tag:blogger.com,1999:blog-66118378517329740302024-03-13T16:28:40.366-07:00tvcinemateatro―i protagonistiIl blog presenta articoli di approfondimento su personaggi dello spettacolo (più propriamente di teatro, cinema e televisione) con un occhio rivolto alla letteratura e ai classici, eterna fonte d'ispirazione.Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.comBlogger215125tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-31808369839876742892013-09-14T11:25:00.001-07:002013-09-14T11:26:51.729-07:00Goethe, Werther e il suicidio per amore<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTlHHveuDm2Ch_nbMU9SY4KZyjbt2jKsMsXrUleyMmeRRas5YC6Rvas-6fEgZvwN0eBlRKqOhzPNVPz5gxbPx9Lt04oxUE258LAB3itsCH5QJeSOIlsVclpdaVjY2H_5MZGdmVFPvJu5Q/s1600/Goethe+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTlHHveuDm2Ch_nbMU9SY4KZyjbt2jKsMsXrUleyMmeRRas5YC6Rvas-6fEgZvwN0eBlRKqOhzPNVPz5gxbPx9Lt04oxUE258LAB3itsCH5QJeSOIlsVclpdaVjY2H_5MZGdmVFPvJu5Q/s320/Goethe+2.jpg" width="260" /></a></div>
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;">Johann Wolfgang
Goethe</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;"><br /></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<i>Qualche anno prima delle </i>Ultime lettere di
Jacopo Ortis<i> (1802) di Ugo Foscolo
(1778-1827), un altro testo aveva celebrato, in forma epistolare e con la
medesima grande ispirazione, l’amore e il suicidio: era il romanzo <b>I
dolori del giovane Werther </b>(1774) del poeta e scrittore tedesco Johann
Wolfgang Goethe (1749-1832).<o:p></o:p></i></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
Ortis e
Werther sono fratelli nel mal d’amore e nell’infelice destino finale. Il
romanzo epistolare di Goethe – la forma si presta mirabilmente a legare i
momenti lirici con i brani di tipo narrativo – è stato definito il «primo
successo mondiale tedesco»; di carattere autobiografico, privilegia la forza della
fantasia nella voluttà dell’amore e della morte. Simbolo dell’amore romantico,
questo testo è riuscito a esprimere una condizione umana universale,
influenzando innumerevoli generazioni di giovani, anche se dai moralisti del
tempo fu accusato d’indurre gli amanti infelici al suicidio.</div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
Tra il
maggio e il settembre del 1771 Goethe era stato a Wetzlar come praticante
presso il tribunale e si era innamorato di Charlotte Buff (fidanzata a un
altro, J.Ch. Kestner): di ritorno a Francoforte, il poeta traspose questo amore
irrealizzabile nel suo romanzo epistolare. Lo stesso Goethe scrisse ammise di
avere «ucciso il suo eroe per salvare se stesso».</div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Werther è un
giovane sensibile ed entusiasta; quando si innamora, si sente cambiato – quasi cresciuto d’importanza
– e scrive a Guglielmo (il romanzo consiste per
l’appunto nelle lettere inviate da Werther all’amico
tra il 4 maggio e il 6 dicembre del 1771): «Ma io l’ho avuta: ed io ho sentito
il suo cuore e la sua anima, la cui presenza mi faceva essere più di quello che
io sono, perché ero tutto ciò che io posso essere […] Sento che ella mi ama! Mi
ama… Come sono diventato caro a me stesso! […] come appaio elevato ai miei
stessi occhi, da quando ella mi ama! <span lang="EN-GB" style="text-transform: uppercase;">è</span><span lang="EN-GB"> </span>presunzione
questa? Od è invece la coscienza dei veraci sentimenti che ci legano? […] O
Guglielmo, la nostra anima che cosa diverrebbe senza l’amore? Simile ad una
lanterna magica senza luce.». Quando però deve rinunziare a Carlotta (che
diviene sposa del buon Alberto, cui era stata promessa dalla madre morente che
le aveva affidato i numerosi fratellini), Werther scrive: «[…] da allora il
sole, la luna e le stelle possono continuare tranquillamente il loro corso, io
non so se sia giorno o notte, e tutto il mondo scompare d’intorno.». Guglielmo
è preoccupato per le parole di Werther, che paragona il suicidio alle grandi
imprese, che è preso da una furente e sconfinata passione, e che parla di
«esiziale passione che consumerà tutte le tue energie» e di desiderio di «distruggere
le sue pene nella morte che tutto annienta». <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando ormai
sanno che debbono lasciarsi, Carlotta dice all’amato Werther: «Noi
sopravviveremo! […] Ma, Werther, ci ritroveremo? Potremo riconoscerci? Che cosa
crede, che cosa dice lei?»; e Werther, con gli occhi pieni di lacrime, le
risponde: «Ci rivedremo! Quaggiù o lassù, noi ci rivedremo! […] Ci rivedremo,
esclamai, ci ritroveremo, e ci riconosceremo fra tutti.». E poi scrive all’amico:
«Non riuscii a proseguire. Guglielmo, doveva ella farmi una domanda simile,
mentre avevo il cuore colmo dell’angoscia e dell’addio?». <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Straziato,
per il bene di entrambi, Werther decide di allontanarsi e Carlotta sposa il suo
Alberto. Werther è talmente triste per la lontananza che così scrive all’amico:
«Non so precisamente perché mi alzi, perché vada a dormire. Mi manca il lievito
che mette in fermento la mia vita; è svanito il fascino che mi teneva desto
sino a tarda notte; è finito l’incanto che al mattino mi destava dal sonno. […]
Se ella mi dimenticasse diventerei pazzo. […] Io… suo marito […] Ella, mia
moglie! […] Devo dirtelo? Perché no, Guglielmo? Ella sarebbe stata più felice
con me che con lui. Oh, non è questo l’uomo che possa appagare tutti i desideri
del suo cuore. Una certa mancanza di sensibilità, una noncuranza… chiamala come
vuoi…; ma io non sento il suo cuore battere all’unisono con quello di lui, su
qualche libro prediletto, dove invece il mio cuore e quello di Carlotta hanno
un medesimo battito […] Vedi, quello che mi turba di più è che Alberto non mi
sembra così felice come… sperava, come potrei esserlo io se… […] Ah, qual
vuoto! Quale orribile vuoto sento nel mio petto! […] ho tante cose e senza di
lei ogni cosa si dissolve […] Nell’animo mi si nasconde la fonte di ogni dolore
[…] Soffro molto perché non ho più quella che era per me l’unica gioia della
mia vita, la santa forza animatrice con cui creavo mondi intorno a me.». <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dinanzi agli
splendori di quella Natura che prima lo esaltavano, Werther si sente come «una
fonte inaridita… un secchio svuotato… un uomo finito»; ritornato a casa accanto
a Carlotta, scrive angosciato all’amico (nell’ultima lettera inviatagli il 6
dicembre del 1771): «Ella non ha coscienza di preparare un veleno che ci
trascinerà entrambi in un precipizio […] Ella sente quanto io soffra; oggi il
suo sguardo mi è sceso fin nel fondo dell’anima […] Come la sua immagine mi
perseguita! Che io vegli o sogni, mi riempie tutta l’anima. Qui, se chiudo gli
occhi, qui sulla mia fronte, dove si racchiude tutta la potenza visiva, stanno
i suoi occhi neri. Qui! Non te lo so spiegare. Io chiudo gli occhi, ed eccoti
come un oceano davanti a me, dentro di me, occupano tutti i miei pensieri.». Da
medico esperto delle tante sofferenze umane, intravvedo in Werther tutti i
segni funesti di una bruttissima depressione! La tristezza e lo scoraggiamento
hanno infatti distrutto l’armonia dello spirito di Werther: si sente «escluso
da ogni possibilità per l’avvenire», sente la sua passione sconfitta e
inappagata, e muove sempre più inesorabilmente verso la sua triste fine; tra l’altro,
anche la Natura sembra porsi contro di lui, distruggendo con una tremenda
inondazione la valle che viene trasformata in un mare tempestoso: il giovane sente
quasi l’impulso a inabissarsi ma non è ancora arrivata la sua ora. Con voluttà Werther
sogna di stringere Carlotta e di sommergere di baci la sua bocca ma avverte
anche il desiderio di sparire: «Sollevare il sipario ed introdurvisi: questo è
tutto! Perché indugiare, perché temere? Forse perché c’è ignoto cosa avviene al
di là di esso? O perché di là non si ritorna? Perché la nostra mente è fatta in
modo da pensare che vi siano tenebre e caos là dove non sappiamo nulla di
certo.».<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Di giorno in
giorno, di ora in ora, la sua decisione distruttiva si rafforza; in un’ultima
lettera scrive all’amata: «Ho deciso, Carlotta, voglio morire; io ti scrivo
senza romantiche esaltazioni, calmo, la mattina dell’ultimo giorno in cui ti
vedrò. […] Non è disperazione: è la consapevolezza di aver esaurito il mio
compito e di sacrificarmi per te. Sì, Carlotta, perché dovrei tacerlo? Uno di
noi tre deve sparire, e voglio essere io quello! […] Ero tranquillo,
cominciando a scrivere, ed ora… ora piango come un bambino, pensando al
rigoglio di vita che si svolge intorno a me […] Io voglio, devo! Come sono
felice di aver deciso!». Werther e Carlotta s’incontrano, e lei si fa leggere
da lui le tristi vicende amorose narrate da Ossian; spinti dall’emozione del racconto,
si perdono in un abbraccio e in un bacio appassionato, e Carlotta fugge
«tremando d’amore e ira» e dicendo che non s’incontreranno mai più. Ritornato a
casa distrutto, Werther aggiunge alla lettera per Carlotta la sua ultima
testimonianza: «Per l’ultima volta apro gli occhi […] o Natura, metti il lutto!
Tuo figlio, il tuo amico, il tuo amante, sta vivendo la sua fine […] Che cosa
significa morire? La morte è un sogno […] Come posso io morire? Morire? Che
cosa significa? Questa parola non ha senso per me. […] Perdonami, perdonami!
Ieri… Ieri avrebbe dovuto essere l’ultimo istante della mia vita. Mio angelo!
Per la prima volta, per la prima volta, questo sentimento pieno di desiderio mi
ha sconvolto: ella mi ama! Mi ama! Il sacro fuoco che fluiva dalle tue labbra
brucia ancora in me; un nuovo ardore è nel mio cuore. Perdonami, perdonami! […]
Questo braccio l’ha stretta, queste labbra hanno tremato sulle sue labbra,
questa bocca ha sussurrato sulla sua. Ella è mia! Sei mia, Carlotta, per
sempre! […] Io ti precedo […] io ti verrò incontro e ti abbraccerò, e resterò
con te in un eterno abbraccio al cospetto dell’infinito. Non sogno, non
vaneggio! Vicino alla tomba tutto è più chiaro. Noi vivremo, ci rivedremo […]
il mio destino si compie! Carlotta, addio! Addio!». E Werther si spara alla
testa con una delle due pistole avute in prestito da Alberto e spolverate
proprio da Carlotta, che alla notizia del suicidio resta così sconvolta da far
temere per la sua vita. <span style="font-size: 11pt;">[I brani riportati sono tratti da: Goethe J.W., </span><i><span style="font-size: 11.0pt; mso-ansi-language: IT;">I dolori del giovane Werther</span></i><span style="font-size: 11.0pt; mso-ansi-language: IT;">, a cura di Angelo G. Sabatini,
Newton Compton Editori, Roma, 1993]<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Come scrive
Angelo G. Sabatini, il curatore dell’edizione integrale del testo di Goethe del
quale mi sono servita per le citazioni, questo romanzo è «la storia di un amore
moderno vissuto nello spirito della tragedia antica […] il simbolo della
passione sfrenata e travolgente, a cui si attribuisce la paternità dello “Sturm
und Drang” […] Werther ama; Carlotta ama l’amore di Werther.». Ricordo che lo
“Sturm und Drang” (letteralmente “Tempesta e Impeto”) fu il movimento cultural–letterario fiorito tra
il 1770 e il 1785 e divenuto sinonimo di ribellismo giovanile, che incarnò la
rivolta dei giovani intellettuali contro le superate condizioni socio–politiche della Germania del tempo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Johann
Wolfgang Goethe nacque a Francoforte Sul Meno il 28 agosto del 1749 in un’agiata
famiglia (era il primogenito di un consigliere imperiale), e si dimostrò un
genio precoce imparando facilmente diverse lingue straniere (oltre alla lingua
tedesca, parlava il latino, il greco, il francese, l’italiano, l’inglese e
l’ebraico). Compì i suoi studi prima a Francoforte, quindi a Lipsia per gli
studi di Legge, e infine a Strasburgo. Quelli furono anni d’intenso
coinvolgimento culturale e di svariati interessi (tra i quali la medicina, le
arti figurative, il disegno e la musica) ma anche di dispiaceri e
preoccupazioni (una breve e infelice relazione sentimentale con Kathchen
Schonkopf e una seria malattia, caratterizzata da coliche e vomito ematico, al
suo ritorno a Francoforte nel 1768). In quel periodo, venendo in contatto con l’ambiente
religioso dei pietisti, Goethe conobbe Susanne von Klettenberg, una signora
quarantacinquenne amica della madre, che lo ispirerà per il personaggio dell’«anima bella» nel <b>Meister</b>. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel 1770 s’innamorò
di Friederike Brion, la figlia del pastore protestante di Sesenheim, e quest’amore
gli diede così tanta gioia e soddisfazione da ispirargli delle bellissime poesie,
mentre il senso di colpa seguito alla fine dell’idillio gli suggerì le parti
più coinvolgenti del rapporto di Faust con Margherita. Nel 1771 Goethe scrisse
una prima versione (la seconda fu pubblicata nel 1773) del dramma <b>Gotz von Berlichingen</b>, imperniato su un
cavaliere dell’epoca della Riforma che con il suo “ribellismo libertario” aveva sollevato i giovani scrittori dello <i>Sturm und Drang</i>. In quel periodo, le sue
poesie grondavano una “consapevolezza orgogliosa” della lotta e del dolore degli uomini, mentre vivido era
il “senso della vita dell’umanità come acqua
che scorre dalla sorgente al mare”: si è parlato di «momento titanico» di
Goethe, che ispirò i versi del cosiddetto “Ciclo
del viandante” (1772-1774) e che si concluse (quando
il poeta era già a Weimar) con il <b>Viaggio
d’inverno nello Harz (Harzreise im Winter)</b>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel 1771 Goethe
pubblicò <b>I dolori del giovane Werther</b>
<b>(Die Leiden des jungen Werther)<i> </i></b>e il successo fu così travolgente e ko
scandalo suscitato tale che fecero di Goethe un idolo e una stella splendente nel
firmamento della scena letteraria internazionale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Goethe
s’innamorò di nuovo di Lili Schònemann, figlia sedicenne di un banchiere, e
questo diverso sentimento gl’ispirò numerose poesie, il dramma <b>Clavigo</b> (che ha per protagonista un fidanzato
infedele), e quello che è stato considerato un “dramma per innamorati”, <b>Stella</b>, dedicato
al tema del “doppio matrimonio”. Anche questo fidanzamento finì male e la rottura arrivò nel
1775, anno in cui Goethe divenne il precettore del duca di Weimar Karl August (di
appena diciotto anni) e si trasferì a Weimar, piccola capitale che contava
allora appena seimila abitanti di un ducato minuscolo e arretrato.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel decennio
1775-1778 lo scrittore fu interessato allo studio delle scienze (mineralogia,
botanica, geologia, ottica, anatomia e osteologia) e fu coinvolto in una lunga relazione
sia sentimentale sia intellettuale con Charlotte von Stein, con la quale scambiò
un intenso carteggio, della quale educò il figlio, e alla quale dedicò molte
bellissime poesie. Lavorava intanto alla stesura del Meister e del Faust.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Stanco di Weimar,
Goethe decise un viaggio in Italia sotto falso nome, alla ricerca della
classicità, della grecità e della “naturalezza” italiana (nell’armonia
magica tra natura e cultura). Fu a Roma nel 1786 (scrisse: «Sì, io posso dire che solamente a Roma ho sentito cosa
voglia dire essere un uomo.»), visitò poi la
Sicilia e Palermo (scrisse: «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello
spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto.»), andò
a Napoli salendo anche sul Vesuvio (scrisse: «Napoli
è un paradiso! Si vive in una specie di ebbrezza e di oblio di se stesso!») e in
Trentino, rimanendo in Italia sino al 1788 (ritornerà in Italia per un breve
viaggio a Venezia nel 1790). Le note su queste travolgenti esperienze di
viaggio apparvero nel 1828, ben quarant’anni dopo, con il titolo <b>Viaggio in Italia (Italienische Reise)</b>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ritornato a Weimar
(ove trovò una fredda accoglienza), lasciò Charlotte von Stein e si legò a Cristiane
Vulpius (una giovane fioraia che sposerà nel 1806 e dalla quale avrà il figlio
August), trovandosi in crisi con la società mondana che frequentava e con l’ambiente
della stessa corte. Nel 1792 seguì il duca di Weimar nella campagna contro la
Francia e visse la sconfitta e la penosa ritirata. Di questo periodo è il forte
sodalizio con Schiller (nell’interesse comune per il Classicismo), che in
qualche modo lo salvò della grave crisi di quegli anni. In quegli anni, però,
questo classicismo in un autore inizialmente romantico non fu capito e – venerato in Europa per
come aveva saputo descrivere lo sviluppo della personalità dell’uomo (centro e
misura di tutte le cose) – Goethe si sentì invece
piuttosto isolato in patria (in effetti, fu proprio lui a scegliere quella sorta
d’isolamento sociale e spirituale).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel 1809
pubblicò <b>Le affinità elettive (Die
Wahlverwandtschaften)</b> e si diede alla composizione della sua autobiografia <b>Della mia vita. Poesia e verità (Aus meinem
Leben. Dichtung ung Wahrheit)</b>, uscita un anno prima della sua morte nel 1831.
Tra gli anni 1814-1819, incontrò Marianne von Willemer e fu affascinato dalla
poesia orientale; il risultato di queste esperienze fu il volume di poesie <b>Divano occidentale</b><b>–orientale (Westöstlicher
Divan)</b>. Negli
anni 1821-1823, dopo la morte della moglie nel 1816, s’innamorò di nuovo di una
giovanissima donna, Ulrike von Levetzow.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Negli ultimi
anni Goethe scrisse moltissimo e riuscì a portare finalmente a termine il <b>Meister</b> (storia del giovane Wilhelm
Meister, che rinuncia alla realtà della vita per il teatro e che giunge infine a
capire la necessità del singolo di rinunciare alla sua felicità per il bene
comune), che era costituito da una prima parte, intitolata <i>Meister, Gli anni dell’apprendistato (Wilhelm Meisters Lehrjahre)</i>, che
fu pubblicata fra il 1795 e il 1796, e da una seconda parte dal titolo <i>Meister, Gli anni di peregrinazione di Wilhelm
Meister (Wilhelm Meisters Wanderjahre)</i> che uscì postuma. Completò anche il <b>Faust</b>, “magnum opus”, la
cui trama verte sul «vendere l’anima al
diavolo» in cambio di potere nel mondo terreno,
al quale lavorò per circa sessant’anni, la cui prima parte era uscita nel 1808,<b> </b>mentre la seconda parte in cinque atti
fu pubblicata postuma l’anno stesso della morte del poeta. Esso ha ispirato compositori
per opere liriche, poemi sinfonici e cantate, autori di teatro, movimenti
poetici, correnti filosofiche e molto altro ancora.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB">
Goethe morì a Weimar il 22 marzo 1832 per un probabile
attacco cardiaco; riposa nella Cripta dei Principi nel Cimitero storico della
piccola cittadina.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-82029992935698195052013-09-12T23:17:00.000-07:002013-09-12T23:18:21.012-07:00Ugo Foscolo, il poeta affetto dal mal d’amore<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg_PSjaNV1SOtqV47HIa_Y9x8Kyjdq-P2ES8uPgHm4vC-N1RjZ0QSlb0z-o07ySEOvIdGLzdGG9wgkTZ2wvYlq7deH7RLmWml5gfcFJyIH8GMlYU0MKCSGrkLk20uZ9XIGUAlgTfxEJos/s1600/Ugo+Foscolo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhg_PSjaNV1SOtqV47HIa_Y9x8Kyjdq-P2ES8uPgHm4vC-N1RjZ0QSlb0z-o07ySEOvIdGLzdGG9wgkTZ2wvYlq7deH7RLmWml5gfcFJyIH8GMlYU0MKCSGrkLk20uZ9XIGUAlgTfxEJos/s320/Ugo+Foscolo.jpg" width="256" /></a></div>
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ugo Foscolo</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Riporto due sonetti di argomento amoroso tra
i dodici approvati dal Foscolo (il poeta ha scritto molto più di quanto non
abbia poi pubblicato), ricchi di alta tensione lirica e di grande maturità nonostante
siano stati scritti in un’età giovanile. <o:p></o:p></span></i></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sonetto
IV<o:p></o:p></span></i></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Perché
taccia il rumor di mia catena </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di
lagrime, di speme e d’amor vivo</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e di
silenzio, ché pietà mi affrena</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">se con
lei parlo, o di lei penso e scrivo.</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tu sol mi
ascolti, o solitario rivo,</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ove ogni
notte Amor seco mi mena:</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qui
affido il pianto, e i miei danni descrivo,</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qui tutta
verso del dolor la piena.</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E narro
come i grandi occhi ridenti</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">arsero
d’immortal raggio il mio core;</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">come la
rosea bocca e i rilucenti</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">odorati
capelli, ed il candore</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">delle
divine membra, e i cari accenti</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">m’insegnaron
alfin pianger d’amore.</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sonetto
V<o:p></o:p></span></i></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così gl’interi
giorni in lungo incerto<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sonno gemo! Ma poi
quando la bruna<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">notte gli astri
nel ciel chiama e la luna,<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e il fresco aer di
mute ombre è coverto;<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> dove selvoso è il piano e più
deserto<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">allor lento io
vagando ad una ad una<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">palpo le piaghe
onde la rea fortuna<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e amore e il mondo
hanno il mio core aperto.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> Stanco mi appoggio or al troncon
d’un pino,<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ed or prostrato
ove strepitan l’onde,<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">con le speranze
mie parlo e deliro.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> Ma per te le mortali ire e il
destino<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">spesso obliando, a
te, donna, io sospiro:<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">luce degli occhi
miei chi mi t’asconde?<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="font-size: 11.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">[Da “Sonetti”
(1802-1803 )]<o:p></o:p></span></span></i></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questi
versi guardano certamente al Petrarca, forse anche all’Alfieri, ma soprattutto
ai poeti elegiaci latini. I sonetti furono ispirati quasi sicuramente da
Isabella Roncioni, bellissima diciottenne «dalle chiome bionde e dagli occhi azzurri nuotanti» (incontrata
dal poeta a Firenze), che egli chiamava la «divina fanciulla». I versi lasciano
intravvedere un amore violento ma struggente per la donna del sogno, che Ugo in
realtà dimenticò ben presto per una nuova e più ardente passione amorosa. Allo
stesso modo che in altri sonetti e nell’<i>Ortis</i>, ritorna il tema della solitudine quale compagna fedele
di tutti gli ammalati di mal d’amore, quasi un “esilio” dalla realtà. A
proposito di questi sonetti, Foscolo scriveva: «Non è professione di
letteratura ma bisogno imperioso dell’anima: non atteggiamento… ma febbre o
delirio o beatitudine, o tormento fugace: un brivido d’amore: un rimpianto, un
ricordo, un presentimento: un istante di vita interiore, singolarmente intenso».</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La vita
del poeta non fu felice ma egli seppe esprimere appieno tutte le novità e le contraddizioni
del suo tempo. Primo di quattro figli, nacque – da un chirurgo veneziano e da
una donna greca di nascita e religione – a Zante, una delle isole Ionie
appartenenti alla Repubblica Veneziana, il 6 febbraio del 1778. Da ragazzo
visse a Spalato e aveva appena dieci anni quando perse il padre; nel 1792 si
trasferì a Venezia (ove la madre era andata a vivere), centro culturale allora molto
libero e vivido, ove Ugo (il suo vero nome era però Niccolò) si dedicò a studi
intensi ma irregolari, ricco di entusiasmo, di spirito d’avventura e di fervidi
sentimenti repubblicani. Giovanissimo, s’innamorò di Isabella Teotochi Albrizzi
(di origini greche), donna bella e intellettuale, della quale frequentò con
assiduità il salotto letterario (il poeta la vagheggerà nei suoi versi ora con
il nome di Temira, ora con quello di Laura). Nel 1797, a diciannove anni, fece
rappresentare a Venezia la sua prima tragedia, il <b>Tieste</b>, che scagliandosi contro la tirannide arieggiava
l’Alfieri e che gli diede immediatamente una discreta fama sia come artista sia
come liberale. </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Aperto
agli ideali di libertà e alle aspirazioni repubblicane, amò la carriera
militare e si arruolò come volontario nell’esercito napoleonico, anche se – con
il trattato di Campoformio e l’intenzione di Bonaparte di sacrificare la
Repubblica Veneta (e Venezia) all’Austria – vide cadere miseramente tutti i
suoi romantici sogni di democrazia. Si trasferì allora a Milano (capitale della
Repubblica Cisalpina e sede della cultura più nobile), ove ebbe occasione di
conoscere Ippolito Pindemonte e Parini; frequentò anche Vincenzo Monti, della
cui moglie Teresa Pikler – donna di bellezza straordinaria – s’innamorò
appassionatamente ma infelicemente. Nel 1801 visse il grande dolore del
suicidio del fratello Gian Dionigi, causato dallo scandalo creato da un’appropriazione
indebita di denaro pubblico; entrambi i fratelli, accesi idealisti e non
esperti di problemi pratici, avevano manie di grandezza e amavano la vita
dispendiosa. Anche in Ugo ritroviamo l’ossessione del suicidio, inteso come
massima espressione di virilità e ben esemplificato nelle sue opere; non per
nulla Jacopo Ortis muore suicida: «[…] e sotto il verso “Libertà va cercando
ch’è si cara” scrisse l’altro verso che gli vien dietro “Come sa chi per lei
vita rifiuta” […]». </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Aveva
intanto cominciato a lavorare alle <b>Ultime
lettere di Jacopo Ortis</b> (che completò nel 1802), nelle quali in modo
acceso e autobiografico rappresentava un uomo in crisi esistenziale col suo
complesso e tormentato mondo spirituale (vera proiezione fantastica del poeta).
Jacopo è un giovane esule a Venezia dopo il trattato di Campoformio, che si
tormenta con le sue passioni e inquietudini, in bilico tra l’amore per Teresa
(la donna amata) e quello per l’Italia (la patria amatissima). In un’introduzione
all’ultima edizione dell’<i>Ortis</i> (1817),
parlando di un diario di vita vissuta, Foscolo narrava delle «sue angosciose passioni com’ei le provava
d’ora in ora, e le andava di giorno in giorno scrivendo». Per l’esaltata
e cupa disperazione e per l’irresponsabile giustificazione ideale del suicidio,
il libro fu considerato dalla critica come un testo moralmente malsano, in
grado d’influenzare negativamente la gioventù del tempo. Nella lettera del 14
maggio, scritta di sera, con moderna acutezza psicologica ci presenta la
romantica rappresentazione di un incontro amoroso: «[…] Sì; ho baciato Teresa;
i fiori e le piante esalavano in quel momento un odore soave; le aure erano
tutte armonia; i rivi risuonavano da lontano; e tutte le cose s’abbellivano
allo splendore della Luna che era tutta piena della luce infinita della
Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella gioia di due cuori ebbri
di amore – ho baciata e ribaciata quella mano – e Teresa mi abbracciava tutta
tremante, e trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava
su questo petto: mirandomi co’ suoi grandi occhi languenti, mi baciava, e le
sue labbra umide, socchiuse, mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto mi
si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella, e s’alzò correndole
incontro. Io me le sono prostrato, e tendeva le braccia come per afferrar le
sue vesti – ma non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù – e
non tanto la sua virtù quanto la sua passione, mi sgomentava: sentiva e sento
rimorso di averla io prima eccitata nel suo cuore innocente. Ed è rimorso –
rimorso di tradimento! Ahi mio cuore codardo! – Me le sono accostato tremando: –
Non posso essere vostra mai! – e pronunciò queste parole dal cuore profondo, e
con un’occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi. […]». In questo
brano dominano i grandi sentimenti e il mito dell’amore romantico, con i
palpiti veri e sensuali di un uomo e di una donna fatti di carne e sangue,
senza smancerie o artificiosità arcadico-pastorali. Quando Jacopo ha già deciso
la sua morte ed è combattuto tra la passione amorosa e il triste disinganno,
scrive: «I nostri occhi morenti
chiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente
cadavere sia sostenuto da bracci amorose, e cerca un petto dove trasfondere
l’ultimo nostro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba, e il suo gemito
vince il silenzio e l’oscurità della morte […] Forse Teresa verrà solitaria sull’alba a rattristarsi dolcemente su le
mie antiche memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che
se taluno metterà le mani nella sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per
trarre dalla notte, in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie
opinioni, i miei delitti –
forse; non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: “Era uomo, e infelice”.».
</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ugo
Foscolo aveva intanto conosciuto e amato Isabella Roncioni, che gli diede nuova
ispirazione per la seconda redazione dell’<i>Ortis</i>.
Nel 1802 compose l’ode <b>All’amica
risanata</b>, dedicata stavolta alla contessa Antonietta Fagnani Arese
con cui visse una turbolenta e torbida relazione sentimentale. Nel 1803
uscirono le edizioni definitive delle <b>Odi</b>
e dei <b>Sonetti</b>. Dopo aver
ripreso il servizio nell’esercito, Ugo fece continui viaggi per l’Italia e la
Francia; a Valenciennes conobbe una giovane prigioniera inglese, dalla quale
ebbe la figlia Floriana, che lasciò alla madre e che ritrovò adulta nel periodo
inglese della sua vita. Nel 1807 pubblicò i <b>Sepolcri</b>, che costituiscono l’ultima sua grande opera di
poesia, con la quale – in un angoscioso presentimento della morte – si
rivolgeva al lettore da uomo ad uomo. Ispirato dalla letteratura sepolcrale
inglese, vi presentava le sue meditazioni liriche sul tema della tragicità
della morte, sulle memorie che durano nel tempo e sulle tombe quale unica possibile
«illusione» di un muto colloquio tra i vivi e i morti e quale luogo esclusivo
in grado di «render l’uomo vittorioso del nulla e della morte», al di là delle
devastazioni del tempo. Nel 1809, per un periodo brevissimo, fu professore
universitario d’eloquenza a Pavia (in una «solitudine, solitudine, senza pace»), ricoprendo quella cattedra
che era stata tenuta dal Monti e che purtroppo gli fu revocata dopo pochi mesi.
Ebbe appena l’opportunità di tenere cinque lezioni di valore e la superba prima
lezione inaugurale richiamò un grande pubblico di studenti e di ascoltatori,
compreso il Monti. Nel 1811 compose la tragedia <b>Aiace</b>, che fu rappresentata alla Scala senza troppo successo
e che fu censurata perché ritenuta di sentimenti e intenti anti–napoleonici. Si
struggeva, intanto, alla composizione dell’opera in versi <b>Grazie</b>, rimasta incompiuta e
costituita da tre inni dedicati all’opera delle Grazie confortatrici dell’uomo
(fu pubblicata postuma nel 1848 e secondo alcuni critici rappresenta la punta
più alta della poesia di Foscolo).</span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Caduto
Napoleone e scoppiati i gravi disordini di Milano, gli Austriaci giunsero a
ristabilire l’ordine e, almeno in un primo momento, sembrarono mostrare un
volto da illuminati liberatori; nel 1815, però, poiché l’Austria chiedeva il
giuramento di fedeltà agli ex ufficiali napoleonici, Ugo scelse “l’Esilio”, riparando prima in
Svizzera e quindi in Inghilterra, ove inizialmente fu accolto con stima e
considerazione. Si dedicò alla <b>traduzione dell’Iliade </b>e alla
saggistica critica, collaborando con le maggiori riviste inglesi e riuscendo a
cogliere nella sua acuta analisi letteraria la grande «poesia della storia». In
seguito, questi buoni rapporti si guastarono a causa del carattere
contraddittorio di Foscolo e delle sue tristi vicende personali. Uomo dal temperamento malinconico ma
volubilissimo, romantico e passionale, irritabile e collerico, intellettuale
avido di esperienze sempre nuove e trasgressive ma esposto a grandi “illusioni”
e ad altrettanto grandi “disillusioni”, Foscolo subì il contrasto tra la
smisurata grandezza dei suoi sogni e la misera mediocrità della vita d’ogni
giorno. </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Grande
individualista, da cittadino, visse importanti avventure civili e campagne
militari mentre, da uomo, fu dominato da una persistente inquietudine
sentimentale, abbandonandosi a innumerevoli amori infelici e non riuscendo a
riconoscere la sincerità dell’amore; trascurò per esempio il fedele sentimento di
Quirina Mocenni Magiotti, che egli chiamava la «donna gentile» e che da lontano gli fu sempre vicina con affetto
e generosità tentando costantemente di richiamarlo in Toscana. A proposito dei
suoi numerosi amori, Ugo scriveva: «Parmi che la coscienza di amare, e di
sentirsi l’anima piena di qualche cosa che la riscaldi, sia un istinto ed una
necessità, alla quale i mortali debbono in un modo o in un altro soddisfare». </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In
Inghilterra Foscolo fu un uomo perennemente in crisi: amareggiato, sfiduciato,
non stimato, sradicato da tutto ciò che amava ma soprattutto perseguitato dai
creditori (non sapeva limitare le spese e viveva sempre al di sopra dei suoi
redditi). Sperperò in modo futile persino il piccolo patrimonio della figlia
Floriana (rimasta orfana della madre), che lo seguì nel suo girovagare per
abitazioni diverse e sempre più modeste nel tentativo di sfuggire tutti coloro
ai quali doveva del denaro. Fu addirittura arrestato per debiti nel 1824!
L’anno dopo si ammalò gravemente di fegato e morì a Turnham Green (Londra) il 10
settembre del 1827, distrutto dalla malattia e dagli affanni economici. Fu
seppellito nel cimitero di Chiswick ma dal 1871 le sue ossa riposano nella
chiesa di S. Croce a Firenze, città che aveva celebrato nei <i>Sepolcri</i>. </span></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Di
Foscolo è rimasto un vasto epistolario che, raccogliendo le vicende di tutta una
vita, ci ha fatto conoscere i suoi difetti e i suoi limiti caratteriali ma
anche la sua grande caratura di artista. Con la sua attenzione alla dimensione
psicologica e ai valori assoluti dell’esistenza, Ugo divenne per i suoi
contemporanei e per gli uomini delle generazioni successive il romantico
modello di vita, l’amato e ammirato leader civile di gran fascino, il forte
ispiratore delle grandi passioni del Risorgimento.</span></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
P.S. La tragedia in cinque atti <i>Aiace</i>
(che fu un fiasco clamoroso alla Scala di Milano nel 1811) è, in effetti, una
favola che racconta la gara fra Aiace (il Telamonio) e Ulisse per entrare in
possesso delle armi del morto Achille (l’esercito sta per Aiace mentre
Agamennone e i re parteggiano per Ulisse che le ha guadagnate grazie alle sue
astuzie). L’orgoglioso Aiace, accusato da Ulisse di essere un traditore (ha
sposato, senza amarla, Tecmessa, un’orfana principessa troiana), si uccide
raccomandando ai suoi l’obbedienza al re Agamennone. Questa tragedia sembra non
essere mai rappresentata in epoca recente. Nell’'articolo <i>La tragedia classica italiana: questa sconosciuta</i>, si fa rilevare
come la tragedia italiana (nata ai primi del ‘500) costituisca un «genere della
letteratura classica italiana che più degli altri ha patito gli improperi della
critica romantica e post–romantica»; si osserva, inoltre, come basti leggere
una qualsiasi storia del teatro come, per esempio, quella assai celebre di
Silvio D’Amico (“Storia del teatro drammatico”, Bulzoni, Roma 1982) per «rendersi
conto di quanto sia profonda l’incomprensione della modernità nei riguardi di
quei poemi». Aveva scritto Silvio D’Amico che il classicismo era il suo difetto
maggiore: «Il letterato italiano credette che ad attinger lo spirito tragico
gli bastasse guardare ai modelli dell’antichità», e – alludendo alle dispute di
letterati e critici cinquecenteschi sulle famose unità aristoteliche –
aggiungeva: «Le torture di quelle strettoie si estesero da quel secolo [il XVI]
ai successivi; né per abbatterle ci volle da meno del Romanticismo.». Continua
l’estensore dell’articolo: «Questo giudizio di D’Amico non era altro che uno
dei tanti di una lunga serie, che da De Sanctis, attraverso Carducci e Croce, è
giunto fin nel cuore del XX secolo. Questo vero e proprio odio metafisico per
la tragedia italiana ha fatto sì che essa sia praticamente scomparsa dagli
scaffali delle moderne librerie, dove possiamo trovare nelle sezioni dedicate
al teatro, certamente cattive traduzioni in italiano di Shakespeare, Schiller o
Goethe, o al massimo qualche volume di tragedie alfieriane, ma dell’antico
teatro italiano si è come perduto il ricordo. Le antologie di letteratura poi a
mala pena menzionano qualche nome, ma nessuna o quasi ne riporta il benché
minimo brano. I teatri stabili a loro volta hanno cancellato dai cartelloni la
messa in scena di qualcuna di quelle antiche opere drammaturgiche.». Questa “damnatio
memoriae” (condanna della memoria) non sembrerebbe giustificata né da un punto
di vista culturale, né da un punto di vista artistico: «Senza infatti la feroce
determinazione dei tragedi italiani del ‘500, che sulla scorta degli antichi
modelli classici, resuscitarono di bel nuovo un genere letterario e una forma
compositiva, […], non avremmo sicuramente, né le tragedie shakespeariane, né
quelle spagnole del “siglo de oro”, e neppure, infine, la tragedia classica
francese di Corneille e Racine.». Ne deriva che sarebbe importante conoscere i
migliori tragediografi classici italiani: «Molti di loro infatti furono dei
veri poeti e i loro drammi degni di essere letti, rappresentati ed imitati.». E
proprio contro questa condanna della memoria una sezione del sito sulla Poesia
Classica (http://www.poesiaclassica.it/tragediografi.html) è dedicata alla
tragedia classica, e in essa il testo dell’Aiace di Foscolo può essere reperito
facilmente e letto nella sua superba interezza</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.liberliber.it/mediateca/libri/f/foscolo/ajace/pdf/ajace_p.pdf).</span></span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-62688032593666150872013-08-26T11:49:00.000-07:002013-08-26T11:49:43.170-07:00Clifford Odets, icona immortale del teatro americano<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY9D9VjfaH8ZFmW9lu3EYpGVkzDeYaZJhHShP8iQDgICcZxFfx6xy5aDSZOI5buBWQuOljmG9-DXdVGdkdQ2a_X8qGTaAkfJcLdD_w340ULAxeuXniQYXM1EoGxyFGgTcp6Y8tCWeM378/s1600/Clifford+Odets.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY9D9VjfaH8ZFmW9lu3EYpGVkzDeYaZJhHShP8iQDgICcZxFfx6xy5aDSZOI5buBWQuOljmG9-DXdVGdkdQ2a_X8qGTaAkfJcLdD_w340ULAxeuXniQYXM1EoGxyFGgTcp6Y8tCWeM378/s1600/Clifford+Odets.jpg" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Clifford Odets</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Sono passati
cinquant'anni dalla morte prematura di Clifford Odets (avvenuta il 14 agosto </i>–<i>ma
secondo diverse biografie il 18 agosto </i>– <i>del 1963 a Los Angeles
in California per un cancro gastrico), attore, regista e autore teatrale e
cinematografico statunitense, nato il 18 luglio 1906 a Filadelfia
(Pennsylvania). Le sue opere straordinarie, che hanno vissuto un revival di recente,
sono state più volte rappresentate sia in USA, sia all'estero (e anche in
Italia). Ben sei biografie critiche sono state dedicate a Odets tra il 1962 e
il 2003.<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nato da genitori immigranti (il padre era russo e il suo
vero cognome era Gorodetsky, e la madre era una rumena–ebrea), si trasferì con la famiglia a New York nel 1908 e, dopo
aver lasciato gli studi superiori (studiava “Drama”), andò al Greenwich Village
per divenire attore presso il “Poet's Theatre”, diretto dal leggendario poeta e
scrittore Harry Hibbard Kemp (1883–1960), idolo dei giovani americani del tempo,
che amava farsi chiamare «the Vagabond Poet». Spinto da una grande passione, Odets
si fece poi le ossa nella compagnia teatrale del prestigioso “Theatre Guild” di
New York. Sottoutilizzato come attore, aveva preso intanto a scrivere testi per
il teatro sotto la supervisione del regista e critico teatrale Harold Clurman (1901–1980).
Con Clurman, Lee Strasberg e Cheryl Crawford (la <i>casting director </i>del “Theatre Guild”), Odets partecipò nel 1931
alla fondazione del “Group Theatre”, un teatro destinato ad avere una grande
influenza artistica, del quale divenne un autore privilegiato. Questo teatro utilizzava
tecniche recitative d'avanguardia, basate sul nuovo sistema ideato e sviluppato
dall'attore e regista russo Constantin Stanislavski, portate alla notorietà come
<i>The Method</i> o <i>Method Acting</i> da Strasberg, che ebbe un grande peso sulla crescita
intellettuale e drammaturgica di Odets. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tra le sue performance d'attore, sono da ricordare: <b>Midnight (Mezzanotte)</b> del 1930; <b>Big Night (La grande notte)</b>, <b>They All Come to Moscow</b> e <b>Men in White (Uomo in bianco)</b> del 1933;
e <b>Gold Eagle Guy</b> del 1934.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Le opere giovanili di Odets, ricche di un vivace substrato autobiografico
e con “eroi della working class”, avevano una grande forza sociale e forti
motivazioni politiche, ambientate com'erano negli anni Trenta pieni di stimoli intellettuali
e di avvenimenti cruciali. In quegli anni, nel mondo dello spettacolo, le idee
progressiste erano portate avanti da attivisti di sinistra che «erano profughi
europei o provenivano dall'ambiente teatrale» (<i>Hollywood e il nazismo</i>, ne “Il Cinema – Grande storia illustrata”,
Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981, vol. 2, pag. 98). <span style="text-transform: uppercase;">è</span> da segnalare <b>Waiting for Lefty (In attesa di Lefty)</b> (1935), che raccontava una
serie di episodi che coinvolgevano i lavoratori di una compagnia di taxi e i
loro clienti; il testo drammatico era stata suggerito a Odets da uno sciopero reale
di taxi e – rappresentata anche per
strada – gli diede fama internazionale; parte della critica gli
rimproverò di fare della propaganda di sinistra contro il sistema capitalistico,
mentre un'altra parte lo accusò invece di «viltà politica».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>Awake and Sing! (Svegliati
e canta!),</b> dello stesso 1935, ebbe un'accoglienza entusiastica ed è
considerato tutt'ora il capolavoro di Odets: raccontava le vicende della
famiglia ebrea Berger che viveva nel Bronx sotto l'incubo della crisi economica,
e a Broadway fu definito come «il primo testo squisitamente ebreo, al di fuori
del teatro Yiddish». Il testo è stato ripreso dal “Lincoln Center” nel 2006, per
la regia di Bartlett Sher, ed ha vinto un “Tony Award for Best Revival of a
Play”. Seguirono sempre nel 1935 <b>Till
the Day I Die (Fino al giorno che morrò)</b>, <b>I can't Sleep (Non posso dormire)</b> e <b>Paradise Lost (Il Paradiso perduto)</b>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>Golden Boy (Ragazzo
d'oro)</b> (1937) era il ritratto di un giovane uomo stretto tra l'aspirazione
artistica e il desiderio di una realizzazione economica, e fu il maggior
successo commerciale del Group Theatre, servendo da sceneggiatura (non scritta
da Odets ma da un pool di almeno quattro sceneggiatori) per l'omonimo film del
1939 diretto da Rouben Mamoulian, con Lee J. Cobb, William Holden e Barbara
Stanwyck. Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini: «Per smania di
successo, giovane lascia il violino per la boxe, ma la morte di un avversario
sul ring lo mette in crisi. Aiutato dalla donna amata, torna alla musica. […] il
film cala il suo discorso etico–sociale
in sagaci cadenze melodrammatiche. Un'ottima Stanwyck tiene a battesimo
l'esordiente Holden. Un po' datato, ma diretto con sobria eleganza.» (il Morandini,
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=17735). Il testo teatrale è
stato ripreso nel 2012 con grande successo di pubblico e di critica dal “Lincoln
Center”, sempre per la regia di Bartlett Sher, guadagnandosi otto nomination ai
“Tony Award” e rilanciando alla grande il nome e l'opera di Odets.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Seguirono <b>Rocket to
the Moon (Razzo per la Luna)</b> (1938), opera molto meno politica e più
riflessiva, che gli guadagnò l'interesse della critica e una copertina su «Time»
magazine (fu ripresa da Daniel Fish, prodotta dal “Long Wharf Theater” nel 2005),
<b>Night Music</b> (1940) e <b>The Russian People (Il popolo russo)</b>,
romanzo adattato per il teatro nel 1942.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">I testi teatrali scritti dopo il 1940 sembrano mancare della
precedente forza etico–sociale,
anche se erano più maturi e ragionati. Ricordo <b>Clash by Night (Scontro nella notte)</b> (1941), che servì come
sceneggiatura (non scritta da Odets ma da Alfred Hayes) per l'omonimo film
diretto nel 1952 da Fritz Lang (in Italia comparve con il titolo <b>La confessione della signora Doyle</b>),<b> </b>con Barbara Stanwyck, Paul Douglas,
Robert Ryan, Marilyn Monroe e Keith Andes. Era la storia di un drammatico
triangolo amoroso: Mae Doyle ritorna nella città natale di Monterey e sposa una
brava persona, un umile pescatore, ma lo tradisce con il suo migliore amico, un
individuo senza scrupoli, e fugge con lui; vincendo la prima violenta reazione,
più tardi, il marito la perdonerà accogliendola a casa con la figlioletta.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Seguì <b>The Big Knife
(Il grande coltello)</b> (1949), trasformato nel 1955 in un film (del quale
Odets non scrisse la sceneggiatura, che fu elaborata invece da James Poe), per
la regia di Robert Aldrich, con Jack Palance, Ida Lupino, Rod Steiger e Shelley
Winters. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> la storia di un
attore, una stella di Hollywood, che si è abbandonato agli eccessi, al lusso e
alle facili illusioni, separandosi dalla moglie che l'ama e che ama, e
soggiacendo all'influenza tirannica e nefasta di un magnate del cinema che
vorrebbe coinvolgerlo in un delitto. Soltanto allora troverà la forza di
ribellarsi, rivelando gli intrighi del magnate e ponendo fine alla sua vita. Il
film si aggiudicò il Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia del 1955.
Il testo teatrale è stato ripresentato dalla “The Roundabout Theatre Company”
nel 2013, presso l'“American Airlines Theatre” di New York, per la regia di
Doug Hughes, interprete principale Bobby Cannavale.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fu poi la volta di <b>The
Country Girl (La ragazza di campagna)</b> (1950), trasformata nel 1954 in un film
(di cui Odets non scrisse la sceneggiatura), diretto da George Seaton che preparò
da sé la sceneggiatura, con William Holden, Grace Kelly, Bing Crosby e Gene
Reynolds. Nel 1955 Seaton vinse l’Oscar proprio come sceneggiatore – e fu
nominato come miglior regista. Grace Kelly diede la migliore delle sue
interpretazioni nel ruolo di Georgie Elgin, moglie di un attore bravo e famoso
ma divenuto semialcolizzato dopo la morte del loro figlio avvenuta dieci anni
prima, così come Bing Crosby, che interpretava il marito Frank Elgin che fa
credere di essere succube della moglie mentre lei è la vittima, e William
Holden ch'era il regista di teatro Bernie Dodd che fa lavorare Frank e sembra
odiare Georgie, considerandola la causa del declino del marito. La moglie
s’innamora poi del regista e, pur ricambiata, resta leale al marito che alla
fine riconquista il successo professionale e il suo affetto. La drammatica
interpretazione di tutti gli attori fu superba e il film ebbe sette nomination;
la Kelly, mai così sensibile e intensa, vinse l’Oscar nel 1955 e si meritò
anche il Golden Globe mentre il National Board of Review Awards nel 1954 premiò
sia Crosby che la Kelly; il film fu presentato anche con successo all’8º
Festival di Cannes e fu nominato per la Palma d’Oro. Nel 1955 il testo di Country
girl fu presentato con successo in Italia presso il Teatro Odeon di Milano,
nella traduzione di Mirella Ducceschi, per la regia di Franco Enriquez, con Renzo
Ricci, Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Giulio Oppi, Bianca Toccafondi, Giulio
Bosetti e Orlando Orazio. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Del 1954 è <b>The
Flowering Peach (Il pesco in fiore)</b>, lavoro prodotto a Broadway, che nel 1955
stava quasi per vincere il premio Pulitzer, che fu attribuito invece ad “A Cat
on a Hot Tin Roof” (Una gatta sul tetto che scotta) di Tennessee Williams, e servito
da base per il musical di Broadway <b>Two
by Two</b> (1970), presentato all'“Imperial Theatre”, libretto di Peter Stone, versi
di Martin Charnin e musica di Richard Rodgers, con Danny Kaye, Marilyn Cooper,
Joan Copeland, Harry Goz e Madeline Kahn.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Naturalmente un drammaturgo così interessante e di successo
non poteva non attrarre l'attenzione dei furbi produttori del cinema americano.
Nel 1936 egli accetto l'attività di sceneggiatore per aiutare economicamente il
suo teatro ma si trovò poi così invischiato da passare tutta la sua vita a Hollywood.
