940) e Una storia d'amore (1942) di Mario
Camerini; Squadrone bianco (1936) di
Augusto Genina; Felicita Colombo
(1937) di Mario Mattòli; Scipione
l'africano (1937), Giuseppe Verdi
(1938) e Biraghin (1946) di Carmine
Gallone; Dora Nelson (1939) di Mario
Soldati; Cose dell'altro mondo
(1939) di Nunzio Malasomma; La forza
bruta (1940) di Carlo Ludovico Bragaglia; Vento di milioni e Scarpe
grosse (1940) di Dino Falconi; Ridi
pagliaccio (1941) di Camillo Mastrocinque; Caravaggio il pittore maledetto (1941) di Goffredo Alessandrini; Notte di fortuna (1941), Torna (1953), La schiava del peccato (1954) e L'ultima violenza (1957) di Raffaello Matarazzo; I bambini ci guardano (1943) di
Vittorio De Sica – Olinto
interpretava il rettore e la sorella Ione Frigerio la nonna –; Nessuno torna indietro (1943) di Alessandro Blasetti; In cerca di felicità (1943) di Giacomo
Gentilomo; Anni difficili (1948) di
Luigi Zampa; L'eterna catena (1951) di
Anton Giulio Majano; Il cappotto
(1952) di Alberto Lattuada; e Canto per
te (1953) di Marino Girolami.
Nel 1933 per l'EIAR partecipò a Il testimone silenzioso di Jacques de Leon e Jacques Célestin, con
la Compagnia drammatica del teatro giallo diretta da Romano Calò, insieme con
Sandro Ruffini, Laura Adani, lo stesso Calò, Dante Cappelli e Tino Bianchi.
Fu spesso in televisione. Lo ricordiamo tra gli interpreti
dei seguenti sceneggiati televisivi: Il
dottor Antonio (1954, il primo sceneggiato televisivo, tratto dal romanzo
di Giovanni Ruffini e diretto da Alberto Casella); Piccolo mondo antico (1957, tratto dal romanzo di Antonio Fogazzaro
e diretto da Silverio Blasi); Il romanzo
di un giovane povero (1958, tratto dal romanzo Octave Feuillet e diretto da
Anton Giulio Majano); e Il costruttore
Sollness (1960, tratto dal dramma di Henrik Ibsen e diretto da Mario
Ferrero). Da ricordare, in modo particolare, Romanticismo (1960), tratto dal dramma patriottico di Gerolamo
Rovetta, diretto da Guglielmo Morandi, con Diego Michelotti, Tino Bianchi,
Gianni Santuccio, Valeria Moriconi, Renato Lupi, Giuliana Lojodice e Giulio
Bosetti.
Vorrei approfittare di questo ricordo di Olinto Cristina per
celebrare l'importanza degli attori di contorno, dei cosiddetti “minori” (che
minori non sono ma spesso giganti), dei “caratteristi”, che sono colonne
portanti o pietre angolari del cinema di tutto il mondo, la cui importanza è
tanto chiaramente accettata che sin dal 1936 è stato stabilito un premio Oscar
da conferire ad attori e attrici non protagonisti. Volgarmente, con il termine “caratterista”,
s'intende un attore (che può essere anche bravissimo) impegnato in un ruolo
secondario, talora caratterizzato da un dato caratteriale particolare – quale la
cattiveria, la bonomia, la giovialità, la volgarità, la nobiltà, l'arroganza,
la perfidia e così via – o da una nota di singolarità quasi caricaturale che
spesso gli dà un'ampia riconoscibilità e talora anche la celebrità, facendogli raggiungere
la grandezza delle maschere della commedia dell'arte. I caratteri d'altra parte
sono sempre stati presenti anche nel teatro (per esempio in quello di Goldoni) ed
avevano il compito di vivacizzare l'impianto narrativo sia con un intento
umoristico sia con una maggiore coloritura drammatica. Ed esiste un'intercambiabilità,
un travaso, tra le categorie degli attori maggiori e minori per cui un caratterista
può diventare un grande protagonista e un grande attore può diventare un
sensazionale caratterista in un'interpretazione apparentemente marginale.
Nella sua definizione di “Caratterista”, ha scritto Mino
Argentieri: «È dalla tradizione teatrale che il cinema ha mutuato la figura del
caratterista. Nell'Ottocento si era soliti discernere in un ordinamento ove si
diversificava “il primo carattere” dal “secondo” e dal “mezzo carattere”,
distinzioni ancora attuali. […] Alla sapienza e alle pratiche del teatro, il
linguaggio del film ha aggiunto l'imperativo di esigere, oltre alla fotogenia
dei soggetti da fotografare, un'identità fisica e fisionomica di impatto immediato.
