Turi Pandolfini
Dopo una vita dedicata al cinema e al teatro, cinquanta anni addietro, il 6 marzo del 1962, moriva Turi Pandolfini (nato Salvatore Pandolfini), deceduto a Catania – sua città natale (era nato il 10 novembre del 1883) –, adorabile caratterista (e nessuna “diminutio” è da leggersi in questa definizione).
Discendenza d'arte, era un nipote di Angelo Musco (figlio della sorella Anna, la primogenita di ventuno figli, dei quali Angelo era l'ultimo) e nella sua compagnia teatrale mosse i primi passi di attore dialettale. Debuttò il 9 luglio del 1908 (aveva 25 anni) al teatro Sangiorgi di Catania, nel ruolo di un suonatore cieco di violino, nel San Giovanni decollato, farsa di Martoglio scritta appositamente in quello stesso anno per Angelo Musco e interpretata dalla compagnia Musco–Bragaglia (http://www.tradizionipopolariaulos.com/personaggi_pandolfinituri.php).
Nel 1917 Pandolfini partecipò al film muto San Giovanni decollato, che fu anche il primo film di Musco e che Telemaco Ruggeri trasse dal testo teatrale (la sceneggiatura era dello stesso Nino Martoglio); il regista mantenne nella trasposizione cinematografica gli attori negli stessi ruoli che avevano in teatro. La trama è esilarante: il ciabattino Mastro Austino (Angelo Musco) è afflitto dalla bisbetica moglie Lona (Rosina Anselmi), una lavandaia che lo contrasta e lo mortifica in qualsiasi situazione. Chiede continuamente a San Giovanni Battista, di cui è devotissimo, il miracolo di farla diventare muta. La figlia Serafina è stata promessa in sposa dal padre a un lampionaio ma ama il giovane Ciccino, il quale racconta ai suoi che il padre della sua ragazza è un professore universitario a riposo. La verità viene a galla e i due “ziti” sono costretti a ricorrere alla “fuitina” siciliana, alla quale debbono seguire le nozze riparatrici. Dopo il matrimonio dei due ragazzi, effettivamente avviene il miracolo e Lona non può più parlare, miracolo che aumenta a dismisura la devozione di Austino nei confronti di San Giovanni Decollato. Da questo film fu ispirata l'omonima pellicola del 1940, diretta da Amleto Palermi, rifacimento del film di Ruggeri, e il protagonista avrebbe dovuto essere Angelo Musco ma, a causa della sua improvvisa scomparsa, il regista ripiegò su Totò che si disse indegno di sostituire Musco ma che invece fu strepitoso.
Era stato, tuttavia, un fuoco fatuo: fino ai trent'anni, infatti, Pandolfini continuò nel suo poco artistico lavoro di mediatore di prodotti del suolo; lo zio lo volle poi con sé, ma non come attore bensì come segretario. Pandolfini doveva curare i fogli–paga e la corrispondenza ma intanto respirava la polvere del palcoscenico aspettando la sua occasione, che arrivò quando alla compagnia di Musco mancò un attore per il ruolo di un ortolano di 45 anni ne 'U Paraninfu di Luigi Capuana. Turi era pronto e aveva la stoffa dell'attore ma, con una brillante intuizione, volle che l'ortolano fosse invecchiato e lo trasformò in un vecchio bisbetico di 85 anni (amava i personaggi di una certa età). Quel vecchio ortolano – raccontava Pandolfini – ispirò diversi personaggi letterari: lo zio Simone di “Liolà” di Pirandello, lo zio Rocco di “Chiddu ca passa” di Romualdi e il cieco di guerra Nino Latino di “Scuru” di Martoglio. E fu il genio creativo di tutti questi autori a mantenere viva la sua passione per il teatro e a spingerlo definitivamente sul palcoscenico. Separatosi dallo zio, creò una sua propria compagnia teatrale dialettale, insieme con Rosina Anselmi, portando in giro i testi immortali di Angelo Musco, Nino Martoglio, Luigi Pirandello, Luigi Capuana e Antonino Russo Giusti (http://www.tradizionipopolariaulos.com/personaggi_pandolfinituri.php).
Nel periodo del dopoguerra, continuò la sua attività tetarale con Giovanni Grasso e Virginia Balistrieri nella “Compagnia del Teatro Siciliano” (Dizionario del cinema italiano, Gli attori, Gremese editore, Roma 2003).
Negli anni trenta Pandolfini cominciò a comparire al cinema e vi rimase a lungo (fu presente sino ai primi anni sessanta in una quarantina di film di tutti i generi, dalla commedia al dramma, dal film musicale alla biografia storica). Piccolo, magro e vivace, Turi Pandolfini interpretava, in modo istintivo e caricaturale ma umano e spontaneo, per lo più comicamente il ruolo dell'anziano rompiscatole e brontolone, irascibile e intrigante, impettito e presuntuoso, che si esprimeva nel suo indimenticabile e inconfondibile accento siciliano (più precisamente, nel mio adorato accento catanese).