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La sua prima sceneggiatura fu quella del film di spionaggio <b>The General Died at Dawn (Il generale morì
all'alba)</b> (1936), per la Paramount, sotto la direzione di Lewis Milestone,
con Gary Cooper e Madeleine Carroll; ricevette diverse critiche favorevoli ma
si è scritto tuttavia: «Subito dopo la prima parte del film, uno di coloro che
avevano sostenuto lo sceneggiatore fu udito borbottare: “Odets, dove hai
lasciato il tuo pungiglione?”». Bisogna pensare, però, che si trattava pur
sempre di un autore stipendiato da «padroni capitalisti e reazionari» e che
Hollywood, capitale del cinema americano, era allora «una roccaforte del
conservatorismo» (<i>Hollywood e il nazismo</i>,
“Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara,
1981). Da quel momento, Odets lavorò all'interno del sistema degli Studios fino
all'avvento della produzione indipendente negli anni Cinquanta. Di questo
periodo ricordiamo la regia del film <b>None
but the Lonely Heart (Il ribelle)</b> (1944), prodotto dalla RKO, da un
soggetto di Richard Llewellyn, con Cary Grant (che fu nominato all'Oscar nel
1945 come miglior attore protagonista), Ethel Barrymore (che vinse l'Oscar nel
1945 come miglior attrice non protagonista), Barry Fitzgerald, June Duprez e
Jane Wyatt; <b>Humoresque (Perdutamente)</b>
(1946) film scritto da Odets insieme con Zachary Gold (basato su una novella di
Fannie Hurst), con Joan Crawford e John Garfield, storia di una donna anziana e
di un giovane uomo, un violinista e la sua protettrice; la sceneggiatura non accreditata
delle scene d'amore di <b>Notorious (Notorious
- L'amante perduta)</b> (1946) diretto da Alfred Hitchcock con Cary Grant e
Ingrid Bergman; <b>Deadline at Dawn (In
nome dell'amore)</b> del 1946 diretto da Harold Clurman con Paul Lukas, Susan
Hayward e Bill Williams; e la sceneggiatura del film <b>Sweet Smell of Success (Piombo rovente)</b> (1957) diretto da Alexander
Mackendrick, un noir ambientato nel mondo dei giornali, basato su un romanzo di
Ernest Lehman e prodotto dalla compagnia indipendente Hill-Hecht-Lancaster, con
uno stupendo Burt Lancaster e con Tony Curtis (ispirò l'omonimo musical del 2002).
Odets diresse un altro film, del quale aveva scritto anche la sceneggiatura, <b>The Story on Page One (Inchiesta in prima
pagina)</b> (1959) con Rita Hayworth, Gig Young e Anthony Franciosa; si tratta
di un film giudiziario «ambientato interamente in tribunale, con tutti i pregi
e i difetti del genere»; racconta di Jo, una moglie maltrattata da un marito
violento che si consola con l'amicizia di Larry, un ragioniere rimasto vedovo
da poco, e quella che è inizialmente soltanto l'amicizia di due infelici si
trasforma in un grande amore; il marito di Jo li scopre in flagrante adulterio
e viene ucciso durante una colluttazione: «Da un lato è troppo prevedibile e
lungo, dall'altro però si avvale di un'ottima sceneggiatura (dello stesso
Odets), di interpreti impeccabili e della musica di Elmer Bernstein.»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.filmtv.it/film/3510/inchiesta-in-prima-pagina/).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Odets scrisse poi la sceneggiatura di <b>Wild in the Country (Paese selvaggio)</b> (1961) diretto da Philip
Dunne, con Elvis Presley e Hope Lange (storia di un ragazzo problematico, maltrattato
da padre e fratello, che rischia di divenire un delinquente e che si salva
grazie a una psicologa che scopre in lui un vivace talento di scrittore e che di
lui s'innamora, suscitando lo scandalo in paese). Due sceneggiature sono
comparse postume: <b>Big Mitch</b> (1963) e
<b>The Mafia Man</b> (1964), come pure un libretto
per un <b>musical tratto da Golden Boy</b>,
completato da William Gibson (ch'era stato uno studente di Odets).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel maggio del 1952, Odets fu chiamato dinanzi alla “House
Committee on Un-American Activities (HUAC)” perché era stato iscritto al
partito comunista tra il 1934 e il 1935, aveva sponsorizzato dei gruppi di
sinistra ed era andato a Cuba come capo di una delegazione per investigare
sulle atrocità compiute contro artisti e scrittori cubani. Collaborò con il
Committee come un “friendly witness” (testimone amichevole), facendo i nomi dei
membri del partito comunista già noti al HUAC, ma dicendo che erano suoi amici
e dimostrandosi contrario a ogni “blacklist”. Le reazioni sfavorevoli alla sua
testimonianza lo amareggiarono sino alla sua morte e si può senz'altro dire che
la sua produttività iniziò a declinare a partire proprio da quella sua testimonianza
nel 1952. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dal 1937 al 1940 Clifford Odets fu sposato con l'attrice Luise
Rainer (1910-), vincitrice di due Oscar consecutivi nel 1937 e 1938, mentre dal
1943 al 1951 fu coniugato con l'attrice Bette Grayson (1922–1954); ebbe due
figli, Nora (nata nel 1945) e Walt Whitman (nato nel 1947). Tra le due
riconciliazioni con la moglie Luise Rainer, Odets ebbe una tempestosa relazione
con l'attrice Frances Farmer (1913–1970), dal carattere libero e indipendente,
in lotta continua nei confronti dello star system (Graeme Clifford ha dedicato
alla vita della Farmer, al suo rapporto conflittuale con la madre e al suo
drammatico ricovero psichiatrico il film “Frances” del 1982, con Jessica Lange,
Kim Stanley e Sam Shepard; Jeffrey DeMunn interpretava Clifford Odets).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Presso il “Billy Rose Theatre Division” sono conservate
carte, documenti, note, corrispondenze, programmi e fotografie (anche private) di
Odets, del periodo compreso tra il 1926 e il 1963, in una raccolta aperta al
pubblico che è in grado di mostrare i processi di tecnica creativa del grande
drammaturgo americano</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> (http://www.oac.cdlib.org/findaid/ark:/13030/tf22900479/).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per concludere, lo stile drammatico di Odets è molto particolare, istrionico
ed esuberante, umanistico e conflittuale, quasi checoviano,con una sorta di
linguaggio poetico ricco di parole etniche e della quotidianità, degne di un
drammaturgo socialista con un substrato proletario, influenzato fortemente da
un altro autore socialista, il dublinese Sean O'Casey (1880–1964), scrittore–operaio
che partecipò attivamente al movimento rivoluzionario di rinascita irlandese del
1922. Al momento della comparsa del suo primo dramma, Arthur Miller scrisse: «Veramente
per la prima volta in America, il linguaggio stesso… segnava un drammaturgo “as
unique”.» (Miller A., <i>Timebends</i>,
Penguin, New York, 1995, p. 229). Jean Renoir stimava tanto Odets e gli era
così amico che gli dedicò un capitolo della sua autobiografia (Renoir J., <i>My Life and My Films</i>, Atheneum, New York
1974).</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-89348762813691098882013-08-24T08:53:00.000-07:002013-08-24T08:53:13.418-07:00Lilla Brignone, una vera “Regina” del teatro, avrebbe compiuto cento anni<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYW__UZNlfZYr3oHj368PnTcqU_n3JWaFhouPfPprlaWJXVCfJCATPSj04UjvZVa9MSPZSjW27dmNduhX_-TcEjJwORKOZq1RokEeKIXclqQfXfQRI88TN-GZMDR3MczBMqvOikuNZ5tw/s1600/Lilla+Brignone.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYW__UZNlfZYr3oHj368PnTcqU_n3JWaFhouPfPprlaWJXVCfJCATPSj04UjvZVa9MSPZSjW27dmNduhX_-TcEjJwORKOZq1RokEeKIXclqQfXfQRI88TN-GZMDR3MczBMqvOikuNZ5tw/s1600/Lilla+Brignone.jpg" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Lilla Brignone</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La grande attrice
romana Lilla Brignone (vero nome Adelaide), forse la più celebre attrice del
dopoguerra in Italia, nacque il 23 agosto del 1913. Figlia d'arte, appartenente
a una vera dinastia di artisti, sin da bambina respirò la polvere del
palcoscenico e calcò i set cinematografici.
<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Era, infatti, la figlia del regista milanese Guido Brignone (1886–1959), a sua volta figlio dell'attore teatrale
e caratterista cinematografico Giuseppe Brignone (1854–1937) – noto «per il garbo e la cura della
recitazione» (N. Leonelli, <i>Enciclopedia
biografica e bibliografica Italiana</i>, Attori tragici, attori comici, 2°
vol., Roma 1944) –, fratello
dell'attrice brillante Mercedes Brignone (1885–1967) – che ho conosciuto perché qualche anno prima di morire nel 1964
fu chiamata dalla TV per partecipare allo spettacolo musicale <i>Biblioteca di Studio Uno</i> – e cognato dell'attore Uberto
Palmieri (coniuge di Mercedes dal 1903). Guido Brignone aveva sposato l'attrice
cinematografica Lola Visconti e fu molto noto nel periodo del cinema muto per
il film <i>Odette</i> (1915); fu, inoltre,
il primo regista italiano a vincere la Mostra Internazionale d'Arte
Cinematografica (1934) con il film storico <i>Teresa
Confalonieri</i>, al quale Lilla aveva partecipato nel ruolo della marchesina
al ballo; col padre girò ancora <i>Passaporto
rosso</i> (1935) e <i>Vivere</i> (1937).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Appena quindicenne, Lilla Brignone debuttò nella compagnia teatrale
di Kiki Palmer (pseudonimo di Giulia Fogliata, 1907–1949, madre adottiva di
Renzo Palmer), che con la sua recitazione moderna e spontanea, seppe insegnarle
i rudimenti della perfetta dizione, dell'intensità drammatica e
dell'asciuttezza interpretativa. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da allora fu tutto un trionfo e arrivò sino a divenire una
delle attrici più significative del 900. Recitò accanto a “miti” del teatro
italiano e nelle compagnie del “Gotha” teatrale italiano, quali quelle di Gandusio-Carli (creatori del teatro
“brillante” e della <i>pochade</i>), Ruggero
Ruggeri (fu un breve sodalizio, segnato dal successo <b>Sesso debole</b> di E. Bourdet, che secondo G. Prosperi ebbe una grande
importanza in quanto «qualcosa di lui le restò addosso come una preziosa marca
di fabbrica: un modo essenziale di concentrarsi, tutto interiore, la forza
della battuta vibrata a bassa voce, tesa e scandita»), Memo Benassi (fu notata
da R. Simoni in <b>Novità di Parigi</b>,
atto unico di S. Lopez presentato al teatro Odeon di Milano nel 1937), e Renzo
Ricci (col quale fu in <b>Festa</b> di S.
Benelli al teatro Nuovo di Milano nel 1940 e in <b>Oro puro</b> di G. Gherardi al teatro Alfieri nel 1941, ove fu nuovamente
notata dal critico Simoni), Giorgio Strehler, Salvo Randone (esperienza nel 1954-55
con la Compagnia Italiana di prosa Brignone-Randone-Santuccio: mitica <b>La parigina </b>H. Becque, cui partecipò
anche Antonio Battistella) e Luchino Visconti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La sua vicenda artistica teatrale è stata così enorme e
ricca, maturata attraverso le più svariate e impegnative esperienze, che le sue
performance sono state grandi e numerose. Mi limito a ricordare soltanto
l'essenziale.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Decisivo l'incontro con il Piccolo Teatro di Milano e con
Giorgio Strehler, durante il quale, come scrive Canova: «raggiunge la pienezza
della sua espressività di attrice intelligente e versatile nelle
interpretazioni di Shakespeare, Pirandello, Sofocle e Anouilh.» (<i>Cinema</i>, le garzantine, a cura di Gianni
Canova, Garzanti, Milano 2009). Tra il 1947 e il 1953 recitò in numerosi
capolavori teatrali: <b>L'albergo dei
poveri</b> di M. Gorkij, <b>Le notti
dell'ira</b> di A. Salacrou e <b>I giganti
della montagna</b> di L. Pirandello (1947); <b>Delitto e castigo</b>, <b>La
tempesta</b> e <b>Romeo e Giulietta </b>di Shakespeare,
<b>Assassinio nella cattedrale</b> di Th.
Stearns Eliot e <b>Il gabbiano</b> di A.
Cechov (1948); <b>La bisbetica domata</b> di
Shakespeare e <b>Il piccolo Eyolf</b> di H.
Ibsen (1949); <b>La parigina </b>di Becque,
<b>Estate e fumo</b> di Tennessee Williams e
<b>Il misantropo</b> di Molière (1950); <b>Casa di bambola</b> di H. Ibsen e <b>La dodicesima notte</b> di Shakespeare (1951);
<b>Macbeth</b> di Shakespeare ed <b>Elisabetta d'Inghilterra</b> di F. Bruckner
(1952); <b>Sei personaggi in cerca d'autore</b>
di Pirandello e <b>Lulù</b> di Carlo
Bertolazzi (1953); e <b>Questa sera si
recita a soggetto</b> di Pirandello (1956).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Compagna nella vita e nell'arte di Gianni Santuccio, formò
con il grande attore una fra le coppie più celebrate e indimenticabili del
teatro italiano. La compagnia Brignone-Santuccio, cui si aggiunsero M. Benassi,
S. Randone, L. Volonghi e C. Pilotto, «ebbe esiti brillanti per i requisiti
intrinseci delle opere in repertorio e per le irripetibili “gare di bravura”
degli interpreti» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">[http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/].
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ricordiamo l'<b>Allodola</b>
di J. Anouilh al teatro di via Manzoni di Milano nel 1953 (E. Possenti scrisse
che di Giovanna d'Arco la Brignone fece «con la sua bella, dolce, incantata
interpretazione» una delle «più felici figure della sua carriera»); <b>Processo di famiglia</b> di D. Fabbri al
teatro Carignano di Torino nello stesso anno; e <b>Anche le donne hanno perso la guerra</b> di C. Malaparte al teatro La
Fenice di Venezia nel 1954 (Possenti parlò di «una dolorosa e dura fierezza»). Dopo
un periodo di separazione artistica, Lilla Brignone e Gianni Santuccio si
riunirono per la stagione 1960-61 e furono ancora insieme «con momenti di
splendida bravura» nella compagnia Brignone-Santuccio-Millo, interpretando <b>Danza di morte</b> di A. Strindberg presso
il teatro Comunale di Ferrara nel 1969 (il dramma fu trasmesso con successo
strepitoso in TV nel 1971). Di Lilla Brignone è stato scritto: «Mostrava ormai
d'aver maturato uno stile inconfondibile (voce leggermente roca ma morbida,
gesto netto, portamento dignitoso, talvolta sostenuto, mai sussiegoso) che, nei
momenti più difficili, si distillerà in una sorta di ritmo misurato e
distaccato che sarà caratteristico della sua recitazione soprattutto negli
ultimi anni della carriera. Sul suo viso le labbra sottili e il taglio a
mandorla degli occhi richiamavano i lineamenti di una maschera orientale
ingentilita da tratti mediterranei, una preziosità, questa, certamente più
adatta al teatro drammatico che ad altri generi di spettacolo: il suo partner “ideale”
divenne, a questo punto, G. Santuccio, col quale intese completarsi nel
rappresentare le più riposte pieghe psicologiche della coppia (il sodalizio era
cominciato al tempo di “Piccoli borghesi” e l'incontro con lo Strehler fu
pertanto contemporaneo e determinante ai fini della loro evoluzione artistica).»
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con Luchino Visconti la Brignone portò al successo <b>Come le foglie</b> di G. Giacosa (1954), <b>La signorina Giulia</b> di A. Strindberg
(1957), <b>Il crogiuolo</b> A. Miller (1955),
<b>Immagini e tempi di Eleonora Duse</b> di
G. Guerrieri e <b>Veglia la mia casa,
Angelo</b> di Ketti Frings (dal romanzo di Thomas Wolfe, nella versione di Suso
Cecchi D'Amico) (1958), e <b>La monaca di
Monza</b> di G. Testori (1967). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fu, quindi, con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi (da
ricordare l'affascinante spettacolo <b>Maria
Stuarda</b> di F. Schiller, per la regia di L. Squarzina, presentato al teatro
E. Duse di Genova nel 1965).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1968 recitò <b>In
memoria di una signora amica</b> (trasmessa in TV nel 1978), scritta per lei da
Giuseppe Patroni Griffi che la diresse nella compagnia Lilla Brignone-Pupella
Maggio, presentata al teatro La Fenice di Venezia, in occasione del XXII
Festival del Teatro (l'interpretazione le meritò la maschera con lauro d'oro
IDI 1964, destinata alla migliore interprete di una novità italiana).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con il teatro Stabile di Genova e Luigi Squarzina fu la
protagonista dei seguenti spettacoli di successo: <b>Casa nova</b> di C. Goldoni (1973), <b>Cerchio di gesso del Caucaso</b> di B. Brecht (1974) e <b>Un lungo giorno di viaggio nella notte</b>
di E. O'Neill (1974).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Negli ultimi anni di attività, con Giancarlo Sepe (definito «un
estroso “rilettore” di alcuni stagionati testi del teatro contemporaneo»), ripropose
<b>Come le foglie</b> (1979) e fu
protagonista della <b>Casa di Bernarda Alba</b>
di F. Garcia Lorca (1980), di <b>Danza
macabra</b> di A. Strindberg (1981) e di <b>Così
è (se vi pare)</b> di Pirandello (1982), che fu il suo vero e proprio canto del
cigno, in cui «il gusto del rischio che mai le era venuto meno la indusse alla
interpretazione della parte della signora Frola in chiave di teatro
dell'assurdo con un risultato accattivante»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Naturalmente non poteva ignorarla la TV degli anni d'oro che
la fece conoscere agli italiani, i quali non disponevano ancora dei teatri
stabili e impararono ad amare il teatro e i suoi protagonisti attraverso la
prosa televisiva e gli sceneggiati. Da ricordare: <b>Casa di bambola</b>, (1958) diretta da Vittorio Cottafavi, <b>Una tragedia americana</b> (1962) per la
regia di Anton Giulio Majano, <b>La figlia
del capitano</b> (1965) diretta da Leonardo Cortese, e <b>I promessi sposi</b> (1967) e <b>I
demoni</b> di S. Bolchi e Diego Fabbri da F. Dostoevskij (1972) per la regia di
Sandro Bolchi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Prediletta anche dal cinema, fu diretta da Raffaello
Matarazzo (<b>Il serpente a sonagli</b>,
1935, con Nino Besozzi, Andreina Pagnani e Paolo Stoppa, e <b>La risaia</b>, 1956, con Elsa Martinelli e Folco Lulli), Alessandro
Blasetti (<b>La cena delle beffe</b>, 1941,
con Amedeo Nazzari, Clara Calamai, Osvaldo Valenti ed Elisa Cegani), Renato
Castellani (<b>I sogni nel cassetto</b>, 1957,
con Lea Massari, Enrico Pagani e Sergio Tofano), Valerio Zurlini (<b>Estate violenta</b>, 1959, con Jean-Louis
Trintignant ed Eleonora Rossi Drago – nella
parte della madre di Roberta, questo fu «tra i pochi film in cui poté,
nello spazio di una scena d'intenso respiro, dimostrare il suo talento» – e <b>Il deserto dei Tartari</b>,<b> </b>1976,
con Vittorio Gassman Giuliano Gemma e Philippe Noiret in una scena breve ma
significativa che ne costituiva il prologo), Antonio Pietrangeli (<b>Fantasmi a Roma</b>, 1960, con Marcello
Mastroianni, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo e Tino Buazzelli),
Michelangelo Antonioni (<b>L'eclisse</b>, 1962,
con Alain Delon e Monica Vitti), Jean Delannoy (<b>Venere imperiale</b>,<b> </b>1962,
con Gina Lollobrigida, Stephen Boyd e Raymond Pellegrin), Bernard Borderie (<b>Rocambole</b>, 1962, con Nadia Gray e Alberto
Lupo), Gianni Puccini (<b>L'attico</b>, 1963,
con Daniela Rocca, Tomas Milian e Philippe Leroy), Franco Giraldi (<b>La bambolona</b>, 1968, con Ugo Tognazzi,),
Pasquale Squitieri (<b>Camorra</b>, 1972,
con Fabio Testi, Jean Seberg e Raymond Pellegrin), Salvatore Samperi (<b>Malizia</b>, 1973, e <b>Peccato veniale</b>, 1974, con Laura Antonelli), e infine Alberto
Lattuada (<b>Oh, Serafina!</b>, 1976, con
Renato Pozzetto, moderna favola ecologista tratta dall'omonimo romanzo di Giuseppe
Berto). Si è scritto: «Benché l'attività teatrale abbia avuto, nella sua
carriera, la preminenza su quella cinematografica, la Brignone è riuscita a
creare, in alcuni film di innegabile valore, personaggi di grande intensità
drammatica, come quello della madre di Vittoria (Monica Vitti), la protagonista
de “L'eclisse” realizzato nel 1962 da Michelangelo Antonioni), e quello della
madre di Ivana, la protagonista de “La bambolona” (1968, regia di Franco
Giraldi; protagonista maschile, Ugo Tognazzi), delineati entrambi con estrema
bravura e con opposti registri drammatici, perfettamente adeguati ai
personaggi, nevrotico e carico di tensione il primo, il secondo in apparenza
ottuso, ma in realtà sottilmente calcolatore.» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.mymovies.it/biografia/?a=5359).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Lilla Brignone si dedicò anche in modo intenso alla prosa
radiofonica e in modo saltuario al doppiaggio. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Morì nella sua amata città di Roma (che nel 1972 l'aveva
premiata con l'“Oscar capitolino”) il 24 marzo 1984 (aveva appena 70 anni). Il
30 ottobre 1984 nel foyer del Politeama di Genova è stata aperta una mostra
intitolata “Omaggio a Lilla Brignone”, realizzata grazie al materiale che la
figlia Maria Teresa (che vive a Genova) ha donato al Museo Biblioteca dell'Attore.
Si trattava di «un viaggio in cinquant'anni di storia del teatro curiosando tra
i bauli dell'attrice», deceduta nel marzo precedente. All'inaugurazione hanno
partecipato Ivo Chiesa e Sandro D'Amico, Vittorio Gassman e Ombretta Colli. In
quell'occasione ha detto Vittorio Gassman: «La conoscevo da quarant'anni l'ho
apprezzata tantissimo, soprattutto per la duttilità dei ruoli. Ma non ho mai
recitato assieme a lei: l'unica volta che fui in scena con la Brignone, facevo
la comparsa e basta, non dissi neppure una battuta. Il suo comunque fu un
approccio moderno, però sempre legato ai valori della tradizione.».</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/30/in-memoria-della-signora-lilla-brignone.html).</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-66327118515239689352013-08-21T10:39:00.000-07:002013-08-21T10:39:14.112-07:00Diana Torrieri, attrice di un'altra generazione dal ricordo sempre vivo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG2REejE-U4ZR1AZ0o4K4vKmqM1l2qkEJdczuV5H-2vFNUlpSw8xNAt77yR5a_o3hcgDyIEVKjBH_wrlfCU2_uLYCA3iIOjvrjs1xlq9zDj8aLeXwPe0ZlFXo1ETF6t0S57XiuJ4ZbzdQ/s1600/Diana+Torrieri2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG2REejE-U4ZR1AZ0o4K4vKmqM1l2qkEJdczuV5H-2vFNUlpSw8xNAt77yR5a_o3hcgDyIEVKjBH_wrlfCU2_uLYCA3iIOjvrjs1xlq9zDj8aLeXwPe0ZlFXo1ETF6t0S57XiuJ4ZbzdQ/s320/Diana+Torrieri2.jpg" width="292" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 11pt;">Diana Torrier</span><span style="font-size: 12pt;">i</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Avrebbe compiuto 100
anni in questi giorni l'attrice Diana Torrieri (il suo vero nome era Angela),
nata a Canosa di Puglia (Bari) il 13 agosto 1913 (alcune biografie riportano,
però, il 9 agosto come data della sua nascita). <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Io ho avuto il piacere di conoscerla, e di mai dimenticarla,
grazie alla televisione degli ultimi anni Cinquanta e primi anni Sessanta,
quando la TV sembrava privilegiare il grande teatro italiano. Ero bambina e la
ricordo in un film di Daniele D'Anza <b>Ma
non è una cosa seria</b> (tratto dal testo di Pirandello nel 1957) con Gianni
Santuccio (era il playboy Memmo Speranza) mentre la Torrieri interpretava
Gasparina, proprietaria di pensione, donna umile e sottomessa, insignificante e
apparentemente senza attrattive muliebri, che Memmo sposa legalmente ma per
finta (per proteggersi dal pericolo di un vero matrimonio) ma che diviene tanto
interessante e desiderabile da costringere Memmo Speranza a modificare quel “matrimonio
per scherzo” in una unione seria.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Considerata una delle grandi interpreti del teatro italiano
del Novecento, Diana Torrieri iniziò a calcare il palcoscenico nei primi anni
Trenta con la Compagnia di Paola Borboni e Luigi Cimara (andarono anche negli
USA per una lunga tournée).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Si distinse poi nella compagnia di Anton Giulio Bragaglia che
ne fece la prima–attrice del
Teatro delle Arti di Roma, del quale sarà direttore dal 1937 fino al 1943 (con
Bragaglia interpretò, fra l'altro, la parte di Lavinia ne <b>Il lutto si addice ad Elettra</b> di Eugene O'Neill e fu la
protagonista de <b>La nuova colonia</b> di
Pirandello). Ebbe esperienze anche nelle compagnie di Wanda Capodaglio, Salvo
Randone, Tino Carraro, Ivo Garrani, Vittorio Gassman, Elena Zareschi e Memo
Benassi (con cui interpretò <b>Spettri</b>
di Ibsen, <b>Amleto</b> di Shakespeare e <b>Non si sa come</b> di Pirandello). Nel 1943
entrò nella compagnia dell'Eti recitando ne <b>Il piccolo Eyolf</b> di Ibsen ed in <b>Zio Vanja</b> di Cechov.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Lavorò anche con la Compagnia del Quirino di Roma diretto da
Sergio Tofano, e a Milano con Giorgio Strehler.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Durante la guerra, nel 1943, nelle file del Partito d'Azione
svolse attività partigiana; nel medaglione dedicato a Diana Torrieri
dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia è scritto: «La Torrieri era,
comunque, impegnata in prima persona nella Resistenza. Militante del Partito
d'Azione, nel 1943 entrò come staffetta in una formazione di “Giustizia e
Libertà” e, nei giorni della Liberazione, fu ferita di striscio, mentre si
trovava vicina al “Piccolo” di Milano, teatro di cui fu anche capocomico.» (http://www.anpi.it/donne-e-uomini/diana-torrieri/)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1949 l'attrice tentò il suicidio ma riprese ben presto la
sua attività teatrale dedicandosi sia a opere classiche sia a testi moderni e
rimanendo attiva sulla scena sino alla fine degli anni Sessanta (con qualche
partecipazione anche sino agli anni Ottanta). Nel 1952 si dedicò all'organizzazione
del Teatro Stabile di Venezia. Tra le presenze teatrali più significative degli
anni Cinquanta, vorrei ricordare <b>La
vedova scaltra</b> di Carlo Goldoni (1951) con Vittorio Gassman, Mario
Feliciani, Mario Scaccia, Raoul Grassilli, Elena Zareschi, Mario Ferrari e
Ferruccio Stagni, per la regia di Luigi Squarzina, al Teatro Valle di Roma, e <b>Un uomo da nulla</b> di Luigi Candoni
(1953), con Enrico Maria Salerno, Pina Cei, Ivo Garrani e Ottorino Guerrini,
che facevano parte della Compagnia del Teatro Stabile di Venezia di Diana
Torrieri, per la regia di Gianfrando De Bosio, presentata al Teatro la Fenice
di Venezia.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Aveva intanto conosciuto Giuseppe Ungaretti e nella stagione
1956-7 interpretò <b>Fedra</b> di Racine
nella traduzione del grande poeta. Fra le sue ultime grandi interpretazioni, sono
degne di nota <b>La pietà di novembre</b>
di Carlo Brusati (1967) con Giorgio Albertazzi, e <b>Più grandiose dimore</b> di O'Neill (1969), rappresentata al Teatro San
Babila di Milano per la regia di Vittorio Cottafavi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Diana Torrieri si dedicò anche alla prosa radiofonica,
amatissima dal pubblico del tempo. Da ricordare: <b>Le tre sorelle</b> di Anton Čechov (1942) con Carlo D'angelo per la
regia di Enzo Ferrieri, e <b>L'albergo dei
poveri</b> di Maxim Gorkij (1946) con Ruggero Ruggeri per la regia dello stesso
Enzo Ferrieri. Nel 1957 si rivelò al suo pubblico radiofonico con <b>Un'attrice allo specchio, confidenze
poetiche di Diana Torrieri</b>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La prosa televisiva RAI svelò il suo viso e le sue
interpretazioni, facendola conoscere al grande pubblico. Sono da ricordare: <b>Gli spettri</b> di Henrik Ibsen (1954) con
Tino Buazzelli, Giorgio Albertazzi, Romolo Valli e Edda Albertini, per la regia
di Mario Ferrero; <b>Il piacere di
lasciarsi</b> di Jules Renard (1956) con Tino Bianchi, per la regia di Vito
Molinari; <b>Ventiquattr'ore felici</b> di
Cesare Meano (1956) con Emma Gramatica, Pina Cei, Luigi Vannucchi, Ivo Garrani
e Sandro Tuminelli, per la regia di Claudio Fino; <b>Il litigio </b>di Charles Vildrac (1957)<b> </b>con Armando Francioli, Neda Naldi, Ernesto Calindri, Salvo Randone
e Mercedes Brignone, per la regia dello stesso Claudio Fino; <b>Il tunnel</b> (1958), tratto dal dramma in
un atto di Mabel Costanduros e Haward Hagg, con Ferruccio Solieri, Nicola
Arigliano, Monica Vitti e Franco Volpi, per la regia di Giacomo Vaccari; <b>Tana di ladri</b> (1961) con Carlo
Dapporto, Elsa Merlini, Michele Malaspina, Carlo Ninchi e Luigi Cimara, per la regia
di Eros Macchi; <b>Marea di settembre</b> di
Daphne duMaurier (1963) con Laura Efrikian, Enzo Tarascio e Gabriele Antonini, per
la regia di Alessandro Brissoni; <b>Processo
a Gesù</b> di Diego Fabbri (1963) con Mariolina Bovo, Mario Feliciani e Nando
Gazzolo, per la regia di Sandro Bolchi; <b>Piccole
volpi</b> di Lillian Hellman (1965) con Laura Efrikian, Mario Feliciani, Lyda
Ferro, Giancarlo Sbragia e Roldano Lupi, per la regia di Vittorio Cottafavi; e
infine <b>La donna di fiori</b> (1965),
miniserie televisiva con Ubaldo Lai nel ruolo del tenente Sheridan, per la regia
di Anton Giulio Majano. Nel 1965-1966 fu Emma Micawber nello sceneggiato
televisivo <b>David Copperfield</b>; nel 1969
comparve nel film TV <b>Dal tuo al mio</b>
e nel 1979 ne <b>La promessa</b>
(interpretava la signora Schrott); nel 1980 partecipò, infine, alla miniserie
TV <b>Bambole: scene di un delitto perfetto</b>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il cinema non predilesse granché Diana Torrieri; con lei negli
anni Quaranta si ricordano quattro film: <b>Il
barone di Corbò</b> (1939) – era
la madre di Lulù –<i> </i>per
la regia di Gennaro Righelli con Enrico Glori, Vanna Vanni, Laura Nucci,
Wandina Guillaume e Nino Marchetti; <b>Don
Pasquale</b> (1940) – era
Zelinda, la damigella di Norina –<i> </i>per
la regia di Camillo Mastrocinque con Laura Solari, Armando Falconi, Greta Gonda
e Fausto Guerzoni; <b>La primadonna</b>
(1943) – era Fanny Agrate –<i> </i>per la regia di Ivo Perilli con
Maria Mercader, Annelise Uhlig, Renato Bossi, Romano Calò e Carlo Lombardi; e <b>Incontro con Laura</b> (1945) per la regia
di Carlo Alberto Felice e prodotto da Filmservice, con Ernesto Calindri e
l'allora ventiduenne Vittorio Gassman (pellicola purtroppo andata perduta). A
proposito di questo film, è riportato così nel medaglione dedicato a Diana
Torrieri dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia: «La pellicola aveva,
per così dire, un risvolto resistenziale: era stata finanziata dall'industriale
Gino Bonazzi, proprietario di quattordici filande. Improvvisandosi produttore
cinematografico, Bonazzi riuscì ad impedire che i suoi operai (utilizzati nel
film come comparse), venissero deportati dai tedeschi.» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.anpi.it/donne-e-uomini/diana-torrieri/). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ha raccontato Diana Bonazzi, produttrice di Filmservice e figlia di Gino Bonazzi:
«Nel film, Calindri recitava la parte di un orologiaio, il giovane Gassman era
l'amico di sua moglie, interpretata dalla Torrieri.». Un critico del dopoguerra
lo definì un film «girato clandestinamente con attori per lo più nuovi allo
schermo». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con il figlio Sergio Velitti, Diana Torrieri girò più tardi il
film commedia <b>La duchessa d'Urbino</b>
(1957) (diretto insieme a Ruggero Jacobbi) con Paola Mannoni ed Ernesto
Calindri; il film storico <b>Il silenzio
del mare</b> (1968) con Giancarlo Sbragia, Renzo Ricci e Claudia Giannotti; e
il film drammatico <b>La Malquerida</b>
(1969) con Lino Troisi e Marcello Tusco. [Sergio Velitti è anche noto per avere
presentato nel 1961 “Storia di Pablo” –
liberamente tratto dal romanzo <i>Il
compagno</i> di Cesare Pavese –
al Piccolo teatro di Milano, per la regia di Virginio Puecher, con Angelo
Corti, Ottavio Fanfani, Gabriella Giacobbe, Franco Interlenghi, Vittorio
Sanipoli, Franco Sportelli ed Enzo Tarascio]</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1968 l'attrice fu inviata di Radio2 per fare un
reportage in Brasile: durante il viaggio, sulla nave Augustus, intervistò e
registrò dal vivo le parole di due geni della musica brasiliana, Vinicius De
Moraes e Dorival Caymmi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dal 1991 fu sostenuta dal vitalizio previsto dalla Legge
Bacchelli per gli artisti e visse senza venir mai meno al suo impegno
democratico. Scomparve a Roma il 26 marzo del 2007 (aveva 93 anni).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="text-transform: uppercase;">è </span>stato così
commentato: «Attrice di prosa di notevole
reputazione, graziosa, fine, caratterizzata da un sorriso dolce e ambiguo a un
tempo, fu tra le prime mattatrici del palcoscenico a essere impiegate in TV fin
dal periodo sperimentale. Interprete di ruoli di fine e romantica signora come
ne “I Cari Inganni”,“Marea di Settembre”,“Il litigio”, diede comunque ottima prova anche in ruoli fortemente
drammatici come quello della madre nel dramma “Gli
spettri” di Ibsen e soprattutto in “”Piccole volpi“” a cui
prese parte in entrambe le edizioni TV con una magnifica interpretazione del
malefico personaggio di Regina Giddens.»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> (http://www.mymovies.it/biografia/default.asp?a=6255).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Carlotta Degl'Innocenti nel suo necrologio pubblicato sulla
Stampa mercoledì 28 marzo 2007, dal titolo “Diana Torrieri. Grandi interpreti
del Novecento. Scompare una Stella”, riporta come si sia detto dell'attrice: «Interprete
originale, incisiva nel registro comico e appassionata in quello drammatico,
dotata di forte energia comunicativa. […] Nel 1949-50, la Torrieri risale sul
palcoscenico accanto a Tino Carraro, lavorando per Giorgio Strehler, uno dei
fondatori della moderna regia in Italia. Interpreta opere teatrali
d’avanguardia e testi classici: “La macchina infernale” di Cocteau, “Sei
personaggi in cerca d'autore” di Luigi Pirandello, “Albertina” di Valentino
Silvio Bompiani e “L'annuncio a Maria” di Paul Claudel. […] Continua a recitare
in numerose opere affiancando attori e registi di grosso calibro come
nell'“Oreste” di Alfieri, accanto a Gassman e la Zareschi nel 1955, in tournée
in America del Sud con Sergio Tofano in “Vestire gli ignudi” e “Pensaci,
Giacomino!” di Luigi Pirandello […] Nel 1955-56 è inoltre interprete e regista
di “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams. […] Sul viale del
tramonto, recitato dietro le telecamere, Diana Torrieri, la “signora del
teatro”, cede al postmodernismo, condannata anche lei, come altri protagonisti
della grande stagione culturale italiana, a ricevere un vitalizio dal governo
italiano nel 1991.»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.fondazioneitaliani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=794&Itemid=1)</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Si è scritto ancora: «Le possibilità
espressive della Torrieri e i toni stessi della sua recitazione trovano però la
loro più felice espressione quando possono riversare nell'interpretazione di
una figura femminile quei singolari accenti di vigorosa amarezza e di
inquietante tensione che le sono congeniali.» [http://www.treccani.it/enciclopedia/diana-torrieri_(Enciclopedia-Italiana)/].</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-46336064625696038322013-07-29T07:57:00.000-07:002013-07-29T08:00:21.979-07:00Andrea Cutri e il suo “Eterno Divenire”<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoG58WAwacshwv2N_KYDY_KK1jatauAJ3b92tjBdDmaVgVs2_zzO1ZC0c7jMQ_DrPpdGjlzA4t1jnUdMp8THce_dIRRY322eGZRJow_ZYg3ANXDEnRJgsAY7gizz76o0YcivPyYcvRJz4/s1600/cutri+andrea.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoG58WAwacshwv2N_KYDY_KK1jatauAJ3b92tjBdDmaVgVs2_zzO1ZC0c7jMQ_DrPpdGjlzA4t1jnUdMp8THce_dIRRY322eGZRJow_ZYg3ANXDEnRJgsAY7gizz76o0YcivPyYcvRJz4/s320/cutri+andrea.jpg" width="297" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Andrea Cutri</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il chitarrista e
compositore Andrea Cutri, di origini per metà sarde (la madre) e per metà
friulane (il padre), è nato nel 1979 e vive e lavora a Cabras, Orestano. Giovanissimo
talento, ha iniziato a studiare la chitarra da autodidatta all'età di 11 anni e
a 13 anni, nel 1992, ha composto <b>Melodia
progressiva</b>. Sin da giovane ha suonato la sua chitarra, accompagnandosi a
grandi artisti in grossi concerti e vincendo numerosi premi. Il suo primo vero
successo risale al 1998, quando ha pubblicato <b>Tempesta e Assalto</b>. Nell'estate del 2002 ha suonato con i Cordas et
Cannas e nel 2004 si è esibito in un recital in cui con la sua chitarra impreziosiva
una recitazione de “Il piccolo principe”. Sua è la notevole canzone <b>E io verrò un giorno là</b>, presentata da
Patty Pravo al Festival di Sanremo del 2009 (arrivata in finale, qualificandosi
sesta). Nel 2003 ha inaugurato il suo studio di registrazione “Sinis Records”
(che gli permette di autoprodursi).<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vorrei, però, soffermarmi su <b>Eterno Divenire</b>, pubblicata nel 2011, che sembra promettere grandi
cose al nostro giovane artista. Ho ascoltato su youtube il tema iniziale del
concerto per chitarra e orchestra dell'opera, dal titolo “Metamorfosi delle
certezze”, e – pur non essendo
un'esperta – l'ho trovato di
grande fascino. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nell'articolo <i>Il
potere dei numeri e della musica per cercare l'eterno divenire: l'opera di
Cutri</i> di Cr.S. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(vedere: </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">http://spettacoli.tiscali.it/articoli/musica/13/07/27/cutri-eterno-divenire.html), </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">si scrive che l'opera </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Eterno Divenire</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
(scritta, musicata e prodotta da Andrea Cutri) si muove tra i seguenti due
temi: «La ricerca dell'eternità attraverso la comprensione delle cose e del
loro divenire. Il sogno che anima da sempre gli uomini. Quelli che tentano di
penetrare questo eterno divenire di ogni manifestazione del mondo attorno a noi
attraverso la matematica, e quelli che usano la musica e la poesia per eternare
il più totale dei sentimenti umani: l'amore.». Questa narrazione in musica
ripropone l'amore tra i poeti inglesi Elizabeth Barrett e Robert Browning che
vissero inizialmente una storia sentimentale per via epistolare, nata a metà
Ottocento a Londra e conclusasi in Italia, dopo le nozze. E la poetessa s'innamorò oltre che dell'Italia,
anche della causa indipendentista italiana, passione che durò sino alla sua morte
nel 1861. La cosa straordinaria è che adesso l'opera di Andrea Cutri si trova
al vaglio di Baz Luhrmann, talentuoso sceneggiatore e regista di </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Moulin Rouge</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, che sta valutando la
possibilità di metterla in scena.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella sua intervista Andrea Cutri accenna alla base
matematico–filosofica della
narrazione e al «tema parallelo a quello della storia d'amore, cioè la ricerca
del codice su cui si fonda ogni cosa collegato a sua volta con la struttura
musicale», e riporta come nel disco (cofanetto più libretto) suonino grandi
musicisti come Dave Weckl (Chick Corea) Tony Levin (Peter Gabriel, King
Crimson) e Gavin Harrison (batterista di Incognito, Claudio Baglioni, Franco
Battiato, Porcupine Tree). Di artisti ne ha coinvolti più di 50, senza poi
grandi difficoltà per quelli più famosi (e senza parlare di soldi): «Grandi
musicisti con la passione dei ragazzini innamorati della musica. […] Oltre a
guadagnare in suono e qualità musicale con questi super professionisti si
risparmia un sacco di tempo. Ma alle registrazioni hanno collaborato anche
molti ottimi musicisti italiani, alcuni dei quali provenienti dalla mia
Sardegna.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Cutri riporta la sua intenzione di mettere in scena l'opera:
«Ora stiamo lavorando sulla messa in scena, la cosa importante è valutare
quanto è costoso realizzare le idee. Alcune delle quali sono strabilianti». Cutri
è riuscito a contattare Baz Luhrmann nel modo seguente: «L'autrice dei testi in
versione inglese, Marisa Raoul, è stata intervistata da una giornalista in
Australia e ha parlato del progetto. Caso ha voluto che questa giornalista sia
la moglie dello sceneggiatore Luhrmann, nonché la costumista dei suoi film. Il
regista aveva già l'idea di produrre un film musicale a tema romantico
ambientato nell'Ottocento ed è rimasto colpito dalla mia opera. Anche perché ne
ha scoperto il contenuto matematico–filosofico
[…].».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questa notizia mi ha entusiasmato, perché ho pubblicato il
libro <b>Se devi amarmi… amami per amore </b><span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">–</span><b> Elizabeth Barrett e Robert Browning:
Biografia di un amore </b>(Aracne editrice, Roma, 2012) col desiderio di far
conoscere in Italia i due quasi sconosciuti poeti e il loro amore immortale. Tra
biografia e selezione antologica, il mio saggio racconta (attraverso le poesie
e le lettere) la vita e l'amore di questi due grandi poeti vittoriani Elizabeth
Barrett e Robert Browning, nati per amarsi in fusione di anima e corpo (affettività
e sensualità), adatti a condividere sogni, sfide morali e ideali artistici. Appassionante
come un romanzo, il saggio è arricchito con ritratti e foto di luoghi e persone (i grandi autori che amiamo) che rendono familiare
il mondo vittoriano, suggerendo ambienti e atmosfere. In questi anni cadono,
tra l'altro, i centocinquanta anni dalla morte di Elizabeth Barrett (29
giugno 1861) e quelli dell'unità di Italia: e i due poeti facevano parte di un
gruppo di scrittori stranieri che vivevano in Italia e che solidarizzavano col
Risorgimento. Elizabeth si sentiva «italiana nel cuore», chiamava il figlio nato in Italia «il
mio giovane fiorentino» e, immedesimandosi
con il popolo italiano, difese il Risorgimento con i poemetti <i>Le finestre di casa Guidi</i> e <i>Poesie
davanti al Congresso</i>, in mezzo alla contrarietà dei suoi stessi
compatrioti. Con toni d'indignazione e d'invettiva, infatti, la Barrett sollecitava
i suoi connazionali a prendersi a cuore i gravi problemi dell'Italia: questi
atteggiamenti furono considerati atipici e indecorosi per una donna, e destarono
malevoli giudizi d'irragionevolezza e inopportunità, alienandole la simpatia
degli Inglesi, che le attribuirono ingiustamente sentimenti anti–britannici. In effetti,
le due opere non ebbero molto successo e contribuirono a diminuire la sua
popolarità in Inghilterra. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La Barrett purtroppo non ebbe il piacere di sapere che il 19 novembre
del 1865 la Camera approvava la legge che spostava la capitale d'Italia da
Torino alla sua amatissima Firenze, in mezzo alle vibrate proteste dei
torinesi.</span></span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-10247600986910595362013-07-25T07:58:00.003-07:002013-07-25T07:59:58.800-07:00Francesco Petrarca: Laura, unico amore in vita e in morte<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOxp6TAR42NwVwSiXTciFhgOJQqeeMFmXpAo7Y9mkh-08k8MQsgMKh4bJ9YGMDtXfavjv7nFVkGf2RJ7XrHhWn7ddhuy_ftRowN3_pFwF_NAnsK1VMioEcwqYj7eHy0MZ8qAhBS1_9UE/s1600/Francesco+Petrarca+e+Laura.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjAOxp6TAR42NwVwSiXTciFhgOJQqeeMFmXpAo7Y9mkh-08k8MQsgMKh4bJ9YGMDtXfavjv7nFVkGf2RJ7XrHhWn7ddhuy_ftRowN3_pFwF_NAnsK1VMioEcwqYj7eHy0MZ8qAhBS1_9UE/s320/Francesco+Petrarca+e+Laura.JPG" width="222" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Francesco Petrarca e Laura</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Trascrivo
per voi la più nota e la più bella delle ventinove canzoni che compongono le Rime del Petrarca.</i></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>Chiare,
fresche, e dolci acque</b><b> <o:p></o:p></b></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Chiare,
fresche, e dolci acque,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ove le
belle membra</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">pose
colei che sola a me par donna;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">gentil
ramo ove piacque</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(con
sospir mi rimembra)</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a lei di
fare al bel fianco colonna;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">erba e
fior che la gonna</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">leggiadra
ricoverse</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">co
l’angelico seno;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">aere
sacro, sereno,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ove Amor
co’ begli occhi il cor m’aperse:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">date
udienza insieme</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a le
dolenti mie parole estreme.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> S’egli è pur mio destino,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e ’l
cielo in ciò s’adopra,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ch’Amor
quest’occhi lagrimando chiuda, </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qualche
gratia il meschino</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">corpo fra
voi ricopra,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e torni
l’alma al proprio albergo ignuda.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La morte
fia men cruda</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">se questa
spene porto</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a quel
dubbioso passo:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ché lo
spirito lasso</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non porìa
mai in più riposato porto</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">né in più
tranquilla fossa</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fuggir la
carne travagliata e l’ossa.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> Tempo verrà ancor forse</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ch’a
l’usato soggiorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">torni la
fera bella e mansueta,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e là
’v’ella mi scòrse</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nel
benedetto giorno,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">volga la
vista disiosa e lieta</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">cercandomi;
et, o pièta!</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">già terra
infra le pietre</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">vedendo,
Amor l’inspiri</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">in guisa
che sospiri</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sì
dolcemente che mercé m’impètre,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e faccia
forza al cielo,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">asciugandosi
gli occhi col bel velo.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da’ be’
rami scendea</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(dolce ne
la memoria)</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una
pioggia di fior sovra ’l suo grembo;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ed ella
si sedea</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">umile in
tanta gloria,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">coverta
già de l’amoroso nembo.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Qual fior
cadea sul lembo,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qual su
le treccie bionde,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ch’oro
forbito e perle</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">eran quel
dì a vederle;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qual si
posava in terra e qual su l’onde;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">qual con
un vago errore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">girando
parea dir: – Qui regna Amore –.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quante
volte diss’io</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">allor
pien di spavento:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">– Costei per fermo nacque in
paradiso! –</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
carco d’oblio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">il divin
portamento,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e ’l
volto, e le parole, e ’l dolce riso</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">m’aveano,
e sì diviso</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">da
l’imagine vera,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ch’i’
dicea sospirando:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">– Qui come venn’io, o quando? –</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">credendo
d’esser in cielo, non là dov’era.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da indi
in qua mi piace</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">quest’erba
sì, ch’altrove non ò pace.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> Se tu avessi ornamenti quant’ài
voglia (<i>il poeta si riferisce alla
canzone</i>),</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">poresti
arditamente</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">uscir del
bosco, e gir in fra la gente.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i><span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-weight: bold;">(Sonetto CXXVI, da “Rime in vita di Madonna Laura”, nel </span></i><i><span style="font-size: 11.0pt;">“Canzoniere”)<o:p></o:p></span></i></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In un
momento di malinconia, il poeta si reca sulle rive del fiume ove altre volte
aveva avuto modo d’incontrare e ammirare la sua amata. Laura non c’è
fisicamente ma la sua presenza appare riflettersi nelle forme della natura:
tutti i luoghi e le cose sembrano aver conservato il suo alone, sembrano esser pieni
delle sue memorie e parlare di lei. E immagina di poter morire in quei luoghi
che hanno visto la bellezza della donna amata; il ricordo di lei, così come
l’aveva veduta in riva al fiume, è però talmente forte che si sente consolato e
a questa dolce consolazione amorosa s’abbandona completamente, dimenticando
tutto – perché si trova là e
come vi è giunto – e credendo
di essere stato rapito in cielo. È la sublime forza dell’amore che tutti
conosciamo e che in assenza dell’amato può nutrirsi anche soltanto di sogni e ricordi!
</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per Petrarca,
l’Amore è una forza travolgente che «saetta…
vola... minaccia… percote... ruba
per forza… invola», dalle «instabili
rote», dalle «speranze dubbiose»
e dal «dolore certo»; l’amore
agisce nelle ossa come «fuoco coperto»
e vive nelle vene come «occulta piaga».