[…] La collocazione periferica nel gioco delle parti non impedisce che gli
interpreti “minori” siano un valido sostegno agli attori e alle attrici più
affermati e che possano concorrere significativamente, con la loro presenza e
la qualità delle loro prestazioni, a determinare il successo di un film. […] In
Italia vi sono aree geografico–culturali
prodighe di talenti. In particolare: Nando Bruno, Ave Ninchi, Marisa Merlini,
Mario e Memmo Carotenuto sono riconducibili al fiume della commedia di gusto
romanesco, a mezza via tra intonazione farsesca, neorealismo rosa, sapide
notazioni di costume. Interminabile invece la sfilza dei napoletani debitori
verso Eduardo De Filippo e Francesco Rosi, da Giacomo Furia a Tina Pica, da
Clelia Matania a Franco Sportelli, da Aldo Bufi Landi a Mino Vingelli, da Ugo
D'Alessio a Decimo Cristiani, da Pupella Maggio a Gianni Caiafa. Non v'è
poetica, né corrente artistica, né epoca che non siano legate ai caratteristi
dei film che le hanno immortalate. […] Ovunque sono nati film in cui i caratteristi
hanno dominato il campo visivo e la scacchiera della drammaturgia. […] Merita
di essere notato che vi sono stati, e continuano a esserci, autori che ai caratteristi
concedono un ampio spazio, non di rado formando con le stesse persone un
indissolubile sodalizio […] Intramontabile, il caratterista reca con sé nei
film l'aria del tempo, le tonalità dominanti di un filone cinematografico. […]
Tuttavia, grazie alla bravura delle vecchie e nuove leve e all'accresciuto peso
dei caratteristi nella messa in scena cinematografica, è diventato sempre più
arduo percepire dove muoia il caratterista e sbocci il grande attore,
confondendosi nell'economia del film l'uno e l'altro. Seppur relegati in
posizione minoritaria, attori come Laura Betti, Milena Vukotic, Leo Gullotta,
Victor Cavallo, Marina Confalone lasciano con ogni loro apparizione un marchio
indelebile nella memoria dello spettatore, vanificando qualsiasi tentativo di
stabilire graduatorie.» [vedere: Caratterista in “Enciclopedia del Cinema” –
Treccani,
www.treccani.it/enciclopedia/caratterista_(Enciclopedia-del-Cinema)/.].
Massimo Giraldi, Enrico Lancia e Fabio Melelli hanno scritto
il saggio 100 caratteristi del cinema
italiano: gli interpreti “minori” che hanno fatto grande il nostro cinema (Gremese
Editore, 2006) nel quale hanno voluto raccontare la storia dei caratteristi: «nella
maggioranza dei casi, è una storia fatta di ruoli secondari, di brevi scene che
danno “colore” alla narrazione, di battute comiche pronunciate in buffi slang
dialettali; forse troppo poco perché gli spettatori ricordino puntualmente i
loro nomi, ma sufficiente perché ogni volta essi riconoscano quei visi e
tornino ad amarli». Questo volume racconta «la carriera e le interpretazioni
dei cento più grandi caratteristi del nostro cinema: quelli di ieri e quelli di
oggi, quelli provenienti dal teatro e quelli “regionali”, quelli legati alle
produzioni di genere e le “spalle più celebri”, quelli inclini ai ruoli
stereotipati e i talenti versatili». Gli stessi autori hanno pubblicato il
libro
100 Caratteristi del
cinema americano (Gremese Editore – collana Gli album, 2010), dedicato ai
grandi attori minori di Hollywood.
“I soliti ignoti del cinema italiano | Facebook”
(www.facebook.com/pages/I...del-cinema-italiano/133378330075272) si occupa di
far conoscere agli amanti del cinema questi piccoli grandi attori.
Gianni
Canova (Cinema, le garzantine,
Garzanti, 2009) così definisce il “caratterista”: «attore o attrice specializzati
in ruoli di supporto e, spesso, in personaggi–tipo riproposti da un film all'altro. […] Nel cinema italiano
la più grande è stata Tina Pica, unica caratterista arrivata a una notorietà da prima donna pur essendo
stata interprete principale di un solo film,
La nonna Sabella (1957) di Dino Risi.».
Nessun commento:
Posta un commento