Girò con molti registi di qualità, nei migliori film e con i più grandi attori del tempo. Ricordiamo: La stella del cinema (1931) di Mario Almirante; Paradiso (1932), La voce lontana (1933), Tenebre (1934) e Noi peccatori (1953) di Guido Brignone; La vecchia signora (1932) di Amleto Palermi; 1860 (1934) di Alessandro Blasetti; L'albergo della felicità (1935) di Giuseppe Vittorio Sampieri; Il marchese di Ruvolito (1939), Giuseppe Verdi (1953) e Schiava del peccato (1954) di Raffaello Matarazzo; Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini; In nome della legge (1948) di Pietro Germi; Gli inesorabili (1950) di Camillo Mastrocinque; Altri tempi (1952) – nell'episodio de “Il processo di Frine” di Edoardo Scarfoglio – e Tempi nostri (1954) (nell'episodio “Don Corradino”) di Alessandro Blasetti; Processo alla città (1952), Anni facili (1953) e L'arte di arrangiarsi (1954) di Luigi Zampa; Siamo tutti inquilini (1953) di Mario Mattoli; Il sole negli occhi (1953) di Antonio Pietrangeli; La domenica della buona gente (1953) di Anton Giulio Majano; Condannatelo! (1953) e Luna nuova (1955) di Luigi Capuano; Terza liceo (1954) di Luciano Emmer; Le signorine dello 04 e Racconti romani (1955) di Gianni Franciolini; Un giorno in pretura (1954) di Steno; Accadde al commissariato (1954) – era uno straordinario cancelliere – e La moglie è uguale per tutti (1955) di Giorgio Simonelli; I tre ladri e Cento anni d'amore (1954) di Lionello De Felice, ispirato a racconti di Gozzano, D'Annunzio, Rocca, Moretti, De Felice e Biancoli (tra gli sceneggiatori aveva, tra l'altro, Benvenuti, Brusati, Suso Cecchi D'amico, Alba de Cèspedes, Marotta e Prosperi) – nell'episodio “Garibaldina” –; Scuola elementare (1954) di Alberto Lattuada; Questa è la vita (1954), film a episodi, diretto da Aldo Fabrizi, Giorgio Pàstina, Mario Soldati e Luigi Zampa, ispirato alle quattro novelle pirandelliane La giara, Il ventaglino, La patente e Marsina stretta (Turi interpretava alla grande Zi' Dima, il mastro del paese, nell'episodio de “La giara”); Buona notte... avvocato! (1955) di Giorgio Bianchi; Bravissimo! (1955) di Luigi Filippo D'Amico; Accadde al penitenziario (1955) di Giorgio Bianchi; Mi permette babbo! (1955) di Mario Bonnard; Arrivano i dollari! (1957) di Mario Costa; Lazzarella (1957) di Carlo Ludovico Bragaglia; Gambe d'oro (1958) di Turi Vasile; Tre straniere a Roma (1958) di Claudio Gora; Arriva la banda (1959) di Tanio Boccia; Urlatori alla sbarra (1960) di Lucio Fulci; Io bacio... tu baci (1961) di Piero Vivarelli; e, “dulcis in fundo”, Risate all'italiana, una pellicola antologica italiana del 1964 in cui compaiono molti tra i più celebri divi del cinema italiano della metà degli anni Cinquanta nelle loro scenette più riuscite.
In televisione apparve nel 1959 in una versione de Lu cavaleri Pidagna di Luigi Capuana con Michele Abruzzo e Rosina Anselmi, diretta da Carla Ragionieri, storia del vedevo cav. Pidagna, che mantiene una canzonettista (la quale ha una relazione segreta con un giovane baronetto del paese); il ritorno improvviso della figlia, che ha abbandonato la casa paterna per fuggire con un povero ragazzo e che non è stata mai perdonata dal padre, rimette in discussione il senso del bene e l'importanza dei valori familiari.
Sul retro di una foto che l'attore catanese aveva ricevuto da Gabriele D'Annunzio, il grande scrittore aveva scritto questa dedica: «A Turi Pandolfini, robusto e florido ramo del gran Musco» (Enciclopedia di Catania, Editore Tringale, Edizione 1987, 3 Volumi.)
Turi Pandolfini aveva trasferito nel cinema tutta quella serie di “tipi” che gli erano stati cari in teatro – ma non “macchiette” come egli stesso teneva a precisare – e che ci hanno lasciato il ricordo vivissimo di un attore colorito e umoristico, ricco di tutta la gestualità e i tic dell'immaginario siciliano. I suoi personaggi burberi e scorbutici, cesellati con umorismo e intelligenza, si sono ritagliati un ruolo non indifferente in tanti bei film e sono destinati a restare nella storia del cinema.
i film con la sua presenza mi danno tranquillità e una gioia pura. A distanza di anni gli devo un grande GRAZIE
RispondiEliminaera e resta un grandissimo attore
RispondiEliminagrandissimo attore ma dov e spolto a catania?
RispondiEliminae' sepolto insieme alla moglie, Carmela Durso, al cimitero di Catania sul lato destro del viale che si raggiunge dopo aver salito tutte le scale, oltre a quella monumentale, che partono dall'ingresso principale.
Eliminabuongiorno,
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Cordialmente
Antonio
Se il vecchietto zoppo nei film western con John Waine era simpatico, Turi Pandolfini con i suoi personaggi catanesi era ineguagliabile... Grandissimo!!
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