Scrive Francesco: «Amor mi sprona in
un tempo et affrena / assecura et spaventa, arde et agghiaccia, / gradisce et
sdegna, a sé mi chiama et scaccia, / or mi tene in speranza et or in pena, / or
alto or basso il meo cor lasso mena: / onde ’l vago desir perde la traccia / e ’l
suo sommo piacer par che li spiaccia, / d’error sì novo la mia mente è piena […]»
(<i>s. CLXXVIII</i> del “Canzoniere”). A proposito della schiavitù creata
dall’amore–passione, si può
osservare qualcosa di simile nel <i>sonetto
a Cino</i> di Dante Alighieri: «Io
sono stato con Amore insieme […]
/ e so com’egli affrena e come sprona / e come sotto lui si ride e geme: / […] / Ben può con nuovi spron punger lo
fianco, / e qual che sia ’l piacer ch’ora n’addestra, / seguitar si convien, se
l’altro è stanco.» (<i>s. CXI</i>, dalle “Rime”). </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Su
Petrarca e sul significato del suo amore per Laura, in una nota alla sua
traduzione dei sonetti di Skakespeare, Giuseppe Ungaretti (1888–1970) ha scritto: «S’indugia l’amore del Petrarca a riparare le
rovine minuto per minuto, quasi insensibile alla fuga del tempo, e dando al
tempo gradualmente spazio d’infinita profondità storica, suscitando una forma,
forma terrena, bellezza nella incorruttibilità delle idee: Laura. Per lenta
variazione di luce procede il Petrarca, sino a quando l’invecchiamento
apertogli un baratro ai piedi, non avrà la luce fattasi sfolgorante e
spaventosa, svelato soprannaturali l’amore, la bellezza, l’immortalità: Laura.». <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A proposito di Petrarca e di Laura, desidero anche ricordare
<i>L’amore in sé </i>di Marco Santagata (Guanda, Parma, 2006), nel quale si racconta
di un anziano professore di filologia, cinico e amareggiato dal dolore represso
di avere un figlio down. Nella sua «angoscia di vecchio stanco e disperato»,
che sa «quanto sia duro vivere se si è morti dentro», ha un cedimento
improvviso e s’identifica con un sonetto di Petrarca, ritrovando la nostalgia
per un rimosso amore del passato (per una figura femminile del ricordo) e
mescolando il passato col presente. Tiene all’università di Ginevra un corso di
lezioni su Petrarca e – proprio
durante una di queste lezioni –
mentre legge e commenta un sonetto e mentre l’aula risuona degli evocativi
versi dedicati a un amore perduto irrimediabilmente (quello di Petrarca per
Laura morta), viene inondato all’improvviso dal ricordo di Bubi. L’italianista
incorre allora in un lapsus freudiano che incuriosisce i suoi allievi: al posto
del nome di Laura usa quello di Bubi, il primo amore infelice e perduto, forse
sopito ma mai dimenticato. Bubi era un’esile adolescente, bionda e bellissima,
ricca e irraggiungibile, che a lui (giovanissimo quindicenne della pianura
emiliana) era apparsa con la sua carica di grazia e tenerezza in tutto simile a
una donna del “dolce Stil Novo”:
seducente e inafferrabile, alla stessa maniera enigmatica della Laura di
Petrarca. Il disincantato professore si ritrova allora a interpretare la lirica
di Petrarca alla luce della propria esistenza vile e rassegnata. E nei due
piani del romanzo, in modo assolutamente inaspettato e imprevedibile, presente
e passato, Laura e Bubi, si sovrappongono e s’intrecciano nel medesimo incanto
poetico. Su questa scia, desidero ricordare i primi struggenti e bellissimi versi
del sonetto implicato nel lapsus <i>La vita
fugge e non si arresta un’ora</i> (che
fa parte delle “Rime in morte di
Madonna Laura”): «La vita
fugge, e non s’arresta un’ora, / e la morte vien dietro a gran giornate, / e le
cose presenti, e le passate / mi danno guerra, e le future ancora; / e il
rimembrare e l’aspettare m’accora / […]» (<i>s. CCLXXII</i>). </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pur
essendo stato quasi contemporaneo di Dante, Petrarca è vissuto e si è mosso in
un ambiente più moderno, rinunciando al dogmatismo medievale e preferendo
l’interesse per il proprio io profondo, attento al mondo esterno. In questo
senso, si può parlare di umanesimo del poeta, poiché l’uomo – con la sua spiritualità e la sua
moralità – costituisce l’unico
oggetto di conoscenza degno d’attenzione. Figlio di un notaio fiorentino, che
aveva cognome Petracco, nacque ad Arezzo il 20 luglio del 1304 e si attribuì il
nome “Petrarca” perché lo
considerava un’elegante trasposizione latina del suo patronimico. Aveva seguito
ad Avignone il padre esule da Firenze, travolto dalla stessa tragedia politica
di Dante (del quale era amico), provocata dalla sconfitta dei Bianchi. Dopo
aver studiato la grammatica e la retorica, s’era dedicato agli studi giuridici
che in seguito rinnegò dicendo: «Nulla
può ben riuscire a dispetto del naturale. Io nacqui vago non del foro ma della
solitudine.». Si votò poi completamente agli studi umanistici e, ancora
giovane, ebbe grandi riconoscimenti e fama diffusa per il successo del poema in
latino <i>Africa</i>. Viaggiò moltissimo per l’Europa (anche per motivi
diplomatici), abitando per lunghi anni ad Avignone. Uomo molto religioso, visse
al seguito del cardinale Giovanni Colonna, prendendo anche gli Ordini minori per
avere quei miglioramenti di carriera e quei benefici ecclesiastici che gli
consentirono una vita discretamente agiata. Non fu attivo politicamente come
Dante (che ebbe modo di conoscere personalmente) e fu portato piuttosto alla
meditazione spirituale e all’introspezione in ritiri di campagna lontani dalla
confusione delle città: «né lieto
troppo, né mesto, assorto e notte e giorno in pace dolcissima […] di servi povero, di libri ricco».
Diceva di sé: «Non io dei civili strepiti mi diletto, non delle leggi e delle
armi, ma alla solitudine e all’ozio son nato». Malinconico e riflessivo, era
anche inquieto e consapevole della caducità delle cose del mondo. Ambiva a una
serena stabilità, al dominio delle passioni, all’educazione dello spirito e a
un forte controllo etico, e considerava l’uomo come l’unico artefice del suo
destino e della sua felicità. Per questi motivi, volle dare di sé un’immagine
di perfezione assoluta, così da servire come modello d’imitazione. Nonostante
tutto, però, era ambizioso dal punto di vista mondano, assetato di nuove
esperienze e desideroso di successo. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Credeva
che il latino fosse la lingua nobile; scrisse pertanto in latino moltissime
opere di cultura filologica, tra le quali il poema epico già ricordato al quale
aveva affidato tutte le sue aspettative di gloria imperitura. Il 6 Aprile del
1327 nella Chiesa d’Avignone, Petrarca conobbe Laura e l’amò sino alla sua
morte (avvenuta nel 1348 a causa della peste) e per altri dieci anni dopo la sua
scomparsa; scriveva: «Voglia mi
sprona, Amor mi guida et scorge, / Piacer mi tira, Usanza mi trasporta, /
Speranza mi lusinga et riconforta / et la man destra al cor già stanco porge: /
e ’l misero la prende, et non s’accorge / di nostra cieca et disleale
scorta: / regnano i sensi, et la
ragione è morta; / de l’un vago desio l’altro risorge. / […] / Mille trecento ventisette, a punto / su
l’ora prima, il dì sesto d’aprile, / nel laberinto intrai, nè veggio ond’esca.»
(<i>s. CCXI</i> dal “Canzoniere”). Si trattava probabilmente di Laura de Noves,
andata sposa a Ugo de Sade: l’amore fu reale ma quasi certamente non ricambiato
e divenne il nucleo centrale della poetica del poeta. Come Beatrice, piuttosto che
una donna, Laura è un ideale femminile vero e proprio, forse soltanto il
pretesto per esprimere il proprio mondo sentimentale e la propria interiorità.
In effetti, non ha nessuna importanza se Laura abbia ricambiato o no questo
sentimento o se sia stata soltanto un fantasma d’amore che viveva la sua
stupenda vita esclusivamente nei versi di Petrarca. Quanti di noi non hanno
amato spesso null’altro che un sogno, null’altro che l’immagine di un istante?
Scriveva di lui l’inquieto poeta astigiano Vittorio Alfieri (1749–1803), anch’egli ispirato dall’amore
(quello per la contessa d’Albany): «gentil
d’amore mastro profondo». E il poeta inglese George Byron, meglio noto
come Lord Byron (1788–1824), ebbe il modo di dire «Se Laura fosse stata la
moglie del Petrarca, pensate | che lui avrebbe scritto sonetti tutta la vita?».
Com’è vero purtroppo: la quotidianità e l’abitudine dissolvono qualsiasi amore
travolgente!</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1341
Francesco fu incoronato poeta sul Campidoglio, ricevendo il riconoscimento ufficiale
della laurea poetica e raggiungendo quel che era stato il grande scopo della
sua vita. Fu incline alle relazioni amorose passeggere: da due diversi rapporti
sentimentali ebbe i figli Giovanni (1337) e Francesca (1342), che gli restò
vicina con la sua famiglia per tutta la vita. Durante gli ultimi quattro anni
della sua esistenza, il poeta visse in una residenza campestre ad Arquà sui
colli Euganei, in una «modesta e
graziosa villetta» con un uliveto e una vigna, che gli era stata
regalata dal mecenate padovano Francesco di Carrara. Nonostante il prevalente interesse
per il latino, scrisse in volgare il <i>Trionfo dell’Eternità</i>. Morì
improvvisamente il 19 luglio del 1374 per una sincope e venne sepolto in Arquà,
secondo il suo desiderio. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pur
considerando il latino la lingua colta e nobile e pur ostentando uno scarso
interesse per i problemi del volgare, Petrarca è diventato grande cantando
l’amore per Laura in quelle <i>Rime</i>, scritte in volgare (che in fondo al
cuore disprezzava), alle quali lungo tutto il corso della sua vita aveva
dedicato novità di sperimentazione, cura stilistica e attento lavoro di
limatura. Si trattava di rime sparse e di frammenti lirici, che alla maniera di
Catullo chiamava “nugae” (letteralmente
“inezie”) e che aveva cercato di organizzare nel “Canzoniere” nelle due sezioni
in vita e in morte di Madonna Laura, separate dalla canzone <i>Io vo pensando, et nel penser m’assale</i>: «I’
vo pensando, et nel penser m’assale / una pietà sì forte di me stesso, / che mi
conduce spesso / ad altro lagrimar ch’i’ non soleva: / ché, vedendo ogni giorno
il fin più presso, / mille fïate ò chieste a Dio quell’ale / co le quai del
mortale / carcer nostro intelletto al ciel si leva. / […]». Talora alterò la
cronologia temporale in modo che i sonetti venissero a costituire quasi un
diario personale, in grado di esprimere pienamente il passaggio da un futile
amore terreno alla catarsi cristiana di un’anima, tesa come un arco tra realtà
e ideale. Si conoscono due edizioni dell’opera, entrambe approvate dall’autore:
una prima che comprendeva 215 composizioni liriche, e una seconda che ne
conteneva invece 366. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Combattuto
tra sogno e realtà, tra solitudine e mondanità, tra amor terreno ed estasi
divina, tra entusiasmo per i classici e istanze cristiane, con la sua
problematicità esistenziale, Petrarca riuscì a superare l’artificiosità del
dolce “Stil Novo” e a creare le nuove basi per una poesia più moderna. Ebbe una
fortuna poetica immensa esercitando un fascino straordinario: le sue poesie
d’amore sono state imitate sino ai giorni nostri, creando quella imperitura
corrente poetica chiamata “Petrarchismo”. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">P.S. Passo a ricordare adesso uno spettacolo teatrale, un Recital in
concerto, presentato al Festival del Teatro Medievale di Anagni (Frosinone) nell’agosto
2009 con Maria Rosaria Omaggio, dal titolo “Laura o Beatrice? Il mistero dell’amore”,
nel quale le liriche del <i>Canzoniere</i> venivano
messe a confronto con i versi della <i>Divina
Commedia</i>, con i sonetti della <i>Vita
Nova</i> e con alcune riflessioni del <i>Convivio</i>
(direzione artistica di Giacomo Zito). Nel recital i versi bellissimi si
alternavano con le stupende musiche di Albinoni, Gounod, Chopin, Bach, Schumann
e Grieg, eseguite alla fisarmonica o al flauto dal Maestro Andrea Pelusi. Ha
spiegato Maria Rosaria Omaggio: «Alle radici della cultura europea, due figure
femminili, Laura e Beatrice, esprimono aspetti diversi del mistero dell’amore
umano. C’è chi, in modo forse troppo semplicistico, le ha contrapposte: Laura è
l’amore umano, Beatrice è l’amore divino. In realtà non sono figure
antitetiche, ma diverse poiché diverse sono le esperienze umane e poetiche di
Petrarca e Dante. Laura è la donna realmente sognata e continuamente vagheggiata.
Beatrice è rivelazione dell’amore eterno che si è fatto perfezione di vita
umana e anelito divino.» (vedere: www.adnkronos.com</span>).</div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-66189240803663975262013-07-14T02:53:00.001-07:002013-07-14T02:55:12.688-07:00Jalâl âlDîn Rumî e l’ineffabile trascendenza dell’amore mistico<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaosiWFhWSvPwaWLuTpjbVlFMhpTIUs9ecghX5ou_DBvBBypw9atfpHG0w76uyex9x7BGN0-ydLhyphenhyphen-NNVMW8ZhT0ycHq8_tmalX0mD9Rg3KjXY0FrXvbZH6ipHbr4sJMRGeBH4Hh3dkKs/s1600/Rumi+Meditation.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaosiWFhWSvPwaWLuTpjbVlFMhpTIUs9ecghX5ou_DBvBBypw9atfpHG0w76uyex9x7BGN0-ydLhyphenhyphen-NNVMW8ZhT0ycHq8_tmalX0mD9Rg3KjXY0FrXvbZH6ipHbr4sJMRGeBH4Hh3dkKs/s320/Rumi+Meditation.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Jalâl âlDîn Rumî in meditazione</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 14.0pt;">Jalâl âlDîn Rumî e l’ineffabile
trascendenza dell’amore </span><span style="font-size: 14.0pt; mso-bidi-font-size: 12.0pt;">mistico<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Gialal al–Din </i><i>(in
arabo </i><i>Jal</i><i>â</i><i>l </i><i>âd </i><i>D</i><i><span lang="FR">î</span></i><i>n ar Rum</i><i><span lang="FR">î</span>), detto anche Mawlana cioè “nostro
Maestro”, nacque a Balkh in
Persia – oggi Afghanistan – nel 1207 ed è stato uno dei più grandi poeti persiani, influenzando il pensiero
mistico e la letteratura intera. La “Mistica” è quella particolare esperienza spirituale che prevede la conoscenza
profonda del divino e la sua contemplazione, giungendo così al raggiungimento
della più alta perfezione dell’anima umana; e “mistica” è quella letteratura che narra le
esperienze di questo tipo. Il motto di Gialal era: «Mostrati come sei, e
sii come ti mostri».<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il <b>Ma<u>th</u>naw</b><b><span lang="FR">î</span></b><span lang="FR"> (da</span><span lang="FR"> </span><i>Jal</i><i>â</i><i>l </i><i>â</i><i>lD</i><i><span lang="FR">î</span></i><i>n Rum</i><i><span lang="FR">î</span></i><span lang="FR"> </span><i>–</i><i> Ma<u>th</u>naw</i><i><span lang="FR">î</span></i>, edizione italiana a cura di Gabriele Mandel <u>Kh</u>ân, Bompiani, 2006)<span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-size: 12.0pt; mso-fareast-font-family: "MS Mincho";">
</span><span lang="FR">è</span><span lang="FR"> </span>un testo straordinario, esoterico e simbolico, forse di non immediata
comprensione ma di grande forza espressiva, di questo che è uno dei più grandi
poeti mistici e che di sé diceva:<span style="font-size: 14.0pt;"> </span>«O
uomo! Viaggia da te stesso in te stesso.». Nei suoi versi ricchi di estatico ardore e di astratta semplicità, l’amore è
considerato la religione più alta, con la quale si trova il rimedio a qualsiasi
male e dalla quale nasce quella «sete su sete» che fa raggiungere l’Essere supremo. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In un brano del
Libro I del poema (vv. 2656-2660), parlando dell’amata, Gialal al-Din scriveva:
«L’uomo disse: “Adesso
ho smesso di oppormi a te: hai tu l’autorità: estrai la spada dal fodero. / “Qualsiasi cosa tu ordini di fare,
obbedirò, non starò a considerare neppure se l’ordine è buono o cattivo. / “Diventerò inesistente nella tua
esistenza, poiché sono il tuo innamorato: l’amore rende cieco e sordo.”». Questo concetto della resa dell’innamorato all’amore (che è poi una
metafora dell’amore divino) rientra perfettamente nell’insegnamento di Maometto
(Mecca, 570–632), il fondatore dell’Islamismo, che è una religione monoteista
basata sulla fede nell’unico Dio Allah; e “Islam” significa per l’appunto “resa”. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Libro III è
pieno di parabole e allegorie, ed è dedicato a quell’amato che – pur temendo di
tornare – è costretto dall’amore e ritorna poiché la vita poco importa agli innamorati
sicché essi vi rinunciano per giungere all’amato: «Dopo dieci anni la nostalgia
lo rese incapace di sopportare i giorni di separazione […] (v. 3690) / […] “Non darmi consigli
poiché i miei lacci sono fortissimi. / “I miei lacci son più forti dei tuoi
consigli (vv. 3830-31) / […] Ho
un Amato il cui amore mi brucia le viscere; calpesti i miei occhi, se lo vuole.
(v. 3841) / […] Ma la candela
dell’Amore non è come una candela qualsiasi: <span style="text-transform: uppercase;">è</span>
Luce su Luce su Luce. / <span style="text-transform: uppercase;">è</span> l’opposto
delle candele ardenti: sembra fuoco, ma in effetti è tutta dolcezza. (vv. 3921-22) / […] Dagli alberi dell’amore
escono ali che portano in cielo: “La sua radice è salda e i rami sono nel cielo” / […] Senz’altro c’è una finestra
tra cuore e cuore: non sono separati e lontani come due corpi; / l’argilla di
due lampade non è unita, ma la loro luce si fonde. / In verità nessun amante
cerca l’unione se il suo amato non la cerca, / ma l’amore degli innamorati
rende il corpo simile alla corda di un arco, mentre l’amore degli amati lo
rende bello e florido. / Quando il lampo dell’amore per l’amato ha colpito
questo cuore, sappi che in quel cuore c’è amore. / Quando nel tuo cuore l’amore
per Dio raddoppia, sappi che senza alcun dubbio Dio ha amore per te. (vv. 4391-9)». Gialal continua a
insistere sul fatto che l’Amato attira l’innamorato nel momento in cui egli non
pensa a ciò né lo sa né lo spera; e continua inconsapevole nella sua ricerca e
alla fine chi cerca trova: «[…] Quando più grande è lo sforzo di
nasconderlo, tanto più l’Amore alza la testa come uno stendardo. Mi dice:
“Guarda son qui.” (v. 4737)». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In un brano del Libro V, una innamorata chiede all’amato chi
ami di più, se lei o se stesso, e l’innamorato risponde di essere morto a se
stesso e di vivere soltanto grazie a lei; le confessa di non esistere più per
ciò che riguarda se stesso o i suoi attributi ma soltanto grazie a lei; e
sostiene ancora di avere dimenticato la propria consapevolezza ed – essendo
diventato consapevole grazie alla sua consapevolezza – di avere perduto ogni
concetto del potere e di essere diventato potente grazie alla potenza di lei. Egli
ama se stesso perché ama lei, e se ama lei ama se stesso. Riporto alcuni versi
di grande forza emotiva: «Per metterlo alla prova una innamorata chiese al suo
innamorato durante la colazione del mattino: “tale figlio del tale / mi chiedo
se tu ami di più me stessa o te stesso. Dimmi la verità.” / Disse: “Sono
talmente annientato in te, che sono pieno di te dalla testa ai piedi. / “Della
mia esistenza rimane solamente il mio nome; nel mio essere ci sei solamente tu,
oh tu i cui desideri sono esauditi. / Io sono stato annientato come una goccia
d’aceto in quell’oceano di miele che tu sei.” / Come la pietra, che diventa
rubino puro, egli è pieno delle qualità del Sole. / In lui non rimane più nulla
della qualità d’una pietra: egli è pieno delle qualità del Sole. (vv. 2020-6)».
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La vita di Gialal al–Din è più appassionante di qualsiasi
storia narrata ne <i>Le mille e una notte</i>
ed è tutta improntata a sentimenti d’amore. Figlio di un sufi mistico molto
noto (scrittore, teologo, predicatore e gran maestro) e di una donna turca di
stirpe reale, a causa della minaccia dei mongoli, dovette abbandonare esule con
la famiglia la città natia Balkh (che fu poi completamente distrutta) per
andare a Nishapur, dopo aver visitato diverse località dell’altipiano iraniano.
In seguito a un pellegrinaggio alla Mecca e a molto altro peregrinare ancora,
raggiunse l’Anatolia che al tempo era una regione prospera e tranquilla (Rum;
da qui il suo soprannome Rum<span lang="FR">î</span>).
Dopo la morte della madre, Gialal al-Din si stabilì definitivamente a Konya
insieme al padre – il quale vi aprì una madrasa reale (una sorta di scuola
religiosa) che diresse sino alla sua morte avvenuta nel 1231 – e si sposò due
volte: la prima con la figlia di un maestro sufi di Samarcanda e la seconda con
una cristiana convertita all’Islam, generando quattro figli. In seguito alla
morte del padre, gli subentrò mostrando notevoli capacità spirituali. Nel 1244
Gialal al–Din ebbe modo d’incontrare per le strade di Konya un uomo benedetto (un
“pazzo sacro” di grande fascino), Shams al–Din Muhammad Tabr<span lang="FR">î</span>z (da lui soprannominato “Sole della
religione”), che lo introdusse ai misteri della maestà e della bellezza divina.
Si narra che, dopo il loro primo incontro e la prima discussione mistica, Rum<span lang="FR">î</span><span lang="FR"> </span>(ch’era a
cavallo di una mula) sia svenuto e una volta rinvenuto sia rientrato a piedi
nella madrasa con Shams tenendolo per mano; rimasero insieme per quaranta
giorni senza fare entrare nessuno. Per mesi i due mistici vissero insieme in
preda a «un’illuminazione interiore», amandosi così teneramente che Gialal al–Din
dimenticò completamente l’insegnamento e la famiglia. Questo rapporto esclusivo
creò nel suo “entourage” uno scandalo tale che nel 1245 Shams al–Din fu
costretto con gravi minacce di morte ad abbandonare la città. Gialal al–Din n’ebbe
il cuore spezzato; con la complicità forse di un figlio indignato da questa
stretta relazione amorosa, gli allievi fecero sparire Shams al–Din al suo
ritorno a Konja, probabilmente uccidendolo e buttandone il cadavere in un
pozzo. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> possibile che la storia
sia soltanto la metafora di un’idea insita nel sufismo: quello del mistero della
verità nel pozzo e della necessità della sua ricerca. Questa vicenda d’amore e
morte illuminò Rum<span lang="FR">î</span>,
trasformandolo in un grandissimo poeta. Le sue poesie mistiche, ch’ebbero il
potere d’ispirare anche Goethe, erano costituite da circa 30.000 versi ed erano
la reale trasposizione della sua esperienza sentimentale nel racconto di tutti
i vari stadi di quest’amore «raggiante come la luna», nel quale s’identificava
a tal punto con l’amato da firmare molte delle poesie aggiungendo il nome di
Shams: esse sono state raccolte in <i>D</i><i><span lang="FR">î</span>vân–i
Shams–i Tabr</i><i><span lang="FR">î</span>z (Canzoniere di Shams–i Tabr</i><i><span lang="FR">î</span>z)</i>.
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In queste sue <i>Poesie mistiche</i> (da: <i>Gialal ad–Din Rumi, Poesie mistiche</i>,
introduzione, traduzione, antologia critica e note di Alessandro Bausani,
Rizzoli, Milano 1980), Gialal al–Din
scrive versi strepitosi d’intenso amore; la “Poesia 18 (L’Amore)” così recita: «Quell’anima
che non ha per costume l’Amore,
/ meglio è che non sia, ché onta è l’essere suo! / Inébriati dunque d’amore, ché Amore è tutto quello che esiste, / senza la veste d’Amore non si va alla corte dell’Amato. / Se chiedono: “Amore cos’è?” rispondi: “Rinuncia
al volere: / chi alla Libertà non sfugge non è libero mai!”. / L’Amante è un Imperatore e i due
mondi stan gettati ai suoi piedi: / il Re non riguarda nemmeno a quel che gli
gettano ai piedi. / L’Amore
e l’Amante vivono
davvero in eterno: / non attaccare il cuore a cose riflesse e prestate! / […]».
Nella “Poesia 20 (L’Amante perfetto)”, invece,
con vivezza di particolari, il poeta identifica le qualità dell’amore che più
sanno accendere la passione: «Ho
bisogno d’un amante
che, ogni qual volta si levi, / produca finimondi di fuoco da ogni parte del
mondo! / Voglio un cuore come inferno che soffochi il fuoco d’inferno / sconvolga duecento mari e
non rifugga dall’onde!
/ Un Amante che avvolga i cieli come lini attorno alla mano / […] / e, quando, dal settimo mare si
volgerà ai monti Qâf misteriosi / da quell’oceano lontano spanda perle in seno alla polvere!». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pur trasmettendo esperienze mistiche con linguaggio umano,
l’espressione della poesia di Gialal al–Din è fresca e immediata; sogni irreali
e immagini reali della vita quotidiana si mescolano in un intreccio ricco di
fascino e suggestione. Si racconta che molti suoi versi siano stati scritti
mentre danzava in preda all’estasi, favorita dalla dolce melodia del flauto o
dal martellamento dei tamburi o anche soltanto dal dolce rumore costituito
dallo scorrere dell’acqua di un fiume. Il mistico trovava ispirazione continua
a contatto di quella natura che amava tantissimo, condividendo il suo amore con
fiori e uccelli. In seguito Gialal al–Din visse un secondo rapimento amoroso
per un umile artigiano orafo, che considerava come una diversa manifestazione
di Shams al–Din e che nuovamente gl’ispirò versi di notevole altezza lirica. </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Un altro grande evento nella vita di Gialala al–Din fu l’incontro
a Damasco con Ibn al–Arabi, grande mistico islamico e teoreta dell’“unità dell’essere”. Rum</span><span lang="FR" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">î</span><span lang="FR" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ebbe modo così di amalgamare l’inebriazione
estatica di Shams–i Tabr</span><span lang="FR" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">î</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">z
con i ragionamenti visionari di Ibn al–Arabi («La realtà terrena non è che un
riflesso della realtà simbolica che è la vera realtà.»). Si legò, quindi, di un forte amore
spirituale per Celebi Husain al–Din
Hasan, sotto la cui influenza scrisse il poema epico–didattico indicato in persiano </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma<u>th</u>naw</i><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span lang="FR">î</span></i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
e noto come </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Masnav</i><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span lang="FR">î</span>–yi Ma</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">’</span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nav</i><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span lang="FR">î</span> (Coppie Spirituali)</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, considerato da alcuni islamici come un
vero e proprio “Corano in versi”,
perché in grado di trasmettere un forte messaggio etico–filosofico di tolleranza e d’amore
universale per l’uomo e per l’essere divino. Si trattava di un’ampia
composizione costituita da sei libri o quaderni (in arabo “daftar”) – ciascuno preceduto da una
prefazione in prosa araba – e da circa
51.000 “strofe rimate” (versi
distici) che contenevano aneddoti, favole, proverbi, allegorie e strane storie
fantastiche. Un altro libro dal titolo arabo </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fihi ma fihi (C’è quel
che c’è)</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> raccoglieva interessanti
dichiarazioni in prosa del maestro. La grandiosa opera avrebbe dovuto essere il «disvelatore dei misteri per giungere
alla Verità… il rimedio per i cuori malati e il consolatore dei dolori... una
preghiera che include tutte le categorie del creato…». E Gialal al–Din
andava per casa e per le strade, recitando questo suo poema che conteneva
l’esperienza del divino amore, accompagnato dal suo ispiratore Husain al–Din che considerava come una manifestazione
di Shams al–Din. In
conclusione, si può dire che Gialal al–Din abbia amato, in realtà, sempre e soltanto la stessa persona, luce e
sole della sua vita. Dopo aver concluso questa composizione, Rum</span><span lang="FR" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">î</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> visse ancora alcuni anni e spirò in dolce serenità nel 1273, salutando
familiari e allievi. Fu sostituito alla guida dell’ordine, prima da Husain al–Din e successivamente dal figlio Sultan
Walad, che ci ha fatto conoscere molto della vita del padre raccontandoci le
sue idee poetiche, i suoi detti e pensieri, le sue lettere e le sue diverse
predicazioni. Dopo la sua morte, a Rum</span><span lang="FR" style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">î</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> in Konya fu innalzata la
“Cupola verde”, un mausoleo
divenuto oggi un museo, meta di continui pellegrinaggi. Gialal volle che sul
suo monumento sepolcrale fosse scritto: «[…] Dopo la mia morte non
cercate la mia tomba sulla terra: la mia tomba è nel cuore di coloro che sanno.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Francesco Alberoni, nel saggio <i>Innamoramento e Amore</i> (Garzanti, Milano 1979) ricollega l’amore al
misticismo e così scrive: «L’amore diventa il luogo interiore della
rigenerazione, un’isola sottratta alla contingenza, il giardino delle rose in mezzo
al deserto, dove l’anima sazia la sua sete e può tornare nel mondo. Tutto
questo è assai vicino al misticismo. […] Mawlawi Jalal ad Din Rumi scrive il
più grande poema mistico dell’Islam, il “Mathnawi”, e la raccolta lirica del “Diwan”,
dopo che Shams–e Tabrizi, un
uomo da lui molto amato, scompare o muore. Nel Mathnawi egli non parla mai di
quest’uomo ma solo di Dio, però in molte parti del poema si ha l’impressione di
un amore così concreto e così struggente da confondere le figure dell’Amico
umano e dell’Amore divino. Il Diwan è invece dedicato proprio a Shams–e Tabrizi, e qui è attraverso l’Amico
amato che egli passa a parlare di Dio. L’amore mistico resta innamoramento
perché con l’Amico o l’Amato divino non è possibile alcun patto di reciprocità.
Uno può solo amare, l’altro può solo essere amato e la sua risposta – che non può essere garantita – è sempre e comunque “grazia”». Per Alberoni, quest’asimmetria
totale e questa insuperabile distanza rendono l’amore mistico una rivelazione
dell’essere come amore, rispetto al quale tutto il resto è contingente. E questa
distanza nell’amore mistico è quella che fa sì che una continua sofferenza si trasformi
miracolosamente in gioia: «L’amore mistico ci dimostra con chiarezza il fatto
che lo stato d’innamoramento non dipende in alcun modo dalla proprietà dell’altro,
esso è puramente e semplicemente un nostro modo di vedere (pensare, sentire,
percepire, immaginare ecc.), cioè un sistema categoriale tutto interno alla
struttura della nostra mente. Noi non vediamo le cose come sono, ma come le
facciamo. L’amore mistico costruisce il suo oggetto a partire dalle categorie
dello stato nascente e non potendo prendere una persona esistente (da trasfigurare
nella immaginazione) costruisce il suo oggetto puro e ideale.». Ma la cultura
contemporanea sostiene che ciò non sarebbe vivere; bisogna riconoscere, però, che
nel corso dei millenni «il misticismo è stato una forma di vita assai
importante ed assai intensa». Infatti, per colui che lo ama, l’oggetto non
cessa di essere reale: «D’altronde anche nell’innamoramento è “reale” la persona amata? Anche qui l’amato è il prodotto dell’immaginario. Solo di un immaginario che si
fa progetto, che vuol modificare la realtà per realizzarsi, incarnarsi nel
mondo.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gialal al–Din costituisce
il rappresentante emblematico di quella forma particolare di misticismo che ha
formato la base del “Sufismo”
storico, cioè di quella confraternita religiosa sufi dei “dervisci rotanti” (mevlevi), i dervisci di nostro Signore. Dopo la sua morte, i suoi
discepoli si sono organizzati nell’ordine Mawlaniano, caratterizzato da una
tipica danza simbolica e rituale di tipo mistico, in grado di indurre uno stato
d’ipnosi psicofisiologica chiamata “trance”. Per celebrare la morte di Rûmî, a Konya nella seconda settimana di
dicembre i Mevlevi danzano un Samâ rituale (vedere Gabriele Mandel, San Francesco
e Rumi, http://www.puntosufi.it/temi32.htm). Si tratta di una danza fortemente
spirituale, espressione stessa della realtà (divina e fenomenica) in cui, per esistere,
tutto deve ruotare vorticosamente come atomi e pianeti, e come lo stesso
pensiero. Il Samâ è «un vero e
proprio rito religioso», diviso
in sette fasi, un simbolo alto di quell’ascesa spirituale, di quel viaggio
mistico dall’essere umano a Dio (nel quale l’essere si dissolve) e del
successivo ritorno sulla terra. A questa danza partecipano musici e cantanti,
il Maestro e i danzatori. Alcuni gruppi di danzatori (non sufi) hanno imparato una
forma ridotta, lontana dalla tradizione codificata, di questa danza e di questa
musica, rappresentandola nei teatri europei e italiani. Scrive Gabriele Mandel:
«Il frate Francesco, grande
mistico della cristianità, e il sufi Rûmî, grande mistico dell’Îslâm sono molto
vicini a Dio, e pertanto molto vicini fra di loro. Hanno numerosi punti di
contatto per ciò che riguarda la loro vita terrena, e molti punti di contatto
per ciò che riguarda la loro visione del divino.».<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per concludere, Saffo e Rum<span lang="FR">î</span> sono la prova più
lampante che il grande amore trascende la diversità tra i sessi e
l’orientamento sessuale. Se questo era possibile già nel passato lontano, lo è
maggiormente oggi, perché – grazie a profondi cambiamenti di cultura e di
costume – i sentimenti d’amore sono vissuti sempre più in piena libertà.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-43544370943849778082013-06-27T09:55:00.002-07:002013-06-27T09:55:54.188-07:00Giacomo Vaccari e i grandi sceneggiati L'idiota, La pisana e Mastro Don Gesualdo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7ypF4ljFlp6gzLloHP5uUmJ0pWehuymztuLNHaHBF9rViuih6ULwJRYZGDF2LSaihGYdiu1hjttZHotERKHnbDUGvN17Wy0oWeKAYiihLVd6I7ZmXmDYVOs0njkTinpDkRGs_49P4jas/s260/Vaccari.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7ypF4ljFlp6gzLloHP5uUmJ0pWehuymztuLNHaHBF9rViuih6ULwJRYZGDF2LSaihGYdiu1hjttZHotERKHnbDUGvN17Wy0oWeKAYiihLVd6I7ZmXmDYVOs0njkTinpDkRGs_49P4jas/s260/Vaccari.jpg" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Giacomo</span><span style="font-size: 11pt;"> Vaccari</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Cinquant'anni addietro
moriva Giacomo Vaccari, il grande e indimenticabile regista e sceneggiatore
italiano del cinema e della mitica televisione degli anni che furono (fra i 50
e i 60). Nato a Chieti il 21 febbraio del 193, morì a Roma il 2 giugno del 1963
per un incidente stradale sulla via Cassia: aveva appena 32 anni!<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Considerato a ragione da Aldo Grasso come «il più moderno e
sensibile regista della televisione italiana» (<i>Televisione</i>, le garzantine, Garzanti editore, Milano 2008), si era
diplomato all'Accademia Nazionale di Arte Drammatica e aveva esordito con la commedia
<b>Cabina televisiva</b> di Peter Brook
(1956), interpretata dal grande Arnoldo Foà, seguita da <b>Ortensia se ne infischia</b> (1957) con Nino Besozzi, Gaetano Marini e
Pinuccia Nava, <b>La regina Vittoria</b>
(1957) con Emma Gramatica, Fulvia Mammi e Antonio Pierfederici, <b>Il tunnel</b> (1958) con Diana Torrieri,
Nicola Arigliano, Monica Vitti e Franco Volpi, <b>Amore e pinguini</b> (1958) con Bianca Toccafondi e Gianrico Tedeschi, <b>La casa in ordine</b> (1958) con Lilla
Brignone, Ivo Garrani e Gianni Santuccio, <b>Madame
Sans Gene </b>(1958) con Elsa Merlini, Paolo Carlini e Nino Pavese, <b>Ma non lo siamo un poco tutti?</b> (1958)
con Tino Bianchi, Giuseppe Caldani e Silvia Monelli, <b>Formiche</b> (1958) con Renato De Carmine, Virna Lisi e Mario
Valdemarin, <b>La fine della signora
Cheyney</b> (1958) con Laura Adani, Tino Carraro e Gianni Santuccio, <b>Lady Fredrick</b> (1958) con Elsa Merlini,
Paolo Carlini ed Ernesto Calindri, <b>Il
borghese gentiluomo</b> (1959) di Molière (con Massimo De Francovich, Achille
Millo, Antonio Pierfederici, Monica Vitti, Giulio Girola, Vittorio Caprioli,
Ileana Ghione, Elio Pandolfi, Francesco Mulè, Valeria Valeri e Lilla Brignone),
<b>L'imbroglio</b> (1959) tratto da Alberto
Moravia con Stefano Svevo, Giuliana Lojodice e Lia Zoppelli, <b>Dieci minuti di alibi</b> (1959) con Armando
Francioli, Nicoletta Rizzi e Roberto Villa, e <b>Paparino</b> (1959) con Umberto Melnati, Anna Menichetti e Mario
Scaccia. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Contemporaneamente aveva girato diversi documentari, tra i
quali <b>Ritratto di una grande impresa</b>
(1959) per la presentazione del neo<i>–</i>nato gruppo ENI.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Raggiunse tuttavia fama e considerazione critica con i grandi
sceneggiati TV <b>L'idiota</b> (1959), <b>La Pisana</b> (1960) e <b>Mastro don Gesualdo </b>(1964), finito di montare poco prima della sua
morte prematura.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Molto prolifico nella prosa televisiva, aveva intanto girato
anche <b>I ragazzi</b> (1959) con Evi
Maltagliati, Alberto Lupo e Paolo Carlini, <b>Andromaca</b>
(1960) con Elena Zareschi, Tino Carraro e Anna Miserocchi, <b>Odette</b> (1960) con Lydia Alfonsi, Achille Millo e Armando Francioli,
<b>L'accusatore pubblico</b> (1960) con
Turi Ferro e Ottorino Guerrini, <b>Donne
brutte</b> (1961) con Paola Borboni, Roldano Lupi e Wandisa Guida, <b>Giuditta</b> (1961) con Tino Carraro, Elena
Zareschi e Antonio Pierfederici, e <b>Carolina
o l'irragiungibile</b> (1963) con Vivi Gioi, Armando Francioli e Orazio Orlando.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Uscirono postumi nel 1965: <b>Letto matrimoniale</b> con Lydia Alfonsi e Tino Carraro, e <b>Corte marziale per l'ammutinamento del
Caine</b> con Arnoldo Foà, Vittorio Sanipoli e Gastone Moschin. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Si ricordano anche alcune regie televisive di opere liriche,
tra le quali <b>Don Giovanni</b> (1960) con
il cantante Mario Petri.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E passiamo adesso a considerare singolarmente i tre grandi
capolavori di Vaccari, interpretati dai migliori attori dell'epoca.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>L'idiota</i> fu
presentato il sabato nel settembre del 1959 in quattro puntate: era stato
sceneggiato da Giorgio Albertazzi dal romanzo omonimo (1869) di Fëdor
Michàjlovič Dostoevskij, e – scrive
Aldo Grassi – «Un cast
prestigioso e la regia di Vaccari decretano il successo della riduzione televisiva
in quattro puntate del romanzo di Dostoevskij». Il cast era costituito da
Giorgio Albertazzi (il principe Lev Nikolaevič Myškin,
l'ultimo erede di una grande famiglia decaduta, un individuo spiritualmente
superiore ma indifeso nella sua fiducia verso il prossimo, nella sua generosità
e bontà d'animo. e nella sua inesperienza della vita, responsabile anche di una
certa debolezza della volontà e di un infantile immobilismo), Gian Maria Volonté (il violento e appassionato
Parfën Rogožin), Anna Proclemer (l'affascinante e dolente Nastas'ja Filippovna
Baraškova, amante di un ricco capitalista) e Anna Maria Guarnieri (la figlia
del generale Epančin, Aglaja, innamorata dal principe che la ricambia), contornati
da Sergio Tofano, Gianni Santuccio, Antonio Pierfederici , Lina Volonghi,
Ferruccio De Ceresa, Maria Fabbri, Gianna Giachetti e Franca Nuti, Come dire il
meglio di una intera e indimenticabile generazione di attori, destinati a
interpretare la società morbosa e senza pietà con la quale Myškin è costretto a misurarsi, che considera
“idiota” il suo esser mite e innocente! Il buon principe Myškin, tuttavia, sceglie Nastas'ja sognando di
strapparla all'inquietante Rogožin ma la ragazza – pur commossa e lusingata da quell'offerta, temendo di contaminare l'integra bontà
del principe e sentendosi indegna di lui – esita a lungo e poi decide di restare con il passionale
Rogožin, consegnandosi al suo destino di morte. L'uomo, infatti, intuisce la
profondità del sentimento di Nastas'ja per il principe Myškin (amico–rivale) e, pazzo
di gelosia, attenta prima alla vita del principe e poi uccide la donna
nel pieno dei preparativi delle nozze tra Myškin e Nastas'ja.
Scrive ancora Aldo Grassi: «Nonostante qualche contrazione dei complessi
sviluppi della storia, la sceneggiatura di Albertazzi resta fedele al testo
originario dando vita a un racconto televisivo chiaro e fluente. Efficacemente
tratteggiati sono i personaggi e i ruoli, […], i protagonisti della tormentata
vicenda nella quale la pietà resta l'unico conforto di fronte alla drammaticità
dei rapporti umani.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>La Pisana</i> fu
presentata in sei puntate nell'ottobre del 1960, di domenica, per la sceneggiatura
di Aldo Nicolaj e Marcello Sartarelli, tratto dal romanzo d'Ippolito Nievo “Le
confessioni di un italiano” (1867) noto anche come “Confessioni di un
ottuagenario”, con gli straordinari
Lydia Alfonsi (la maliziosa, vanitosa e scaltra ma piena di dedizione Pisana) e
Giulio Bosetti (Carlo Altoviti, patriota coinvolto nei moti liberali,
innamorato della cugina Pisana), nel contesto di un "cast stellare"
(costituito da Franco Graziosi, Ludovica Modugno, Pina Cei, Laura Adani, Franca
Bettoia, Gian Maria Volonté, Umberto Orsini, Mario Scaccia, Marina Berti,
Claudio Gora, Fulvia Mammi ed Elena Cotta). Lo sceneggiato, come il romanzo, narra le complesse vicende di Carlino, che – orfano
dei genitori – vive nel castello di Fratta con gli zii che non l'amano;
si occupano di lui il servo Martino «che
bazzicava sempre per cucina come un vecchio cane da caccia» e la
cuginetta Pisana, essere bizzarro e volubile, ambiguo e affascinante, capace di
grandi generosità e di sinceri abbandoni ma anche di mostruoso egoismo. Sin da bambino,
Carlino s'innamora perdutamente di Pisana e l'amerà per sempre, nonostante il
matrimonio di lei con un anziano nobile veneziano. Quando, esule da Venezia,
Carlino diviene cieco ed è ormai distrutto dai lavori forzati, Pisana accorre e
lo cura con amore. La donna amata infine muore, e in Carlino il suo ricordo
resterà incancellabile. Scrive Aldo Grassi: «La voce fuori campo del
protagonista, che rivive il suo appassionato amore adolescenziale, ripropone la
limpida prosa di Nievo, alternando le vicende sentimentali a quelle
patriottiche. […] Vaccari, impegnato in una delle sue prime prove, dimostra
grande abilità nel tratteggiare le scene con pochi e sapienti tocchi.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Qualche commento sul romanzo. Credo
che il bel testo d' Ippolito Nievo (purtroppo poco letto a scuola e conosciuto
veramente da pochi), per importanza e valore letterario, si debba porre tra “I Promessi Sposi” del
Manzoni e “I Malavoglia” del Verga. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> mia opinione che esso contenga la storia di un popolo
(rievocata attraverso un secolo di vicende piene di speranze e delusioni),
strettamente intrecciata con la storia di un uomo (quella di Carlino Altoviti).
E la storia individuale – sviluppata sul filo dell'autobiografia –
costituisce per me la prima, grande e articolata, vera storia d'amore della
letteratura italiana, analizzata con acutezza psicologica assolutamente nuova e
originale, e – nel contesto del più esteso e complesso romanzo
storico-patriottico dedicato all'amore per la Patria – è
possibile enucleare il ben più piccolo medaglione costituito dall'amore per una
Donna, la Pisana. La Pisana è un personaggio di donna emblematico, che presenta
tutte le contraddizioni tipicamente femminili: è ora volubilmente impulsiva ora
gelidamente calcolatrice; è ora dispoticamente aggressiva ora dolcemente
remissiva; è ora egoisticamente capricciosa ora eroicamente generosa. L'amore
di Carlino per l'amata–disprezzata Pisana inizia in un ragazzo come un «idillio fanciullesco» e diviene nell'uomo adulto un amore grande ma spesso
intriso di cupa disperazione, perché alimentato dai mille tradimenti di lei e
dal costante timore di perderla. Carlino però non è cieco, anzi conosce appieno
tutti i difetti del carattere, l'indole vera e lo strano temperamento della
donna amata, ch'erano già presenti nell'età infantile. Pur giudicando in modo
moralistico questi difetti (il romanzo, d'altra parte, è ricco d'intenti
moraleggianti e di scopi educativi), Carlino li comprende e li accetta, e il
suo amore non ne risulta affatto scalfito. Molto acuta è anche la disamina che
lo scrittore fa dell'amore e della varietà dei suoi aspetti, che
richiederebbero diversi vocaboli aggiuntivi per specificarne meglio la natura.
E similmente acuta è la descrizione del vero amore, quando il giovane Carlino riflette
che la Pisana «non la ti ama con quell'impeto
cieco, intero, perseverante che impedisce ogni considerazione, toglie ogni
distanza e confonde anima ad anima». Pensando
al suo amore per lei, Carlino osserva: «Sì, io
l'amo, perché vi usai fin dalla nascita, perché quell'amore non è un sentimento
ma una parte dell'anima mia, perch'esso è nato in me prima della ragione, prima
dell'orgoglio». Carlino è convinto, inoltre,
della grande forza educatrice dell'amore; dice: «Nessun miglior maestro dell'amore, egli insegna anche quello che non sa». <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Mastro don Gesualdo</i>
fu presentato in sei puntate nel gennaio del 1964, di giovedì, per la sceneggiatura
dello stesso Vaccari e di Ernesto Guida tratta dall'omonimo romanzo (1889) di
Giovanni Verga (prima produzione televisiva su pellicola), con uno stupendo
Enrico Maria Salerno (un mastro don Gesualdo di grande forza espressiva) e
sempre con Lydia Alfonsi, vera musa del regista (una dolente e sofferta Bianca
Trao), circondati da Sergio Tofano, Turi Ferro, Franca Parisi, Valeria
Ciangottini e Maria Tolu. Gli attori –
che prima erano i «protagonisti assoluti della narrativa televisiva» – in questo moderno sceneggiato sono
come sottratti alla scena e il regista diviene «il vero deus ex machina della
narrazione». Scrive Aldo Grasso: «Vicari firma il suo capolavoro, scardinando
le regole linguistiche che fino allora avevano informato i teleromanzi,
consuetudini ereditate dalla tradizione teatrale e tradotte in norme televisive
tese a facilitare la sicura comprensione da parte del pubblico della vicenda
raccontata. […] Vaccari utilizza in parte il dialetto e riproduce i quadri
corali di Verga attraverso il sovrapporsi di voci chiassose; anche queste
scelte ribadiscono il rifiuto dell'impostazione pedagogica a vantaggio di un
deciso accostamento alla sensibilità e alle suggestioni cinematografiche.». </span></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">“Mastro don Gesualdo” di Verga avrebbe dovuto costituire
(dopo “I Malavoglia”), il secondo testo di un ciclo di storie di ambiente
siciliano, denominato “I Vinti”,
che purtroppo non fu portato a termine. Questo ciclo era volto a condurre un'accurata
analisi interna ai vari strati della società del tempo e a produrre un
documento di viva testimonianza. In una sua lettera, Verga parlava di «fantasmagoria
della lotta per la vita che si estende dal cenciaiuolo al ministro ed all'artista,
e assume tutte le forme dall'ambizione all'avidità di guadagno». Lo scrittore
siciliano era convinto che il progresso potesse avvenire soltanto a prezzo
della stroncatura dei più deboli, con l'infelicità di molti, con la sconfitta
degli ideali e col prevalere di bruti interessi economici; in ciò, era mosso
da un modo tragico di valutare la vita
degli uomini e da un profondo senso d'empatia per “i vinti” e per le loro
inevitabili sofferenze. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> la
storia di Gesualdo Motta, un rozzo muratore di Vizzini guidato da una vera e
propria religione del lavoro,
un uomo che si è tirato su dal nulla e che tenta la scalata al successo con le
mani sporche di calcina. Si tratta di un personaggio che giganteggia con la sua
personalità e che ha molto della grandiosità umana dei caratteri creati da
Honoré de Balzac (1799–1850),
la cui storia segue il suo classico schema romanzesco di ascesa-caduta. E nello
sceneggiato di Vaccari, Enrico Maria Salerno, con il suo viso scavato e amaro,
seppe dare a don Gesualdo una maschera intensa e una grandezza tragica. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Era nato, intanto, dal 1960, un forte sodalizio artistico e
sentimentale tra Giacomo Vaccari e Lydia Alfonsi, stroncato purtroppo dalla
tragica morte del regista.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con sincera convinzione mi chiedo cosa Giacomo Vaccari,
scomparso ad appena 32 anni, non sarebbe riuscito a creare se fosse vissuto più
a lungo!</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-89332302664375925382013-06-25T01:41:00.001-07:002013-06-25T06:37:27.531-07:00L’amore di Tagore come una canzone<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvOA2B-KVD_Mos-tG_Jm7K3KjnM8uPzIkVzL-lN5dOT14y1YFXL0F2M-M5y7mzVVFN2MWWgAhELkArpoPaBGk12-fD9I2RsM2cfMMqsXhto4lNz0Wr65x_RiHNqZgTlV9bnL8fVcNR-vc/s1600/tagore.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvOA2B-KVD_Mos-tG_Jm7K3KjnM8uPzIkVzL-lN5dOT14y1YFXL0F2M-M5y7mzVVFN2MWWgAhELkArpoPaBGk12-fD9I2RsM2cfMMqsXhto4lNz0Wr65x_RiHNqZgTlV9bnL8fVcNR-vc/s200/tagore.jpg" width="148" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPdQosj-erGeB90yiilIDNElW1P8xXG1Xr47z_ukb3Sc_PCltWgYY-dCCNA0abXE2d15ZkuSL3n5XWLTAHg21HOAj5EmQ9lJAjTrdOWbfJsceI1pAUmpD_mN-Ehsxus10jdmKmY5AcMcA/s1600/william+butler.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPdQosj-erGeB90yiilIDNElW1P8xXG1Xr47z_ukb3Sc_PCltWgYY-dCCNA0abXE2d15ZkuSL3n5XWLTAHg21HOAj5EmQ9lJAjTrdOWbfJsceI1pAUmpD_mN-Ehsxus10jdmKmY5AcMcA/s200/william+butler.jpg" width="151" /></a></div>
<br />
<span style="font-size: 11pt;"> Rabindranath Tagore William Butler Yeats</span><br />
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<br />
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i>Rabindranath Tagore (versione anglicizzata di Rabíndranáth
Thákhur) nacque a Calcutta il 6 maggio del 1861 e fu poeta, scrittore,
drammaturgo e filosofo ma anche pittore e musicista. Saggio pensatore e
compositore di </i><i>«massime per una vita armoniosa», fu un mistico molto vicino a Dio.
Ho scelto le seguenti due poesie tra le sue più belle.</i><i><span style="font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></i></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i>VI. L’uccello prigioniero nella gabbia<o:p></o:p></i></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello prigioniero nella gabbia, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
l’uccello libero nella foresta: <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
quando venne il tempo s’incontrarono, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
questo era il decreto del destino. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello libero grida al compagno: <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Amore mio, voliamo nel bosco!»<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello prigioniero gli sussurra: <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Vieni, viviamo entrambi nella gabbia». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Dice l’uccello libero: «Tra
sbarre, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
dove c’è spazio per stendere l’ali?» <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Ahimè», grida l’uccello
nella gabbia, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Non so dove appollaiarmi nel cielo». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello libero grida: «Amore
mio, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
canta le canzoni delle foreste». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello in gabbia dice: <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="margin-left: 72pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Siedi al mio fianco, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
t’insegnerò il linguaggio dei sapienti». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello libero grida: «No,
oh no! <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
I canti non si possono insegnare». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello nella gabbia dice: «Ahimè, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
non conosco i canti delle foreste». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Il loro amore è intenso e struggente, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
ma non possono mai volare assieme. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Attraverso le sbarre della gabbia <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
si guardano e si guardano, ma è vano <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
il loro desiderio di conoscersi. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Scuotono ansiosamente le ali e cantano: <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
«Vieni vicino a me, amore mio!». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello libero grida: «E’
impossibile, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
temo le porte chiuse della gabbia». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
L’uccello in gabbia sussurra: «Ahimè, <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
le mie ali sono morte e impotenti».<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i>XVI. Le mani si stringono alle mani<o:p></o:p></i></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Le mani si stringono alle mani<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
e gli occhi indugiano sugli occhi:<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
così comincia la storia <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
dei
nostri cuori.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="text-transform: uppercase;">è</span> la notte
della luna di marzo;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
nell’aria un dolce profumo di henna <i>(pianta aromatica subtropicale)</i>; <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
il mio flauto giace per terra<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
e la tua ghirlanda di fiori <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
non
è terminata.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Questo amore fra me e te<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
è semplice come una canzone.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Il tuo velo color zafferano<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
inebria i miei occhi, la corona<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
di gelsomini che tu intrecci <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
mi commuove come una lode.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="text-transform: uppercase;">è</span> un gioco di
dare e trattenere,<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
di svelare e di nuovo velare;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
di sorrisi e di timidezze,<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
e di dolci inutili lotte. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Questo amore fra me e te<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
è semplice come una canzone.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Nessun mistero al di là del presente;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
nessuna lotta per l’impossibile;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
nessuna ombra dietro l’incanto;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
nessuna ricerca nel buio.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Questo amore fra me e te<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
è semplice come una canzone.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Non vaghiamo oltre le parole<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
per cercare l’eterno silenzio;<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
non leviamo le mani nel vuoto<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
per cose al di là della speranza.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Ciò che diamo e otteniamo ci basta.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
La gioia non abbiamo schiacciata<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
per spremere il vino del dolore.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Questo amore fra me e te<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
è semplice come una canzone.<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: 11.0pt;">(Da: <i>Il Giardiniere</i>, in “Tagore - Poesie –
Gitanjali / Il Giardiniere”, traduzione di Girolamo Mancuso, Newton Compton
Editori, Roma, 1971)<i> <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
La prima poesia è veramente straordinaria e rappresenta in modo magico
ciò che accade quando un amore impossibile si svolge tra due esseri
profondamente diversi che pur s’amano: sono come due uccellini, uno aduso alla
libertà dei «canti della foresta» e uno dalle «ali morte e impotenti» ma abituato al «linguaggio
dei sapienti».
Questi due amanti «si guardano e si guardano,
ma è vano / il loro desiderio di conoscersi»; infatti, non possono amarsi e nonostante il loro
amore sia «intenso e struggente… non possono
mai volare assieme». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Nella
seconda poesia, Tagore canta invece la semplicità dell’amore che è come una canzone
che unisce i due amanti, le cui mani si stringono tra loro e i cui occhi
s’incontrano nello sguardo; tra loro si stabilisce l’eterno seducente gioco
amoroso del dare e del non dare, del mostrare e del nascondere, senza però
misteri particolari, senza dure lotte, senza ombre dietro l’incanto, senza
silenzi trascendentali e infine senza pretendere nulla che sia «al di là della speranza». <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
In un’altra
poesia, piena di desiderio amoroso, nella cornice di una Natura complice, Tagore
scrive: «Quando a notte vado sola al mio convegno d’amore, / gli uccelli
non cantano, il vento non soffia, / le case ai lati della strada sono
silenziose. / Sono i miei bracciali che risuonano a ogni passo, / e io sono
piena di vergogna. / […] / <span style="text-transform: uppercase;">è</span> il
mio cuore che batte selvaggiamente –
/ e non so come acquietarlo. / Quando il mio amore viene e si siede al mio
fianco, / quando il mio corpo trema e le palpebre s’abbassano, / la notte
s’oscura, il vento spegne la lampada, / e le nuvole stendono veli sopra le
stelle. / <span style="text-transform: uppercase;">è</span> il gioiello al mio
petto che brilla e risplende. / E non so come nasconderlo.» (<i>IX</i>). E l’amore sensuale e la Natura complice
ritornano in un’altra lirica: «Vieni come sei, non indugiare a farti
bella. / Se la treccia s’è sciolta dei capelli, / se la scriminatura non è dritta,
/ se i nastri del corsetto non sono allacciati, / non badarci. / Vieni come
sei, non indugiare a farti bella. / Vieni sull’erba con passi veloci. / […] /
Non vedi le nubi che coprono il cielo? / […] / Vieni come sei, non indugiare a
farti bella. / Se la ghirlanda non è stata intrecciata, che importa; / se il
braccialetto non è chiuso, lascia fare. / Il cielo è coperto di nuvole – è tardi. / Vieni come sei; non
indugiare a farti bella.» (<i>XI</i>).
<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Con un forte senso
religioso panteista, Tagore amava la Natura – e la «madre-Terra» con la sua «salutare polvere» <i>–</i> e per le sue splendide bellezze e per le
sue povere imperfezioni. In una poesia il poeta esaltato scriveva: «Dimmi
se questo è vero, amore mio, / dimmi se questo è tutto vero. / […] / <span style="text-transform: uppercase;">è</span> vero che le mie labbra son dolci /
come il boccio del primo amore? / […] / Che la terra, come un’arpa, vibra / di
canzoni al tocco dei miei piedi? / […] / E dimmi infine se è proprio vero / che
il mistero dell’infinito / è scritto sulla mia piccola fronte. / Dimmi, amor
mio, se tutto questo è vero.» (<i>XXXII</i>). Le liriche del poeta indiano vivono delle foglie che stormiscono sui
rami, del lieve rumore del torrente in movimento, delle stelle splendenti in
cielo, della notte oscura, delle raffiche di vento che spengono le lampade, del
cielo fosco e coperto di nubi, delle nuvole che stendono veli sulle stelle,
degli stormi delle gru che si levano in volo, ecc., ecc.
<span style="font-size: 11.0pt;">(Da: <i>Il Giardiniere</i>, in
“Tagore - Poesie – Gitanjali / Il Giardiniere”, traduzione di Girolamo Mancuso,
Newton Compton Editori, Roma, 1971)</span></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Ma per
Tagore, l’unione suprema fra gli innamorati è un’esperienza così piena e così totalizzante
che non può che sublimarsi nell’amore per Dio. In conseguenza di ciò, in quel
che scrive, sacro e profano s’accavallano e s’intrecciano in una luce comune: «In questo mondo coloro che m’amano / cercano con tutti i
mezzi / di tenermi avvinti a loro. / Il tuo amore è più grande del loro, / eppure
mi lasci libero. / […]» (<i>XXXII</i>). Il poeta sentiva di essere vicino a Dio e agli
uomini per mezzo della sua poesia che è come un canto religioso: «Quando
mi comandi di cantare, il mio cuore / sembra scoppiare d’orgoglio / e fisso il
tuo volto / e le lacrime mi riempiono gli occhi. / […] / So che ti diletti del
mio canto, / che soltanto come cantore / posso presentarmi al tuo cospetto. /
Con l’ala distesa del mio canto / sfioro i tuoi piedi, che mai / avrei pensato
di poter sfiorare. / […]» (<i>II</i>). E il poeta conferma così le proprietà
della sua poesia–canto. «Ho ricevuto il mio invito / alla festa di questo mondo; /
la mia vita è stata benedetta. / I miei occhi hanno veduto, / le mie orecchie
hanno ascoltato. / […] / In questa festa
dovevo soltanto / suonare il mio strumento: / ho fatto come meglio potevo la
parte / che mi era stata assegnata. / […]» (<i>XVI</i>). E la sua lirica, semplice e
serena (monotona soltanto in apparenza), è come un canto d’amore che prende e
stringe nella rete della sua musica: «Attendo
soltanto l’amore / per abbandonarmi alfine / nelle sue mani. / […]» (<i>XVII</i>), versi che si ripetono come un
ritornello lungo tutta la poesia. Senza intenti didascalici o moralistici, il poeta mette a
disposizione di tutti il suo canto: «Sono qui a cantarti canzoni. / In
questa tua sala ho soltanto / un piccolo posto in un canto. / Nel tuo mondo non
ho / nessun lavoro da fare – / la mia inutile vita può soltanto / sgorgare in melodie
senza scopo. / […]» (<i>XV</i>); e a questo canto Tagore attribuisce un alto significato culturale
e una pratica finalità educativa. (Da: <i>Gitanjali</i>,
in “Tagore - Poesie – Gitanjali / Il Giardiniere”, traduzione di Girolamo
Mancuso, Newton Compton Editori, Roma, 1971) <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Se il
lettore vuole dedicarsi alle poesie d’amore di Tagore (che sono soltanto una
piccola parte dei suoi scritti), potrebbe leggere <i>Tagore - Poesie d’amore</i> (A cura di G. Mancuso, Newton e Compton,
2005),<i> </i>oppure <i>Tagore - Hai colorato
i miei pensieri e i miei sogni. Poesie per giovani innamorati</i> (Salani Editore, Milano, 2006), nella collana “Poesie per giovani innamorati”.
<o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Rabindranath
Tagore nacque a Calcutta da una delle famiglie bengalesi più aristocratiche e
colte: il padre era un filosofo e il leader di una setta religiosa di origine
induista mentre i fratelli furono tutti letterati o artisti. Sino ai
diciassette anni studiò in casa a Calcutta, vivendo in un ambiente ricco di
esperienze orientali ma anche aperto agli stimoli occidentali; andò quindi per
un anno in Inghilterra (a Londra) per imparare Legge, senza però completare gli
studi. Iniziò a scrivere prestissimo, e la sua opera è tanto estesa che alcuni
critici lo hanno paragonato per la vastità e la varietà della produzione e per la
lunghezza della vita letteraria al grande scrittore francese Victor Hugo
(1802-1885). Nel 1883 sposò Mrinalini Debi, amata di un affetto duraturo. Nel
1901 fondò l’Università internazionale di Visva-bharati (nata dal nucleo
costituito da una scuola sperimentale) che chiamò «Asilo di pace» e che sostenne con denaro proprio e con fondi procurati durante i suoi
numerosi viaggi per il mondo: il motto dell’Università era costituito dal
versetto sanscrito «Là dove tutto il mondo si
unisce in un nido».
Tra il 1902 e il 1907 visse tutta una lunga serie di lutti privati: perse la
moglie, due figli (tra i quali il primogenito), una cognata (morta suicida) alla
quale era legato da grande affetto, e il padre–maestro. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Tagore
scrisse circa duemila poesie, che spesso musicò e che raccolse in cinque volumi
di versi, tra i quali ricordiamo la raccolta di poesie religiose <b>Offerta di Canti (Gitanjali)</b> (1909–1912) e <b>Il Giardiniere
(The Gardener)</b>.
Eseguì personali traduzioni inglesi dei suoi poemetti lirici che furono raccolti
in tre volumi non perfettamente corrispondenti ai tomi bengalesi, perché in
prosa e non in versi. <i>Gitanjali</i> fu letto e divulgato da William Butler Yeats
(poeta, drammaturgo, scrittore e mistico dublinese, 1865–1939), facendo
conoscere al mondo questo grande poeta indiano, gli fece guadagnare il premio
Nobel nel 1913 (il primo dato a una personalità asiatica). Nel 1915 re Giorgio
V lo nominò baronetto ma nel 1919 il poeta rinunciò al titolo nobiliare per
motivi politici. <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Pubblicò
anche numerosi drammi teatrali simbolici e commedie sociali di grande
originalità, tra i quali <b>Oleandri rossi (Rakta
Karabi)</b>,
il capolavoro nella sua carriera di drammaturgo composto nel 1923, in cui
celebra l’amore e critica la civiltà moderna in continua corsa verso un vuoto
arricchimento economico (un re avido d’oro costringe i suoi sudditi a un lavoro
brutale nelle miniere, distruggendo la Natura, ma la sua avidità sarà la sua
maledizione e la sua perdita); lo splendido testo, bellissimo da leggere, era
nobilitato dalla musica e il canto, dalla gestualità e dal movimento nello
spazio. Tagore scrisse anche diverse opere musicali sullo stile dei melodrammi
europei e alcuni balletti nei quali tentò di armonizzare Oriente e Occidente;
una sua composizione musicale è stata scelta come inno nazionale indiano (<i>Bharata–bhagya–vidata</i>). <o:p></o:p></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capoversosp1" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Pubblicò
anche molte novelle, raccolte in più di otto volumi, e otto romanzi, tra i
quali sono da segnalare <b>Gora</b> (1910) e <b>La casa e il mondo
(Ghare–Baire)</b><i>
</i>(1916), nei
quali realizzò una sorta di realismo simbolico, dando risalto lirico e
letterario alla lingua viva del suo popolo. Compose anche diversi diari di
viaggio (si mosse tantissimo in Europa, America e Asia) e numerosi saggi di
critica letteraria (tra i quali <b>Investigazioni letterarie</b>), di politica e di religione. Pubblicò anche
due autobiografie, una scritta in età adulta (<b>Ricordi della mia vita</b>) e una composta al termine
della sua vita (morì a Santiniketan il 7 agosto del 1941): esse hanno fatto
conoscere al mondo un uomo sensibile e ricco d’intensa religiosità che aveva vissuto
in uno struggente rimpianto nostalgico del divino e in un’ardente spiritualità
assetata di bellezza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tagore
seppe avvicinarsi anche ai problemi della povera gente («a coloro che non hanno compagni, tra i più poveri, i più
umili, e i perduti»).
In età avanzata si dedicò sia a tentativi scolastici innovativi sia a progetti
di riforma sociale, assumendo spesso una posizione contraria alle politiche
coloniali britanniche. Condivise con Gandhi, il «padre della patria», una viva amicizia e profondi ideali etico–politici, ritenendo
che l’Oriente dovesse guardare all’Occidente (che occupava posizioni più
avanzate) con riferimento al progresso sociale e alle libertà individuali,
senza dimenticare tuttavia le sue peculiari caratteristiche, rappresentate da
una maggiore serenità interiore e da una più intensa capacità meditativa.
D’altra parte, in quello stesso periodo, l’Occidente coloniale e materialista
riscopriva le filosofie e la cultura indiana, il sanscrito e la religiosità
asiatica. In India, Tagore ha raggiunto una fama immensa: fu nominato vice presidente
dell’Accademia delle Lettere del Bengala (1891), presidente del Congresso
Nazionale Indiano a Calcutta (1917) e presidente del Congresso Filosofico delle
Indie (1925). Anche in Europa fu molto stimato e amato per il senso religioso e
la profonda spiritualità, che seppe
propagandare grazie alle numerose letture dei suoi testi eseguite sia in patria
che all’estero, e grazie alle versioni inglesi dei suoi testi (da lui stesso
curate). Dal 1933, ormai in condizioni di cattiva salute, non si mosse più
dall’India dedicando tutte le sue poche forze all’amata Università
Internazionale. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Concludendo, Tagore ha dato
inizio alla letteratura bengalese (che già aveva prodotto alcuni generi a
cavallo tra sacro e profano, che prevedevano l’uso della mimica e della danza,
del canto e della musica), arricchendola di forme e aspetti letterari di gusto
europeo e divenendo l’icona spirituale e la voce morale più intensa e ascoltata
della cultura filosofica e della vita letteraria in Oriente: egli ha certamente
improntato di sé tutto il mondo sociale e intellettuale dell’India moderna.</div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-74290386239319335002013-06-09T02:01:00.002-07:002013-06-10T14:49:11.249-07:00Sofocle, Antigone, teatro greco di Siracusa e la regia di Cristina Pezzoli<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgb8gCU0Yrex2XZcMxvBzygfJeMiWf4qT8pJMY9QqWG9koi8CE392JSTFZoajVHbABV5U8AyHDzfGy9PW-pWV6_7z1WO4KcfmJgPZcRYaLAdFn4205X5PcU8vp5o33DsfQydfCHKpfGZr0/s1600/Antigone+4.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="148" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgb8gCU0Yrex2XZcMxvBzygfJeMiWf4qT8pJMY9QqWG9koi8CE392JSTFZoajVHbABV5U8AyHDzfGy9PW-pWV6_7z1WO4KcfmJgPZcRYaLAdFn4205X5PcU8vp5o33DsfQydfCHKpfGZr0/s200/Antigone+4.jpg" width="200" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4BvKxd-fk3UxAwdrLJ34cQ3aHGcKA1U7kR62aKJ5TwETTI5ezOoMbpfj8io9viXdJlISXWT5UvVfy9z27ommlQVoI3XdJ39N35bE-CbbhvDTu2q95weZh6ysNsIbjJyLIC2EoeflXI78/s1600/antigone+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="85" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4BvKxd-fk3UxAwdrLJ34cQ3aHGcKA1U7kR62aKJ5TwETTI5ezOoMbpfj8io9viXdJlISXWT5UvVfy9z27ommlQVoI3XdJ39N35bE-CbbhvDTu2q95weZh6ysNsIbjJyLIC2EoeflXI78/s200/antigone+2.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 11pt;">Immagini da Antigone, per la regia</span><span style="font-size: 10pt;"> di Cristina Pezzoli</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 10pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Alternandosi con la
tragedia di Sofocle, <b>Edipo re</b>, diretta
da Daniele Salvo, e con la commedia di Aristofane, <b>Donne al parlamento</b>, diretta da Vincenzo Pirrotta, dal 12 maggio al
23 giugno, presso il Teatro Greco di Siracusa, si rappresenta <b>Antigone</b> di Sofocle, per la traduzione di
Anna Beltrametti e per la regia di Cristina Pezzoli, con Ilenia Maccarrone
(Antigone), Maurizo Donadoni (Creonte), Isa Danieli (l'indovino cieco Tiresia),
Matteo Cremon (Emone) e Valentina Cenni (Ismene), musiche di Stefano Bollani (malinconiche
e scandite dalle percussioni) e gli splendidi costumi di Nanà Cecchi. Un
prologo, tratto dalle </i>Fenicie<i> di
Euripide, mostra l’ombra di Giocasta che, ricordando la vicenda della famiglia
di Edipo, permette agli spettatori di riprendere le fila della vicenda. Questa
tragedia – che vede l'autorità
contro il potere, la legge umana della polis contro la legge divina, e la legge
morale non scritta contro la legge dello Stato – da sempre è stata considerata un'efficace metafora dei diritti
dell'individuo in contrapposizione a quella di uno Stato totalitario.<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Durante l'incontro nell’Auditorium del Museo “Paolo Orsi”
con i registi del XLIX Ciclo di Rappresentazioni Classiche (organizzato dall'Associazione
Amici dell’INDA), il Commissario straordinario Alessandro Giacchetti ha così
commentato: «Sofocle è l'antico moderno, direi proprio che tutto il teatro è
Arte che vive, sentimento e sensazioni inimitabili che alimentano il nostro
animo. Tutta la tragedia e i sentimenti eterni di cui è fatta appartengono al
nostro DNA. Ho già avuto modo di incontrare la regista Pezzoli durante le prove,
ed ho visto quanta energia è capace di trasmettere ai suoi attori. Per me,
ammiratore del Teatro Greco già da tempo, è tutto molto emozionante e vorrei
trasmettere questo entusiasmo e questo impegno che trovo ogni giorno in
Fondazione INDA a tutta la città, soprattutto in un momento di così grande
difficoltà per la nazione tutta». In quell'occasione, la regista Cristina
Pezzoli ha sostenuto: «Il regista è un esperto del testo, il suo è un lavoro al
servizio del testo perché esso parli nella sua totalità, un testo che abbia la
possibilità di parlare sempre. […] <span style="text-transform: uppercase;">è</span>
giusto dare pari dignità ad entrambi [<i>Creonte
e Antigone</i>], riequilibrare questo rapporto. Il mio compito di regista è,
dunque, quello di dare voce anche alle ragioni di Creonte. Il suo no è al patto
familistico, alle ragioni della famiglia della giovane donna. Creonte risponde
no alla sepoltura perché pensa ad un ordine politico nuovo da dare alla città,
vuole rifondare la patria. […] Non amo la recitazione melodrammatica. La sfida,
oggi, nel recitare la tragedia, è proprio quella di recitare senza cadere nel
sentimentalismo, eliminare la retorica, la vanità al servizio del racconto»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.siracusanews.it/node/37177).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La protagonista indiscussa è Ilenia Maccarrone, giovane
attrice giarrese, al suo debutto negli spettacoli classici, la quale ha detto: «Per
me è un onore e una sfida interpretare questo ruolo, Antigone è
tradizionalmente intesa come vittima sacrificale, la regia cercherà stavolta di
far comprendere le ragioni del tiranno e della vittima, individuando una terza
via alla comprensione del gesto estremo della protagonista.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/05/10/foto/edipo_e_antigone_siracusa_al_via-58478648/1/#1).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La regista Cristina Pezzoli – diplomata alla Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi” di
Milano e regista da giovanissima, esperta di spettacoli classici,
collaboratrice dello Stabile di Torino e direttore artistico dell’Associazione
Teatrale Pistoiese/Teatro Manzoni di Pistoia, e regista di spettacoli lirici
per il Festival Pucciniano e per il Teatro del Giglio di Lucca</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.teatroteatro.it/personaggi_dettaglio.aspx?uart=98500)
– nell'articolo “Cristina
Pezzoli: ecco la mia Antigone”, ha voluto ribadire la diversità della sua
Antigone: non più una santa e una ribelle in antitesi a Creonte, il tiranno, ma
una donna portatrice di una verità diversa ma non priva di dignità; ha detto la
Pezzoli di aver voluto dare un'assoluta priorità al testo e alla parola: «Pericolo
di questo testo è che ci si appiattisca su versioni ormai desuete, la colpa da
un lato (Creonte) e la vittima dall'altro (Antigone). Il nostro tentativo sarà
quello di fondere le ragioni di entrambi. La tragedia è un modo importante per
parlare del comune sentire dell'uomo di oggi.» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://chairmag.it/2013/05/cristina-pezzoli-ecco-la-mia-antigone/).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ne “La cornice del Teatro Greco per il dramma umano di
Antigone” del 18 maggio del 2013</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(Rubrica: Arti e Spettacolo, Teatro & Cinema), Maria
Galluà ha evidenziato come la regista Cristina Pezzoli non abbia enfatizzato i
toni tragici ma abbia dato «una chiave di lettura più vicina ad un pubblico
moderno che vuol vedere nella tragedia qualcosa che riporti al presente, che
vuole comprendere i dissidi umani che conducono all’infelicità», avvicinando
così a noi «un autore antico e “grande” come Sofocle». Tra i vari personaggi,
la Galluà evidenzia come in scena spicchi una guardia (impersonata da un «impeccabile»
Gianluca Gobbi), che «mette davanti agli occhi dello spettatore l’uomo medio
che è incapace di comprendere cosa sta accadendo fino in fondo, interessato
solo alla propria salvezza e al proprio tornaconto» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://portale.criluge.org/?p=18278).<i><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In “Antigone, l'eroina oltre gli stereotipi” (del 18 maggio
2013), Anna Mallamo scrive: «Antigone: poche eroine appartengono così
profondamente e durevolmente al patrimonio collettivo di miti, icone, simboli»,
parla d'«icona della ribellione, in nome del cuore e del sangue, contro il
potere e la fissità arida delle leggi» ed evidenzia anche l'intendimento della
regista Cristina Pezzoli «di rompere la crosta di sovrapposizioni,
interpretazioni, simbolismi e ridare al personaggio di Antigone una sua verità
fondamentale, il farsi delle sue ragioni nel dialogo con Creonte». La regista
pone «in un confronto – serrato, linguisticamente percussivo – soggetto a
continuo e reciproco scacco» le ragioni della <i>philia</i> (come affetto, appartenenza, identità e legame) che animano
l'una e l'altro, fronteggiandosi. Scrive la Mallamo che Antigone (con Ilenia
Maccarrone «spigolosa nel rendere il rigore adamantino dell'eroina») riesce
bene ad accampare «la priorità delle leggi non scritte e antiche della pietas e
dei doveri verso i defunti e i consanguinei» mentre Creonte (interpretato da un
«solido» Maurizio Donadoni) le oppone con forza «la sua fede, necessaria fede,
nei <i>nomoi</i>, le leggi umane, il diritto
fondato sulla logica e il patto sociale» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.gazzettadelsud.it/news/46973/Antigone--l-eroina--oltre.htm).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In “Un'Antigone con poco pathos al teatro greco di Siracusa”
(del 28 maggio 2013), Giuseppe Distefano scrive: «Un gigantesco muro di
cemento con, al centro, un portone. Porte divelte, disposte come scale,
s'allungano sulla sabbia bianca del palcoscenico del teatro greco. Da una buca
emergerà l'Ombra di Giocasta, figura tratta dalle <i>Fenicie</i> di Euripide, che funge da prologo sintetizzando le tragiche
vicende della famiglia di Edipo. Quindi, all'aprirsi dell'enorme portale
centrale, appariranno, via via, tutti i personaggi che animano l'<i>Antigone</i>.»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-05-28/unantigone-poco-pathos-teatro-091612.shtml?uuid=Abrd2uzH).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><b>Antigone</b> di
Sofocle ebbe la sua prima assoluta nel 442 a.C., presso il Teatro di Dioniso in
Atene, e appartiene al ciclo dei drammi tebani ispirati alla drammatica vicenda
di Edipo, re di Tebe, e della sua progenie (seguiranno altre due tragedie, l'<i>Edipo re</i> e l'<i>Edipo a Colono</i>, che in realtà raccontano gli eventi precedenti).
Ambientata davanti al palazzo reale di Tebe, viene narrato come la lotta per la
successione al trono di Tebe si sia conclusa con la morte di entrambi i
pretendenti, i due fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo e Giocasta.
Subentra lo zio Creonte, che decreta una giusta sepoltura per Eteocle (che
aveva difeso la città) ma decide per editto la non sepoltura del cadavere di
Polinice (ritenuto un aggressore della città), lasciato alle intemperie, ai cani
e agli uccelli rapaci. Nel prologo Antigone racconta alla sorella Ismene
(entrambe sono frutto dell'incesto involontario di Edipo con la madre Giocasta)
le decisioni di Creonte e le comunica la sua irrevocabile intenzione di opporsi
all'editto di Creonte, dando una sepoltura al fratello Polinice. Riceve da
Ismene il rifiuto ad aiutarla e si dispone ad agire da sola. Sorpresa dalle
guardie mentre ricopre di sabbia il cadavere del fratello, Antigone viene arrestata
e condotta dinanzi a Creonte, cui confessa il tradimento, appellandosi alle
leggi non scritte ma eterne degli Dei. Anche Ismene viene coinvolta e accusata
di complicità. Compresso fra la tutela del suo potere e prestigio personale e
la decisa determinazione di Antigone, Creonte la condannata a essere chiusa in
una grotta mentre (anche per l'intercessione della sorella) salva Ismene. E Creonte
non cede neppure dinanzi alle suppliche del figlio Emone, fidanzato di
Antigone, e alle invettive dell’indovino Tiresia. Ne segue una tragedia immane:
Antigone s’impicca (come già aveva fatto la madre Giocasta), muore suicida anche
Emone e la madre, e tutto il popolo di Tebe è devastato da una tremenda pestilenza.
I brani della tragedia da me citati sono tratti dalla versione di Ettore
Romagnoli </span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(ved. http://www.filosofico.net/antigonesofocle42.htm).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel Prologo la scena si svolge sull'acropoli di Tebe,
dinanzi alla reggia, ed è l'alba del giorno dopo che Eteocle e Polinice, i
figli di Edipo, si sono uccisi vicendevolmente nel combattere per la conquista
del trono di Tebe. Dalla reggia escono Antigone e Ismene. Antigone informa la sorella
che Creonte, il nuovo tiranno della città, vuol dare onoranze funebri al corpo
di Eteocle ma è intenzionato a lasciare insepolto quello di Polinice: «Non sai
tu che Creonte, onor di tomba / concesse all'uno dei fratelli nostri, / l'altro
mandò privo d'onore? Etèocle, / come la legge e la giustizia vogliono, / sotto
la terra lo celò, ché onore / fra i morti avesse di laggiù; ma il corpo / di
Poliníce, che perì di misera / morte, ha bandito ai cittadini, dicono, / che
niun gli dia sepolcro, e niun lo gema, / ma, senza sepoltura e senza lagrime, /
dolce tesoro alle pupille resti / degli uccelli, che a gaudio se ne cibino.». Antigone
narra anche che, con un bando, Creonte ha proclamato che chiunque avesse
trasgredito, sarebbe stato lapidato dal popolo: «[…] Son questi i fatti. E
presto / mostrar dovrai se tu sei generosa, / o se, da buoni uscita, sei
degenere.». L'editto non è stato ancora annunciato ufficialmente ma Antigone è
certa che sarebbe stato emanato; afferma che tenterà di dare comunque sepoltura
a Polinice, sfidando l'ordine del re, e domanda l'aiuto della sorella. Intimorita,
Ismene si rifiuta: «Ahimè!, sorella, al padre nostro pensa, / che odïato morì,
per le sue colpe / ch'egli stesso scoprì, d'onore privo, / e con la man sua
stessa ambe le luci / si svelse; e poi la madre sua, sua moglie - / di nomi
orrida coppia! - a un laccio stretta, / scempio fe' di sua vita; e i due
fratelli, / terza sciagura, l'un l'altro s'uccisero / in un sol giorno, miseri,
e compierono / con reciproche mani il triste fato. / Ora noi due, sole rimaste,
vedi / quanto sarà la nostra fine orribile, / se i decreti del principe e il
potere / trasgrediremo, della legge a scorno. / Ed anche a ciò convien pensare:
femmine / siamo, e non tali da lottar con gli uomini; / e assai più forti son
quelli che imperano; / e obbedire dobbiam dunque ai loro ordini, / e se fosser
più duri. Io dunque, ai morti / chiedo perdono, poi che son costretta, / ed ai
potenti obbedirò: ché ardire / oltre le proprie forze, è cosa stolta.». Visto
che Ismene teme quel che la città ordina, Antigone comprende che dovrà superare
da sola l’impresa: «[…] / Sepolcro io gli darò; bella, se l'opera / avrò
compiuta, mi parrà la morte. / E cara giacerò presso a lui caro, / d'un pio
misfatto rea. […] / […] / Tu tal pretesto adduci: io vado, e il tumulo /
innalzo intanto al fratel mio diletto.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A questo punto entra il Coro, costituito da una schiera di
grandi vecchi, che – dopo
alcune evoluzioni accompagnate dal canto –
si fermano dinanzi all'ara di Diòniso. Gli anziani tebani sono in trionfo, perché
l’esercito invasore capitanato da Polinice è stato sconfitto, e annunciano l'arrivo del nuovo re Creonte: «[…] / Soltanto
i due miseri figli / d'un grembo, d'un padre, le lancie / entrambe vittrici,
appuntando / al seno un dell'altro, retaggio / di morte comune riscossero.».
Dalla reggia esce Creonte, che si proclama re di Tebe e che decreta che il
corpo di Polinice deve essere lasciato insepolto e deve essere punito con la
morte chiunque si opponga al suo editto: «[…] / Ed ordini conformi intorno ai
due / figli d'Èdipo, bandir feci: Etèocle, / che per questa città, poi che ogni
prova / di valore compie', pugnando cadde, / si seppellisca, e quanti onori
spettano / ai più illustri defunti, a lui si rendano; / ma suo fratello,
Poliníce, dico, / l'esule che tornò, che il patrio suolo / strugger volea col
fuoco, e i Numi aviti, / che del sangue fraterno abbeverarsi / voleva, e trarre
gli altri in servitù, / costui col bando imposi alla città / che niun gli dia
sepolcro, e niun lo pianga, / ma si lasci insepolto, e, divorato / dagli
uccelli e dai cani, e, deturpato, / sia visibile il corpo. […]». Entra con
passo lento, esitante e timoroso, un soldato, uno dei custodi posti a guardia
del cadavere di Polinice, che informa Creonte che qualcuno ha disobbedito al
suo ordine, coprendo di sabbia il corpo di Polinice e compiendo il rito funebre:
«Te lo dirò. Qualcuno ha seppellito / poco fa quel defunto, ed è scomparso: / sopra
le membra sparse arida polvere, / tutte compie' le cerimonie debite.». Furente,
il sovrano, è convinto che il reato sia opera di cittadini dissidenti: «[…] / Il
vero è questo: da gran tempo v'erano / uomini che il poter mio sopportavano / di
mala voglia in Tebe, e mormoravano, / scotendo il capo di nascosto, e il collo
/ non tenean, come giusto è, sotto il giogo, / tanto che me gradissero. Da
questi, / lo intendo, per mercede, indotti furono / quei che l'opra compieron:
ché fra gli uomini / cosa non v'ha più trista del denaro: / questo perfino le
città distrugge, / questo discaccia dalla patria gli uomini, / questo è maestro
che perverte l'anime / oneste a compiere opere malvage, / d'ogni ribalderia
questo la pratica, / d'ogni empietà l'ardire apprese agli uomini. / Ma quanti
per mercede a ciò s'inducono, / arriva il giorno che la colpa espiano. / […]».
Creonte congeda la guardia, ordinando di rintracciare i colpevoli, e rientra
nella reggia.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro esplode in un elogio dell’ingegno umano e dell'uomo,
che è molto al di sopra delle cose più mirabili del mondo: l'uomo ha, infatti,
saputo sottomettere al proprio potere la terra e gli animali, ha organizzato la
propria vita tramite le leggi e ha trovato la cura per molte malattie. L'essere
umano può, però, rivolgere l’ingegno umano al male, distruggendo tutto ciò ch'egli
stesso ha costruito: «Molti si dànno prodigi, e niuno / meraviglioso più
dell'uomo. / […] / L'infaticato pensiero, e i suoni / vocali rinvenne, e le
norme / del viver civile, e a fuggire / gli etèrei dardi / d'inospiti ghiacci,
/ di piogge nemiche. / Gran copia d'astuzie possiede; / né verso il futuro, se
mezzi / di scampo non vede, s'inoltra. / […] / Oltre ogni umana credenza, il
genio / dell'arti inventore possiede; / ed ora si volge a tristizia, / ed ora a
virtù. / […]».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Si avanza Antigone, trascinata dalla guardia, la quale racconta
che – dopo aver rimosso la
sabbia dal corpo di Polinice ed essere rimasto in osservazione – ha visto la fanciulla ritornare per
seppellire di nuovo il cadavere: «Questa è colei che l'opera compieva: / costei
sorpresa abbiamo, che al cadavere / dava sepolcro. Ma dov'è Creonte?». Giunge
Creonte e la guardia continua: «[…] / E reco a te questa fanciulla, còlta / che
la tomba adornava; e non fu d'uopo / di trarre a sorte: mia fu la fortuna, /
non d'altri. E adesso, o re, prendi costei, / come ti piace, esàminala,
giudicala; / […] / Vidi costei che contro il tuo divieto / il corpo seppellía:
non parlo chiaro? / […] Ed ecco, all'improvviso / una procella sollevò,
flagello / sceso dal cielo, un nugolo di polvere, […] / la fanciulla fu vista.
E si lagnava / con grida acute di doglioso augello / allor che degl'implumi
orbo il giaciglio / scorge nel vuoto nido. Essa del pari, / come vide il
cadavere scoperto, / ruppe in gemiti; e contro quei che l'opera / compie',
lanciava imprecazioni orrende; / e sùbito raccolta arida polvere, / lo coperse;
e levata alta una brocca / bella, di bronzo levigato, serto / fece di tre
libagïoni al morto. / Noi che vedemmo, ci scagliammo, e sùbito / la fanciulla
afferrammo. Ed essa, nulla si sbigottì. / […]». Antigone ammette il fatto ma afferma
che il seppellimento del cadavere è un rito eterno voluto dagli dei, che sono di
molto superiori per potere al sovrano stesso: «Non Giove a me lanciò simile
bando, / né la Giustizia, che dimora insieme / coi Dèmoni d'Averno, onde altre
leggi / furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi / io non credei che tanta
forza avessero / da far sì che le leggi dei Celesti, / non scritte, ed
incrollabili, potesse / soverchiare un mortal: ché non adesso / furon sancite,
o ieri: eterne vivono / esse; e niuno conosce il dì che nacquero. / […] / Tu
dirai che da folle io mi comporto; / ma forse di follia m'accusa un folle.». Il
sovrano reagisce con furia per il mancato rispetto del suo editto: «[…] / Ma
figlia sia d'una sorella, o stretta / a me di sangue più di quanti Giove /
protegge sotto i miei tetti, all'orribile / sorte sfuggire non potrà, né seco /
la sua sorella: ché non men di questa / dell'averlo sepolto io quella incrìmino.
/ Chiamatela: ché in casa or or la vidi, / che furïava, uscita era di senno. / […]».
E Antigone sfida lo zio: «Che dunque indugi? Delle tue parole / niuna m'è
grata, e mai non mi sarà / grata: anche a te, così, piacer non possono / le
mie. Ma donde mai gloria più fulgida / acquistare potrei, che al mio fratello /
dando sepolcro? E lode a me darebbero / tutti costoro, se terror le lingue /
non rinserrasse: privilegi ha molti / la tirannide; e questo anche fra gli
altri: / che dire e far ciò ch'essa vuole può. / […] / Non è turpe onorare un
consanguineo. / […] / Non un servo è il caduto: è mio fratello / […] /Ade per
tutti quanti i riti brama. / […] / Chi sa se pio questo non sembri agl'Inferi? /
[…]». Creonte le rimprovera che –
lui vivo – «mai donna non
comanderà» e gli affetti mai prevarranno sulle questioni di Stato. Compare
adesso Ismene, pronta a morire insieme alla sorella («Se consente costei,
confesso: complice / sono, e con lei partecipo la colpa.»), ma Antigone – ricordando che nel momento del
bisogno l'aveva lasciata sola –
rifiuta quel suo appoggio: «Ma non consente la giustizia: ché / né tu volesti,
né compagna io t'ebbi. / […] / Morir meco non devi, e far tuo quello / che non
compievi; la mia morte basta. / […] / Salva te stessa: invidia io non ne avrò.
/ […] / Tu la vita scegliesti, ed io la morte. / […] / Tu sembrasti a taluni,
ad altri io saggia. / […] / Fa' cuor! Tu vivi; e da gran tempo è morta /
l'anima mia: potrà giovare ai morti.». E Ismene rimprovera allora a Creonte: «La
sposa di tuo figlio ucciderai?», e irriducibile Creonte le risponde: «Altri
solchi ci sono, e arar si possono»; Ismene però ribatte: «Ma non com'era questa
a quello adatta!», e lo zio ribadisce: «Pei figli miei detesto tristi femmine!».
Creonte pone poi entrambe in catene ma condanna soltanto Antigone. Antigone e
Ismene vengono trascinate dentro, mentre Creonte s'allontana. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sconsolatamente il Coro si lagna della fragilità della vita
umana, segnata da una sfilza di sventure al di là di ogni comprensibile disegno,
e così conclude: «[…] / Celebre è quella parola / detta da un uom di saggezza:
/ Spesso il male sembra un bene / ad un uomo a cui la mente / volse un Nume
alla rovina. / E da rovina ben poco tempo lontano resta.». Compare, a questo
punto, Emone, «il più giovin rampollo» dei suoi figli e promesso sposo di
Antigone, che esprime al padre Creonte tutte le sue preoccupazioni ma il
sovrano è irremovibile: obbediente, Emone deve sottoporsi al suo volere: «Mai
la lusinga del piacer di femmina / di senno uscire non ti faccia, o figlio. / Freddo,
sappi, è di femmina l'amplesso / che sia trista compagna del tuo talamo: / piaga
peggior non c'è d'un tristo amore. / […] / Ché se i parenti miei vivere io
lascio / senza più freno, che faran gli estranei? / […] / […] È necessario
dunque / difendere le leggi, e a nessun patto / consentir che una femmina ci
vinca. / Se cadere si dee, meglio cadere / per man d'un uomo: dir non si potrà
/ che noi fummo più fiacchi d'una femmina.». Emone tenta di controbattere e gli
dice: «[…] / La tua presenza, sbigottiti rende / i cittadini, sì che non ti
dicono / mai ciò che udire non ti piace: invece / io tutto posso udir, quanto
nell'ombra / dicendo van: che la città commisera / questa fanciulla, immacolata
più / d'ogni altra donna, e che compiuta ha l'opera / la più nobile, e in
cambio ne riceve / la più misera morte. / […]». Creonte minaccia Emone, che
tenta di fargli cambiare parere senza che per questo smetta di essere saggio e che
gli dice: «Città non è quella ove uno solo può. / […] / Bel sovrano saresti, in
un deserto!». Infastidito e accusandolo di essere «servo d'una femmina», il
padre lo minaccia di uccidere Antigone dinanzi ai suoi stessi occhi: «Davvero?
Ah! per l'Olimpo, a te l'ingiurie / pro' non faranno, sappilo. – Recate / qui l'odïosa femmina: morire / deve
innanzi al suo sposo, al fianco suo.». Disgustato e infelice, Emone gli risponde:
«E sia, morrà; ma non morrà già sola. / […] / Ella a me presso non morrà, né tu
/ il viso mio vedrai più: […]», ed esce furibondo. Creonte condanna Antigone a
essere seppellita in una grotta: «In un sentiero dove uomo non trànsiti / la condurrò, la seppellirò viva / in un antro
roccioso; e accanto a lei / tanto cibo porrò, quanto sol basti / ad evitare il
sacrilegio, a rendere / immune Tebe dal contagio.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro si abbandona a cantare Amore, che con la sua forza
rende pazzi gli uomini che ne sono colpiti («e i cuor delirano che tu pervadi!»).
Dalla reggia esce, in mezzo alle guardie, Antigone condotta al supplizio, che lamenta
(e il Coro è solidale con lei) il triste destino di una giovane donna destinata
a non conoscere il matrimonio: «[…] alle mie soglie / inno di nozze non suonò,
ché sorte / non m'ebbi d'Imenèi: / io sarò sposa al Nume della Morte. / […] / […]
Oh misera! / Ospite non di vivi / né di morti, non d'ombre / né d'uomini sarò.
/ […] / E tu fratello, quali tristi nozze / avesti in tuo retaggio! / Morendo,
me struggesti / ch'ero tuttora in vita. / […] / Non pianto, non amici, / non
inni nuzïali: a me s'appresta / sol questa via funesta.». Compare bruscamente Creonte,
che avanza il desiderio di non contaminarsi del crimine odioso agli dei di uccidere
una consanguinea ma sostiene la decisione di gettare Antigone in una grotta, affinché
viva lontana da tutti: «[…] Nella profonda tomba, / come v'ho imposto, sia
rinchiusa, e sola / vi sia lasciata, e ch'ivi morir debba, / o in quell'antro
restar viva sepolta.». Antigone si dispera, immaginandosi sola ed emarginata per
il resto dei suoi giorni: «[…] / Ultima ora io fra loro, e assai più misera, /
discendo, prima che sia giunto il termine / della mia vita. E, lì discesa,
spero / giunger diletta al padre, a te diletta, / madre, diletta, o mio
fratello, a te. / […] / […] ma, così tapina, / dagli amici deserta, io viva
scendo / alle fosse dei morti.». </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Antigone esce, portata via dalle guardie.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro passa in rassegna alcuni personaggi mitologici che avevano
avuto in sorte l'esser imprigionati, tra i quali la bella Dànae e l'iracondo
figlio di Driante e re degli Èdoni. Appare adesso Tiresia, il vecchio indovino
cieco guidato per la mano da un fanciullo, che si rivolge a Creonte affermando
che la città è stata resa impura per la mancata sepoltura di Polinice (come
Antigone, Polinice è nipote di Creonte e quindi un consanguineo) e invitandolo
ad abbandonare la sua inflessibilità: «[…] Queste / funeree profezie d'ambigui
riti / io da questo fanciullo appresi allora: / ché guida agli altri io sono, e
questi a me. / E tal morbo funesta la città / pel tuo disegno: ché gli altari e
l'are / pieni son della carne, che vi spargono / cani ed uccelli, dell'esposto
misero / figlio d'Èdipo; e quindi avvien che i Numi / né preci più né sacrifizi
accettano / da noi, […] / […] / Perciò, figlio, fa senno: a tutti gli uomini /
è possibile errar; […] / […] / […] Or tu / cedi al defunto, non colpire un
morto. / Sarà prodezza uccidere un cadavere?». Il sovrano accusa Tiresia di agire
per tornaconto personale, mercanteggiando e ricercando il lucro («La genìa dei
profeti avida è tutta.»), e riafferma il suo potere anche contro i grandi poteri
dell’indovino. Andando via, Tiresia gli consegna un ultimo avvertimento:
Creonte deve stare molto attento perché le Erinni dei Numi e dell'Averno hanno
deciso di agire contro di lui: «e un uom dal sangue tuo nato, cadavere / tu
dovrai dare, in cambio d'un cadavere». Turbato dalle dure parole dell'indovino
(«che mai non disse il falso»), il re si consulta con il Coro degli anziani e decide
di dare sepoltura al cadavere di Polinice e di liberare Antigone «dalla stanza
sotterranea». Creonte esce in fretta coi suoi seguaci.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro è lieto per il ravvedimento di Creonte e prega il
dio Bacco, figliuolo di Giove, di guardare con benevolenza alla sua città
prediletta, invasa tutta da un «morbo veemente». </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Giunge correndo, esterrefatto, un Messo che informa il Coro degli
ultimi tremendi avvenimenti accaduti (gli ordini di Creonte non sono arrivati
in tempo!). Entra la moglie di Creonte, Euridice, che ha sentito della sciagura
ed è corsa, sostenuta dalle sue ancelle. Il messo osserva: «[…] Era Creonte /
degno un tempo d'invidia, a quanto sembrami, / ché dai nemici libera fe' questa
/ terra cadmèa, solo sovrano fu / di tutto il regno, e lo guidava, e florido /
era per copia di bennati figli. / Ed or, tutto ha perduto. E quando un uomo /
non ha più gioie, vivo io non lo reputo, / ma spoglia inane che respiri. […]»,
e racconta che, seppellito Polinice, Creonte aveva udito i lamenti del figlio
Emone provenire dalla grotta in cui era stata segregata Antigone. Erano entrati:
«E noi guardammo, come l'ansio re / ordine dava; e dalla tomba al fondo / pel
collo stretta la fanciulla, avvinta / vedemmo a un laccio di ritorto lino, / ed
Emon presso lei, che, abbandonato, / a mezza vita la stringea, le nozze /
piangea distrutte nell'Averno, e l'opere / empie del padre, e l'infelice
talamo.». Visto il re, Emone aveva prima tentato di colpirlo con la spada ma
poi aveva rivolto l’arma contro di sé: «Ma il padre via fuggì; né quei lo
colse; / e con se stesso irato allora, oh misero!, / si gittò su la spada, e a
mezzo il petto / se la confisse. E, ancora in sé, si stringe, / col braccio già
mancante, alla fanciulla, / e sbuffa, e avventa su la bianca guancia / di rosse
stille impetuoso fiotto. / E poi che i riti nuzïali, o misero, / nell'Averno
compie', giace cadavere / a un cadavere avvinto; e insegna agli uomini /che
d'ogni male, avventatezza è il pessimo.». Alla fine del racconto di queste
orrende notizie, Euridice fugge di corsa rientrando nel palazzo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Entra Creonte seguito dai famigli che recano il cadavere
d'Emone su una bara («un insigne segnacolo / dell'error che fu suo, non
d'altrui») e lamentando la propria stoltezza che è stata responsabile della
morte del figlio: «O duri cruenti trascorsi / di folle pensiero! / Uscir da una
stessa progenie / vedete uccisori ed uccisi. / Ahimè, dei miei consigli esito
tristo! / Figlio, immaturo ad immatura morte, / ahimè, ahimè!, / tu
soccombesti, tu sparito sei, / non per i tuoi delirî, anzi pei miei!». E arriva
un secondo messo che, inorridito, riferisce che anche Euridice si è tolta la
vita: «Morta è la sposa tua, la madre, o misero, / di questo morto: s'è
trafitta or ora!». La rovina del re è completa: si definisce assassino del
figlio e della moglie e, pieno di disperazione, invoca la morte liberatoria
anche per sé: «E tu, che le nuove crucciose / recasti, che dici? / Ahimè, che
tu finisci un uom defunto!». Si aprono le porte e si vede Euridice morta,
uccisasi con una lama («Sotto il fegato, come il lagrimevole / scempio del
figlio udí, s'immerse un ferro.»), dopo aver imprecato contro il marito,
responsabile della morte del figlio. E Creonte piange e si lamenta: «Ahimè,
ahimè! / Per il terrore abbrivido. / Perché, perché nessun giunge a trafiggermi
/ col ferro aguzzo il petto? Ahi, me tapino, / in qual trabocco orribile
destino! / […] / Non sarà che da me questa colpa / su alcun altro ricada degli
uomini. / Io l'uccisi, ecco il vero! […] / […] / Deh, giunga, giunga / infine
la bellissima / fra tante morti onde reo sono, il termine / dell'ora mia fatale
giunga, sì / ch'io scorgere non debba un altro dì. / […] / Via questo insano
conducete, l'uomo / che te contro sua voglia uccise, o figlio, / e te, sposa,
oh me misero! Lo sguardo / a chi dei due volger non so, né dove / trovi un
sostegno: ché rovina è tutto / a me dintorno, e sopra il capo mio / un destino
implacabile piombò.». E Creonte si allontana seguito dai suoi principi, mentre il
Coreo conclude la tragedia così dicendo: «Arra (<i>promessa</i>) prima del viver felice / è saggezza; né mai sacrilegio /
contro i Numi ti macchi. I gran vanti / dei superbi, da duri castighi /
colpiti, ammaestrano / troppo tardi, a far senno, i vegliardi.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Termina così questa tragedia, nella quale si fronteggiano (sino
all'inevitabile conclusione finale) Creonte – un sovrano dispotico, rigido nelle sue idee e geloso del
proprio potere e della propria immagine, maschilista nel non voler sacrificare
la sua virilità dando ragione a una donna – e Antigone – dissidente perché non vuole sottomettersi alla
legge del re ma anche ribelle nel non volersi sottomettere da donna alla
volontà dell’uomo, in accordo alle convenzioni del tempo e allo stereotipo
della debolezza femminile.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Soltanto dopo il precipitare degli eventi, Creonte riconosce
la sua arroganza e i suoi errori, ma questo soltanto per la catastrofe subita e
non per un'evoluzione psicologica, che non esiste minimamente nella tragedia.
Antigone diventerà invece l'eroina che ha saputo affrontare la punizione e la
morte per tutelare gli affetti familiari, ed è più evoluta di Creonte nel suo
credere alla superiorità della legge morale che domina nel cuore dell'uomo
(molti secoli più tardi il filosofo tedesco Immanuel Kant dirà: « Due cose
riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto
più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato
sopra di me, e la legge morale in me.», frase scritta anche sulla sua lapide).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per due diverse, più moderne e stupende,
interpretazioni di <i>Antigone</i>, vedere
due miei precedenti articoli:</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">- Jean Anouilh e la fiera “ribelle” Antigone </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://silvia-iannello.blogspot.it/2011/12/jean-anouilh-e-la-fiera-ribelle.html)</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">- Antigone, Sofocle e Valeria Parrella </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://silvia-iannello.blogspot.it/2013/04/antigone-sofocle-e-valeria-parrella.html) </span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-30774816020841979072013-06-03T02:14:00.000-07:002013-06-03T02:16:02.599-07:00Sofocle, Edipo re, teatro greco di Siracusa e la regia di Daniele Salvo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVcwplP2qFmYnS3t8MhUwR3kdNt0PTEf5PhyhK_IJ0SUHtevACkHt1WTrlYLxDAfkvylz_hKYZ7sIXCouPtERf83rGyx9RD0EvlzdGfyPdqgSwiaa3h8cBedyZfDFwBeBIJShxgZl8ulc/s1600/Edipo+re+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="133" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVcwplP2qFmYnS3t8MhUwR3kdNt0PTEf5PhyhK_IJ0SUHtevACkHt1WTrlYLxDAfkvylz_hKYZ7sIXCouPtERf83rGyx9RD0EvlzdGfyPdqgSwiaa3h8cBedyZfDFwBeBIJShxgZl8ulc/s200/Edipo+re+2.jpg" width="200" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghDThAzz-XQgJqfdThlrfOXQO60Fd6bNnbEH7_tlp2UwzqpzaFJBcsPu2oIoIPvB_AzPjaSKrwSTbuCOn_Xa3YabJUALdUf2rKmMNq_poZBJjrL89acKod6PeAqFsNqLlNi3sMPhSsO1g/s1600/Edipo+re+3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="133" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghDThAzz-XQgJqfdThlrfOXQO60Fd6bNnbEH7_tlp2UwzqpzaFJBcsPu2oIoIPvB_AzPjaSKrwSTbuCOn_Xa3YabJUALdUf2rKmMNq_poZBJjrL89acKod6PeAqFsNqLlNi3sMPhSsO1g/s200/Edipo+re+3.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Immagini da Edipo re, per la regia di Daniele Salvo</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Alternandosi con la
tragedia di Sofocle, <b>Antigone</b> diretta
da Cristina Pezzoli, e con la commedia di Aristofane <b>Donne al parlamento</b>, diretta da Vincenzo Pirrotta, dall'11 maggio
al 23 giugno, presso il Teatro Greco di Siracusa, si rappresenta <b>Edipo re</b>, per la traduzione di Guido
Paduano e per la regia di Daniele Salvo, con Daniele Pecci (Edipo re), Laura
Marinoni (Giocasta), Maurizio Donadoni (Creonte, fratello di Giocasta), Ugo
Pagliai (l'indovino Tiresia), Mauro Avogadro (Servo di Laio e Sacerdote) e
Francesco Biscione (primo Nunzio). Per il Coro, l'Accademia d'Arte del Dramma
Antico della Fondazione Inda ha reso disponibili i suoi allievi del primo
corso. <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il noto attore televisivo e cinematografico Daniele Pecci è
un giovanile, bruno e vigoroso, Edipo re; ha confessato l'attore: «Per un
attore teatrale Edipo è uno dei pilastri su cui poggiare la propria carriera, un'occasione che capita una volta
nella vita. […] Ho cominciato questo mestiere con il teatro classico. Debuttai,
venticinque anni fa, proprio in un Edipo dove ero l'ultimo dei personaggi. Credo
che l'Edipo re sia la più bella tragedia, il più grande personaggio. Sofocle è
l'autore più potente, per me è un sogno che si realizza. […] Al cinema basta un
primo piano per arrivare allo spettatore, puoi, in un certo senso, permetterti di essere più passivo.
Invece il teatro è una forma attiva di
recitazione. L'attore deve penetrare lo spazio e il tempo e imporsi con una forza diversa. Con Daniele Salvo, il
regista, non ci siamo posti l'obiettivo di essere originali a tutti i costi.
Dopo la lettura del testo abbiamo deciso
di puntare sull'aspetto dispotico del personaggio, piuttosto che sul lato
vittimistico, quasi precristiano. Quella di Edipo è una tirannide arcaica,
violenta, ruvida. […] Ha una presenza fisica imponente, lo abbiamo dotato di
atleticità e forza fisica. […] Come da copione il nostro Edipo è zoppo. […]
Salvo ha molta esperienza, mi sono completamente affidato alla sua visione
registica, l'ho seguito in tutto. […] Spero che sia un trionfo, che al pubblico
piaccia il mio Edipo e che la produzione e il regista restino contenti"» (a
cura di Livianna Bubbico,</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">http://www.repubblica.it/spettacoli/teatro-danza/2013/05/09/news/daniele_pecci_basta_soap_ora_faccio_edipo_a_siracusa-58416275/).
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il regista è l'emiliano Daniele Salvo (grande attore e in
passato aiuto regista di Luca Ronconi), esperto di Sofocle, avendo già presentato
nel 2009 <b>Edipo a Colono</b> (2009) con
Giorgio Albertazzi e <b>Aiace</b> (2010) con
Maurizio Donadoni (spettacolo per il quale è stato premiato con un Premio
Golden Graal per la sezione dramma). Salvo ha sottolineato che «si tratta di
una tragedia complessa basata molto sull’inconscio e dalla matrice
prettamente freudiana» e ha precisato di
aver voluto lavorare molto «sulla credibilità, sulla verità profonda del testo».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In una sua intervista rilasciata durante le prove dello
spettacolo, con riferimento a Sofocle, Daniele Salvo ha detto: «È un autore
molto interessante, molto complesso e che si presta a interpretazioni molto
estreme e differenziate.»; ha precisando inoltre di aver voluto fare di “Edipo
re” una «versione molto poco ortodossa», simile alle «visioni anamorfiche» dei
quadri di Salvador Dalì o di Holbein, allineando dentro il testo «due o tre
interpretazioni diverse» e lasciando agli spettatori la possibilità di sceglierne
una. Salvo ha accennato a una «Tebe omertosa» e a un'«ambiguità del testo»
(tutti fingono di non sapere nulla ma in realtà tutti, inclusi Edipo e Giocasta,
seppure inconsciamente, sanno), e al suo desiderio di condurre lo spettatore al
centro di un incubo, al centro di un sogno che ha la dimensione freudiana di
un'auto-analisi. Spinto dagli oracoli, Edipo va alla ricerca di sé, nel
tentativo di scoprire il mistero dell'uomo ma il mistero dell’uomo in realtà
non viene risolto (in modo onirico Salvo usa lo spettro della sfinge per
dimostrare che non è stata sconfitta) ed Edipo soltanto alla fine, nel dolore e
nella sofferenza, conquisterà la consapevolezza. Parlando di Pecci, il suo
protagonista, ha detto Daniele Salvo: «con Daniele io intendevo fare un Edipo
molto giovane, un Edipo molto dinamico», che ha con la madre - ancora molto
femminile - un rapporto sensuale. Ha anche focalizzato nello spettacolo
teatrale al Teatro Greco «la ricerca recitativa», l'importante «rapporto con la
musica» e la sua collaborazione con Marco Podda, «uno scienziato che studia gli
effetti del suono sulla psiche umana», ponendo la musica al servizio del
linguaggio in un coinvolgimento emotivo di tutto il pubblico, che a Siracusa è
quanto mai eterogeneo. Ha concluso Salvo: «Tutti gli artisti impegnati qui
stanno portando la loro forza, la loro dedizione, la loro fatica, perché
appunto si prova tantissime ore, di notte, al Teatro Greco, con il massimo
impegno»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.teatro.org/rubriche/interviste/daniele_salvo_dirige_l_edipo_re_di_sofocle_per_la_stagione_2013_dell_inda_36791).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gerardo Marrone, nel suo articolo “<i>Edipo Re</i> torna a far vibrare il teatro greco di Siracusa”, così
scrive: «L'inesorabile onnipotenza del Fato, la forza devastante della verità,
la precarietà della condizione umana. La Tragedia greca, insomma. O quella “summa”
scritta da Sofocle, l'Edipo Re, che ieri è tornata a far vibrare la platea del
teatro antico di Siracusa. […] Allestimento coinvolgente, dai ritmi sempre
elevati e dall'imponente scenografia, questo Edipo Re per la regia di Daniele
Salvo. […] Potente la prova di Ugo Pagliai che è il vecchio Tiresia, efficace
il protagonista Daniele Pecci, suggestiva Melania Giglio nello Spettro della
Sfinge» (http://www.gds.it/gds/multimedia/home/gdsid/260537/.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L'<b>Edipo re</b>, ritenuta
il capolavoro di Sofocle, ebbe la sua prima assoluta nel 430-420 a.C. circa,
presso il Teatro di Dioniso in Atene. La tragedia è inserita nel “ciclo tebano”
(la storia mitologica della città di Tebe) e la ben nota è la drammatica
vicenda, come ben noto è l'amaro destino di Edipo, figlio del sovrano di Tebe,
Laio, e di Giocasta, destinato dal fato a uccidere il padre e a sposare la
madre. Allertato da un oracolo, Laio decide la morte del figlio neonato ma un
servo lo salva, abbandonandolo sul monte Citerone, ove sarà nutrito da un
pastore e adottato dal re di Corinto. Dopo molte prove il destino si realizza
e, senza saperlo, Edipo uccide il padre sconosciuto per via e sposa Giocasta,
rendendola madre di quattro figli. Con orrore Edipo scoprirà, in un sol giorno,
di avere ucciso inconsapevolmente il padre e di averne sposata la vedova (che,
sconvolta, si uccide per il dolore, il rimorso e la vergogna). Tramortito dalla
rivelazione, Edipo si acceca e, accettando l'esilio, si muove verso Colono lungo
un tragico percorso di espiazione (i brani della tragedia da me citati sono
tratti dalla versione di Ettore Romagnoli, ved. http://www.filosofico.net/edipresofocle42.htm).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La scena si svolge sulla piazza dinanzi alla reggia d'Edipo
mentre una grande moltitudine di gente, bambini, giovani e vecchi, si aduna dinanzi
alla reggia, portando rami avvolti da bende di lana e lamentandosi. Sulla
soglia della reggia appare Edipo, che è divenuto l'amato re Tebe perché ha
saputo rispondere correttamente all’enigma della Sfinge, liberando la città dal
terribile mostro saggio ma devastante. Nel Prologo Edipo si trova a dover
combattere una tremenda pestilenza che affligge Tebe: «[…] / perché veniste?
Per pregare? O quale / terror vi spinse? Ad ogni modo io voglio / darvi
soccorso: se di tante preci / non sentissi pietà, non avrei cuore!». Il
Sacerdote così lo informa: «[…] La città, / come tu stesso ben lo vedi, troppo
/ è già sbattuta dai marosi, e il capo / più non riesce a sollevar dal baratro
/ del sanguinoso turbine: distrutti / i frutti della terra ancor nei calici: / distrutti
i bovi delle mandrie, e i parti / delle donne, che a luce più non giungono: / e
il dio che fuoco vibra, l'infestissima / peste, su Tebe incombe, e la tormenta,
/ e dei Cadmèi vuote le case rende: / sì ch'Ade negro, d'ululi e di pianti / opulento
diviene. […] / […] Or, tutti vòlti, / Èdipo, a te, che sommo sei nell'animo / di
tutti, or ti preghiamo: per noi trova / qualche soccorso: […] / […] Or via,
sommo fra gli uomini, / rimetti in piedi Tebe! A lei provvedi!». Edipo, che
soffre al pari del suo popolo e che ha
versato molte lacrime, ha mandato Creonte, il fratello della regina Giocasta, a
interrogare l’oracolo di Delfi sulle cause di quell'orrenda epidemia: «[…] mio
cognato, il figlio / di Menecèo, Creonte all'are pitiche / mandai d'Apollo, a
chiedere che debba / io fare o dire a salvazion di Tebe. / […]». Al suo
ritorno, Creonte informa che la città è stata contaminata per l'uccisione di
Laio, il precedente re di Tebe, rimasta invendicata ed Edipo si scaglia
minaccioso contro l'ignoto responsabile: «Il bando; o riscattar sangue con
sangue: / ché sangue sparso la città travaglia. / […] / Apollo chiaramente ora
c'impone / gli assassini punir, quali che siano.». Nel tempo in cui Tebe era sotto
l'incubo della Sfinge, Laio era voluto andare a Delfi ma lungo la strada era
stato assalito da briganti; il suo assassino vive però ancora nella città, la
cui prosperità non è più possibile se non identificando ed esiliando il
colpevole. Edipo si dice pronto a tutto per ritrovare l'assassino di Laio.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ventiquattro vegliardi entrano con lenti passi ritmici e
misurati nel canto, e si collocano intorno all'altare di Diòniso. Il Coro degli
anziani tebani, canta una preghiera agli dei perché intervengano per proteggere
la città. Durante le ultime parole del Coro, Edipo esce dalla reggia, esigendo che
chi sa parli: «Fra i cittadin di Tebe ultimo io giunto, / a voi tutti, o
Cadmèi, questo proclamo. / Chi di voi sa da quale man fu spento / Laio, il
figlio di Làbdaco, gl'impongo, / che tutto a me disveli. E se l'accusa / contro
se stesso alcun per tema asconde, /
sappia che nessun male ei patirà, / e illeso andrà da questo suolo in
bando.». Proclama un per chi ha ucciso Laio e per chi protegga o nasconda
l'assassino un bando d'esilio: «Questo a voi tutti che facciate impongo, / per
me stesso, pel Dio, per questa terra / senza più frutti, senza Iddii perduta. /
[…] / […] Ed or, poi che le redini / ch'ei già reggeva, io reggo, ed il suo
letto / posseggo, e la sua donna; e i figli miei / comuni avrei coi figli suoi,
concetti / da un medesimo grembo, ove il suo talamo / fosse stato fecondo - ma
su lui / balzò la mala sorte: - ora per lui / come pel padre mio combatterò, / ogni
via correrò, tentando cogliere / chi le man tinse nel sangue di Laio.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro suggerisce al re d'interrogare Tiresia: «So che
Tiresia ciò che vede Apollo / anch'egli vede: oh sire, chi l'interroghi, / ben
chiaro può saper tutto ch'ei brami.». Ed entra Tiresia, vecchissimo e cieco,
guidato per mano da un bimbo; a lui il re vuol chiedere di svelare l'identità
dell’assassino. Egli però si rifiuta di rispondere, perché ritiene più saggio
tacere per non provocare altre terribili sventure: «Ahi, ahi! Sapere quanto è
duro, quando / a chi sa nulla giova! Io ben sapevo, / ed obliai. Venir qui non
dovevo. / […] / Lasciami andare! Ci sarà più facile / compier così tu ed io la
nostra sorte. / […] / E tutti siete dissennati! I mali / miei non dirò: ché i
tuoi svelar dovrei! / […] / Né te né me crucciare voglio. A che / dimandi
invano? Io nulla ti dirò. / […] / Oltre non parlerò! Sappilo, e accenditi, /
[…] / sin che tu vuoi, dell'ira più selvaggia.». . Edipo si adira e ordina a
Tiresia di parlare. ma il vecchio si rifiuta, facendo aumentare la collera del
re. A questo punto Tiresia accusa Edipo di essere l’assassino di Laio: «Davvero? Io d'obbedir t'intimo al bando / ch'hai
promulgato, e che da questo giorno / non rivolga parola a me né a questi: / ché
tu di Tebe sei l'empia sozzura.». Il re è indignato oltremisura e gli dice che
non potrà salvarsi da quell'accusa ma Tiresia gli risponde: « Salvo già sono! È
la mia forza il vero. / […] / Dico che tu sei l'uccisor che cerchi. / […] / Coi
tuoi più cari in turpe intimità / vivi, e nol sai: né il male ove sei scorgi.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Indignato Edipo accusa Tiresia: «cieco di mente sei, d'occhi
e d'orecchi / […] / Tutta una notte è la tua vita: e me / danneggiare non puoi,
né alcun veggente.». Egli comincia a sospettare che Creonte e Tiresia abbiano
ordito una trama diabolica per buttarlo via dal trono e che Creonte
occultamente manovri Tiresia: «questo stregone, cucitor d'insidie, / ciurmador
frodolento, che ben vede / solo nel lucro, e che nell'arte è cieco!». Tiresia
se ne va, profetizzando che alla fine di quello stesso giorno il colpevole verrà scoperto e che come
un mendicante cieco si allontanerà in esilio verso una terra straniera: «E poi
che tu vituperi la mia / cecità, parlerò. Tu aperti hai gli occhi, / eppur non
vedi in che sciagure sei, / né dove abiti, né chi sono quelli / che vivono con
te. Dimmi: sai forse / da chi sei nato? Dei tuoi cari, o vivi / sopra la terra,
o già sotterra, tu / sei l'inimico, e non lo sai. / […] / […] Ora parto, e ti
dico: / l'uom che cercando vai, spacciando bandi / per la morte di Laio, e minacciando,
/ quell'uom è qui: metèco e forestiero, / ora si crede; e invece si vedrà / ch'egli
è tebano: né di tal ventura / s'allegrerà: ché, da veggente fatto / cieco, da
ricco povero, tentando / il suolo col bordone, andrà fuggiasco / sovra terra
straniera; e si vedrà / che vive insiem coi figli suoi, fratello / e padre,
insieme con la donna ond'egli / nacque, figliuolo e sposo; e ch'è del padre / suo
l'assassino, e nel suo solco semina.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tiresia si allontana ed Edipo rientra nella reggia. Il Coro prima
immagina la fuga dell'«ignoto assassino», inseguito sia dagli uomini sia da Giove
e dalle Parche, ma poi decide di non ascoltare le parole di Tiresia, poiché non
è infallibile nemmeno il grande indovino. Si presenta Creonte, che ha saputo
che Edipo lo crede responsabile di una cospirazione, e appare Edipo che lo
accusa apertamente e con toni sempre più violenti: Creonte si trovava a Tebe
con Tiresia, quando Laio era stato ucciso: «Immaginavi tu ch'io non vedessi / strisciar
la frode, o, vistala, indugiassi / a rintuzzarla? Ah! Ma fu pazza impresa / la
tua, senza partito e senza amici / dar la caccia al poter, che si conquista / sol
con molte dovizie e molta gente.». Con pacatezza Creonte gli risponde di non
aver avuto mai interesse al trono: «Questo prima considera. Chi v'è / che
comandare fra i terrori elegga, / piuttosto che dormir sonni tranquilli, / se
uguale impero aver potrà? Non io, / né alcuno ch'abbia senno, eleggerà / esser
sovrano, invece che potere / ciò che un sovrano può. Tutto or da te, / senza
terrore, io ciò che bramo ottengo: / qualora io fossi re, contro mia voglia / dovrei
pur fare molte cose. E come / chiamarmi re, più dolce mi sarebbe / che poter
senza crucci? Oh tanto folle / non sono ancor, ch'io cerchi altro che il bene /
con l'utile congiunto. Ora da tutti / son prediletto; ognuno a me s'inchina; / chi
bisogno ha di te, blandisce me: / ché per essi impetrar tutto posso io. / Il
mio stato col tuo perché mutare? / […] / […] Ma prima / ch'io mi difenda, non
lanciar l'accusa / in causa ambigua; ché non è giustizia / reputar buoni i
tristi, e tristi i buoni. / E gittar via l'amico fido, è come / gittar la
propria, la diletta vita. / Col tempo d'ogni cosa avrai certezza: / ché solo il
tempo saggia l'onestà: / a conoscere il tristo un giorno basta.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A quel punto giunge dalla casa Giocasta, sorella di Creonte
e vedova di Laio, ora moglie di Edipo, per mezzo della quale forse è possibile
comporre lite: «O sciagurati, a che questa contesa / di parole, demente? E non
v'è scorno, / mentre su Tebe tal malore incombe, / guai privati eccitare? Or
tu, rientra: / e tu, Creonte, alla tua casa torna: / non rendete gigante un mal
da nulla!». Giocasta invita il marito a non dare ascolto né a oracoli né a indovini:
anche Laio aveva ricevuto una profezia che gli preconizzava l'uccisione da
parte del figlio mentre era stato assassinato da alcuni banditi sulla strada
per Delfi, là dove si incontravano tre strade: «[…] Un giorno, / giunse a Laio
un oracolo, non dico / d'Apollo stesso, ma dei suoi ministri, / ch'era destino
a lui spento morire / per man del figlio che da me nascesse. / E invece, lui,
come ognun sa, l'uccisero / in un trivio i ladroni; ed il fanciullo, / non
corsero tre dì dalla sua nascita, / e, avvinghiatigli i piedi alle giunture, /
per mano d'altri, il padre lo gittò / su monte impervio. Ed Apollo non fece / né
che quello uccisor del padre fosse, / né che dal figlio suo ciò che temeva / Laio
patisse: e ciò pur decretavano / le profetiche voci. […]».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel sentir le parole di Giocasta, Edipo si sgomenta e chiede
di poter sentire il testimone dell’omicidio di Laio, un servo che era riuscito
a mettersi in salvo che adesso vive lontano da Tebe, pascendo le greggi nei
campi. Alla regina, che chiede al marito la causa di quel turbamento, Edipo
risponde raccontando che, quando era il principe ereditario di Corinto (figlio
del re Polibo), l’oracolo di Delfi gli aveva predetto «miseri, atroci, orridi
eventi»: «ch'io giacerei con mia madre, e darei / la vita ad una stirpe
intollerabile / ad ogni gente; e diverrei del padre / ond'io m'ebbi la vita,
l'assassino». Per evitare che la profezia potesse avverarsi con l'uccisione di
Polibo, sconvolto, Edipo era fuggito lontano dalla terra corinzia ed era giunto
a un trivio, sulla strada tra Delfi e Tebe: «Così, peregrinando, alla contrada
/ giunsi, ove dici che fu spento il re.». Lì aveva litigato con un uomo che lo
aveva preso a randellate, uccidendolo. Temeva che quell'uomo fosse Laio: «[…] Or,
se Laio / e lo straniero son tutt'uno, chi / più misero di me, più inviso ai
Numi? / Niuno dei cittadini e niun degli ospiti / può ricevermi in casa o
favellarmi, / ma mi deve scacciare.<span style="color: red;"> </span>E lo
scongiuro, / io, non già altri, contro me lanciai: / io, con le mani mie che gli diêr morte, / il
letto dell'ucciso ora contamino. / Ah, ch'io non vegga, oh reverenza somma / dei
Numi, ah, ch'io non vegga un giorno simile! / Via sparisca dal mondo, anzi
ch'io scopra / di sciagura su me macchia sì turpe!». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Corifeo invita Edipo a non arrivare a conclusioni
affrettate, sentendo prima il pastore, testimone dell’omicidio: s'egli parla di
molti ladroni e non di un solo uomo, Edipo sarà salvo! Edipo e Giocasta
rientrano nella reggia e il Coro appare turbato dall'incredulità di Giocasta dinanzi
agli oracoli e si lancia in un ammonimento contro coloro che non venerano gli
dei e che pretendono di violare le leggi eterne degli dei: là ove gli uomini
non riconoscono più la giustizia divina e cedono alla tracotanza, là si nasconde
la tirannide del despota. Dalla reggia esce Giocasta, seguita dalle sue ancelle
che recano fiori e cassette d'aromi da ardere sull'ara per Apollo: «Tu a noi
matura qualche esito lieto, / ché noi, vedendo sbigottito l'uomo / che la nave
reggea, tutti tremiamo.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Giunge, intanto il messo da Corinto, un vecchio pastore, che
si rivolge ai vecchioni del Coro, informandoli che Edipo diverrà re, perché Polibo
è morto consunto dalla malattia («ché lo serra entro la tomba morte»). Giocasta
manda l'ancella ad avvertire Edipo della notizia: «Ancella, e non t'affretti?
Entra, e la nuova / reca al signore! - Oracoli del Nume, / dove siete? Da lungo
tempo Edipo / quell'uom fuggiva trepidando sempre / che ucciderlo dovesse; e
quegli or muore / naturalmente, e non per mano sua!». L'ancella etra in casa ed
esce Edipo che si consola, apprendendo che il padre non è morto per mano sua: «Veh,
veh, Giocasta! A che più la fatidica / fiamma di Pito consultare, e i gridi / degli
uccelli, onde a me venne il presagio / che ucciderei mio padre! E questi or,
morto / giace sotterra; ed io son qui; né arma / ho toccata - se pur non l'avrà
spento / brama di me: ché per ciò solo, spento / da me dirlo potresti. Ed ora
Pòlibo / giace vicino all'Ade, ed i
responsi / scemi d'ogni valore ha seco addotti.». Per quel che riguarda la
profezia su sua madre («le nozze materne» con Mèrope, la consorte di Pòlibo), il
messo rassicura Edipo, dicendogli che trema a torto perché i sovrani di Corinto
non erano i suoi genitori naturali; infatti, erano senza figli ed Edipo è stato
adottato, e il messo può testimoniarlo con certezza perché - pastore sul monte
Citerone - proprio lui aveva ricevuto Edipo neonato da un servo di Laio e lo
aveva portato a Corinto. A questo punto Edipo sente vicina la scoperta delle sue
origini e convoca il servo di Laio, un mandriano che è lo stesso che avrebbe
potuto testimoniare sull'assassinio di Laio. Giocasta, che ha ormai compreso tutta
la verità, supplica Edipo di lasciar stare le sue ricerche ma non viene
ascoltata: «Non cercar più, no, per gli Dei, se cara / t'è la tua vita! Il mal
ch'io soffro basti! / […] / Dammi ascolto, ti prego! Non far ciò! / […] / So
quel che dico! Il meglio io ti consiglio. / […] / Ah! chi tu sei, mai tu non
sappia, o misero! / […] / Ah, sciagurato, sciagurato! Posso / dirti questo
soltanto, e nulla più.». La donna esce disperata. Edipo desidera invece
conoscere le sue origini: «Sarà quel che sarà! Ma ben voglio io / conoscere il
mio sangue: e sia pur vile. / Essa, che, vera donna, è tutto orgoglio, / arrossirà
della mia bassa nascita: / io non m'adonterò: figlio mi reputo / della Fortuna,
che mi fu propizia.». Rientra nella reggia. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro è pieno d'esultanza perché Edipo sembra ormai vicino
a conoscere le proprie origini, e celebra il monte Citerone «quale madre d'Edipo,
quale nutrice e patria». Intanto arriva il vecchio mandriano, servo che «era,
quanto altri mai fedele a Laio», atteso da Edipo con grande impazienza. Il re
lo mette a confronto con il messo venuto da Corinto e lo tempesta di domande;
il messo rammenta al mandriano che gli aveva dato un bimbo perché l'allevasse come
suo e, accennando Edipo, osserva: «Questi è colui che allora era bambino». Il
servo tergiversa e intima al messo di stare zitto ma ormai Edipo vuol sapere tutta
la verità e lo pressa e lo minaccia. Il servo conferma allora di avere avuto il
pargolo, figlio di Laio, dalla madre stessa con l'ordine del padre di ucciderlo,
in quanto - in accordo con una profezia - il figlio avrebbe ucciso il padre (la
stessa Giocasta avrebbe potuto confermarglielo). Per pietà il servo, però, non
l’aveva ucciso e l’aveva invece consegnato al pastore che l’aveva portato a
Corinto: «Per la pietà, mio re, ché ti portasse / in altra terra, nella terra
sua! / E a più gran male ei ti salvò: ché misero / sei, se colui che questo
dice, sei!». A questo punto l’intera vicenda è chiara e, pieno d'orrore, Edipo fugge
entro la reggia urlando: «Ahimè, ahimè! Tutto è già chiaro! Luce! / In te
m'affisi per l'ultima volta! / Ch'io da chi non dovea nacqui, convivo / con chi
non devo, e ucciso ho il padre mio!».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Arriva il Coro degli anziani tebani che compiangono la triste
sorte di Edipo, re stimato ma autore involontario di atti tremendi e orribili: «Or,
chi di lui più misero? / Chi s'ebbe ugual retaggio, / nel tramutar del vivere,
/ di cordoglio selvaggio? / Edipo, inclito principe, / a qual porto fatale!, / a
un letto nuzïale, / padre e figlio, sei giunto.». Non vorrebbero mai averlo
conosciuto, tanto è spaventosa la pietà che suscita in loro la sua tragica vicenda:
«Ahimè, figlio di Laio, / mai non t'avessi visto!». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dalla reggia esce intanto un servo, che mostra i segni del
più vivo terrore e che si rivolge al Coro, annunciando che Giocasta si è
impiccata: «Giocasta, sangue dei re nostri, è spenta! / […] / Ella si uccise.
Ma di ciò che avvenne / manca il più crudo: ché la vista manca. / Pur, quanto
la memoria ancor mi vale, / i tormenti saprai di quella misera.». Dopo aver
visto ciò, Edipo, schiantato, s'era accecato con la fibbia della sua veste: «[…]
Ed ei, come la scòrse, / con un orrendo mugolo, meschino, / calò la salma appesa.
E poi che a terra / giacque, vedemmo un orrido spettacolo. / Le fibbie d'oro
onde sostegno avevano / le vesti della donna, svelse, ed alte / le sollevò su
le pupille, e in queste / le conficcò, perché, disse, mai più / non vedessero i
mali ond'ei fu reo, / né quelli che patì, ma d'ora innanzi, / solo nel buio in
quelli si affiggessero / che non dovean veder, né conoscessero / chi conoscer
bramavano. Così / impreca, ed una volta, e più, solleva / le palpebre, e le
fora; e le pupille / sanguinolente bagnano le guance: / […] / Ahi! Fu l'antica
/ vera felicità; ma ora, gemiti, / morte, sciagura, vituperio, cerca / quanti
nomi ha sciagura, e niuno manca.». Compare allora Edipo accecato, condotto per
mano da un servo e accompagnato dalla lamentazione del Coro che racconta come
abbia compiuto quell'atto perché non gli è dolce vedere nulla, dato che ormai è
un uomo maledetto e aborrito dagli dei. Edipo si lagna di non esser morto
bambino e maledice: «Muoia chi, sciolti dai selvaggi vincoli / i piedi miei, me
trasse a salvamento, / e mi raccolse, ahimè, non pel mio bene! / Se quel giorno
ero spento, / né a me né ai cari causa sarei di tante pene. / […] / Né
l'uccisor sarei / del padre, e non direbbero / me di colei che madre ebbi,
consorte.». Arriva adesso Creonte, tenendo per mano le due figliuole d'Edipo, Antigone
ed Ismene, e - dinanzi alla disperazione di Edipo - lo invita a riporre la sua fiducia
nel dio Apollo. Edipo abbraccia le sue bambine, piangendo sulla loro sorte
infelice in quanto progenie di nozze incestuose: «Figlie mie, dove siete? Oh,
qui venite, / a queste mie mani
fraterne: […] / […] / E per voi piango: e guardar non vi so, / pensando il
resto dell'amara vita / che trascorrer fra gli uomini dovrete. / […] / Quale
sciagura manca? Il padre vostro / fu del padre uccisore, il campo arò / ov'ei
fu seminato, e n'ebbe figlie / dal grembo istesso ond'ei vide la luce. / Tale
obbrobrio udirete. E chi sposarvi / vorrà? Nessuno, oh figlie! E senza nozze / e
senza figli vi dovrete struggere. / […] / Or questo voto io fo per voi.
Dovunque / conduciate la vita, oh, miglior sorte / a voi che al vostro genitore
arrida.». Edipo chiede infine a Creonte di volerlo esiliare: «Presto da questa
terra via discacciami, / dove niun sia che a me rivolga mente. / […] / Era già
chiaro il suo responso: togliere / di mezzo me, l'impuro, il parricida. / […] /
Via di qui scacciami.». Edipo lascia le figlie e Creonte lo conduce entro la
reggia. E la tragedia finisce con il Coro che abbandona l'orchestra piangendo il
destino di Edipo: «Or, mirando questo giorno luttuoso, non far stima / che
beato sia veruno degli effimeri, se prima / scevro d'ogni orrido male - non sia
giunto al dì fatale.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Fato cieco e inesorabile ha rivelato l'estrema fragilità
dell’esperienza umana ed Edipo è passato dall'apice dell'amore del suo popolo e
del potere al fondo dell'abiezione più bassa, nonostante abbia fatto tutto il
possibile per contrastare la profezia, abbandonando gli amati genitori e cambiando
vita e città. E questo conflitto tra predestinazione (e volontà divina) e tra libertà
(e responsabilità personale), quest'antitesi magia-tabù ancestrali e razionalità-intelligenza
rende più amara la tragedia! Infatti a nulla servono tutte le precauzioni di
Edipo e il passaggio dalla felicità all'infelicità avviene inevitabilmente,
senza malvagità ma per errore, anche se può cogliersi in Edipo una superba
tracotanza nel voler arrivare alla conoscenza, al di là di certi limiti
invalicabili. Ed Edipo si acceca perché Tiresia, attraverso la sua cecità, riusciva
a vedere il Vero mentre Edipo, attraverso i suoi occhi, era riuscito a vedere soltanto
illusioni e falsità.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questa tragedia è servita allo psicoanalista Sigmund Freud per spiegare
il complesso di Edipo, cioè la pulsione di possesso e sessuale del bambino per
la madre e l'inconscio desiderio di morte e di sostituzione nei confronti del
padre.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-55859402779390476542013-05-24T03:01:00.001-07:002013-05-24T03:06:10.199-07:00Dante e le parole d’amore eterno nella Divina Commedia<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFW6qcXrO6IcST4BBivTAzYG2DW0RNhRQ31-KGN7tJl9Vfq4l19mWxgodE-bT_1mU1-2IiH12JeKuZAfbqwcSi9ufnJ4Iw3sF5_23BGV-Qvw7_eG41ErY1lyfKAQr93AnsRFRB6n1u-pY/s1600/paolo+e+francesca.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="133" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhFW6qcXrO6IcST4BBivTAzYG2DW0RNhRQ31-KGN7tJl9Vfq4l19mWxgodE-bT_1mU1-2IiH12JeKuZAfbqwcSi9ufnJ4Iw3sF5_23BGV-Qvw7_eG41ErY1lyfKAQr93AnsRFRB6n1u-pY/s200/paolo+e+francesca.jpg" width="200" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjFEKIgMAFTigDb41bnQMx13Ie4i82bzXnpGvQo91OSb25h7pL3cCnXrhNPyp8YTcg4SwQ2U8u2onMzgSCfiqfu_c2o2crcV92L9_3qUgajIIXml5Xi2BXgH5Rb4y9i7JaOYedzwA8i-I/s1600/Dante+e+Beatrice.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="143" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjFEKIgMAFTigDb41bnQMx13Ie4i82bzXnpGvQo91OSb25h7pL3cCnXrhNPyp8YTcg4SwQ2U8u2onMzgSCfiqfu_c2o2crcV92L9_3qUgajIIXml5Xi2BXgH5Rb4y9i7JaOYedzwA8i-I/s200/Dante+e+Beatrice.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<span style="font-size: 12pt;"> Paolo e Francesca </span><span style="font-size: 12pt;">Dante e Beatrice</span><br />
<span style="font-size: 12pt;"><br /></span>
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKgm_kecxtmMp2MugzcR-oIwSDHAQFb82uVgG9F_0Xs407P_jaiG16guAlEzMMVh3ZXBOugL5jar0LiDUI94iXC3ydNyuTBAhs1bWIMHDAhrfGtPfj0jJLo40lfXmD7Ou47S02c4RrA-A/s1600/Dante-e-Beatrice-Nottola.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKgm_kecxtmMp2MugzcR-oIwSDHAQFb82uVgG9F_0Xs407P_jaiG16guAlEzMMVh3ZXBOugL5jar0LiDUI94iXC3ydNyuTBAhs1bWIMHDAhrfGtPfj0jJLo40lfXmD7Ou47S02c4RrA-A/s200/Dante-e-Beatrice-Nottola.jpg" width="133" /></a><span style="font-size: 12pt;"><br /></span>
<span style="font-size: 12pt;"> </span><span style="font-size: 12pt;"> </span><br />
<span style="font-size: 12pt;"> </span><br />
<span style="font-size: 15.600000381469727px;"><br /></span>
<br />
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="text-indent: 0cm;">Paradiso di Eimuntas Nekrošius</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i><br /></i></span>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i><br /></i></span><br />
<i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-indent: 0cm;">Dante
Alighieri ha scritto altre indimenticabili parole d’amore eterno nell’</i><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-indent: 0cm;"><i>Inferno</i></b><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-indent: 0cm;">, nel brano dedicato a
Paolo e Francesca.</i><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; text-indent: 0cm;"> Con i suoi versi,
Dante nobilitò un fosco fatto di cronaca nera svoltosi nel 1285: Francesca,
figlia del signore di Ravenna Guido da Polenta il Vecchio, era stata data in
sposa a Gian Giotto Malatesta (un uomo brutto e repellente), avendone anche una
figlia. Francesca s’innamorò però del fratello del marito (elegante e bello ma
sposato e padre di due figli) e venne colta in flagrante adulterio dal marito
che la uccise. La mitologia romantica ha poi trasformato Francesca nell’emblema
della donna che si perde, travolta dall’amore fatale: forza indomita cui non si può resistere.</i></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-style: italic;">Nel </span><span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Canto V Paolo e Francesca, inclusi nella schiera dei
“peccatori carnali”, sono costretti a essere trascinati da un furioso vento di
tempesta nell’oscurità dell’Inferno: «[…] Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
/ prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
/ Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, /
che, come vedi, ancor non m’abbandona. / Amor condusse noi ad una morte. /
Caina <i>(luogo in cui erano confinati i
traditori dei parenti)</i> attende chi a vita ci spense.”. / Queste parole da
lor ci fuor porte. / […] / Ma dimmi: al
tempo de’ dolci sospiri, / a che e come concedette amore / che conosceste i
dubbiosi disiri? ”. / E quella a me: “Nessun maggior dolore / che ricordarsi
del tempo felice / ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. / Ma s’a conoscer la
prima radice / del nostro amor tu hai cotanto affetto, / dirò come colui che
piange e dice. / Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come
amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto. / Per più fiate li
occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso; / ma solo un punto fu
quel che ci vinse. / Quando leggemmo il disiato riso / esser basciato da
cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi basciò
tutto tremante. / Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: / quel giorno più non
vi leggemmo avante” / Mentre che l’uno spirto questo disse, / l’altro piangea;
sì che di pietade / io venni men così com’io morisse. / E caddi come corpo
morto cade.». <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Nel
Canto II dell’Inferno, così scrive Dante con riferimento a Beatrice: «</span>“<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">[…]</span> / <span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">I’ son Beatrice che ti faccio
andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare.
/ Quando sarò dinanzi al segnor mio, / di te mi loderò sovente a lui</span>”.<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;"> / Tacette allora, e poi comincia’ io: / </span>“<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">O donna di
virtù, sola per cui / l’umana spezie eccede ogne contento / di quel ciel c’ha
minor li cerchi sui, / tanto m’aggrada il tuo comandamento, / che l’ubidir, se
già fosse, m’è tardi; / più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. / […]</span>”.<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">».<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">Nel
canto XXXI del <b>Paradiso</b>, Dante trova
Santo Bernardo e per lui rivede Beatrice in tutta la sua gloria, e così scrive: «</span>“<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">O donna in cui la mia speranza vige, / e che soffristi per la mia salute / in
inferno lasciar le tue vestige, / di tante cose quant’i’ ho vedute, / dal tuo
podere e da la tua bontate / riconosco la grazia e la virtute. / Tu m’hai di
servo tratto a libertate / per tutte quelle vie, per tutt’i modi / che di ciò
fare avei la potestate. / La tua magnificenza in me custodi, / sì che l’anima
mia, che fatt’ hai sana, / piacente a te dal corpo si disnodi</span>”.<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;">».<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A
proposito dell’amore nell’era medievale (e quindi nel <i>Paradiso</i>), nel suo
articolo giornalistico <i>L’amor sacro e
profano</i>, Piero Citati (<i>La Repubblica</i> del 28/1/2006) così scrive:
«Forse, nel cristianesimo di oggi, “eros” ha perduto la forza, che possedeva
nel Medioevo. Platone ci ha abbandonato. Come potremmo immaginare, oggi, un
libro come il “Paradiso”, con quella immensa forza erotica, quella gioia,
quella paurosa e lucidissima ubriachezza, quella luce nella luce, che si
rispecchia, si riflette, trova sempre nuovi echi, variazioni, modulazioni e
riverberi? Al Cristianesimo di oggi è rimasto il territorio di “agàpe”, la
virtù di San Paolo.». <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dante Aligieri (1265–1321) non è stato un
uomo felice: ha vissuto una sfilza interminabile di lutti, amarezze e lunghi
periodi di esilio e solitudine. Quando nacque nel 1265 a Firenze, comune
florido ma turbolento, l’Europa e l’Italia godevano un grande benessere ma si
preparavano notevoli cambiamenti per la società e la cultura. Il padre
Alighiero degli Alighieri, appartenente a una famiglia guelfa della piccola
nobiltà in declino, aveva sposato Bella che morì nel 1275. Alighiero si risposò
con Lapa, che crebbe Dante insieme con gli altri suoi due figli Francesco e
Gaetana. Nel 1283 morì, purtroppo, anche Alighiero lasciando Dante orfano di
entrambi i genitori. Secondo l’usanza del tempo, a 12 anni, era stato promesso
a Gemma Donati (appartenente a un ramo cadetto di una potente famiglia di antica
nobiltà) che effettivamente sposò nel 1285 e dalla quale ebbe i tre figli
Pietro, Jacopo e Antonia. Fece buoni studi primari e superiori ma fu
fondamentalmente un autodidatta: come maestro di arte retorica ebbe Brunetto
Latini (1220–1294), notaio e uomo politico, che tentò di allargare la sua cultura
attraverso l’uso del volgare; come amico ebbe Guido Cavalcanti (1250–1300),
creatore di un vivace cenacolo di poeti chiamati «fedeli d’amore». Ben presto Dante fu noto per il suo «dir
parole d’amore in rima», ma l’amore al
quale s’ispirava non era più quello della poesia provenzale in lingua d’Oc né
quello della poesia siciliana degli autori vicini alla corte di Federico II,
bensì l’amore–devozione (espresso nella poesia del “dolce stil nuovo”) per la donna–angelo, mezzo di
comunicazione tra lo spirito dell’uomo e il mondo sovrannaturale, oltre che strumento
per aumentare la perfezione dell’anima dell’amato. Dopo la morte di Beatrice,
Dante si dedicò alla poesia “comico–realistica” (di cui fu
un grande interprete Cecco Angiolieri), che era tutto l’opposto della poesia
del “dolce stil nuovo”. Trasse
in seguito conforto dallo studio della Filosofia, ma amava anche il disegno, la
pittura e la musica. Si pensa che abbia vissuto altri amori oltre a quello per
Beatrice; si conoscono almeno due nomi di donne amate: la “Pargoletta” e “Pietra”, donna crudele e insensibile per la quale compose le cosiddette «rime
petrose». <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il grande poeta visse una forte esperienza
politica partecipando alle lotte comunali, schierato con la fazione dei Bianchi
in contrapposizione ai Neri, e nel 1301 fu condannato all’esilio perpetuo. «Legno sanza vela e sanza governo… peregrino,
quasi mendicando», fu costretto a «lo
scendere e il salir per l’altrui scale»
e a mangiare «lo pane altrui».
Fu a Forlì, Verona, Arezzo, Treviso, Padova e Lucca, forse a Parigi, ancora a
Verona, ove chiamò presso di sé i tre figli (mentre la moglie Gemma non lo
raggiunse, e i motivi non ci sono noti), e infine a Ravenna, che fu il rifugio
sereno nel quale visse in gran tranquillità l’ultimo periodo della sua vita,
dedicandosi alla composizione della <i>Divina commedia</i>, circondato da estimatori e discepoli. In
esilio, Dante non si comportò da vinto ma consapevole della decadenza del suo
tempo - nel rimpianto della moralità della Firenze antica - e spinto da un vivo
senso di verità e giustizia, tentò di proporre un ordine etico superiore che
rispondesse strettamente ai suoi ideali delusi. Pensava di aver trovato la via
da mostrare agli uomini per la loro redenzione collettiva con la <b>Divina commedia, </b>un poema allegorico di notevole altezza morale, di straordinaria
ricchezza dottrinaria e d’immensa poesia. L’opera fu scritta dopo il suo esilio,
tra il 1307 e gli ultimi anni di vita del poeta, e prese origine proprio da
questa aspirazione di un ordine superiore e da questo desiderio di perfezione e
felicità, per i quali lottò, polemizzò, esaltò i personaggi virtuosi che
aderirono alla sua etica mentre al contrario disprezzò con alterigia e trattò
con rigore i viziosi che ne erano lontani. Usò l’aldilà come un duro mezzo per
far giustizia di tutte le offese e le iniquità del mondo; nell’aldilà vi era però
Beatrice, simbolo ideale della Teologia, della sapienza delle cose di Dio. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dante chiamò “Commedia” il suo poema, a causa del lieto fine e della
stesura in volgare; furono i posteri che – incantati dalla potenza dell’opera –
vi aggiunsero l’aggettivo “Divina”.
Le altre sue opere più importanti furono <b>Le Rime</b> (chiamate in seguito <i>Canzoniere</i>), che contenevano numerose poesie dedicate a Beatrice; il <b>De
vulgari eloquentia</b>, scritto in
latino e dedicato alla funzione dello scrittore nella formazione del linguaggio
di un popolo; e il <b>Monarchia</b>, che sosteneva l’autonomia dell’Impero sulla Chiesa quale fattore
indispensabile per la felicità dell’uomo. Andato a Venezia nel 1321 per una
missione diplomatica, durante il viaggio di ritorno per terre malsane si buscò
delle febbri violente che lo portarono a morte ad appena 56 anni. Venne sepolto
a Ravenna con grandi onori: sulla sua tomba fu posta una iscrizione che faceva
riferimento a «Firenze, madre di poco amore». <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con le sue moderne intuizioni e con la sua
visione etica del mondo, Dante Alighieri ebbe il merito di chiudere il Medioevo
e di preparare le basi per il Rinascimento.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vorrei scrivere qualcosa sul <i>Paradiso
rivisto da Eimuntas Nekrošius</i>, che è una vera e propria trasfigurazione dell’esperienza
di quel viaggio che come ha detto lo stesso Dante è «a pochissimi destinato e a pochissimi
concesso». Il regista lituano
ha precisato di voler portare il paradiso sulla Terra, come a dire che
il viaggio nella trascendenza porta,
in effetti, sulla terra. Lo spettacolo scritto e diretto da Eimuntas Nekrosius
viene considerato «un
capolavoro assoluto, una bellezza non solo rara ma anche rarefatta, che toglie il
fiato» ed è stato prodotto dalla
Compagnia Teatrale Meno Fortas (coproduzione Comune di Vicenza e Fondazione
Teatro Comunale di Vicenza, in collaborazione con il Ministero della Cultura
Lituano e Aldo Miguel Grompone) ed è stato presentato al Teatro Olimpico di
Vicenza in prima mondiale il 21 settembre del 2012 (ved. http://www.nottola.it/tag/dante-alighieri/).
Ha scritto Nicola Arrigoni: «Cos’è
il Paradiso di Eimuntas Nekrošius? Non è una condizione, ma piuttosto un
percorso, non è né spazio né tempo, ma un itinerario, un viaggio terrestre che
fa dire a Beatrice come ultima battuta: “Il paradiso c’è” ed
infatti poco prima – nella drammaturgia poetica e visiva del regista lituano –
la stessa Beatrice dice al suo Dante: “Volgiti e ascolta; Ché non pur ne’ miei occhi è paradiso”. Non solo negli occhi di Beatrice, ma tutto
intorno, in terra è paradiso.». Arrigoni parla di «teatro ’primitivo’ di Eimuntas Nekrošius», riporta come il regista Nekrošius abbia
scritto: «Il Paradiso è dono non necessario nel presente, è aspirazione», e
osserva che, nell’affrontare il terzo capitolo della Commedia, Nekrošius «vola, vola con i suoi attori che entrano leggeri, sono angeli terrestri
di un’aspirazione alla perfezione che solo può dare l’amore, l’amore che unisce
Dante (Rolandas Kazlas) e Beatrice (Ieva Triskauskaité). Per aspirare al
Paradiso bisogna essere leggeri e lasciare le cose terrene…». E questo
volo sembra «incoraggiato dai gesti di
un coro di giovani attori e attrici che a tratti sembra voler spiccare il volo»
nella «pienezza d’amore». Arrigoni passa in rassegna «i simboli, ovvero i segni destinati a
raccontarci il senso inafferrabile dell’amore» e accenna a «una programmatica e poetica anticipazione
nel canto popolare lituano che apre lo spettacolo, canto dell’amante che
lontano dalla sua ragazza affida a una colomba cerulea lo struggimento del suo
cuore», a «una danza che attira
e respinge Dante e Beatrice» e a un «amore che di due corpi ne fa uno solo», e alla «carnalissima e paradisiaca poesia». Conclude Arrigoni: «Eimuntas Nekrošius fa dire alla sua
Beatrice: “Il Paradiso c’è” e non si può che convenire con lei e con il
regista: il paradiso c’è, è in terra e al Teatro Olimpico s’è mostrato e
palesato in tutta la sua poetica bellezza.<span style="color: windowtext;">» (</span>“<span style="background-color: white; color: windowtext;">Teatro all’Olimpico<span class="apple-converted-space"> </span><i>Il Paradiso c’è</i> secondo Nekrosius</span>”<span class="apple-converted-space"><span style="background: white; color: windowtext;"> </span></span><span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; color: windowtext; padding: 0cm;">di Nicola Arrigoni,<o:p></o:p></span></span></div>
<span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">http://www.sipario.it/component/content/article/391-articoli-homepage/6054-paradiso-di-eimuntas-nekrosius-allolimpico-di-vicenza.html).</span></span></div>
<span style="background-color: white; border: 1pt none windowtext; padding: 0cm;">
</span>Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-91193151953246730962013-05-21T01:56:00.000-07:002013-05-21T01:57:18.874-07:00Dante e la Vita Nuova, l’amor gentile per una donna che è un angelo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4xqjzKdhyphenhyphenDHOpR9N0qm4Zqht3ZuVXD8Xjq0Q0FBFejYU3XaW6z0TBjM_4OxLnnE4euAVVrs5htsh5uispE0LJT_2ja4ORSuJN_hctOsWrKVsiXrKFkb4k5Ckrnz0qQScygKob6Hvblv0/s1600/Vita+di+Dante.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><br /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsUq4V5VCB0LmYs3Jce3u9q4U1lcLyem9OlPX4pl56U4uF8O_PshPvHkRfaPnqZLyDz1SUJ4MFo8H2xs7gd0qFWlDLCVED7Z3BrMifQyf996IkAjAd-iOwirMcJU8OUBq8rzH7e_Gmamw/s1600/Dante+Alighieri+secondo+Gustavo+Dor%25C3%25A9.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsUq4V5VCB0LmYs3Jce3u9q4U1lcLyem9OlPX4pl56U4uF8O_PshPvHkRfaPnqZLyDz1SUJ4MFo8H2xs7gd0qFWlDLCVED7Z3BrMifQyf996IkAjAd-iOwirMcJU8OUBq8rzH7e_Gmamw/s200/Dante+Alighieri+secondo+Gustavo+Dor%25C3%25A9.jpg" width="156" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4xqjzKdhyphenhyphenDHOpR9N0qm4Zqht3ZuVXD8Xjq0Q0FBFejYU3XaW6z0TBjM_4OxLnnE4euAVVrs5htsh5uispE0LJT_2ja4ORSuJN_hctOsWrKVsiXrKFkb4k5Ckrnz0qQScygKob6Hvblv0/s1600/Vita+di+Dante.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4xqjzKdhyphenhyphenDHOpR9N0qm4Zqht3ZuVXD8Xjq0Q0FBFejYU3XaW6z0TBjM_4OxLnnE4euAVVrs5htsh5uispE0LJT_2ja4ORSuJN_hctOsWrKVsiXrKFkb4k5Ckrnz0qQScygKob6Hvblv0/s200/Vita+di+Dante.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dante di Gustavo Doré Sceneggiato TV</span><br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span>
<br />
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>La </i><b>Vita nuova</b><i> – intesa sia nel significato di vita
giovanile sia nel senso di vita completamente rinnovata dall’amore – è una sorta di diario intimo, o
meglio di “operetta autobiografica”,
costituita dalla raccolta in ordine cronologico dei commenti in prosa e delle
rime dedicate a Beatrice Portinari. <o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In toni
quasi mistici, Beatrice è cantata come un prodigio del Paradiso davanti al
quale non si può che restare in muta e trepidante adorazione. Dante parla d’amore
secondo i canoni del “dolce Stil Novo” ma, poiché è già il gran poeta che
conosciamo (in modo auto–referenziale
diceva di se stesso: «Sono colui che sono, non per grazia di ricchezza, sì per
grazia di Dio»), la sua esperienza amorosa prende il sopravvento sul manierismo
culturale e Beatrice – la donna
amatissima – ci appare non un
arido e freddo simbolo ma una donna viva, anche se trasfigurata in “donna–angelo” dal vagheggiamento amoroso
del poeta che è completamente rapito da quello che considera «un amore perfetto».
E Beatrice diverrà il suo costante punto di riferimento, la sua luce nel buio,
il suo faro nella tempesta. </span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In questa
giovanile composizione poetica a carattere autobiografico – costituita da alcuni brani in
prosa, da venticinque sonetti, da quattro canzoni, da una stanza e da una
ballata – viene descritto il
primo incontro di Dante e Beatrice, entrambi coetanei, avvenuto per la prima
volta quando il poeta aveva appena nove anni (e il nove, per Dante, è
certamente un numero simbolico e miracoloso). Il secondo incontro – durante il quale i due si scambiarono
soltanto un fugace saluto –
avvenne nove anni dopo, quando entrambi avevano 18 anni. L’amore per Beatrice
possiede Dante in una maniera così totalizzante che, per evitare pettegolezzi, è
costretto a fingere amore per due diverse “donne–schermo”, amareggiando così Beatrice che gli toglie il saluto.
In una orrida visione, Dante vede Beatrice nuda, portata da Dio in un «drappo
sanguigno» e costretta a nutrirsi del cuore del poeta; subito dopo, Amore
piangente sparisce in cielo con la donna amata. Questa spaventosa visione di
morte ha però il significato dell’accettazione dell’amore per Dante da parte di
Beatrice, la cui morte trasforma l’amore umano del Poeta in Amore assoluto,
fonte di elevazione e ispirazione. E nella trasfigurazione del poeta l’amata diventa
una forte guida morale.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ed ecco i
tre sonetti più belli e più noti della “Vita Nuova” (1292–1293).</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Capitolo XXI.<i> <o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sonetto:<i> Ne li occhi porta la mia donna
Amore.<o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ne li
occhi porta la mia donna Amore,<i><o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">per che
si fa gentil ciò ch’ella mira;</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ov’ella
passa, ogn’om ver lei si gira,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e cui
saluta fa tremar lo core,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sì che,
bassando il viso, tutto smore,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e d’ogni
suo difetto allor sospira:</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fugge
dinanzi a lei superbia ed ira.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Aiutatemi,
donne farle onore.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ogne
dolcezza, ogne pensero umìle</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nasce nel
core a chi parlar la sente,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ond’è
laudato chi prima la vide.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quel
ch’ella par quando un poco sorride,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non si pò
dicer né tenere a mente,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sì è novo
miracolo e gentile.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Capitolo XXVI.<o:p></o:p></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sonetto:<i>
Tanto gentile e tanto onesta pare.<o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tanto
gentile e tanto onesta pare</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">la donna
mia quand’ella altrui saluta,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ch’ogni
lingua devèn tremando muta,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e li
occhi no l’ardiscon di guardare.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ella si
va, sentendosi laudare,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">benignamente
d’umiltà vestuta;</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e par che
sia una cosa venuta</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">da cielo
in terra a miracol mostrare.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Móstrasi
sì piacente a chi la mira</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che dà
per gli occhi una dolcezza al core</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che
’ntender no la può chi no la prova:</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e par che
de la sua labbia si mova</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un
spirito soave pien d’amore,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che va
dicendo a l’anima: Sospira.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sonetto:<i> Vede perfettamente onne salute.<o:p></o:p></i></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vede
perfettamente onne salute <b><i><o:p></o:p></i></b></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">chi la
mia donna tra le donne vede;</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">quelle
che vanno con lei son tenute</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di bella
grazia a Dio render merzede.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E sua
bieltate è di tanta vertute,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che nulla
invidia a l’altre ne procede,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">anzi le
face andar seco vestute</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di
gentilezza, d’amore e di fede.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La vista
sua fa onne cosa umìle;</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e non fa
sola sé parer piacente,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma
ciascuna per lei riceve onore.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ed è ne
li atti suoi tanto gentile,</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che
nessuno la si può recare a mente, </span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che non
sospiri in dolcezza d’amore.</span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel brano
in prosa della “Vita Nuova” (Capitolo XXVI.) che
precede il sonetto <i>Tanto gentile e tanto
onesta pare</i>, Dante scriveva: «[…] Diceano molti, poi che passata era: – Questa non è femina, anzi è uno de
li bellissimi angeli del cielo. –
E altri diceano: – Questa è una
meraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilmente sae adoperare! - […]».
Il libro termina (Capitolo XLII.) col proposito di Dante di scrivere un’opera
ancora più eccelsa, ispirata anch’essa a Beatrice, ove egli possa dire tutto
quello che non è stato mai detto per nessun altro essere di sesso femminile. Ed
egli sogna che, alla fine di ciò, possa riunirsi in cielo alla donna tanto
amata; il poemetto finisce con queste ultime parole: «E poi piaccia a colui che
è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de
la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne
la faccia di colui “qui est per omnia saecula benedictus”.». </span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel <b>Convivio</b> (1304–1307) Dante identificherà Beatrice
con la Filosofia, immagine di perfezione e verità, guida alla sicura redenzione
di tutti. Ma quale uomo – del
passato o del presente – ha mai
dato tanta importanza o conferito tale ruolo alla donna amata? Era ancora un fanciulletto,
quando il poeta s’innamorò di Bice, la figlia del fiorentino Folco Portinari (andata
poi sposa a Simone dei Bardi), ma questo amore lo coltivò e lo conservò per
sempre nel suo cuore, anche dopo la morte di lei avvenuta nel 1290. Si discute
se tra Dante e Beatrice siano esistiti rapporti reali e se il loro amore abbia
raggiunto una certa concretezza; in realtà ciò non ha nessuna importanza,
perché questo amore è certamente esistito nell’immaginario del poeta – sempre e con forza immutata – per tutta la vita. Dante, inoltre,
è stato tra i primi a considerare la donna non soltanto come oggetto d’amore e
desiderio ma anche come soggetto capace di amare, decidere e scegliere con
senso morale.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da anni in provincia di Salerno, presso le
grotte dell’Angelo di Pertosa (attraversate da un fiume navigabile) e il complesso
monastico della Certosa di San Lorenzo Padula, sono messi in scena i celebri
spettacoli de <i>L’Inferno</i> e de <i>Il Purgatorio</i> di Dante. Per
celebrare San Valentino, nel febbraio del 2013, dopo più di 700 anni dalla
nascita del loro amore, «Dante e Beatrice cederanno alla tentazione e si
lasceranno travolgere dalla passione facendo cadere tutti i tabù del dolce
stilnovo. Un bacio, vero, per festeggiare tutti gli innamorati e promuovere la
cultura». Il regista e ideatore degli spettacoli Domenico Maria Corrado ha
dichiarato: «È un omaggio a tutti gli innamorati attraverso una coppia simbolo
della letteratura italiana. Un’iniziativa per certi versi provocatoria, ma che
in realtà vuole rendere più accattivante la cultura celebrando l’amore. Dai
tempi di Dante ad oggi molte cose sono mutate e quindi anche la cultura deve
sperimentare nuove strade» (ved.: lacittadisalerno.gelocal.it/cronaca/2013/02/13/news/cosi-dante-e-beatrice-si-baciano-a-teatro-1.6528217).<o:p></o:p></span></div>
<div align="left" class="Capov1Giu" style="text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 12pt;">Ritornando più indietro nel tempo, ai giorni
della mia adolescenza, vorrei ricordare <b>Vita
di Dante</b>, sceneggiato televisivo diretto da Vittorio Cottafavi (sceneggiatura
di Giorgio Prosperi e costumi di Veniero Colasanti), trasmesso dalla RAI in tre
puntate nel dicembre del 1965, nell'ambito di una trilogia di Vite celebri
curata da Angelo Guglielmi (che comprendeva la <i>Vita di Michelangelo</i> per
la regia di Silverio Blasim trasmessa nel 1964, e la <i>Vita di Cavour</i> per
la regia di Piero Schivazappa, trasmessa nel 1967). E Dante Alighieri era Giorgio
Albertazzi mentre Loretta Goggi era una tenera e adolescente Beatrice. Trasmesso
nel settimo centenario della nascita di Dante, lo sceneggiato costituì «un
impegnato spesso riuscito tentativo di ricostruire la vita di Dante Alighieri
evitando nel contempo le secche del <i>culturale</i> televisivo e anche quelle
del teleromanzo facilone» (ved. http://www.cinemedioevo.net/Film2/vita_dante.htm).
Ha scritto Aldo Grasso che, lungi dall’essere «una biografia romanzata», lo
sceneggiato rappresenta uno «spunto per una rigorosa ricostruzione della vita
del poeta» (ved. </span><i><span style="font-size: 12pt;">Televisione</span></i><span style="font-size: 12pt;">, le garzantine, a cura di Aldo Grasso, Garzanti
editore, Milano 2008).</span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsUq4V5VCB0LmYs3Jce3u9q4U1lcLyem9OlPX4pl56U4uF8O_PshPvHkRfaPnqZLyDz1SUJ4MFo8H2xs7gd0qFWlDLCVED7Z3BrMifQyf996IkAjAd-iOwirMcJU8OUBq8rzH7e_Gmamw/s1600/Dante+Alighieri+secondo+Gustavo+Dor%C3%A9.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-42380088660466612732013-05-11T10:10:00.001-07:002013-05-11T10:14:40.922-07:00William Inge, grande autore di Hollywood nei mitici anni Cinquanta<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGVr4ZUXH4UNq5XdZQLGX_S-lwhKNahnxBg84A_dPo_hG7dWOHC2gdXMS_Ci7zn4mizMKWbLvfteIk8BI6MrfpnHGY8dVowy3KrcHHsNUzCZUcRJFBFsknZHy5KlpHHfgj-1ykigPrsys/s1600/William+Inge.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGVr4ZUXH4UNq5XdZQLGX_S-lwhKNahnxBg84A_dPo_hG7dWOHC2gdXMS_Ci7zn4mizMKWbLvfteIk8BI6MrfpnHGY8dVowy3KrcHHsNUzCZUcRJFBFsknZHy5KlpHHfgj-1ykigPrsys/s320/William+Inge.jpg" width="206" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQVSXVJAph4kCM0407Dnc7fSRYhgkK-17VoPNsV6Dqz3NHtxXbRqBXvgMb_WwVzSbRv3t4arhHJuP3c7CAHtLramnpLqKgZEIFMOb6XHC_iEJj3xOI8Vg8muUycqfnNKV5VOsq78hlsxk/s1600/picnic-+locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQVSXVJAph4kCM0407Dnc7fSRYhgkK-17VoPNsV6Dqz3NHtxXbRqBXvgMb_WwVzSbRv3t4arhHJuP3c7CAHtLramnpLqKgZEIFMOb6XHC_iEJj3xOI8Vg8muUycqfnNKV5VOsq78hlsxk/s320/picnic-+locandina.jpg" width="193" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">William Motter Inge </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">Picnic</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;"> </span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_q9pg6r1ceLecdoqUkFlF1fnIU7Z71RHl6x528ltLf_c6TxJKU24jNHHq9vBQ71fO-3D4PeFqPtjW5To6xbzim-hLQ2O3v42z77n37lMjA7i72VBKiqCL5pKXra18qfyakJn63EUiU3Y/s1600/Splendore+nell'erba+locandina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg_q9pg6r1ceLecdoqUkFlF1fnIU7Z71RHl6x528ltLf_c6TxJKU24jNHHq9vBQ71fO-3D4PeFqPtjW5To6xbzim-hLQ2O3v42z77n37lMjA7i72VBKiqCL5pKXra18qfyakJn63EUiU3Y/s320/Splendore+nell'erba+locandina.jpg" width="235" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: 11pt;"> </span><span style="font-size: 11pt;">Splendore nell'erba</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 14.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">William Inge, grande autore
di Hollywood nei mitici anni Cinquanta<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel maggio di questo
anno avrebbe compiuto 100 anni il grande drammaturgo e sceneggiatore William
Motter Inge (nato il 3 maggio 1913 a Indipendence nel Kansas), vincitore del
Premio Pulitzer nel 1953 per l'opera teatrale “Picnic” e premio Oscar alla
migliore sceneggiatura originale nel 1962 per lo stupendo film “Splendore
nell'erba”. Si è distinto come il creatore di personaggi solitari e
appassionati ma ricchi di fascino e interiorità, pur nelle loro difficoltà a
relazionarsi con gli altri per una
educazione repressiva.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Inge completò gli studi all'Independence Community College,
laureandosi nel 1935 in “Speech and
Drama” presso l'University of Kansas a Lawrence. Frequentò un “Master of Arts” al
George Peabody College for Teachers di Nashville (Tennessee), interrompendolo
poco dopo ma completandolo più tardi. Dopo una breve esperienza di lavoro, dal
1937 al 1938 insegnò “English and drama” presso la Cherokee County Community
High School a Columbus (Kansas) e dal 1938 al 1943 allo Stephens College in
Columbia (Missouri). Nel 1943 divenne critico teatrale del St. Louis Star-Times.
Era, quindi un professore e un intellettuale della convenzionale provincia
americana, rurale e vivace ma mortificata dalla repressione sessuale, che lo
ispirò per i suoi drammi e le sue sceneggiature, e che fece dire ai critici di
trovarsi dinanzi al «Playwright of the Midwest» (Drammaturgo del Midwest). [Per
altre informazioni, ved.: http://www.britannica.com/EBchecked/topic/288051/William-Inge]</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Incoraggiato nei suoi primi tentativi drammaturgici da
Tennessee Williams, suo estimatore della prima ora cui aveva inviato alcuni
suoi testi, si fece notare con il primo dramma in un atto <b>Farther Off from Heaven</b> (1947), prodotto a Dallas nel Texas, e con <b>Come Back Little Sheba (Torna piccola
Sheba) (</b>1950), dramma scritto mentre insegnava presso la Washington
University in St. Louis (tra il 1946 e il 1949), che fu rappresentata a Broadway
e che fece vincere un Tony Awards alla tenera e intensissima interprete Shirley
Booth e al vigoroso e tormentato Sidney Blackmer. Il regista teatrale del testo
di Inge a Broadway fu il quasi coetaneo Danny Mann (1912–1991), che nel 1952 lo
trasformò nel film del suo debutto, grande e intimo capolavoro benedetto da due
grandissime interpretazioni, quella confusa e dolente di Shirley Booth (che Mann
volle anche nel film) e quella malinconica e struggente di Burt Lancaster: gli
occhi di entrambi, tristi e velati, lasciano intuire spazi illimitati di
solitudine e di sofferenza. Il film fece vincere a Shirley Booth un Oscar e un Golden
Globe. Scrivono i Morandini: «[…] sposato con una sciattona maldestra, senza
figli, ex alcolista nutre un morboso affetto per una ragazza e rimane sconvolto
quando lei si fa corteggiare da un giovanotto. La leggerezza non è certamente
una delle qualità di questo interno familiare che conta soprattutto per
l'interpretazione dell'esimia teatrante S. Booth, premiata con l'Oscar.» (<i>il</i> Morandini, Zanichelli editore). La
trama è drammatica e sofferta: Doc Delaney è un maturo signore alcolizzato e
frustrato, in crisi matrimoniale con la moglie Lola che ha sposato molto
giovane, interrompendo i suoi brillanti studi di medicina soltanto perché la
credeva incinta. Entrambi pensano con rimpianto alla piccola Sheba, la
cagnolina che avevano allevato insieme e che è scappata per non ritornare mai
più. Decidono di affittare una stanza della loro casa a una ragazza con lo
scopo di trovarsi meno soli e di sconfiggere la solitudine. Mary entra nel loro
infelice e soffocante ambiente familiare –
arido specchio dell'anima e della sensibilità ferita dei protagonisti – portando una nuova dimenticata
vitalità e mettendo in crisi Doc che ne è subito conquistato. Molto ben
rappresentato vi è il dramma dell'alcolismo e dei suoi devastanti effetti, e
piuttosto interessanti risultano gli interventi (abbastanza inediti allora) dell'associazione
Alcolisti Anonimi nel supportare l'alcolizzato e i suoi familiari. Lo
scrittore, vittima dell'alcolismo cronico, conosceva gli Alcolisti Anonimi per
esperienza diretta e presso gli AA incontrò la moglie che si chiamava appunto Lola
coma la protagonista del suo dramma.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da un'esperienza vissuta in età infantile nel Kansas ebbe
origine il dramma <b>Picnic</b> (1953), che
rappresentava la storia di una giovane donna intensa e indimenticabile (e della
madre e della giovanissima sorella) in una piccola cittadina del centro America,
la bella del paese, che preferisce fuggire con un affascinante vagabondo ricco
di sex appeal, lasciando il fidanzato ricco e affidabile, dopo il picnic durante
una festa campestre in commemorazione del Labor Day, ignorando le tensioni
latenti che l'arrivo del vagabondo ha provocato. Fu un successo strepitoso a
Broadway, diretto dal regista Joshua Logan (vinse due Academy Awards), e meritò
a Inge il premio Pulitzer nel 1953. Il testo divenne l'omonimo indimenticabile
film del 1956, diretto dallo stesso Joshua Logan, con William Holden, Kim
Novak, Betty Field, Rosalind Russell e Susan Strasberg. Il film fece incetta di
nomination e di Oscar (per la migliore scenografia e per il miglior montaggio).
Scrisse Logan: «Ho voluto fare un film sulla solitudine dei belli». A proposito
di questo film, Raul Radice, ha scritto sull'“Europeo” (21 febbraio 1960) un
articolo dal titolo <i>Il solito petto
villoso che turba le comari del Kansas</i>; Carlo Terron sul “Tempo” (23 aprile
1960) ha scritto un articolo dal titolo <i>Angustie
d'orizzonti</i>. [vedere in: “Repertorio bibliografico della letteratura
Americana in Italia: 1945-1949”, a cura di Biancamaria Tedeschini Lalli, Centro
italiano di studi americani, Rome, Italy]. Credo che il film si sia molto
avvantaggiato del ruolo di William Holden, il classico «bravo ragazzo americano»,
dall'atteggiamento disincantato e malinconico, dalla parlata laconica ma dallo
sguardo aperto, che «interpretò il ruolo dell'affascinante giramondo, che porta
lo scompiglio e il turbamento emotivo in una cittadina del Kansas facendo
innamorare di sé due donne» (in <i>William
Holden</i>, vol. 6, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De
Agostini, Novara 1981). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Inge divenne allora uno degli autori più rappresentati a
Broadway negli anni Cinquanta. Seguirono due altri grandi successi: <b>Bus Stop </b> (1955), presentato al “The Music Box Theatre”
e <b>The Dark at the Top of the Stairs</b>,
ispirato alla prima sua opera teatrale “Farther Off from Heaven” e presentato a
New York nel 1957 per la regia di Elia Kazan. Entrambi furono trasformati in
due grandi film. Il primo, <b>Fermata
d'autobus </b>(1956),<b> </b>diretto da Joshua
Logan, con Marilyn Monroe nel ruolo della tenera Cherie (uno dei suoi migliori,
per aderenza e intensità) e Don Murray nel ruolo del rude e casto Bo Ducker;
era la storia di un giovane e aitante cowboy che sogna di sposare un angelo e
che lo trova nella cantante–entraineuse
di uno squallido night di Phoenix che costringe a salire in autobus con lui per
ritornare nel Montana (nel 1956 il film fu inserito dal “National Board of
Review of Motion Pictures” tra i dieci migliori film dell'anno). Il secondo <b>Il buio in cima alle scale</b> (1960) per
la regia di Delbert Mann, con Robert Preston, Dorothy McGuire, Eve Arden e Angela
Lansbury, che racconta la storia triste di due coppie di coniugi in una
cittadina dell'Oklahoma negli anni Venti, i cui rapporti – anche felici alla'apparenza – sono
logorati dalla frustrazione e dall'incomprensione, e il nascere del primo amore
che si conclude in tragedia tra la figlia adolescente di una delle due coppie e
il fidanzatino ebreo, cacciato da un ballo, il quale pone fine alla sua vita.
Il film ricevette una nomination agli Oscar (a Shirley Knight che interpretava Reenie
Floode, l'infelice adolescente) e due nomination ai Golden Globe nel 1961
mentre il “National Board of Review of Motion Pictures” nel 1960 lo ha inserito
tra i dieci film migliori dell'anno. A proposito di quest'ultimo film, Albero
Moravia sull'“Espresso” (12 marzo 1961) ha scritto un articolo dal titolo <i>Un film americano. La moglie punisce il
marito fallito</i>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il successo continuò con <b>Glory in the Flower</b> (1953), teletrasmesso con grande successo con
il titolo di <b>Omnibus</b> (con Hume
Cronyn, Jessica Tandy e James Dean). Fu poi la volta del dramma <b>A Loss of Roses</b> (1960) (con Carol
Haney, Warren Beatty e Betty Field) che ispirò il film <b>The Stripper</b> <b>(Donna
d'estate)</b> (1963), diretto da Franklin J. Schaffner, con Joanne Woodward,
Richard Beymer e Claire Trevor; il film racconta la storia melodrammatica ma ricca
di sentimenti delicati di una ex reginetta di bellezza che, divenuta una spogliarellista,
torna nella sua città natale nel Kansas e s'innamora di un giovanissimo meccanico.
A proposito del film, Ercole Patti ha
scritto un articolo sul “Tempo” (6 luglio 1963) dal titolo <i>Una ragazza commovente</i>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1961 Inge scrisse la sceneggiatura del film <b>Splendor in the Grass (Splendore nell'erba)
</b>(1961), di Elia Kazan, con Natalie Wood (Deannie Loomis) e Warren Beatty
(Bud Stamper), che vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Il
film, ambientato nel Kansas chiuso e convenzionale degli anni Venti, narra
l'amore impossibile (perché contrastato dai rispettivi genitori) tra Bud,
studente di liceo e figlio di un ricco e ambizioso imprenditore del petrolio che
per il figlio desidera una moglie ricca e altolocata, e la compagna di scuola
Deannie, educata in modo grettamente puritano da un'ipocrita famiglia
perbenista. Dopo un tentativo di suicidio e un lungo ricovero in una casa per
malattie mentali di Deannie, i due ragazzi si perdono di vista. Quando si
rivedono, Bud è sul lastrico per la grave crisi del '29 (il padre si è
suicidato) e si è sposato mentre Deannie ha rinunciato definitivamente al suo
sogno d'amore e ritrovato un nuovo e diverso equilibrio senza l'amato perduto.
Del film Inge fu anche produttore e si ritagliò un piccolo cameo. Hanno
commentato i Morandini (ne <i>il</i>
Morandini – Zanichelli editore): «Forse il melodramma più fiammeggiante sul
primo amore che mai sia stato fatto al cinema. E i suoi ultimi 5 strazianti
minuti sono uno dei culmini creativi del cinema di Kazan. Esordio del
ventiquattrenne W. Beatty e primo film made in USA che pose esplicitamente
l'accento sulla sessualità adolescenziale. Superlativa direzione d'attori: N.
Wood fu candidata all'Oscar, ma le fu preferita la Sophia Loren di La ciociara.».
A proposito di questo film Sergio Frosali sulla “Nazione” (4 dicembre 1961) ha
scritto un articolo dal titolo <i>Due
giovani troppo innamorati nell'America del Charleston</i>. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo splendido film ha fatto entrare nei nostri cuori il
poeta inglese vittoriano William Wordsworth (1770<i>–</i>1850), con un verso e
una strofa recitati nel film, tratti dall’Ode<i> Intuizioni di immortalità nei ricordi dell’infanzia (Intimation
of Immortality from Recollections of Early Childhood)</i> (1807); questi
sono i versi citati nel film: «Se niente può far sì che si rinnovi / all’erba
il suo splendore o che riviva il fiore, / della sorte funesta non ci dorremo
allora / ma, ancor più saldi in petto, godrem di quel che resta» (traduzione
letterale dall’inglese: «Se niente può far sì che torni indietro il tempo /
dello splendore nell’erba, della gloria nel fiore; / non ci rattristeremo ma
piuttosto troveremo / forza in quel che resta»). Questa tristissima poesia
esprime la nostalgia degli ideali e di ciò che non può più essere <span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">—</span> insieme con la
necessità di vivere nella realtà anche soltanto ciò che rimane dei sogni <span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">—</span> in un poeta,
Wordsworth, segnato dalla povertà e dalle sventure domestiche (la perdita dei
genitori quando era bambino e la morte precoce di un fratello e di due dei
cinque figli). Nei versi iniziali, l’Ode (da me tradotta dall’originale) così
recita: «C’era un tempo in cui prato, boschetto, e fiume, / la terra e ogni
vista comune / a me sembravano, / avvolti dalla luce celeste, / la gloria e la
freschezza d’un sogno. / Or non è più com’è stato allora; / per quanto mi possa
rigirare da ogni parte, / di notte o di giorno, / le cose che ho visto non
posso più vederle ora. / [...]».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Del 1963 fu il dramma <b>Natural
Affection</b>, focalizzato sulla violenza familiare immotivata e senza senso
(al centro una madre single e il suo adolescente figlio illegittimo), che ebbe
la sfortuna di debuttare a Broadway, diretto da Tony Richardson, durante un
lungo sciopero dei giornali, che vide un crollo di presenze e di vendita di
biglietti, e che fu rappresentato soltanto per alcuni mesi (il testo ispirò a Truman
Capote il suo inquietante <i>Cold Blood</i>).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Durante gli anni settanta, Inge visse a Los Angeles e
insegnò drammaturgia all'University of California a Irvine ma gli ultimi suoi
lavori ebbero poco riscontro di pubblico e di critica, e ciò lo precipitò in
una tremenda crisi esistenziale e in una grave depressione. Nell'ultimo testo
drammatico <b>The Last Pad</b> (1970),
originariamente titolato <b>The Disposa</b>l,
lo scrittore parlava apertamente di omosessualità, focalizzando l'attenzione su
un Archie, un protagonista gay (probabilmente lo stesso Inge pativa una certa
ambiguità sessuale). Il dramma venne presentato al Southwest Ensemble Theatre
di Phoenix in Arizona, diretto da Keith A. Anderson, con Nick Nolte, Jim Matz e
Richard Elmore. Dopo il trasferimento della compagnia a Los Angeles, si ebbe l'apertura
soltanto pochi giorni dopo il suicidio di William Inge che moriva ancora
giovane a Hollywood in Los Angeles il 10 giugno del 1973 (si avvelenò col
monossido di carbonio). Questo lavoro fu proclamato the Best Play del 1972 in
Arizona mentre a Los Angeles diede inizio alla trascinante carriera di Nick
Nolte, premiato per la sua incisiva interpretazione. Dopo la sua tragica
scomparsa, tuttavia, alcuni dei suoi lavori hanno continuato a essere
rappresentati con successo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il “The William Inge Collection at Independence Community College”, in
onore a Inge, ha raccolto una ricca collezione di manoscritti (circa 400),
film, lettere, programmi teatrali e molto altro ancora, mentre la sua città
natale Independence ha istituito l'annuale “William Inge Theatre Festival”. <span lang="EN-GB">Ralph F. Voss gli ha dedicato il libro <i>A Life of William Inge: The Strains of Triumph</i> (<st1:place w:st="on"><st1:city w:st="on">Lawrence</st1:city>, <st1:state w:st="on">Kansas</st1:state></st1:place>:
University Press of Kansas 2000).</span></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
</span><br />
<br />Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-37557761659153490472013-04-29T08:50:00.000-07:002013-04-30T10:39:01.765-07:00Antigone, Sofocle e Valeria Parrella<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwXDNXmHSfxiWs9jIlfeEM1HvQ-atpqlxZ75DN5nxEmU1z0zdxlvDhOp53TU5qHU7qoZQhsisYflgLSyQJsjiNQNnpFueZ3lD5lCF65ah7diiCkcFA_fWkiIpR0t6gzJRDzhdi14IcMsM/s1600/sofocle.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwXDNXmHSfxiWs9jIlfeEM1HvQ-atpqlxZ75DN5nxEmU1z0zdxlvDhOp53TU5qHU7qoZQhsisYflgLSyQJsjiNQNnpFueZ3lD5lCF65ah7diiCkcFA_fWkiIpR0t6gzJRDzhdi14IcMsM/s200/sofocle.jpg" width="158" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8CxLPOCggO825nM1asvSCvEST9krNgeBrdOmGvkJ0H8w8FOpAkr0rE8jWflwxSiykj5H4ymQd97ErrXE_zSF-yZs3rlzAOj1lDPIGeK9kZCaV0lpIikQP5a3EDR75nOPLhDgbcqQN6f4/s1600/Antigone+di+Valeria+Parrella.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="105" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8CxLPOCggO825nM1asvSCvEST9krNgeBrdOmGvkJ0H8w8FOpAkr0rE8jWflwxSiykj5H4ymQd97ErrXE_zSF-yZs3rlzAOj1lDPIGeK9kZCaV0lpIikQP5a3EDR75nOPLhDgbcqQN6f4/s200/Antigone+di+Valeria+Parrella.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"> <span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sofocle Antigone di Valeria
Parrella</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">(regia
di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">Luca De Fusco)</span></span></div>
<span style="font-size: 11pt;">
</span>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>L'<b>Antigone</b> è certamente
il capolavoro di Sofocle e il dramma greco che ha visto il maggior numero di
trasposizioni e di riletture e riscritture; questo perché, come ha fatto notare
il filosofo e pedagogista austriaco Rudolf Steiner (1861 –1925), Antigone è
l'eroina che </i><i>«esplicita un discorso
sulla vita, sul coraggio, sull'autodeterminazione, su cosa significhi essere
partecipi del Diritto oggi».</i> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dal 23 aprile al 5
maggio 2013, presso lo Stabile di Catania, si recita un'originale e inedita <i>Antigone</i>
di Valeria Parrella (Torre del Greco, 1974), che non è «un esame
dell'opera o una modernizzazione o una nuova traduzione» ma intende «mettere le
mani nelle nervature della classicità»,
per la regia di Luca De Fusco con Gaia Aprea (Antigone), il legislatore Creonte
(Paolo Serra) e Fabrizio Nevola (Emone). La produzione è del Teatro
Stabile di Napoli, Fondazione Campania dei Festival, in collaborazione con
l'Accademia di Belle Arti. In questo
testo <i>–</i> tratto da un libro della scrittrice Valeria Parrella (<i>Antigone</i>,
L'Arcipelago Einaudi, 2012) –
che è una «riscrittura libera e alta, carica d'intensità e di poesia»)
con al centro del racconto «il diritto all'eutanasia» – c'è un'ardita interpretazione: Polinice non è insepolto, bensì in
morte cerebrale, e lo zio legislatore si rifiuta di considerarlo morto e di
seppellirlo, per cui Antigone “stacca
la spina” perché il fratello
possa essere sepolto. Scrive l'autrice: «Antigone muove dunque
continuamente da un mondo dei vivi, il nostro, a quello dei morti: quello del
suo fratello e quello dell'orrenda “sepoltura” in vita delle carceri. Antigone
e Creonte si fronteggiano determinati, tragici e costanti, senza mai perder
terreno l'uno verso l'altro: anche se uno comanda e l'altro dovrà obbedire, poi
la storia invertirà le parti lasciando colui che comanda senza scampo. […]
Creonte resterà così solo, artefice del su stesso infausto destino, a maledire
la propria stoltezza.». <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ha scritto del libro la grecista Eva Cantarella (Corriere
della sera, 23 ottobre 2012): «Ѐ un bel libro, questa Antigone, che riesce a
conciliare la modernità del tema con una scrittura che, pur essendo sciolta e
duttile, evoca felicemente il tono alto della tradizione letteraria della quale
la nostra lingua colta è erede. E dimostra ancora una volta che la tragedia
antica non ha bisogno di essere “attualizzata”. Ѐ e sarà sempre attuale.». A
proposito dell'originale regia teatrale di De Fusco, ha commentato Enrico Fiore
(Il Mattino, 28 settembre 2012): «Mi pare che la regia di Luca De Fusco sottolinei
con adeguata precisione tali pregi del testo. I personaggi, materializzandosi
dal buio come soprassalti della coscienza, vengono sovrastati, in quanto corpi,
dall'immagine dei loro volti proiettata in primo piano e, così, ricondotti alla
propria natura d'idee. […]». Ha osservato, invece, Rodolfo Di Giammarco (La
Repubblica, 30 settembre 2012): «Inizia e finisce con un eccesso, con Antigone
sospesa nell'aria come per un “cielo sopra Tebe”, la messinscena di Luca De
Fusco per l'Antigone sofoclea ben riscritta con linguaggio alto e temi odierni
da Valeria Parrella. Ma la regia di De Fusco tutela poi con efficaci
sottrazioni di enfasi, a rischio di minor spettacolarità, la disputa etica
della tragedia […]». Angela Di Maso (Roma, 28 settembre 2012), infine, scrive: «L’Antigone,
metafora dei diritti del singolo contro dittatura e totalitarismo, – o per dirla alla maniera
dell’esistenzialista Emmanuel Lévinas, contro “totalità e infinito” – di Luca De Fusco è una pittura
compatta: la sua costruzione meta teatrale, cinematografica e sinfonica,
convince.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tra le diverse
rielaborazioni, ricordiamo la tragedia di Vittorio Alfieri, l'opera
lirica di Arthur Honegger su libretto di Jean Cocteau e la fiera e “ribelle” Antigone di Jean Anouilh (cui ho dedicato
un articolo di questo mio blog, silvia-iannello.blogspot.com/2011/12/jean-anouilh-e-la-fiera-ribelle.html).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma veniamo all'<i>Antigone</i>
di Sofocle, il cui antico mito è stato rielaborato dalla Parrella spostando il
problema critico della sepoltura di Polinice su quello – attualissimo – dell’eutanasia.
L’opera, che appartiene al ciclo dei drammi tebani, fu rappresentata per la
prima volta ad Atene, alle Grandi Dionisie del 442 a.C.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La trama è nota: Antigone decide di dare sepoltura al
cadavere del fratello Polinice, contro la volontà dello zio Creonte, nuovo re
di Tebe e zio (è il fratello di Giocasta, madre di Antigone). Catturata,
Antigone è condannata dal Creonte a passare il resto della vita imprigionata in
una grotta. Per le profezie dell’indovino Tiresia e per le suppliche del Coro, infine
il re si decide di liberarla, ma è ormai troppo tardi perché Antigone si è
impiccata. Il fatto innesca tutta una sequela di tragedie: il figlio del re e
fidanzato innamorato di Antigone, Emone, disperato si suicida, seguito dalla
madre e moglie di Creonte, Euridice (che nulla ha che vedere con l'omonima
moglie di Orfeo). A Creonte non resta che la disperata solitudine a causa della
sua cieca stoltezza. [<i>La traduzione dei brani utilizzati è di
Ettore Romagnoli</i>]</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel Prologo (la scena si svolge sull'acropoli di Tebe,
dinanzi alla reggia, dalla quale escono Antigone e Ismene): è l’alba disperata
che segue la morte di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, che si sono uccisi l'un
l'altro per combattere nella difesa del trono di Tebe. Antigone, la sorella,
informa Ismene, l'altra sorella, che lo zio Creonte, nuovo re della città, vuol
seppellire e dare onoranze funebri al corpo di Eteocle ma vuol lasciare insepolto
quello di Polinice. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dice Antigone: «O mia compagna, o mia sorella, Ismene, / sai
tu quale dei mali che provengono / da Èdipo, Giove sopra noi non compia, /
mentre siamo ancor vive? Oh!, nulla v'è / di doloroso, di funesto e turpe, / di
vergognoso, che fra i mali tuoi, / fra i mali miei visto non abbia. / […]». E
racconta alla sorella ignara il bando che il Signore di Tebe aveva appena fatto
gridare per la città (chi avesse seppellito Polinice sarebbe stato lapidato): «Non
sai tu che Creonte, onor di tomba / concesse all'uno dei fratelli nostri, /
l'altro mandò privo d'onore? Etèocle, / come la legge e la giustizia vogliono,
/ sotto la terra lo celò, ché onore / fra i morti avesse di laggiù; ma il corpo
/ di Poliníce, che perì di misera / morte, ha bandito ai cittadini, dicono, /
che niun gli dia sepolcro, e niun lo gema, / ma, senza sepoltura e senza
lagrime, / dolce tesoro alle pupille resti / degli uccelli, che a gaudio se ne
cibino. […]». Antigone sostiene che vuole però seppellire anche il corpo di
Polinice, sfidando così l’ordine del re. Chiede alla sorella un aiuto ma Ismene,
spaventata, glielo nega lasciando sola Antigone a tentare la pericolosa
impresa. Così parla Ismene: «[…] / Ora noi due, sole rimaste, vedi / quanto
sarà la nostra fine orribile, / se i decreti del principe e il potere /
trasgrediremo, della legge a scorno. / Ed anche a ciò convien pensare: femmine
/ siamo, e non tali da lottar con gli uomini; / e assai più forti son quelli
che imperano; / e obbedire dobbiam dunque ai loro ordini, / e se fosser più
duri. Io dunque, ai morti / chiedo perdono, poi che son costretta,/ ed ai
potenti obbedirò: ché ardire / oltre le proprie forze, è cosa stolta.».
Risponde Antigone alla sorella: «[…] / Sepolcro io gli darò; bella, se l'opera
/ avrò compiuta, mi parrà la morte. / E cara giacerò presso a lui caro, / d'un
pio misfatto rea: poiché piacere / più lungo tempo a quelli di laggiù / debbo,
che a quelli che qui sono. / […] / Or me, la mia follia, lascia che soffrano /
l'orrenda pena: niun saprà convincermi / ch'io non affronti questa morte bella.
/ […]».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Entra allora il Coro degli anziani di Tebe, in trionfo
perché l’esercito invasore guidato da Polinice è stato sconfitto da quello
tebano capitanato da Eteocle, annunciando l'arrivo imminente di Creonte, il
nuovo re di Tebe. Così conclude il Coro: «[…] / Soltanto i due miseri figli /
d'un grembo, d'un padre, le lancie / entrambe vittrici, appuntando / al seno un
dell'altro, retaggio / di morte comune riscossero.». E Creonte, dopo un lungo
discorso, conclude dicendo: «[…] / Ed ordini conformi intorno ai due / figli
d'Èdipo, bandir feci: Etèocle, / che per questa città, poi che ogni prova / di
valore compie', pugnando cadde, / si seppellisca, e quanti onori spettano / ai
più illustri defunti, a lui si rendano; / ma suo fratello, Poliníce, dico, /
l'esule che tornò, che il patrio suolo / strugger volea col fuoco, e i Numi
aviti, / che del sangue fraterno abbeverarsi / voleva, e trarre gli altri in
servitù, / costui col bando imposi alla città / che niun gli dia sepolcro, e
niun lo pianga, / ma si lasci insepolto, e, divorato / dagli uccelli e dai
cani, e, deturpato, / sia visibile il corpo. È questo il mio / divisamento: ché
non mai da me / avranno uguale onore i buoni e i tristi: / sol chi devoto alla
città si mostra, / in vita e in morte, onore avrà da me.». Subito dopo arriva però
un soldato, uno dei custodi posti a guardia del cadavere di Polinice, che appare
timido e impaurito e che vuol parlare al sovrano per dirgli che qualcuno ha
contravvenuto al suo ordine, gettando della sabbia sul corpo di Polinice e
compiendo il rito funebre: «Te lo dirò. Qualcuno ha seppellito / poco fa quel
defunto, ed è scomparso: / sopra le membra sparse arida polvere, / tutte
compie' le cerimonie debite.». Creonte è furioso, convinto che tale atto sia
opera di tebani contrari al suo governo, e ordina alla guardia di trovare i
colpevoli.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro si mette allora a fare un elogio dell’ingegno umano,
delle molte cose mirabili al mondo ma nessuna pari all’uomo che ha saputo
sottomettere la terra e gli animali, organizzando la vita civile attraverso delle
buone leggi; il Coro avanza però anche la possibilità che l’ingegno umano voglia
volgersi al male e distruggere quelle stesse cose che ha costruito. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Riappare la stessa guardia che trascina Antigone e che racconta
che – dopo aver rimosso la
sabbia dal corpo di Polinice –
era rimasto in osservazione e aveva visto la fanciulla che ritornava a ricoprire
il corpo: «Questa è colei che l'opera compieva: / costei sorpresa abbiamo, che
al cadavere / dava sepolcro. Ma dov'è Creonte? / […] / E reco a te questa fanciulla,
còlta / che la tomba adornava; e non fu d'uopo / di trarre a sorte: mia fu la
fortuna, / non d'altri. E adesso, o re, prendi costei, / come ti piace,
esàminala, giudicala; / ma giusto è ch'io dai guai rimanga libero.».
Interrogata da Creonte, Antigone non nega («L'ho compiuta: confesso, e non lo
nego.») ma sostiene con vigore che la sepoltura di un cadavere è un rito voluto
dagli dei, di molto superiori a Creonte: «Non Giove a me lanciò simile bando, /
né la Giustizia, che dimora insieme / coi Dèmoni d'Averno, onde altre leggi /
furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi / io non credei che tanta forza
avessero / da far sì che le leggi dei Celesti, / non scritte, ed incrollabili,
potesse / soverchiare un mortal: ché non adesso / furon sancite, o ieri: eterne
vivono / esse; e niuno conosce il dì che nacquero. / E violarle e renderne
ragione / ai Numi, non potevo io, per timore / d'alcun superbo. […] / Tu dirai
che da folle io mi comporto; / ma forse di follia m'accusa un folle.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Furioso, il re le rinfaccia il non aver rispettato i suoi
ordini e, rimproverandole l'esser soprattutto donna, le imputa la sua condanna
a morte, nonostante Antigone sia sua nipote (la ragion di Stato deve prevalere
sugli affetti). Creonte coinvolge anche Ismene: «[…] / Ma figlia sia d'una
sorella, o stretta / a me di sangue più di quanti Giove / protegge sotto i miei
tetti, all'orribile / sorte sfuggire non potrà, né seco / la sua sorella: ché
non men di questa / dell'averlo sepolto io quella incrìmino. / […]». Antigone
si difende e accusa Creonte di tirannia: «Che dunque indugi? Delle tue parole /
niuna m'è grata, e mai non mi sarà / grata: anche a te, così, piacer non
possono / le mie. Ma donde mai gloria più fulgida / acquistare potrei, che al
mio fratello / dando sepolcro? E lode a me darebbero / tutti costoro, se terror
le lingue / non rinserrasse: privilegi ha molti / la tirannide; e questo anche
fra gli altri: / che dire e far ciò ch'essa vuole può.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ismene, chiamata, si mostra desiderosa di morire con
Antigone: «Se consente costei, confesso: complice / sono, e con lei partecipo
la colpa.». Antigone rifiuta però il suo sostegno: «Morir meco non devi, e far
tuo quello / che non compievi; la mia morte basta. / […] / Salva te stessa:
invidia io non ne avrò. / […] / Tu la vita scegliesti, ed io la morte. / […] / Fa'
cuor! Tu vivi; e da gran tempo è morta / l'anima mia: potrà giovare ai morti. /
[…]». Ismene ricorda allora a Creonte che ucciderà Antigone, la sposa promessa
di Emone: «Ma non com'era questa a quello adatta!». Implacabile, Creonte le
risponde: «Pei figli miei detesto tristi femmine!».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Creonte fa trascinare entrambe incatenate ma la sua condanna
riguarda la sola Antigone.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sconsolatamente il Coro si lamenta su come sia effimera la
vita umana e colpita continuamente da sventure che non mostrano un disegno
comprensibile agli uomini: «[…] / Ed or, su l'estrema radice, / nella casa
d'Edìpo, una luce / brillava; ma polvere / sanguigna degl'Inferi, / follia di
parole / adesso, e delirio di mente la spengono. / […] / Spesso il male sembra
un bene / ad un uomo a cui la mente / volse un Nume alla rovina. / E da rovina
ben poco tempo lontano resta.». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Appare intanto Emone, figlio di Creonte, crucciato per
Antigone, che è la sua promessa sposa, e «doglioso per la speme di nozze delusa»,
ma Creonte è risoluto e gli dice: «[…] / Mai la lusinga del piacer di femmina /
di senno uscire non ti faccia, o figlio. / Freddo, sappi, è di femmina
l'amplesso / che sia trista compagna del tuo talamo: / piaga peggior non c'è
d'un tristo amore. / […] / Male maggiore invece non esiste / della mancanza
d'ordine: per questa / vanno in rovina le città, disperse / vanno le case, le
schiere alleate / fuggono infrante dalla pugna. Invece, / la disciplina dà
vittoria, e salva / ai più la vita. È necessario dunque / difendere le leggi, e
a nessun patto / consentir che una femmina ci vinca. / Se cadere si dee, meglio
cadere / per man d'un uomo: dir non si potrà / che noi fummo più fiacchi d'una
femmina.». Il figlio dovrà sottostare necessariamente al suo volere di suo
padre. Inutilmente, Emone ribatte che il popolo è con Antigone e desidera che
sia salvata: «[…] / La tua presenza, sbigottiti rende / i cittadini, sì che non
ti dicono / mai ciò che udire non ti piace: invece / io tutto posso udir,
quanto nell'ombra / dicendo van: che la città commisera / questa fanciulla,
immacolata più / d'ogni altra donna, e che compiuta ha l'opera / la più nobile,
e in cambio ne riceve / la più misera morte. […]». Creonte furioso, chiamandolo
ribaldo e servo d'una femmina, minaccia il figlio di uccidere Antigone davanti
ai suoi occhi: «[…] Ah! per l'Olimpo, a te l'ingiurie / pro' non faranno,
sappilo. – Recate / qui
l'odiosa femmina: morire / deve innanzi al suo sposo, al fianco suo.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L'infelice e disperato Emone si allontana furibondo: «Innanzi
a me? Non lo sperare, no! / Ella a me presso non morrà, né tu / il viso mio
vedrai più: con gli amici / che a te son ligi, resta al tuo delirio.». Creonte
manifesta al Coro il suo desiderio di condanna per Antigone: «In un sentiero
dove uomo non trànsiti / la condurrò, la seppellirò viva / in un antro
roccioso; e accanto a lei / tanto cibo porrò, quanto sol basti / ad evitare il
sacrilegio, a rendere / immune Tebe dal contagio. […]». Il Coro intona allora un
canto in onore di Eros che trascina con forza e rende folli coloro che da lui
sono colpiti.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Esce dalla reggia, fra le guardie, Antigone condotta al
supplizio. Mentre il Coro è solidale con lei, Antigone si lamenta del proprio
destino che la condanna a morire prima di conoscer qualcosa del matrimonio: «[…]:
alle mie soglie / inno di nozze non suonò, ché sorte / non m'ebbi d'Imenèi: /
io sarò sposa al Nume della Morte. / […] Oh misera! / Ospite non di vivi / né
di morti, non d'ombre / né d'uomini sarò. / […] / E tu fratello, quali tristi
nozze / avesti in tuo retaggio! / Morendo, me struggesti / ch'ero tuttora in
vita. / […] / Non pianto, non amici, /
non inni nuziali: a me s'appresta / sol questa via funesta. / […]».
Appare Creonte che sostiene di non voler contaminarsi con il crimine odioso
agli dei di uccidere una consanguinea e di aver deciso di gettare Antigone in
una grotta perché possa vivere o morire lontano da tutti: «[…] Volete in fretta
/ condurla via? Nella profonda tomba, / come v'ho imposto, sia rinchiusa, e
sola / vi sia lasciata, e ch'ivi morir debba, / o in quell'antro restar viva
sepolta. / Pure del sangue suo le mani avremo; / ma sarà priva del consorzio
umano.». Questa decisione non rallegra Antigone che immagina il suo futuro
solitario e disperato, pur essendo innocente («E qual giustizia di Numi violai?»).
Mentre così conclude: «[…] / Vedete, o signori di Tebe, / che debbo soffrir, da
quali uomini, / perché pietosa volli essere, / io, sola superstite / del sangue
dei re.». Le guardie la portano via e il Coro ricorda alcuni personaggi
mitologici imprigionati: Danae, Licurgo e i figli di Cleopatra.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Giunge intanto Tiresia, il vecchio profeta cieco guidato per
la mano da un fanciullo, che si rivolge a Creonte sostenendo l'impurità della
città per la mancata sepoltura di Polinice, nipote di Creonte e quindi consanguineo,
e consigliandogli di lasciare da parte la sua inflessibilità: «[…] / E tal
morbo funesta la città / pel tuo disegno: ché gli altari e l'are / pieni son
della carne, che vi spargono / cani ed uccelli, dell'esposto misero / figlio
d'Èdipo […] /; […] Or tu / cedi al defunto, non colpire un morto. / Sarà
prodezza uccidere un cadavere? / Pel tuo bene pensai, pel tuo ben parlo; / e
dolcissima cosa è dare ascolto / a chi ben parla, quando utile arreca. / […] /
E questo sappi tu: non molti giri / dell'agili vedrai ruote del sole, / e un
uom dal sangue tuo nato, cadavere / tu dovrai dare, in cambio d'un cadavere, / perché
spingesti, all'Orco, di quassù, / e senza onor desti sepolcro a un'anima, / e
un altro invece, che appartiene agli Inferi, / qui senza tomba e senza onor lo
tieni, / cadavere nefando; e tal diritto / non appartiene a te, non ai Celesti
/ d'Olimpo; e pure, è tuo questo sopruso. / […]». Creonte rimprovera a Tiresia
di pensare soltanto al suo tornaconto personale e riafferma con forza il suo primato
di sovrano; andando via, Tiresia gli lascia l'ultimo avvertimento di pensare
alle Erinni che stanno per agire contro di lui: «E l'Erinni dei Numi e
dell'Averno / t'agguatano perciò, vendicatrici, / sterminatrici, perché tu
procomba / nei medesimi mali. Or guarda bene / se corrotto dall'oro io parlo a
te. / […]».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sconvolto nel cuore e convinto dal Coro degli anziani che, a
proposito di Tiresia, sostiene che «a Tebe ei mai non disse il falso», Creonte
decide infine di liberare Antigone dalla «stanza sotterranea» e di innalzare «al
defunto un tumulo»: «Faccio forza al cuor mio, m'induco all'opera: / sconvien
contro il destino un'ardua pugna. / […] Ed io, poiché / il mio disegno fu così
travolto, / io stesso, a scioglier ciò che avvinsi, andrò. / Temo che il meglio
sia vivere illeso, / serbando ognor le costumanze avite.». Ed esce in fretta con
i suoi seguaci.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il Coro si rallegra per il ravvedimento di Creonte e prega Bacco
perché protegga benevolo la sua città prediletta. Giunge correndo,
esterrefatto, un messo che informa il Coro e la moglie di Creonte, Euridice, dell'infelicità
del re: «[…] Era Creonte / degno un tempo d'invidia, a quanto sembrami, / ché
dai nemici libera fe' questa / terra cadmèa, solo sovrano fu / di tutto il
regno, e lo guidava, e florido / era per copia di bennati figli. / Ed or, tutto
ha perduto. E quando un uomo / non ha più gioie, vivo io non lo reputo, / ma
spoglia inane che respiri. / […]». Il messaggero continua a narrare gli ultimi orrendi
accadimenti: Creonte aveva seppellito Polinice ma l’ordine di liberazione era arrivato
troppo tardi; infatti, a un tratto aveva udito il pianto del figlio Emone che proveniva
dalla grotta in cui era reclusa Antigone, la quale con l'impiccagione aveva
posto fine alla sua vita infelice: «[…] Ed ecco, / uno dei nostri, ode da
lungi, intorno / a quel sepolcro senza esequie, il suono / d'acuti ululi, e
corre, ed a Creonte / ne reca annunzio; e quando questi, più / si fa vicino, un
indistinto suono / l'avvolge d'urli miseri; e singhiozza / egli, lagrima, e
rompe in questi accenti; / “Misero me, sono io dunque indovino? / Questa è
dunque la più funesta via / di quante io prima ne battei? La voce / mi molce il
cuor del figlio mio. / […]”». Erano accorsi e avevano visto: «al fondo pel
collo stretta la fanciulla» e Emone che la stringeva «e le nozze / piangea
distrutte nell'Averno, e l'opere / empie del padre, e l'infelice talamo
piangeva.». Emone, disperato, aveva sputato su Creonte e rivolto la sua spada
contro di lui ma, avendolo mancato, aveva rivolto la sua arma contro di sé uccidendosi
(«si gittò su la spada, e a mezzo il petto se la confisse» e «giace cadavere a
un cadavere avvinto»). Sentendo quegli avvenimenti, sconvolta Euridice fugge di
corsa, rientrando nella reggia. Il Coro descrive adesso l'arrivo di Creonte che
trasporta la bara contenente il cadavere di Emone («un insigne segnacolo
dell'error che fu suo, non d'altrui»), e che piangendo per la sua stoltezza
così parla: «[…] / Uscir da una stessa progenie / vedete uccisori ed uccisi. /
Ahimè, dei miei consigli esito tristo! / […]». Si presenta allora un altro messaggero
che gli dice che anche la moglie Euridice si suicidata: «Morta è la sposa tua,
la madre, o misero, / di questo morto: s'è trafitta or ora!». La rovina del re si
è completata: uccisore del figlio e della moglie, a Creonte non resta altro che
invocare la morte per sé: «[…] /Ahimè, che tu finisci un uom defunto! / […] /
Ahimè! / Quale, o misero, veggo altra sciagura! / Che sorte ancor, che sorte
ancor m'attende? / Tra le mie mani il figlio or ora m'ebbi, / e questa nuova
salma a me dinanzi / or veggo: ahi ahi, madre infelice! Ahi, figlio! / […] /
Via questo insano conducete, l'uomo / che te contro sua voglia uccise, o
figlio, / e te, sposa, oh me misero! Lo sguardo / a chi dei due volger non so,
né dove / trovi un sostegno: ché rovina è tutto / a me dintorno, e sopra il
capo mio / un destino implacabile piombò.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Termina così questa tragedia fosca che celebra il conflitto tra
l'autorità e il potere, il contrasto tra la legge divina (difesa da Antigone) e
quella umana (difesa da Creonte), la disputa tra legge della famiglia e legge
dello Stato (sotto questo riguardo, Antigone ha rappresentato una metafora dei
diritti del singolo contro i diritti di uno Stato totalitario). Soltanto la
catastrofe finale fa comprendere a Creonte, despota e legislatore, i suoi
errori. E la ribellione di Antigone è qualcosa di più complesso e moderno,
perché riguarda anche il suo esser donna, il suo non volere essere umile e
sottomessa al volere maschile oltre che regale, giustificata dal fine nobile di
tutelare un suo affetto familiare (il modello tradizionale è rappresentato invece
dalla sorella Ismene). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pochissime parole su Sofocle. Nacque a Colono, un sobborgo
di Atene, nel 496 a.C. ed è considerato uno dei maggiori autori tragici
dell'antica Grecia. Figlio di un ricco ateniese proprietario di schiavi,
Sophilos, fu ben educato e per la sua attività drammaturgica vide importanti
riconoscimenti già in età giovanile (conquistò ben ventiquattro vittorie). Morì nel 406 a.C. ad Atene, novantenne. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Secondo la tradizione Sofocle scrisse 123 tragedie ma ne sono rimaste
soltanto sette: </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Antigone</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Aiace</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Edipo re</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Elettra</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Filottete</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Le Trachinie</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> ed </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Edipo a
Colono</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, la sua ultima tragedia,rappresentata postuma nello stesso anno
della morte (406 a.C.). Ebbe il merito di dar vita a eroi contraddittori in
conflitto con forze oscure e temibili, molto umani ma minati da problemi fisici
e psichici, generosi e forti ma votati al male e alla tragedia, coronati dalla
gloria ma portatori di un destino di dannazione.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-4698460634233439412013-04-22T03:17:00.001-07:002013-04-22T03:17:34.917-07:00Torquato Tasso: l’amore malinconico di un poeta cupo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZLgmfpAE-rSr652cSa-L23kHD7_lFxllPZfxoi4irEOMCK_BQJ1bH4wBiJ6T-nBbOOhPRSZaq0Rwb8jRzvVLcOkt1LcZcnQgok6A_B09MAN9oFiusRAPQdxYAqMmpHiLUOLdNhl5Drbk/s1600/torquato+tasso.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZLgmfpAE-rSr652cSa-L23kHD7_lFxllPZfxoi4irEOMCK_BQJ1bH4wBiJ6T-nBbOOhPRSZaq0Rwb8jRzvVLcOkt1LcZcnQgok6A_B09MAN9oFiusRAPQdxYAqMmpHiLUOLdNhl5Drbk/s320/torquato+tasso.jpg" width="249" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Torquato
Tasso</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Torquato Tasso ha composto liriche di
struggente malinconia, nelle quali tutto appare muto e immobile, e tutto evidenzia
il silenzio di un’anima e la tristezza cupa di un uomo infelice. Pur tuttavia
le sue poesie, piene di eleganza, guardano a Petrarca e ai poeti greci e
latini, esprimendo un gusto nuovo e soluzioni verbali diverse. Ne ricordo
soltanto due, tratte dalle “Rime”.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tacciono
i boschi e i fiumi.<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tacciono
i boschi e i fiumi</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e ’l mar
senza onda giace;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ne le
spelonche i venti han tregua e pace,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e ne la
notte bruna</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">alto
silenzio fa la bianca luna;</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e noi
tegnamo ascose</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">le
dolcezze amorose:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Amor non
parli o spiri,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sien muti
i baci e muti i miei sospiri.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Qual
rugiada o qual pianto.<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Qual
rugiada o qual pianto,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">quai
lagrime eran quelle</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che
sparger vidi dal notturno manto </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e dal
candido volto de le stelle?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E perché
seminò la bianca luna</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">di
cristalline stelle un puro nembo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">a l’erba
fresca in grembo?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Perché
nell’aria bruna</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">s’udìan,
quasi dolendo, intorno intorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">gir
l’aure insino al giorno?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fur segni
forse de la tua partita,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">vita de
la mia vita?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: left; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tasso fu però
anche l’autore di componimenti cavallereschi e di drammi pastorali, soprattutto
della <b>Gerusalemme Liberata</b>,
il grande poema eroico–cavalleresco in ottave, ispirato alla prima Crociata. La
storia del poema è quanto mai complessa e riguarda la lotta dei Cristiani
contro i Musulmani per liberare il Santo Sepolcro.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’inizio
del poema è noto: «Canto l’armi
pietose e ’l capitano / che il gran sepolcro liberò di Cristo / […]».
Combattono, da un lato, il valoroso Goffredo di Buglione insieme a Rinaldo (il
progenitore della stirpe estense), Tancredi, la vergine Sofronia e Ottone
(destinato a morire); dall’altro, rispondono invece alla feroce lotta il re
Aladino con Argante (prode circasso), Clorinda (della quale s’innamora
perdutamente Tancredi, avendola veduta fortuitamente mentre si lavava il viso a
una fonte), Erminia (figlia del re di Antiochia, che – prigioniera di Tancredi –
s’innamorata di lui e ne ha in dono la libertà) e la maga Armida, la quale
cerca di distogliere i cavalieri cristiani dalla lotta usando tutte le sue arti
magiche, e ci riesce attirando Tancredi nel suo palazzo incantato. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel poema
ci sono brani bellissimi e molto conosciuti, come quello del primo scontro in
duello tra Clorinda e Tancredi, che riconosce nell’aggressiva nemica la ragazza
bionda di cui si è innamorato: «[…] / Clorinda
intanto ad incontrar l’assalto / va di Tancredi, e pon la lancia in resta. /
Ferirsi alle visiere, e i tronchi (<i><span style="font-size: 11.0pt;">le
lance</span></i>) in alto / volaro e
parte nuda ella ne resta; / ché, rotti i lacci all’elmo suo, d’un salto /
(mirabil colpo!) ei le balzò in testa; / e, le chiome dorate al vento sparse, /
giovane donna in mezzo al campo apparse. / Lampeggiàr gli occhi, e folgoràr gli
sguardi, / dolci ne l’ira; or che sarian nel riso? / Tancredi, a che pur pensi?
a che pur guardi? / non riconosci tu l’amato viso? / Questo è pur quel bel
volto onde tutt’ardi; / tuo cor il dica, ov’è ’l suo essempio inciso. / Questa
è colei, che rinfrescar la fronte / vedesti già nel solitario fonte. / […]»
(<i>c. <span style="font-variant: small-caps;">iii</span></i>).</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Un altro
noto e stupendo brano è quello di Erminia tra i pastori; la giovane donna è in
fuga (perché inseguita dai cavalieri cristiani) e si dispera piangendo per
l’amore impossibile che prova per Tancredi, causa della perdita dei suoi cari e
della sua città. Erminia ama perdutamente chi dovrebbe odiare, e sulle sue
labbra si mescolano parole d’amore e odio, così come i diversi sentimenti si
mescolano nel suo infelice cuore dilaniato: «In tanto Erminia infra l’ombrose piante / d’antica selva dal cavallo è
scòrta (<i><span style="font-size: 11.0pt;">trasportata</span></i>), / né più governa il fren la man tremante, / e mezza quasi par tra
viva e morta. / […] / Ella pur fugge, e timida e smarrita / non si volge a
mirar s’anco è seguita. / Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno / errò senza
consiglio e senza guida, / non udendo e vedendo altro d’intorno, / che le
lagrime sue, che le sue strida. / […] / Cibo non prende già; ché dei suoi mali
/ solo si pasce, e sol di pianto ha sete: / ma ’l sonno, che de’ miseri mortali
/ è co ’l suo dolce oblìo posa e quiete, / sopì co’ sensi i suoi dolori, e
l’ali / dispiegò sovra lei placide e chete; / né però cessa Amore con varie
forme / la sua pace turbar mentre ella dorme. / […]» (<i>c. <span style="font-variant: small-caps;">vii</span></i>).</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E nel
buio di una selva, in un duro e cruento duello, Tancredi uccide Clorinda che
non ha riconosciuto (perché porta l’armatura) e che crede un guerriero pagano:
«[…] / Tre volte il cavalier la donna
stringe / con le robuste braccia, ed altrettante / da que’ nodi tenaci ella si
scinge, / nodi di fier nemico, e non d’amante. / […] / Vede Tancredi in maggior
copia il sangue / del suo nemico, e sé non tanto offeso. / Ne gode e
superbisce. Oh nostra folle / mente, ch’ogn’aura di fortuna estolle (<i><span style="font-size: 11.0pt;">esalta</span></i>)! / Misero, di che godi? o quanto mesti / fiano i trionfi ed infelice
il vanto! / Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) / di quel sangue ogni
stilla un mar di pianto. / […] / Ma ecco omai l’ora fatale è giunta / che ’l
viver di Clorinda al suo fin deve. / Spinge egli il ferro nel bel sen di punta,
/ che vi s’immerge, e ’l sangue avido beve; / […]». Ferita a morte, Clorinda
perdona Tancredi chiedendo il suo perdono e pregandolo di somministrarle il
battesimo. Tancredi le si avvicina e le scopre il viso: «[…] / La vide, la conobbe; e restò senza / e voce e moto. Ahi vista! ahi
conoscenza! / […] / e premendo il suo affanno a dar si volse / vita con l’acqua
a chi col ferro uccise. / […]» (<i>c. <span style="font-variant: small-caps;">xii</span></i>).
</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In un
turbinio di boschi incantati, magie e apparizioni (di angeli, ninfe tentatrici,
demoni e parvenze soprannaturali), Rinaldo, Tancredi e Goffredo riescono infine
a sconfiggere i nemici e a conquistare la torre di David. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Torquato
Tasso ebbe una vita triste e tormentatissima. Era nato a Sorrento l’11 marzo del 1544, ove visse la sua
infanzia, ma la famiglia fu costretta a smembrarsi poiché il padre Bernardo –
un poeta in esilio – aveva perso la sua fortuna per motivi politici (compresa
la casa di Sorrento) e la madre – una gentildonna napoletana di origine
pistoiese – non aveva potuto avere la dote per contrasti familiari. Torquato
visse col padre a Roma mentre la madre (che Torquato perse a dodici anni) restò
a vivere a Napoli con la sorella Cornelia. Già a quindici anni il poeta aveva
iniziato la composizione del poema <i>Gerusalemme liberata</i>, completato nel
1575. La stesura definitiva dell’opera rappresentò per il poeta (uomo fragile e
solitario) un lavoro estenuante a causa di dubbi religiosi, di discussioni
interminabili con letterati e teologi ai quali aveva affidato la revisione del
testo, e di continue riscritture. Si tratta certamente di un capolavoro, i cui
personaggi più riusciti hanno ricevuto dalla critica moderna un diverso
approfondimento psicologico. Questo poema è stato, però, troppo spesso
confrontato (soprattutto dalla critica del passato) col capolavoro di Ariosto,
a tutto danno dell’opera del Tasso: due acuti critici, molto avversi a Tasso,
furono per esempio Galileo Galilei e Alessandro Manzoni. Nella critica
letteraria, tuttavia, il paragone tra due artisti, oltre che un tentativo
impossibile e fuorviante, è anche assolutamente improponibile perché non sono
confrontabili due autori di diversa personalità e dai diversi mondi poetici,
vissuti in due tempi diversi del Rinascimento (l’umanesimo per Ariosto e
l’evoluzione verso l’età barocca per Tasso), e soprattutto in due momenti
diversi della corte estense (il periodo del grande splendore per Ariosto e il
periodo del declino politico–economico e dell’involuzione morale per Tasso). Ariosto
e Tasso, in effetti, furono due uomini profondamente differenti: Ariosto era un
uomo pacato e quieto con un sano amore per la vita, Tasso era invece un uomo di
corte inquieto e pessimista, espressione emblematica dell’inizio della decadenza
del Rinascimento, un intellettuale che cercava di reagire e di affermare i
principi della libertà e della dignità umana. Tentò, inizialmente, di
rappresentare un mondo ricco di passioni eroiche e di nobili virtù ma, in
seguito, scoraggiato e disilluso, si arrese sia dal punto di vista umano sia da
quello poetico. Subì con angoscia il soffocamento della vita culturale del
tempo a causa delle continue costrizioni e interferenze del tribunale
dell’Inquisizione: una fissazione religiosa – fatta di paura ansiosa e di scrupoli
ossessionanti – lo spinse addirittura ad autoaccusarsi di eresia davanti
all’Inquisizione.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In età
giovanile, Tasso cercò di raggiungere una stabilità esistenziale nella vita a
corte di Ferrara col cardinale Luigi d’Este e col duca Alfonso <span style="font-variant: small-caps;">ii</span>, per il quale curò la
rappresentazione dell’<b>Aminta</b>,
una favola pastorale che ebbe grande successo. Nel 1577, purtroppo, il poeta iniziò
a manifestare i primi segni di una grave malattia psichica con manie di
persecuzione e grave depressione psichica: tentò addirittura di accoltellare un
servo che credeva infedele. In pieno delirio mentale, fu ricoverato nel 1579
presso l’ospedale S. Anna dove rimase per sette anni come un ricoverato in
stato di reclusione. Dimesso per l’intervento di Vincenzo Gonzaga (principe di
Mantova e cognato d’Alfonso <span style="font-variant: small-caps;">ii</span>),
restò un disadattato in preda a stati di confusione e allucinazioni. Nonostante
fosse circondato da fama e considerazione, andò ramingo per tutta l’Italia
(anche ritornando nella natia Sorrento) nella speranza continua di ricevere l’“incoronazione”, quella fastosa festa
che avrebbe dovuto riconoscerlo come un grande scrittore e come un sommo poeta.
</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nell’ultimo
periodo, proprio quando il suo equilibrio psichico era più precario e la sua
memoria molto compromessa, si dedicò al rifacimento della <i>Gerusalemme liberata</i> che portò alla pubblicazione nel 1593 della <b>Gerusalemme
conquistata, </b>che non
ebbe però né un gran successo né delle critiche favorevoli. D’altra parte,
anche i critici moderni sono del parere che le modifiche e le correzioni,
apportate dal Tasso alla sua appassionata e riuscita opera della giovinezza
(originate più da preoccupazioni religiose che da intenti letterari), hanno
avuto un esito negativo e infelice, trasformando dei personaggi ricchi di vita
poetica in figure manierate e caricaturali. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dal 1585
alla sua morte, avvenuta il 25 aprile del 1595 in un monastero a Roma ove si
era ritirato, si dedicò alla composizione delle <b>Rime sacre</b>, che rivelavano pienamente quel senso di
stanchezza morale e di frustrazione, vissuto dal poeta negli ultimi tempi della
sua vita. Di questo stesso periodo, è il poema <b>Le sette giornate del mondo
creato</b>, completato un anno prima della morte e pubblicato postumo,
nel quale dominava la lugubre e desolata consapevolezza della precaria caducità
di tutte le cose. Nel suo essere sempre in bilico tra il nulla e l’immensità,
nel suo vivere una persistente crisi esistenziale, Tasso è apparso ai poeti dei
secoli successivi come un poeta “romantico”
ante–litteram. Goethe ha dedicato ai conflitti spirituali del grande poeta
italiano l’appassionato dramma in versi <i>Torquato
Tasso</i> (1790). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il regista Carlo Ludovico Bragaglia nel 1957 trasse liberamente
dal poema epico di Torquato Tasso il film <i>La
Gerusalemme liberata</i>, per la sceneggiatura di Sandro Continenza, con Francisco
Rabal (Tancredi), Sylva Koscina (Clorinda), Rick Battaglia (Rinaldo), Gianna
Maria Canale (Armida), Livia Contardi (Erminia), Andrea Aureli (Argante) e Philippe
Hersent (Goffredo di Buglione). Non è certamente un capolavoro ma risponde bene
ai canoni del film di avventura di quel periodo cinematografico.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non possiamo dimenticare la rappresentazione che in Sicilia
viene fatta della <i>Gerusalemme Liberata</i>
da parte dei tanti pupari che con dedizione cercano di mantenere viva questa grande
tradizione culturale orale. Ricordo sopratutto <i>I pupi di Emanuele Macrì</i>, che è stato ospitato presso Il Teatro dei
Servi di Roma (Macrì è il puparo più noto al di fuori della Sicilia).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 2010, per la regia di Anna
Bonaiuto (Compagnia/Produzione: Fondazione De Sanctis), Anna Bonaiuto, presso
il teatro Petruzzelli di Bari, ha letto i più bei passi de </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La Gerusalemme Liberata</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">, e la lettura (assolutamente gratuita sino
a esaurimento posti) è stata introdotta da una relazione critica della
professoressa Nadia Fusini.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-63165583100302364712013-04-17T05:47:00.000-07:002013-04-17T05:47:09.165-07:00Angelica di Ludovico Ariosto: il carattere dietro il sorriso<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz7PIkDzvf24uvEvizw7WLOtu5zagMA17HI2cXjFwPKw6FvTcJgPElwwGRuKz1S_t6wdaDuDfBSSiLyvDKjdb5ZyeAlXjeAImO5p8Tj4cPnPk-z_XY1cChELSG1WaqenfUtANe5_T9pOE/s1600/Ariosto+in+un+ritratto+di+Tiziano.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjz7PIkDzvf24uvEvizw7WLOtu5zagMA17HI2cXjFwPKw6FvTcJgPElwwGRuKz1S_t6wdaDuDfBSSiLyvDKjdb5ZyeAlXjeAImO5p8Tj4cPnPk-z_XY1cChELSG1WaqenfUtANe5_T9pOE/s200/Ariosto+in+un+ritratto+di+Tiziano.jpg" width="151" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPKlWxQBXGyrtHmsseVPjSwHbgCeDpmEx93_iXZWDloEJOG1BsXx8QYTHadvlO0nwwLMilgGM04OKwgRor1AMTDZpYqGXVLRusBGnfiHARV2aUsBaQuGXq1sFVM8zAr5gcklKgG0uTkx0/s1600/Angelica+in+un+disegno+di+Gustavo+Dor%C3%A8.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPKlWxQBXGyrtHmsseVPjSwHbgCeDpmEx93_iXZWDloEJOG1BsXx8QYTHadvlO0nwwLMilgGM04OKwgRor1AMTDZpYqGXVLRusBGnfiHARV2aUsBaQuGXq1sFVM8zAr5gcklKgG0uTkx0/s200/Angelica+in+un+disegno+di+Gustavo+Dor%C3%A8.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: 11.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ludovico Ariosto Angelica
<o:p></o:p></span></span></div>
<span style="font-size: 11pt;"><div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">in un ritratto di Tiziano</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt;">in
un disegno di Gustavo Dorè</span></div>
</span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ludovico
Ariosto, nato a Reggio Emilia l’8 settembre del 1474 da nobile famiglia (il
padre Nicolò era ferrarese e la madre Doria era di origine reggiana), fu il
primo di dieci figli ed ebbe un’infanzia serena, dedicandosi agli studi con l’aiuto
di vari precettori. Rimase grato soprattutto al monaco agostiniano Gregorio di
Spoleto per i suoi dotti insegnamenti umanistici; fu quindi orientato dal padre
verso gli studi di legge. Poeta cortigiano, visse a Ferrara (in quel periodo la
vera capitale del Rinascimento) sotto la protezione degli Estensi, godendo
presso la loro corte di feste, di allegre riunioni e di vivaci rappresentazioni
teatrali. Nel 1500, con la morte del padre finì purtroppo il periodo della
spensieratezza e dovette pensare all’amministrazione familiare, al suo futuro e
alla sistemazione dei numerosi fratelli e sorelle. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fu un
uomo sempre in bilico tra distrazione e ragionevolezza, fantasticheria e senso
pratico, voglia di matrimonio e desiderio d’incarichi religiosi (prese gli
ordini minori, entrando nel 1504 al servizio del cardinale Ippolito d’Este).
Ebbe due figli da due donne umili: da Maria, una domestica, ebbe il figlio
Giambattista; da Orsolina, divenuta poi moglie di un suo fattore, ebbe l’amatissimo
figlio Virginio. S’innamorò poi di Alessandra Benucci, una nobildonna fiorentina
moglie dell’amico Tito Strozzi, che sposò segretamente nel 1528 dopo la morte
del marito. Il matrimonio rimase sempre segreto e i due sposi non vissero mai
insieme, perché la moglie non voleva perdere la tutela dei figli e l’usufrutto
del grande patrimonio del marito mentre Ludovico non voleva rinunciare ai
benefici ecclesiastici degli ordini minori: fu però una unione quieta e felice.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1522,
Ludovico ebbe dalla famiglia estense il governo della Garfagnana (travagliata
da lotte e atti di brigantaggio) e seppe mostrare doti di saggio
amministratore. Tornato a Ferrara nel 1525, acquistò la «parva domus» ove poté, grazie a una
ricca pensione annua, abbandonarsi a quella piena vita letteraria cui aspirava.
Nel 1531 incontrò a Venezia Tiziano che eseguì il suo famoso ritratto,
conservato presso la National Gallery di Londra. Morì a Ferrara il 6 luglio del
1533), nell’intimità familiare, quando era già divenuto molto famoso in Italia
e in Europa. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Uomo
molto sensibile al grottesco e all’allegoria, fu autore dei <i>Carmina</i> (scritti in latino) e
delle <i>Satire</i> e delle <i>Rime</i> (scritte in volgare). Ariosto
è conosciuto soprattutto per il bellissimo poema in ottave <i>Orlando Furioso</i> (l’aggettivo “Furioso” deve intendersi nel senso
latino di “Pazzo”), che – considerato il monumento più
importante della poesia del Rinascimento –
conobbe una fortuna immensa sia nel Cinquecento sia nei secoli successivi,
venendo tradotto in molte lingue. Il poema inizia con i notissimi versi: «Le
donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto,
/ […] / Nata pochi dì inanzi era una gara / tra il conte Orlando e il suo cugin
Rinaldo; / che ambi avean per la bellezza rara / d’amoroso disio l’animo caldo.
/ […]» (<i>c. I</i>). Con questa opera, alla quale lavorò per moltissimi anni fino
a partire dal 1504, rielaborando diverse
edizioni via via sempre più complete, tentò di dare un nobile seguito all’<i>Orlando
innamorato</i> di Matteo Maria Boiardo (Scandiano, 1441– 1494), riprendendo gli argomenti dei poemi cavallereschi e
rifacendosi ai temi della tradizione carolingia e bretone. Affrontò, tuttavia,
i classici temi dell’avventura, della cortesia e dell’eroismo con grande senso
del fiabesco, descrivendo imprese assolutamente al di fuori della realtà,
vissute tra sogno e finzione. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’argomento
del poema è noto: si narra la guerra tra Saraceni e Cristiani ai tempi di Carlo
Magno ma gli argomenti amorosi vi sono privilegiati. Ricordiamo, infatti, l’amore
di Orlando e Rinaldo per la principessa Angelica bella ma volitiva: «questa, se
non sapete, Angelica era, / del gran Can del Catai la figlia altiera. / […]» (<i>c. XIX</i>). Anche il
guerriero saraceno Ferraù s’innamora di Angelica: «E perché era cortese, e non avea forse / non meno de’ due cugini il
petto caldo / […]». E ancora altri hanno «il petto acceso» da Angelica, come Sacripante, il re pagano di
Circassìa. Angelica «Fugge tra selve
spaventose e scure, / per lochi inabitati, ermi e selvaggi» mentre «Segue
Rinaldo, e d’ira si distrugge»
(<i>c. I</i>). A causa dello stesso amore ossessivo, il paladino per
antonomasia Orlando dimentica i suoi doveri di guerra e si lancia all’inseguimento
dell’amata: «L’ha cercata per Francia:
or s’apparecchia / per Italia cercarla e per Lamagna (<i><span style="font-size: 11.0pt;">Germania</span></i>), / per la nuova Castiglia e per la vecchia, / e poi passare in Libia
il mar di Spagna. / […]» (<i>c. XII</i>). Ma Angelica s’innamora invece
dell’umile e giovanissimo soldato saraceno, Medoro, che soccorre ferito e che alla
fine sposa: «Quando Angelica vide il
giovinetto / languir ferito, assai vicino a morte, / […] / insolita pietade in mezzo al petto / si
sentì entrar per disusate porte, / che le fe’ il dur cor tenero e molle, / e
più quando il suo caso egli narròlle. / […] / Poi vistone i costumi e la beltade, / roder si sentì il cor d’ascosa
(<i><span style="font-size: 11.0pt;">invisibile</span></i>) lima; / roder si sentì il core, e a poco a
poco / tutto infiammato d’amoroso fuoco./ […]» (<i>c. XIX</i>). Il
matrimonio di Angelica e Medoro suscita però la furiosa gelosia di Orlando che
distrugge impazzito tutto ciò che incontra sulla sua strada: «Angelica e Medor con cento nodi / legati
insieme, e in cento lochi vede. / Quante lettere son, tanti son chiodi / coi
quali Amore il cor gli punge e fiede (<i><span style="font-size: 11.0pt;">ferisce</span></i>). / Ma sempre più raccende e più rinnova, /
quanto spegner più cerca, il rio sospetto: / […] / Quanto più cerca ritrovar quiete, / tanto ritrova più travaglio e
pena; / […] / Di pianger mai,
mai di gridar non resta; / né la notte né ’il dì si dà mai pace. / Fugge cittadi
e borghi, e alla foresta / sul terren duro al discoperto giace. / […] / Di crescer non cessò la pena acerba, /
che fuor di senno al fin l’ebbe condotto. / […] / In tanta rabbia, in tanto furor venne, / che rimase offuscato in
ogni senso. / […]» (<i>c. XXIII</i>). </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma altri
amori si agitano nel poema: il crudo saraceno Ruggero s’innamora di Bradamante,
guerriera cristiana e sorella di Rinaldo, convertendosi e divenendo un
coraggioso eroe cristiano. Isabella s’invaghisce di Zerbino, e Fiordiligi di
Brandimarte. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> evidente che, in
questa opera, l’amore spadroneggia: ora è un amore torbido e sensuale oppure un
amore casto e tenero, ora è invece una passione nobile e alta oppure qualcosa
di tumultuoso e travolgente che porta alla perdita del controllo di sé. Alla
fine del poema, in modo assolutamente surreale, il cugino Astolfo è costretto a
recuperare il senno d’Orlando sulla luna, affinché egli rinsavisca riprendendo
il suo giusto ruolo di paladino nella guerra santa.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ariosto visse una vita senza eccessi, senza passioni politiche, senza
grandi entusiasmi civili, senza conflitti interiori o dubbi, e forse anche senza
senso religioso ma seppe coltivare nel suo percorso esistenziale l’amore per la
poesia e quello per la donna amata, alla quale tributò sempre una costante e
tenace passione e alla quale dedicò molte delle sue rime. A differenza di Dante
e Petrarca, non mostrò nessuna tendenza al vagheggiamento o alla
trasfigurazione dell’essere femminile ma amò la sua donna con l’occhio lucido
di chi guarda la realtà e la subisce, accettandola con serena superiorità e
ripiegandosi egoisticamente nel suo individualismo. La critica lo definì il «</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">poeta dell’armonia</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">», per evidenziare
la sua caratteristica di voler comporre i contrari e il suo saper contemplare
in modo calmo e distaccato sia la vita che le sue occasioni, affidate sia alla «</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">virtù</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">» dell’uomo sia alla «</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fortuna</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">» della sorte. In ciò, l’Ariosto
</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">–</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> uomo dagli interessi terreni
e amante della vita privata (e nel profondo, indifferente al soprannaturale) </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">–</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> fu certamente il maturo
protagonista umanistico di una nuova civiltà, il Rinascimento.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-31956097609786571722013-04-08T07:59:00.001-07:002013-04-08T07:59:53.395-07:00Catullo e un umiliante amore senza speranza<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw7nH_xMB2RLqbiGUCJ_xdfbN7JFEJIWNe_1_EJdVObT59hxWLZ-b82RTgV1m2JbgM8X2BsTr41YLt4qNDJb_OAXRhbQpXMuIJsBEO6FvehTx_RMf29BVorcM3pBYK9c-8fmmDQD_C-rM/s1600/catullo2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw7nH_xMB2RLqbiGUCJ_xdfbN7JFEJIWNe_1_EJdVObT59hxWLZ-b82RTgV1m2JbgM8X2BsTr41YLt4qNDJb_OAXRhbQpXMuIJsBEO6FvehTx_RMf29BVorcM3pBYK9c-8fmmDQD_C-rM/s320/catullo2.jpg" width="319" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gaio Valerio Catullo</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Catullo è il primo dei grandi poeti latini e
per definizione il poeta dell’Amore, ispirato come fu dalla passione per Lesbia
(Clodia, sorella del tribuno Clodio) che era divenuta sì il centro e la
sostanza della sua poesia ma che aveva fatto di lui un amante infelice e perennemente
umiliato. </span></i></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quasi tutti conosciamo molto bene le
tre deliziose poesie riportate, perché le abbiamo lette e tradotte a scuola
(tratte da: <span style="color: windowtext; mso-bidi-font-style: italic;">“<i>Le Poesie</i>” nella traduzione di
Mario Ramous, Garzanti, Milano 1996).</span></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Poesia
3<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Pianga
Venere, piangano Amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e tutti
gli uomini gentili:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">è morto
il passero del mio amore,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">morto il
passero che il mio amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">amava più
degli occhi suoi.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dolcissimo,
la riconosceva</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">come una
bambina la madre,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non si
staccava dal suo grembo,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">le
saltellava intorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e
soltanto per lei cinguettava.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ora se ne
va per quella strada oscura</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">da cui,
giurano, non torna nessuno.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Siate maledette,
maledette tenebre</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dell’Orco
che ogni cosa bella divorate:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">una
delizia di passero m’avete strappato.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Maledette,
passerotto infelice:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ora per
te gli occhi, perle del mio amore,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">si
arrossano un poco, gonfi di pianto.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In questa
poesia il poeta è triste per la tristezza di Lesbia, che ha perso il suo
passerotto tanto amato; la perdita dell’uccellino diviene un motivo di
riflessione sulla morte: la strada oscura dalla quale nessuno ritorna, le
tenebre maledette che divorano ogni cosa bella. <span style="text-transform: uppercase;">è</span> probabile che Catullo presentisse la sua fine prematura
(morì intorno ai trent’anni).</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Poesia
6<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Godiamoci
la vita, mia Lesbia, l’amore,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e il
mormorio dei vecchi inaciditi</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">consideriamolo
un soldo bucato.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">I giorni
che muoiono possono tornare,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma se
questa nostra breve luce muore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">noi
dormiremo un’unica notte senza fine.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dammi
mille baci e ancora cento,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">dammene
altri mille e ancora cento,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sempre,
sempre mille e ancora cento.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E quando
alla fine saranno migliaia</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">per
scordare tutto ne imbroglieremo il conto,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">perché
nessuno possa stringere in malie</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un numero
di baci così grande.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="color: windowtext;">I versi di questa poesia sono bellissimi e molto
copiati, e que</span>sti versi di Catullo hanno ispirato il titolo del libro <b>Dammi
mille baci. Veri uomini e vere donne nell’antica Roma</b> (Feltrinelli,
Milano 2009) di Eva Cantarella, professore ordinario di Istituzioni di Diritto
romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Milano (ove
insegna anche Diritto greco antico) ed esperta di morale e comportamenti
sessuali dei romani. Eva Cantarella è però anche esperta di amore e costumi
sessuali nei greci (<b>L’amore è un Dio. Il sesso e la polis</b>,
Feltrinelli, Milano 2009). Di baci, ha scritto in modo mirabile un poeta “maledetto” che ha saputo comporre grandi e tenere poesie d’amore, il francese
Paul Verlaine (1844-1896),
legato da una tempestosa relazione ad Arthur Rimbaud (1854-1891), altro poeta
maledetto dalla vita dissoluta ma dai caldi sentimenti (avventuriero,
commerciante d’armi e forse di schiavi in Africa), morto giovane dopo un’atroce
malattia e l’amputazione di una gamba. Il loro rapporto tormentato si concluse
con due colpi di pistola sparati contro Arthur da un Verlaine completamente
impazzito, che per questo atto di violenza subì l’onta della galera (dovette scontare
due anni di carcere). Verlaine ha composto la poesia <b>Il bacio</b>, della quale
riporto alcuni versi: «Bacio!
rosa malva nel giardino delle carezze! / […] / Sonoro e grazioso, Bacio, divino Bacio! / Voluttà incomparabile,
ebbrezza inenarrabile! / […]
/ Io, povero trovatore di Parigi, posso soltanto / offrirti questo mazzetto di
strofe infantili: / sii benevolo e, come premio, sulle scherzose labbra / di
Una che conosco, Bacio, scendi e ridi!» (da <i>Poesie</i>, traduzione di
Lanfranco Binni, Garzanti, Milano 1993). <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Poesia
8<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Povero
Catullo, basta con le illusioni:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">se muore,
credimi, ogni cosa è perduta.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Una
fiammata di gioia i tuoi giorni</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">quando
correvi dove lei, l’anima tua voleva,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">amata
come amata non sarà nessuna:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">nascevano
allora tutti i giochi d’amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che tu
volevi e lei non si negava.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Una
fiammata di gioia quei giorni.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ora non
vuole più: e tu, coraggio, non volere,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non
inseguirla, come un miserabile, se fugge,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma con
tutta la tua volontà resisti, non cedere.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Addio,
anima mia. Catullo non cede più,</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">non verrà
a cercarti, non ti vorrà per forza:</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma tu
soffrirai di non essere desiderata.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Guardati,
dunque: cosa può darti la vita?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Chi ti
vorrà? a chi sembrerai bella?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">chi
amerai? da chi sarai amata?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E chi
bacerai? a chi morderai le labbra?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma tu,
Catullo, resisti, non cedere.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questa terza
poesia di Catullo esprime tutto il tumulto dei sentimenti provocato nel poeta
dall’abbandono da parte di Lesbia e dall’atroce delusione per l’amore perduto:
la passione è stata come una «fiammata di gioia», ha inondato i giorni del
poeta e Lesbia «amata come amata non sarà nessuna», da chi sarà baciata o chi
amerà o chi bacerà giacché il suo vero amore ormai è lontano? Le continue
offese di Lesbia costringono Catullo ad amarla sempre di più ma ne spengono
l’affetto e il rispetto, ed egli chiede ai suoi Dei di rendere fermo il suo
animo per far cessare la lunga e nefasta passione (che chiama «orribile morbo») e per fargli
smettere di vivere in quella pena vergognosa. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Attraverso
gli sprazzi autobiografici dei suoi carmi, è possibile la ricostruzione ideale
della breve vita del poeta. Catullo nacque da una benestante e autorevole
famiglia nell’87 a.C. (ma forse piuttosto nell’84 a.C.) in provincia di Verona,
ove espletò gli studi e compose le prime liriche. Si spostò quindi a Roma, che
divenne la sua seconda patria e che lo attrasse per la ricca vita intellettuale
e per la sfrenata mondanità. Ricco, bello, colto ed elegante, fu un vero
play-boy dell’antichità, aperto ai tanti amanti di entrambi i sessi (per
esempio il bel giovinetto Giovenzio). La sua vita mutò radicalmente quando
conobbe Clodia e non rimase nient'altro che lei. Era una delle tre sorelle di
Publio Clodio e moglie di Quinto Metello Celere (che forse avrebbe avvelenato).
Soprannominata Lesbia da Lesbo, l’isola dell’amore, coinvolse Catullo in una passione
esclusiva e dolorosa, scandita da insulti, separazioni e riconciliazioni. Clodia
tradì e umiliò Catullo che tentò di resisterle e di rassegnarsi. Nella <b>poesia
11</b> Catullo scriveva: «Furio
e Aurelio, fedeli compagni di viaggio / di Catullo […] / alla donna che amo riferite per me queste
poche / e amare parole. Viva pure felice e si goda i suoi trecento amanti / che
insieme è capace di stringere a sé tra le braccia / senza amarne nessuno
davvero, e a vicenda fiaccando / le reni di tutti; / né si curi, come un tempo
faceva, di questo mio amore, / che è caduto per colpa di lei come un fiore /
sul ciglio di un prato non appena il suo stelo è reciso / dall’aratro che
passa.». </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il suo
allontanamento dall’amata,
provocò il tramonto di Catullo, precipitato ulteriormente dal dolore per la
morte del fratello, cui era legatissimo. Sulla sua tomba volle scrivere: «Venuto
fra tante distese di genti e di acque, ti reco, o fratello, l’offerta di un
rito dolente per rendere l’omaggio supremo dovuto alla morte per dire vane
parole al tuo cenere muto, poiché la fortuna mi tolse la tua umana presenza, sventurato
fratello a me ingiustamente rapito. […]». E alla morte del fratello e alla
visita della sua tomba presso il promontorio Reteo, in Bitinia, dedicò due
carmi commoventi (il <b>68</b> e il <b>108</b>), nei quali
piangendo salutava il fratello e seppelliva con la sua morte ogni sua speranza
di possibile felicità per il futuro (per la composizione del sonetto <b>In
morte del fratello Giovanni</b>,
Ugo Foscolo trasse ispirazione proprio dal carme 108). Nelle <b>Nugae</b>, il poeta romano raccontò ancora
la storia del suo amore infelice e in una <b>elegia
epistolare</b> (l’unica rimasta) rivisse la primavera del suo sentimento per
Clodia.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Catullo
morì giovanissimo a Roma nel 54 a.C., distrutto dalla tubercolosi e dalla
malinconia. Di lui restano 116 <i>Carmi</i>,
raccolti dopo la sua morte e comprendenti 60 poesie di metrica varia, due
epitalami (componimenti in lode degli sposi), due poemetti mitologici e 52 tra
elegie e brevi poesie in distici elegiaci.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Uomo sensibilissimo, ellenizzante nel suo ispirarsi ai
lirici greco–alessandrini, fu
però originale nell’usare con sapiente abilità nuove metriche e più audaci forme
poetiche. I critici lo pongono a cavallo tra la poesia arcaica e quella
classica moderna. Interprete di forte individualismo, nelle sue liriche tenere
e appassionate trasfuse tutta la sua vicenda umana e la sua travagliata
intimità, influenzando non poco altri importanti poeti, quali Orazio e
Virgilio. Non si occupò mai di politica (dalla quale era addirittura
disgustato), sebbene bruciasse di sdegno per le vergogne pubbliche del tempo. Da
poeta distaccato e intimista, scrisse sempre e soltanto di sé e per sé, con
verità di sentimenti e con integrità umana, trattando temi di grande libertà, quasi
eversivi nel loro essere in rottura con i costumi del tempo. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il letterato e critico fiorentino Guido Mazzoni (1859</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">–</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">1943), ottimo traduttore di Catullo,
definì il poeta come «</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">uomo tra uomini,
romano tra romani, ma con vivezza gallica </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">[…]</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> artista sovrano </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">[…]</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"> forse
il più “moderno”, il più “nostro”, per la materia e per gli spiriti,
umanamente, fra tutti gli antichi poeti</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">». Il critico catanese Concetto
Marchesi (1878</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">–</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">1957) sosteneva
invece che Catullo aveva fatto entrare nella poesia l’uomo («</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">homo</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">»), facendone uscire il cittadino
(«</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">civis</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">»).</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-7214449373173370172013-03-23T02:38:00.000-07:002013-03-23T02:38:31.117-07:00Piero Chiara e la provincia, riflesso del mondo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_Gx8Tvmu1TQylg1Y1g_ShC1sYkI396CdQCcoLwSg6ZHXh3F2x3oHNzxPz4qA4aFFb9U6cFSg8JlDQYGxcGF5w42u_-wRULt3WGgg9Y4yQPKW6bkAQ33ObVu1d7IXpPAhM7JuiCMAScfE/s1600/Piero+Chiara.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj_Gx8Tvmu1TQylg1Y1g_ShC1sYkI396CdQCcoLwSg6ZHXh3F2x3oHNzxPz4qA4aFFb9U6cFSg8JlDQYGxcGF5w42u_-wRULt3WGgg9Y4yQPKW6bkAQ33ObVu1d7IXpPAhM7JuiCMAScfE/s320/Piero+Chiara.jpg" width="212" /></a></div>
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Piero Chiara</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il 23 marzo Piero
Chiara (nato a Luino nel 1913) avrebbe compiuto cento anni. Intellettuale e
scrittore italiano – il cui
realismo si stemperava in invenzioni comiche e situazioni grottesche – morì a Varese per un tumore il 31
dicembre del 1986. Il comune di Varese gli ha dedicato dal 1989 il “Premio
letterario Piero Chiara”, uno dei più prestigiosi premi nazionali, volto
espressamente al racconto (per racconti editi in Italia e nella Svizzera
italiana), istituito non solo come evento culturale ma anche come produttore di
cultura destinato a valorizzare il territorio di appartenenza sotto il profilo
letterario e paesaggistico (gli sono stati affiancati il “Premio Chiara giovani”
e il “Premio Chiara alla carriera”). <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il padre doganiere era nativo di Resuttano (in provincia di
Caltanissetta) e – a lui, grande
raccontatore di storie e fatti – lo scrittore si disse in debito per il suo
talento di narratore, mentre la madre era di origini piemontesi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Studente non diligentissimo (lo stesso Chiara parlò di “non
studiosa adolescenza”), fu amico e coetaneo dello scrittore e poeta Vittorio
Sereni (1913–1983), anch'egli nato a Luino e figlio di un funzionario della
dogana. Piero ebbe un rapporto infelice con l'istituzione scolastica e frequentò
diversi collegi retti da religiosi (tra cui il San Luigi di Intra e il De
Filippi di Arona). La scuola – come
scrive Mauro Novelli – gl'impedì
di «bighellonare in campagna, sulle rive del lago o tra i banchi dell’animato
mercato locale»</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.treccani.it/enciclopedia/piero-chiara_%28Dizionario-Biografico%29/). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nell'incipit de <b>Le avventure di Pierino
al mercato di Luino </b>(che fa parte della sua narrativa per ragazzi e che fu
pubblicato nel 1980), scriveva Chiara in modo autobiografico: «Il desiderio più
forte che Pierino allevava nel cuore fin da quando a sei anni aveva cominciato
la scuola, era di aver libertà il mercoledì e di poter passare la giornata
godendo lo spettacolo del mercato che si teneva in quel giorno al suo paese.».
Molte notizie biografiche possono essere ricavate da Federico Roncoroni, <i>Piero Chiara. La vita e le opere</i>,
Nicolini, Varese 2005. Ha scritto Roncoroni: «La vita di quegli anni di scuola
e di collegio, a ogni buon conto, tornerà di frequente nelle sue pagine di
scrittore, recuperata e accarezzata sul filo di una sottile ironia,
specialmente nei confronti di un'educazione tanto rigida quanto culturalmente e
formativamente inesistente.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ottenuta la licenza complementare da privatista nel 1929, Chiara
continuò a formare la sua cultura da autodidatta. Scrive Novelli nel suo lungo
e articolato testo dedicato allo scrittore luinese: «Maturava intanto un’avida
passione per la letteratura, che lo portava ad alternare le biblioteche alle
palestre, dove praticava pugilato e lotta per tonificare il fisico minuto.». <span style="text-transform: uppercase;">è</span> stata riportata questa sua frase
lapidaria che riassumeva la sua visione esistenziale: «Ho assistito alla vita
qualche volta da seduto, qualche volta in piedi, partecipando al banchetto o
rimanendo a bocca asciutta, ma sempre con grande piacere»; e, in effetti, Chiara
volle vivere «al di là di ogni pregiudizio, in piena libertà, con una totale
disponibilità a ogni tipo di esperienza e soprattutto con un sostanziale
rifiuto di ogni forma di costrizione» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.ilfestivaldelracconto.it/premiochiara/vita.asp).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Esentato dal servizio militare per una forte miopia, fu
all'estero e poi nel 1932 accettò un impiego in magistratura come “aiutante di
cancelleria” (lavoro che «non lo entusiasmava, ma non lo impegnava»): fu prima
assegnato alla pretura di Pontebba, quindi ad Aidùssina (sul confine iugoslavo)
e a Cividale del Friuli, e finalmente alla pretura di Varese. Scrive Novelli: «In
questa fase irrobustì con l’entusiasmo dell’autodidatta la sua preparazione
culturale. […] Favorito dal tempo libero a disposizione, avviò qualche
collaborazione con periodici locali, scrivendo soprattutto di arte. Collezionò
intanto avventure sentimentali, fino a che s'invaghì, corrisposto, della
giovanissima Jula Scherb, figlia di un illustre medico zurighese». La sposò nel
1936 e n'ebbe il figlio Marco (il matrimonio, purtroppo, finì quasi subito per «un
crescendo d'incomprensioni reciproche»). Inizialmente Chiara scrisse sul «Giornale
del Popolo» e più tardi sul «Corriere del Ticino» di Lugano, e – pieno di gratitudine per la
Svizzera – mantenne per tutta
la sua vita rapporti molto stretti con gli intellettuali ticinesi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Chiamato alle armi e ritornato a casa, nel 1944 – a causa del suo spirito libero e
liberale, e di alcuni blandi atti antifascisti (aveva, per esempio, fatto
sparire dal Tribunale di Varese i ritratti di Mussolini e talora messo il
ritratto del Duce nel gabbiotto degli imputati) – fu costretto, per sfuggire a un ordine di cattura del
tribunale fascista, a riparare in Svizzera in alcuni campi nei quali venivano
internati i rifugiati italiani (in varie località tra cui Bellinzona, Lugano e
Loverciano); intanto veniva condannato in contumacia a quindici anni di
reclusione con l'interdizione dai pubblici uffici. Per molti mesi era stato
salvato, come scrisse lo stesso Chiara, «dall’intervento di autorevoli fascisti
bonaccioni di provincia che divertiva con le sue frottole o che aveva compagni
al tavolo di gioco» (vedere in Roncoroni). In Svizzera Chiara pubblicò la sua prima
opera, una raccolta di poesie dal titolo <b>Incantavi</b>
(1945), dal nome dei covoni di grano nel dialetto di Luino.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Rimesso in libertà, fu destinato come bibliotecario nel
Canton Ticino (ove collaborò con lo spionaggio americano) e, alla fine della
guerra, si diede all'insegnamento presso la cattedra di italiano, storia e
filosofia, prima in Svizzera poi in Italia, ove era ritornato. Nel dopoguerra
si segnalò come organizzatore di mostre di scultura all’aperto e come mercante
d’arte, divenendo un noto giornalista pubblicista e un conferenziere molto
richiesto (si era fatta la fama d'“impagabile narratore orale”). Iniziò da
allora in intenso periodo creativo e produttivo.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1962 pubblicò <b>Il
piatto piange</b>, il romanzo che segnò il suo esordio come romanziere, che
rievocava la vita dei caffè di Luino negli anni Trenta, e che fu un grande
successo di pubblico e di critica. Il romanzo fu scritto grazie alle pressioni
dell'amico Sereni, al quale scriveva in una lettera del 24 gennaio 1961:
«Lavoro come un pazzo al libro che tu aspetti. Se non sapessi che tu lo aspetti
non saprei scrivere una riga. Racconto tutto a te con una foga che mi riporta
indietro a velocità vertiginosa in quegli anni. Credo che il romanzo ci sia, in
queste pagine. Ma giudicherai tu.». Il libro suscitò contemporaneamente
entusiasmi e proteste di coloro che sembrarono riconoscersi in alcuni “caratteri”
del romanzo, che si aggiudicò il premio Internazionale Silver Caffè. Il libro inizia
così: «Si giocava d'azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con
accanimento e passione; perché non c'era, né c'era mai stato a Luino altro modo
per poter sfogare senza pericolo l'avidità di danaro, il dispetto verso gli
altri e, per i giovani, l'esuberanza dell'età e la voglia di vivere.» (da Piero
Chiara, <i>Il piatto piange</i>, CDE,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1978). Ha commentato Carlo Bo: «È un piccolo
capolavoro. Il lettore vi troverà finalmente un mondo di paese che non sa di
letteratura: avrà da leggere senza un attimo di stanchezza e, cosa che non
succede quasi mai, arrivato alla fine, sarà preso da un senso di sincero
rammarico.» (vedere in Roncoroni).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1954 seguì il noto romanzo <b>La spartizione</b> (premio Selezione Campiello e vincitore del premio
Alpi Apuane); nel 1970 Piero Chiara fu chiamato da Alberto Lattuada in un ruolo
di attore in <i>Venga a prendere il caffè da
noi</i>, interpretato da Ugo Tognazzi, e tratto dal romanzo (che fu da lui
stesso sceneggiato): vi si raccontavano gli strani e scabrosi rapporti tra
Emerenziano Paronzini e le tre sorelle Tettamanzi. Da questo romanzo, insieme
con Aldo Trionfo, Chiara trasse pure una riduzione teatrale dal divertente
titolo <i>Il Trigamo</i>, rappresentata
dalla compagnia Moriconi–Carraro.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Voltosi indietro ai luoghi e alla gente di Sicilia (terra
d'origine del padre Eugenio), conosciuti da bambino nelle sue vacanze estive, nel
1965 pubblicò <b>Con la faccia per terra</b>,
proprio a ridosso della morte dell'amato padre. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dal 1969 fu chiamato a collaborare con la terza pagina del «Corriere
della sera», divenendo amatissimo per i suoi elzeviri e bozzetti, e per le sue divagazioni
e recensioni, raccolti ne <b>L’uovo al
cianuro e altre storie</b>.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1970 pubblicò il romanzo “giallo” <b>I giovedì della signora Giulia</b>, contemporaneamente al suo
adattamento televisivo RAI in cinque puntate, per la regia di Paolo Nuzzi e
Massimo Scaglione, con Claudio Gora, Helene Remy, Martine Brochard, Tom Ponzi e
Gianfranco Barra (lo stesso Piero Chiara si ritagliò un piccolo ruolo d'attore).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Del 1973 è <b>Il pretore
di Cuvio</b>, candidato al premio Strega (che vendette più di 120.000 copie in
pochi mesi), e del 1974 è <b>Sotto la Sua
mano</b>, cui seguirono moltissimi altri romanzi e racconti raccolti postumi ne
<b>Il meglio dei racconti di Piero Chiara</b>
(1989).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1976 dal suo capolavoro <b>La stanza del vescovo</b> (il Vescovo era un prozio della moglie del
narratore della storia, monsignor Alemanno Berlusconi, morto nel 1928, che da
giovane passava l'estate in villa, la cui stanza – la migliore –
era addobbata nel modo degno di un Nunzio Apostolico qual era) fu tratto il film
di successo di Dino Risi, con Ugo Tognazzi e Ornella Muti (anche in questo caso
Chiara si ritagliò un piccolo ruolo d'attore: era il cancelliere del tribunale,
l'attività che in passato aveva svolto nella vita). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A proposito della sua collaborazione col cinema, in
un'intervista a Roberto Gervasio del 1977, Chiara disse: «Anche se alcuni
critici dicono il contrario, io penso esclusivamente alla letteratura. Il
cinema quando viene, viene dopo.» (vedere in Roncoroni); parlò, inoltre, di «unica
soddisfazione di carattere economico» e di «cadute cinematografiche nell’erotismo»
che mancava nei suoi libri (intervista a Ernesto Gagliano del 1977 per “Stampa
Sera” di Torino). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1978, dal grottesco <b>Il
balordo</b> (1967), vincitore nel 1968 del premio “Bagutta”, fu tratto
l'omonimo sceneggiato televisivo RAI per la regia di Pino Passalacqua
(narratore Renzo Palmer), con Tino Buazzelli, Elisa Cegani, Marina Confalone,
Richard Harrison, Teo Teocoli e Vittorio Mezzogiorno.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Massone, Piero Chiara si dedicò anche alla politica
ricoprendo diversi incarichi nazionali nel Partito Liberale (nel 1984 fu
nominato vicesegretario nazionale del partito). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dopo molte convivenze –
Piero Chiara era un estimatore dell'universo femminile e intrecciò varie storie
d'amore: egli stesso parlò di «una gran bella vita da scapolo» – dal 1955 visse con Mimma Buzzetti,
che sposò nel 1974. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1957 abbandonò il suo lavoro al Ministero della
giustizia per «dedicarsi liberamente e compiutamente alla letteratura» (come
disse egli stesso), e all'arte divenendo un esperto degli artisti del Varesotto
tra Seicento e Ottocento e collaborando con pittori, incisori e scultori nella
pubblicazione di “libri d’arte” e di “opere grafiche” impreziosite da disegni, chine,
acquarelli, litografie, acqueforti, serigrafie, incisioni e fotografie; continuava,
intanto, la sua attività di consulente editoriale e giornalista. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tra il 1967 e il 1969 passò diversi mesi in USA e a New York
ove abitava il figlio Marco. Ritornava, però, a Luino per alcune “gite” «necessarie,
a suo dire, per il suo stesso equilibrio sentimentale e fantastico», ove
ritrovava «le sue radici di uomo e narratore» (vedere in Roncoroni).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Piero Chiara è stato considerato lo scrittore della
provincia tra le due guerre (di quel microcosmo in cui si rifletteva tutto il
mondo e che era anche un rifugio), della pigra quotidianità, della vita di
frontiera, della borghesia piccola, e delle piccole narrazioni del “grande lago”
(ispirato autobiograficamente da Comnago, il paese sulla sponda piemontese del
Lago Maggiore dal quale proveniva la madre Virginia Maffei). I suoi testi erano
ricchi d'ironia malinconica e di lieve umorismo. La critica lo ha paragonato a Giovanni
Guareschi (1908–1968), cantore della bassa padana e dei suoi protagonisti (inclusi,
Peppone e Don Camillo). Amò la lentezza e gli ozi di una vita appartata,
rivolgendosi a personaggi conosciuti nella realtà e rappresentati con forza
psicologica e rimpianto nostalgico nei loro vizi e nelle loro virtù ma senza
mai scadere nel morboso o nel volgare: il pretore di provincia, il medico di
paese, la moglie del commercialista, il giocatore d'azzardo costretto a
impegnare le sue cose, il virtuoso del biliardo, il proprietario dell'hotel, il
commissario di Pubblica Sicurezza, il testimone di pretura, cioè con tutti quei
«personaggi di ogni tipo» che stimolavano la sua fantasia creativa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il disincanto e l'umorismo amaro si faranno più intensi
nelle ultime opere: <b>Il cappotto di
astrakan</b> (1978), ambientato nella Parigi nel 1950 (l'autore e narratore
pensava di trovarvi e cogliervi «il terreno favorevole alla nuova vita… il
bandolo di un avvio e magari… la fortuna»); <b>Vedrò Singapore?</b> (1981), in cui riviveva dopo più di quarant'anni
le vicissitudini vissute nelle diverse preture del Friuli e nel quale – accennando a una prosperosa ragazza
friulana – l'autore parlava di
quella che era ritenuta «la dote del Friuli, la quale secondo un detto popolare
consisteva in panse, tette e cul, non avendo altro quella splendida terra,
almeno allora, da esportare o da presentare al mondo»); e <b>Saluti notturni dal Passo della Cisa</b> (1987), pubblicato postumo: ne
aveva corretto le bozze proprio poco prima di morire.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fu anche traduttore e saggista: nel 1969 aveva tradotto il <b>Satiricon di Petronio Arbitro</b>, da lui
considerato la «polla originaria della narrativa occidentale». Interessato all'avventuriero,
scrittore–poeta, alchimista,
diplomatico–filosofo veneziano Giacomo
Casanova (1725–1798), Chiara pubblicò molti saggi su di lui, che raccolse nel
volume <b>Il vero Casanova</b> (1977),
curando nel 1980 anche la sceneggiatura dell'edizione televisiva tratta da <i>Il ritorno di Casanova</i> di Arthur
Schnitzler, per la regia di Pasquale Festa Campanile, con Giulio Bosetti,
Mirella D'Angelo, Grazia Maria Spina, Bianca Toccafondi e Carlo Simoni. Scrisse
Chiara dello stile di Casanova: «Non è uno stile da letterato sedentario e
misantropo, è uno stile da esaltatore della vita, che con la sua irrequietezza
sembra prevedere l'europeo futuro. Nella letteratura italiana mancava allora
non solo un buon romanzo in prosa, ma ancora l'idea di uno stile così veloce e
denso di avvenimenti. L'azione si fonde al dialogo, il quale diventa azione
interiore.» (in <i>Giacomo Casanova, Storia
della mia vita</i>, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Arnoldo
Mondadori, I Meridiani, 1999).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A D'Annunzio dedicò: <b>Vita
di Gabriele D'Annunzio</b> (1978) – in pochi mesi vendette oltre 100.000 copie –
e <b>Prato nella vita e nell'arte di
Gabriele D'Annunzio</b> (1985).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1976 fu insignito dal governo francese con il grado di
Ufficiale delle Palmes Académiques (per la valorizzazione e diffusione delle
opere di Casanova) e nel 1982 fu fatto Cavaliere di gran croce dell'Ordine al
merito della Repubblica italiana. Nello stesso periodo ricevette una Laurea
honoris causa presso l’Università di Catania.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A proposito delle altissime tirature dei libri di Chiara e del
fatto che lo scrittore fosse considerato un “autore popolare” per la sua “facilità”
di lettura, scrive Mauro Novelli: «Al principio degli anni Ottanta la
popolarità di Chiara toccò l’apice. I suoi libri, tradotti in tutto il mondo,
avevano venduto complessivamente oltre quattro milioni di copie. Tuttavia, al
crescere del successo aveva corrisposto un affievolimento del consenso critico,
fatta salva la stima d'intellettuali del calibro di Sciascia, Prezzolini, Bo,
Pomilio, Carena, Baldacci, che ne ammiravano le doti di narratore di costume.» </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">(http://www.treccani.it/enciclopedia/piero-chiara_%28Dizionario-Biografico%29/).
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">A queste critiche, in un'intervista del 1980, Chiara
rispose: «Ho in circolazione quasi tre milioni di copie dei miei libri. Il che
vuole dire che sono letto più dagli uomini comuni, che sono gli uomini
migliori, che dagli intellettuali, che sono i peggiori» (vedere in Roncoroni).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L'interesse dei critici per l'opera di Chiara è, tuttavia,
cresciuta in questi ultimi anni.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<span style="font-size: 12pt;"><div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;">Ha scritto di lui Roberto Gervaso: «La leggibilità è una dote piuttosto
rara fra i nostri narratori, intenti più a lanciar messaggi, patrocinare
avanguardie, inseguir mode che render digeribile la loro prosa. Piero Chiara è
un'eccezione. Scrive come parla, e parla come scrive. Il suo stile può anche
non piacere, ma non resta sullo stomaco. I suoi libri, una volta aperti, non si
chiudono più, cioè si chiudono solo alla fine. Le sue storie, pur se
circoscritte al microcosmo luinese e varesino, son piene di plasma, umori,
colpi di scena. L'autore dice che son tutte vere. Forse mente, forse qualcosa è
inventata, ma non importa. Ciò che importa è che divertano chi legge, come
certamente hanno divertito chi le ha scritte. Se poi qualche produttore e
regista ne fa un film tanto meglio.». A proposito della popolarità dei suoi
libri, lo steso Chiara aveva detto: «I miei libri piacciono perché mi metto
dalla parte del lettore, che vuole fatti raccontati da uno che non ha l’aria di
insegnare.».</span></div>
</span>Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-37099874850080475842013-03-17T13:23:00.001-07:002013-03-17T13:23:47.222-07:00René Clément, uno dei più grandi registi francese del dopoguerra<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqafOVnqF-x7adnDZ7n8eD5glzwRwh0Pcz9edeavnSvFcUC7Z24ITZM_0xmBOCytvQMmiV6n6g_9gWOH7zuqsAKCPtAc1TENuGLnZrOuy3AgzYGtOhEMcOGkP7zdYbGBaDAFGHJA1irNQ/s1600/Ren%C3%A9+Cl%C3%A9ment.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiqafOVnqF-x7adnDZ7n8eD5glzwRwh0Pcz9edeavnSvFcUC7Z24ITZM_0xmBOCytvQMmiV6n6g_9gWOH7zuqsAKCPtAc1TENuGLnZrOuy3AgzYGtOhEMcOGkP7zdYbGBaDAFGHJA1irNQ/s320/Ren%C3%A9+Cl%C3%A9ment.jpg" width="263" /></a></div>
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">René Clément</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il 18 marzo di questo
anno, avrebbe compiuto cento anni il grande regista René Clément, distintosi
per le enormi qualità artistiche, per l'eccezionale talento cinematografico e per
l'abile mestiere. I suoi film più importanti hanno spesso portato avanti un
giudizio morale severo e inappellabile sugli orrori della guerra e sulle
mostruosità del nazismo, combattute grazie a una Resistenza descritta con i
toni di «un'epopea anti–retorica».<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">René Clément nacque a Bordeaux nel 1913 ed era ancora un
giovane studente di architettura presso l'École des Beaux-Arts (che dovette
abbandonare per la morte del padre), quando nel 1934 incontrò Jacques Tati che
lo mise a contatto con il cinema (insieme sceneggiarono filmetti comici,
scritti a quattro mani). Di quell'anno è il suo primo cortometraggio, <b>On demande une brute</b>, de Charles
Barrois. Iniziò quindi la sua attività di aiuto regista e operatore, girando
documentari in Arabia e in Africa del Nord (attraversando traversie di salute e
subendo anche alcuni arresti); di quel periodo è da ricordare <b>L'Arabia proibita (L'Arabie interdite)</b> del
1937. Dello stesso 1937 è il film <b>Cura
il tuo sinistro (Soigne ton gauche)</b>, che sceneggiò insieme con Tati,
interpretato dallo stesso attore comico. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Durante la guerra, da soldato semplice, collaborò con il
servizio cinematografico dell'esercito, e in quel periodo girò il bel documentario
<b>La grande pastorale</b> (1943). </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Imparò molto dal direttore della fotografia parigino Henry
Alekan (1909–2001) e insieme raggiunsero la celebrità con il film diretto da
Clément <b>Operazione Apfelkern (La
bataille du rail)</b> (1946), opera di grande realismo, dedicata alla Resistenza,
espressa non tanto come lotta partigiana armata quanto piuttosto come sabotaggio
per fiaccare l'occupazione nazista; la pellicola narra di un attentato
ferroviario; scrive Gianni Canova: «Girato nei veri luoghi della vicenda e con
autentici operai delle ferrovie, il film imprime una virata al cinema francese
innestandovi una dose di asciutto realismo e ottiene il Gran premio della
giuria per la miglior regia a Cannes.» (<i>Cinema</i>,
le garzantine, Garzanti, 2009). Sempre con la collaborazione di Henry Alekan, Clément
girò <b>I maledetti (Les maudits)</b> (1947)
con Fosco Giachetti e Henri Vidal, un apologo sulle mostruosità naziste che
aveva come cupo teatro un sottomarino tedesco (in seguito Alekan collaborò anche
con Jean Cocteau, André Cayatte, Marcel Carné, Yves Allégret, Abel Gance, Jean
Delannoy e Wim Wenders, rivelandosi anche un vero maestro della fotografia in
bianco e nero). Clément fu accanto a Jean Cocteau e Alekan in <b>La bella e la bestia (La belle et la bête)</b>
(1946) con Jean Marais (attore feticcio di Cocteau).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1946 Clément girò <b>Il
padre tranquillo (Le Père tranquille o La Vie d'une famille française durant
l'occupation)</b>, nel quale il regista celebrava – senza mistificazioni –
la lotta partigiana durante l'occupazione di un buon padre di famiglia che
conduceva la sua personale resistenza dall'interno della quotidianità e della sua
abitazione piccolo–borghese. Diresse,
quindi, <b>Le mura di Malapaga (Au<i>–</i>delà
des grilles)</b> (1949), rappresentazione romantica e sentimentale ma anche amara
e disillusa delle ferite del dopoguerra genovese, con un grande Jean Gabin e
una sofferta Isa Miranda, premiato a Cannes e vincitore dell'Oscar come miglior
film straniero (alla sceneggiatura collaborarono i nostri Cesare Zavattini e
Suso Cecchi d'Amico); per questo film si è parlato di film «di ambizioni
psicologiche», di tentativo di «fondere il “vecchio” verismo francese con il
neorealismo italiano» (<i>Il cinema francese
del dopoguerra</i>, 3° volume, cap. 40, “Il Cinema – Grande storia illustrata”,
Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). Da ricordare anche <b>L'amante di una notte (Le château de verre)</b>
(1950), storia melodrammatica di fuga e tradimenti con Fosco Giachetti, Jean
Marais ed Elisa Cegani.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Già nell'empireo dei grandi del cinema, nel 1952 Clément diresse
il lirico e delicato film di guerra <b>Giochi
proibiti (Jeux interdits)</b>, certamente il suo capolavoro, ove ritorna
nuovamente la dolorosa e impietosa rappresentazione dei traumi della guerra in due
ragazzini orfani che si creano un “universo segreto” (Paulette di cinque anni e
Michel di undici anni); il film si aggiudicò il Leone d'Oro a Venezia, il
premio della critica a Cannes e l'Oscar per il miglior film straniero. Scrive
Canova: «<span style="text-transform: uppercase;">è</span> un'opera che tenta di
scrutare senza morbosità, il fondo oscuro che la tragedia della guerra ha
sedimentato nella psiche di due bambini, i quali per i loro giochi si sono
costruiti un finto cimitero» (<i>Cinema</i>,
le garzantine, Garzanti, 2009).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Continuando la sua arrestabile ascesa, nel 1954 Clément
presentò a Cannes il brillante ma sarcastico e amaro film inglese <b>Le amanti di Monsieur Ripois (Monsieur
Ripois o Knave of Hearts)</b> con un immenso e «incontenibile» Gérard Philipe (insieme
con Valerie Hobson e Joan Greenwood) nella parte di un “tragico” e “ridicolo” dongiovanni,
sullo freddo e disincantato sfondo di una Londra crudele, che si aggiudicò un Premio
speciale della giuria a Cannes.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Seguirono lo stupendo <b>Gervaise</b>
(1956), forte e naturalistico nella sua descrizione di una sordida e opprimente
Parigi dei bassifondi (tratto dall'“Assomoir” di Émile Zola); il film,
interpretato da Jany Holt e una superba Marie Schell (con il seducente bianconero
di René Juillard), racconta le vicende tristi amare di una lavandaia di fine Ottocento,
costretta a logorarsi per mantenere la famiglia e il marito ubriacone, la quale
viene umiliata anche dall'amante. Maria Schell si aggiudicò la coppa Volpi a
Venezia. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Seguirono: <b>La diga
sul Pacifico (This Angry Age)</b> (1958), colossal di produzione internazionale
con Silvana Mangano, Anthony Perkins e Richard Conte, tratto dall'omonimo romanzo
di Marguerite Duras e dedicato alla dissoluzione nell'Indocina francese di una
famiglia di proprietari terrieri (fu definito dalla critica lo «Zoo di vetro in
Oriente»); <b>Delitto in pieno sole (Plein
Soleil)</b> (1959), tratto dal romanzo di Patricia Highsmith “The talented Mr.
Ripley”, con Alain Delon, Maurice Ronet e Marie Laforêt, influenzato in modo
percettibile da Hitchcock, così da pagare il suo tributo alla grande tradizione
del giallo;<b> Che gioia vivere (Quelle
joie de vivre)</b> (1961), uno dei rari film comici di Alain Delon e René
Clément; <b>Il giorno e l'ora (Le jour et
l'heure)</b> (1963), con Simone Signoret, Geneviève Page e Stuart Whitman,
considerato un film sconclusionato, in grado di mettere in difficoltà anche la
grande attrice Simone Signoret nel ruolo di una signora parigina malmaritata
che ha una tresca con un aviatore texano; <b>Crisantemi
per un delitto (Les félins)</b> (1964) con Jane Fonda e Alain Delon; <b>Parigi brucia? (Paris brûle–t–il?)</b>
(1966) con Jean-Paul Belmondo, Charles Boyer e Alain Delon, tratto dal
best-seller di D. Lapierre e L. Collins, nel quale ritorna la rappresentazione della
Resistenza nella Parigi occupata; <b>L'uomo
venuto dalla pioggia (Le passager de la pluie)</b> (1969) con Gabriele Tinti,
Charles Bronson e Marlène Jobert; <b>La
corsa della lepre attraverso i campi</b> <b>(La
course du lièvre à travers les champs)</b> (1972) con Jean-Louis Trintignant, Robert
Ryan e Lea Massari; e <b>Babysitter – Un maledetto pasticcio (Jeune fille libre le soir)</b> (1975),
con Maria Schneider e Sydne Rome, che fu il suo ultimo film. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Intensa fu anche la sua attività di sceneggiatore; infatti,
di molti dei suoi film Clémente scrisse le sceneggiature. Ritiratosi piuttosto
prematuramente dall'attività cinematografica per l'esaurirsi della sua vena, morì
nel Principato di Monaco il 17 marzo del 1996.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ne <i>Il cinema francese del dopoguerra</i>, 3° volume, cap. 40 (“Il Cinema –
Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981), si è
osservato che nel dopoguerra una nuova generazione di autori si affacciava, tra
i quali appunto René Clemént, che con “Operazione Apfelkern” forniva «un saggio
– insolito per il film francese – di neorealismo integrale, non privo di
affinità con quello di Rossellini»; si è parlato anche di «stile di spoglia
epicità e di asciutta tensione». In <i>Tendenze
del cinema francese negli anni Cinquanta</i>, 4° volume, cap. 49 (“Il Cinema –
Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981) è stato
riportato che Clément fu «essenzialmente un artigiano che dipendeva formalmente
dal copione e che non sembrava particolarmente animato dall'ansia di esplorare
le potenzialità del mezzo di espressione che aveva scelto». </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ha scritto nell'Enciclopedia del
Cinema (2003), Bruno Roberti: «Al centro del suo cinema vi è la nozione di
conflitto, sia nel senso di un'indagine sulle vicende e le ferite della Seconda
guerra mondiale, sia, più in generale, nella resa visiva di azioni e passioni
umane osservate lucidamente e nella dimensione esistenziale che sovente
imprigiona i suoi personaggi in un ingranaggio implacabile. L'inventiva e il
virtuosismo tecnico di Clément risultano così, di volta in volta, agganciati
all'analisi, spinta fino all'evidenza crudele, di situazioni limite, esemplari
delle condizioni di crisi cui l'azione del film offre sbocco psicologico e
snodo drammatico. […] La puntualità nel costruire un'architettura filmica che
in modo stringente si attagliava alla progressione drammatica, coadiuvata in
questo dall'incisività luminosa e dalla fluidità nel muovere la macchina da
presa in situazioni elaborate e difficili di un grande operatore come Henry
Alekan, restò caratteristica di molte opere di Clément.». Sostiene ancora Roberti
che, nei suoi primi film dedicati alla Resistenza Clément: «seppe esaltare
l'unicità di un'esperienza filmica di tal genere, facendo così emergere uno
stile che univa l'efficacia drammatica dei film bellici statunitensi alla
scabra durezza del Neorealismo italiano.». Parlando, invece, dei numerosi
gialli e noir, scritti e diretti da Clément, ha osservato Roberti: «tutte
variazioni sul thriller che, pur nella loro macchinosità e nell'accentuazione
contorta delle psicologie, testimoniano l'abilità di Clèment nel costruire
ingranaggi drammaturgici capaci di trasmettere suggestione e angoscia, ma anche
di comunicare la densità precisa di un ambiente e di un personaggio, il senso
concreto dell'ambiguità del reale». – vedere
anche su </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">http://www.treccani.it/enciclopedia/rene-clement_(Enciclopedia-del-Cinema)/.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-43974972351439073302013-03-12T04:18:00.001-07:002013-03-12T04:19:30.714-07:00Shakespeare, l'amore e la poesia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXXriu70CnZ9Jc01fA_CGmjHi2PwxfngoNnF2wAD5ukjj25OXTq0CYAiSDcTV9PnQ8qGBnh78HAWzaV6Vw1AdPk-UeTNumrThWj3myQXihYNZcf7ft43N0RjJjukd1rOw-dc1xVqesMzk/s1600/Shakesperae+2+-+Wriothesley_southampton.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXXriu70CnZ9Jc01fA_CGmjHi2PwxfngoNnF2wAD5ukjj25OXTq0CYAiSDcTV9PnQ8qGBnh78HAWzaV6Vw1AdPk-UeTNumrThWj3myQXihYNZcf7ft43N0RjJjukd1rOw-dc1xVqesMzk/s200/Shakesperae+2+-+Wriothesley_southampton.jpg" width="168" /></a></div>
<div style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8hY3TxTWX-cNk9sc0iNUatMl_hSZfCd13wJ9JlNRFcbXS_XskdgmWMuuZGuaaJR29TclXJPaZ_HgCB5UOLIrtsS0HQDXO_rWNbcQQ8yNPj1P-j0DGXBEQZHsacYALBrpKHC2i67UpA1I/s1600/Shakespeare+2+MaryFitton.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8hY3TxTWX-cNk9sc0iNUatMl_hSZfCd13wJ9JlNRFcbXS_XskdgmWMuuZGuaaJR29TclXJPaZ_HgCB5UOLIrtsS0HQDXO_rWNbcQQ8yNPj1P-j0DGXBEQZHsacYALBrpKHC2i67UpA1I/s1600/Shakespeare+2+MaryFitton.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8hY3TxTWX-cNk9sc0iNUatMl_hSZfCd13wJ9JlNRFcbXS_XskdgmWMuuZGuaaJR29TclXJPaZ_HgCB5UOLIrtsS0HQDXO_rWNbcQQ8yNPj1P-j0DGXBEQZHsacYALBrpKHC2i67UpA1I/s200/Shakespeare+2+MaryFitton.jpg" width="120" /></a></div>
<br />
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 11pt; text-align: justify;">Henry Wriothesley, conte di
Southampton </span><span lang="EN-GB" style="font-size: 11.0pt; mso-ansi-language: EN-GB;">Mary Fitton</span><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="EN-GB" style="font-size: 11.0pt; mso-ansi-language: EN-GB;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="EN-GB"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 11pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>William Shakespeare ha visitato tutti i generi, traendo spunti dai miti
classici, dalle narrazioni medievali, dalla cronaca contemporanea, dalla storia
d’Inghilterra e dalle favole nordiche. Scrisse, infatti, drammi romani, storie
d’orrori, poemi storici, commedie di corte, vicende di argomento romantico–cortese, comiche, farse plautine,
tragedie romantiche, poemetti e sonetti, in cui ha trattato l’amore in tutta la
sua lirica drammaticità, con verità e alto senso umano.<o:p></o:p></i></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
</span><br />
<div class="MsoNormal" style="font-size: 11pt; text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Shakespeare
scrisse (probabilmente prima del 1600) 154 <i>sonetti</i>, in una forma metrica
inglese, che è stata quella usata nei secoli successivi (tre quartine e un
distico). Questi versi furono pubblicati senza il permesso dell’autore nel 1609
e rappresentano senz’altro il più importante “Canzoniere” inglese, vicino ai
nostri gusti e alla nostra sensibilità, i cui temi sono quelli eterni di ogni
età e ogni tempo. </div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Molti di
questi sonetti d’amore di Shakespeare (le parti citate sono una mia traduzione
letterale dal testo stabilito da W.J. Craig nel 1911) sono dedicati in parte a
un “biondo amico” (fair friend), giovane e bello: probabilmente
l’amico e mecenate conte di Southampton, al quale aveva già dedicato i due
poemetti amorosi giovanili <i>Venere e Adone</i>
e <i>Il ratto di Lucrezia</i>, che furono
pubblicati direttamente dal drammaturgo inglese (in realtà, i curatori
dell’opera shakespeariana del Settecento crearono una vera e propria
mistificazione per mascherare l’evidente omosessualità di alcune poesie). Questo
intimo amico di Shakespeare era Henry Wriothesley (1573–1624, terzo conte di
Southampton; gli studiosi lo hanno identificato proprio nel misterioso “fair
friend”, cui Shakespeare si rivolgeva nella prima parte dei suoi sonetti (e la
prima edizione portava la sigla “Mr. W.H.”, che si riferiva evidentemente al
conte di Southampton). </div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify;">
Un’altra parte dei sonetti
è dedicata invece a un’amica misteriosa e volubile, la “dama bruna” (dark lady), scura fisicamente e moralmente. Era una donna certamente non
bella ma molto seducente e desiderabile, cattiva e infedele, un «paradiso che guida a questo inferno»
(<i>s. 129</i>), un’amante «nera come l’inferno, fosca come la notte» (<i>s.
147</i>) dagli «occhi neri come corvi» quasi vestiti a lutto (<i>s. 127</i>). Si
trattava probabilmente di Mary Fitton (1578–1647), bellissima dama di corte
della Regina Elizabeth: per lei Shakespeare, in un sonetto, conclude che «la
vera bellezza è nera» (<i>s. 132</i>). Queste poesie mi hanno fatto pensare
alla poesia <i>Bruna sei tu ma bella</i> (<i>s. 372</i>), dalle “Rime” di
Torquato Tasso, che così recita: «Bruna sei tu ma bella / ed ogni bel candore,
/ perde col bruno tuo, giudice Amore. / Bella sei tu, ma bruna; / pur se ne
cade incolto / bianco ligustro e negro fiore è colto. / Chi coglie ad una ad
una / le tue lodi più elette? / chi te ne tesse in rime ghirlandette?». L’amore
del poeta inglese per la “dark lady” è però un sentimento che porta il poeta all’abiezione: «Per questo io mento con lei e lei con me, /
e nei nostri errori ci aduliamo mentendo» (<i>s. 138</i>). </div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Scrive
Shakespeare che, pur tuttavia, l’Amore è eterno perché resiste impavido («Amore non è amore che muta quando scopre un
mutamento») e non smette d’amare quando l’altro non ama più ma anzi è «un
faro sempre fisso / che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; / è la stella
guida di ogni sperduta barca» (<i>s. 116</i>). L’Amore acceca con le lacrime,
perché gli occhi non scoprano l’inganno (<i>s. 148</i>), e dona affanni non
consentendo il riposo notturno, sì che «il giorno dalla notte, e la notte dal
giorno, è oppresso» (<i>s. 28</i>). In queste liriche domina il senso della
fragilità del vivere e della fugacità dell’esistenza, per cui «ogni cosa che
germoglia / resta perfetta soltanto un breve istante» (<i>s. 15</i>). Si
avverte il senso del tempo inesorabile «che
cospira con la Morte», che evolve in modo furtivo verso l’eternità, che
porta al disfacimento fisico «mutando il tuo giorno di giovinezza in fetida
notte» (<i>s. 15</i>), e che «porta l’estate / verso l’orrido inverno e ivi la
seppellisce» (<i>s. 5</i>). </div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
William
accenna spesso alla «furia… razzia… tirannia… lama del Tempo» e «al suo lesto e rovinoso passo» (<i>s. 126</i>).
Nei suoi sonetti, vive l’orrore della vecchiaia che scolpisce la bella fronte
del suo amore, tracciando brutte linee con la sua arcaica penna (<i>s. 19</i>)
e che fa perdere la bellezza e tutto il tesoro dei suoi giorni splendenti nel
fondo di due occhi incavati e spenti (<i>s. 2</i>). Sono inevitabili sia la
triste separazione dall’amante, «anche se i nostri amori indivisibili sono uno
e uno solo» (<i>s. 36</i>), sia la sensazione angosciosa di sentirsi divenire
un estraneo con «amor mutato da quel
ch’era un tempo» (<i>s. 49</i>). Vivendo lontano da lei e dalla sua ombra,
la vita del poeta è divenuta ormai l’«inverno dell’assenza… la desolazione di
un vecchio dicembre» (<i>s. 97</i>). Divengono palpabili, infine, il triste presentimento
della morte e l’orribile consapevolezza del suo potere spietato; il poeta dice
all’amata: «dopo la mia morte, amore caro, scordami completamente / […] / il
mio nome sia sepolto ove sarà il mio corpo» (<i>s. 72</i>). Ma su tutto prevale
sempre la certezza dell’artista che «in nero inchiostro l’amore mio splenda
ancora luminoso» (<i>s. 65</i>) e che le «rime eterne resisteranno per sempre»
(<i>s. 38</i>). Shakespeare è convinto che l’essere amato vivrà sempre «contro la Morte e le forze ostili dell’Oblio»
(<i>s. 55</i>) e che «occhi non ancora nati attentamente leggeranno / e lingue
future ripeteranno la tua esistenza» (<i>s. 81</i>). </div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
Il poeta Shakespeare
sa che – nonostante la
clessidra del Tempo distruttore e la falce della Morte divoratrice – i suoi versi vivranno per sempre: «il
mio amore nei miei versi vivrà giovane in eterno» (<i>s. 19</i>). E realmente i
suoi versi e il suo amore, i suoi drammi e i suoi personaggi, sono vissuti in
eterno, rappresentando un’immensa
eredità per il genere umano e rivivendo nelle opere dei poeti e degli scrittori
che lo hanno seguito e che a lui si sono ispirati! Milioni di persone ogni anno
visitano Stratford–upon–Avon, e migliaia sono le nuove
traduzioni delle sue opere, e centinaia i saggi su di lui pubblicati ogni anno
in tutto il mondo, senza tener conto delle innumerevoli rappresentazioni
teatrali e dei tanti film o documentari a lui dedicati.</div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="font-size: 11pt; text-align: justify;">
Virginia Woolf, nel
saggio <i>Una stanza tutta per sé </i>(cap.
<span style="font-variant: small-caps;">iii</span>, traduzione di Maria
Antonietta Saracino, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1998), con acume squisitamente femminile, a
proposito delle reali possibilità di una donna di talento nel sedicesimo secolo,
ha parlato ampiamente di Shakespeare: «[…] sarebbe stato impossibile completamente e interamente impossibile, che
una donna scrivesse le opere di Shakespeare all’epoca di Shakespeare. […] era
impensabile che una donna ai tempi di Shakespeare potesse avere il genio di
Shakespeare. Perché un genio come quello di Shakespeare non nasce tra gente
ignorante, asservita, costretta a fare lavori pesanti. […] E a questo punto
aprii il volume che conteneva le tragedie di Shakespeare. Qual era lo stato
d’animo di Shakespeare, ad esempio, mentre scriveva “Lear” e “Antonio e
Cleopatra”? Era certo lo stato d’animo più favorevole alla poesia che mai sia
esistito. Ma Shakespeare, personalmente, di questo non ha mai fatto cenno.
Sappiamo solo, del tutto casualmente, che egli “non cancellava mai una riga”. […]
la mente dell’artista, per poter realizzare l’impresa prodigiosa di liberare
nella sua assoluta totalità l’opera d’arte che è in lui, deve essere
incandescente, come doveva esserlo la mente di Shakespeare […] In essa non
devono esservi ostacoli, né alcuna materia estranea che non sia stata consumata
[…] Ogni desiderio di protestare, di predicare, di proclamare un’ingiuria, di
regolare un conto in sospeso, di rendere il mondo testimone di qualche
difficoltà o patimento, tutto questo era stato bruciato dal fuoco che era in
lui, e consumato. Pertanto la sua poesia sgorga fuori di lui libera e priva di
impedimenti. Se mai essere umano giunse a esprimere completamente il proprio
lavoro, questi fu Shakespeare. Se mai mente fu incandescente, libera da
impedimenti, pensavo, volgendomi di nuovo verso lo scaffale, quella fu certo la
mente di Shakespeare.».
Virginia accenna anche al fatto che le donne non potessero essere attrici al
tempo di Shakespeare (i ruoli femminili venivano ricoperti da giovani maschi
dai tratti femminei) e riporta il pregiudizio di un critico e poeta
elisabettiano che diceva che una donna che recitava gli richiamava alla
mente un cane ballerino.</div>
<div class="Capov1Giu" style="font-size: 11pt; text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
P.S. I film su Shakespeare e sulle sue opere sono stati
innumerevoli, mi limito a ricordare soltanto il bel film <b>Shakespeare in Love</b> (1998), diretto da John Madden, soggetto e
sceneggiatura di Marc Norman e Tom Stoppard, che racconta l’amore dello scrittore William
Shakespeare (Joseph Fiennes) per la nobildonna Lady Viola De Lesseps (Gwyneth
Paltrow) – promessa sposa di Lord
Wessex (Colin Firth) – , la
quale si finge uomo per recitare con lui durante la preparazione di “Romeo e
Giulietta”, la cui rappresentazione alla presenza della regina Elisabetta (Judi
Dench) sarà un trionfo. Il matrimonio di Viola però non può essere ritardato e
Viola dovrà partire per la Virginia con Wessex; il suo amore con William
(soltanto “una stagione rubata”), tuttavia, sarà per il poeta–drammaturgo una fonte di eterna ispirazione.
Il film è stato un successo di pubblico e di critica: fu premiato con tre BAFTA,
tre Golden Globe e ben sette Oscar su tredici nomination.</div>
</span>Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-29975297470596676472013-03-06T02:29:00.000-08:002013-03-06T06:44:45.074-08:00Shakespeare, Zeffirelli, Romeo e Giulietta<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8_pWKjoB_gWMEWhsY9p8DFEZ54Kn2LrdD1d9KvmzHOZOUVxgpAtji7eqvyjnpstrFbW1Yw9pdDmL7pYc_7lYwaYW7UxgzjIdHFd-MyP_k815lCBPqrLfztFFwujz5x0gOm1-o5QFbgnw/s1600/Shakesperae.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="149" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8_pWKjoB_gWMEWhsY9p8DFEZ54Kn2LrdD1d9KvmzHOZOUVxgpAtji7eqvyjnpstrFbW1Yw9pdDmL7pYc_7lYwaYW7UxgzjIdHFd-MyP_k815lCBPqrLfztFFwujz5x0gOm1-o5QFbgnw/s200/Shakesperae.jpg" width="200" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-iouDN2a00Pj0hH__o9oXP4cschjCLkPqNkAPozUeY_gR2F4kXrIpumdYFS5cbJt1uOsAwRskl-3vUoJqX8pD0tvaEMFDeT3Xgl5CNAlSE4EtUJgesOn3iVD4kl9nL1nuqHI2UE1aIkA/s1600/zeffirelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="136" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-iouDN2a00Pj0hH__o9oXP4cschjCLkPqNkAPozUeY_gR2F4kXrIpumdYFS5cbJt1uOsAwRskl-3vUoJqX8pD0tvaEMFDeT3Xgl5CNAlSE4EtUJgesOn3iVD4kl9nL1nuqHI2UE1aIkA/s200/zeffirelli.jpg" width="200" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">William Shakespeare Franco Zeffirelli<o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 14.0pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Shakespeare, Zeffirelli,
Romeo e Giulietta <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Shakespeare ha certamente cucinato l’Amore
in tutte le salse, facendone un sentimento universale dal pathos esaltato. Era
convinto che «uomini e donne, tutti
sono attori», che «c’è una
storia nella vita di tutti gli uomini» e che «il mondo è
tutto un palcoscenico». Ricordo un suo illuminante aforisma riguardo
alla forza trascinante della passione d’amore: «Se non ricordi la più piccola follia a cui ti ha condotto l’amore, tu
non hai amato». <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La summa di ciò è l’amore immortale di <b>Romeo
e Giulietta</b> nell’omonimo dramma, e nella </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Scena
Seconda del Secondo Atto, ove il drammaturgo inglese racconta l’incontro del
balcone tra Romeo e Giulietta che –
notissimo a tutti – gronda
miele d’amore. Giulietta, la figlia quattordicenne di Capuleto, e l’adolescente
Romeo, figlio di Montecchio, si muovono per i cinque atti di questa tragedia,
pronti a tutto e pieni di quella passione che supera qualsiasi riserbo e
ostacolo, che non consente a nulla e a nessuno d’interferire, e che non teme
neanche la morte. Giulietta è l’oriente e il sole di Romeo e i suoi occhi sono
due delle più belle stelle del cielo; e Romeo per Giulietta rinnega il suo nome
chiedendole di chiamarlo soltanto «amore»
e Giulietta risponde a Romeo di rinnegare suo padre e il suo nome e di giurarle
il suo amore che lei non sarebbe stata più una Capuleti. La storia di Romeo e
Giulietta è la più alta tragedia del caso e della fatalità, e celebra il
lirismo del sentimento e la forza dell’amore. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel
Prologo dell’Atto Primo, Shakespeare fa narrare dal Coro la storia dei due
amanti: «In questa bella Verona, due casate, di pari nobiltà, si scagliano, per
antico rancore, in sempre nuove contese che macchiano di sangue veronese mani
di veronesi. Dalla tragica progenie di questi nemici sono nati sotto cattiva
stella due amanti che con la loro pietosa morte mettono termine alla furia dei
loro parenti. Lo sventurato corso del loro fatale amore e l’odio costante delle
loro famiglie, troncato soltanto dalla fine di queste creature, saran per due
ore l’argomento della nostra tragedia. Ascoltate con orecchi pazienti e noi ci
sforzeremo di rimediare ai nostri difetti.». </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Bellissimo
è il modo col quale Romeo –
nella Scena Prima dell’Atto Primo –
spiega cos’è l’amore: «L’amore è un fumo che sorge dalla nebbia dei sospiri; se
lo purifichi è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti; se lo agiti è un
mare ingrossato dalle loro lacrime. E che altro può essere? Una pazzia
discreta, un’amarezza che soffoca e una dolcezza che alla fine ti salva.». Quando
si accorge d’essere innamorato, il ragazzo si sente quasi alienato in questo amore:
«Zitto, ho perduto me stesso. Io non sono qui. Questo non è Romeo. Romeo è
altrove.». </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In
seguito, nella Scena Seconda, continua: «No, non sono matto, ma più legato che
se fossi matto; e incarcerato e affamato e frustato e torturato e...». Più
avanti, nella Scena Quarta, si lamenta con gli amici: «Voi avete gli scarpini
da ballo risuolati di cuoio leggero e io ho il cuore di piombo che mi tiene
attaccato alla terra. […] e tanto stretto sono fasciato che m’è impossibile
alzarmi d’una spanna sopra la mia tristezza senza che il peso dell’amore mi
faccia risprofondare». L’amico Mercuzio –
personaggio ricco di colore terreno e di grossolana saggezza –, gli consiglia: «Ma se ci caschi
sopra lo schiacci l’amore. Sei troppo peso per una cosa così tenera». Romeo gli
risponde sconfortato: «L’amore è cosa tenera? é ruvido, villano, rumoroso, e
punge come se avesse le spine». E Mercuzio osserva: «Se l’amore è villano con te,
sii villano con lui. Bucalo se ti buca e buttalo giù.». Nella Scena Quinta dell’Atto
Primo, quando alla festa Romeo riesce a baciare Giulietta (ma gli innamorati
non sanno ancora di appartenere a due famiglie che si odiano) e Giulietta – che ha già perso completamente la
testa per lui – apprende dalla
Nutrice (altro personaggio corposo e prosaico) che Romeo è un Montecchi,
osserva disperata: «Il mio unico amore, il mio unico odio! Troppo presto
veduto, troppo tardi conosciuto! Prodigio d’amore: amare un nemico.». </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel prologo dell’Atto Secondo, il Coro, così si esprime: «Il vecchio rancore giace sul suo
letto di morte, un giovane affetto aspira a diventarne l’erede. La bella per
cui Amore gemeva e voleva morire, al confronto della dolce Giulietta non par
più bella. Adesso Romeo ama ed è riamato. La stessa malia ha incantato gli
sguardi dell’uno e dell’altra. Considerato un nemico, egli non può avvicinarla
e giurarle quel che sogliono giurare gli amanti. A lei, altrettanto innamorata,
è anche più difficile raggiungere il suo bene. Ma la passione offre loro il
potere, e il tempo i mezzi di incontrarsi mitigando estreme pene con estreme
dolcezze.».</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E
Mercuzio, nella Scena Quarta dell’Atto Secondo – a proposito di Romeo perduto d’amore – è poi costretto a concludere: «Ma, ahimè, il povero Romeo è
bell’e morto, trafitto dal nero occhio di una bianca fanciulla, colpito in un
orecchio da un canto d’amore, colto nel mezzo del cuore dalla freccia del
ragazzino cieco.».</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Con l’aiuto
del suo confessore frate Lorenzo, Romeo riesce a sposare Giulietta ma lo stesso
giorno viene coinvolto in una rissa fatale e uccide Tebaldo (il caro cugino di
lei), che a sua volta ha ucciso Mercuzio (l’amico prediletto di lui). Il
Principe, parente di Mercuzio, esilia Romeo. Giulietta e Romeo sono disperati.
Intanto, il padre di Giulietta (per consolarla di quello che crede sia il dolore
per la morte dell’amato cugino) ha combinato il suo matrimonio con Paride,
giovane ricco e bello. Giulietta finge di accettare il matrimonio ma, per consiglio
di frate Lorenzo, prende un sonnifero che la farà sembrare morta, arrestando
momentaneamente il polso, facendo scomparire il respiro e il calore del corpo,
e rendendo le labbra e le guance pallide come la cenere mentre le membra sembreranno
avere la freddezza e la rigidità della morte. Il frate avvertirà dell’inganno Romeo,
fuggito a Mantova, che verrà per accoglierla quando si desterà da questo sonno
simile alla morte, e fuggiranno insieme. Purtroppo, il frate non riesce ad
avvertire per tempo Romeo, il quale –
dopo avere appreso dal suo servo la falsa notizia della morte dell’amata
Giulietta – raggiunge l’amata,
uccide Paride (anch’egli innamorato e andato a vegliare Giulietta) e in un
ultimo bacio si avvelena con una droga che si era procurata («una roba lesta
che si spanda per tutte le vene e faccia subito cadere morto chi è stanco della
vita»). Quando Giulietta si risveglia –
nella Scena Terza dell’Atto Quinto –
vede Romeo morto e nota la fiala del veleno: «Che c’è, una fiala, nella mano
del mio fedele amore? Il veleno è stato la sua fine. Avaro! L’hai bevuto tutto
e non ne hai lasciato una sola goccia che mi aiutasse! Bacerò le tue labbra;
forse v’è ancora tanto veleno che mi ristori e mi faccia morire. (<i>Lo bacia.</i>)
Le tue labbra son calde.». Bacia Romeo e vedendo il suo pugnale lo afferra e si
uccide: «O pugnale benedetto! Ecco il tuo fodero. Questa sia la tua ruggine e
la mia morte.». L’«orrendo massacro» si è alfine compiuto, ma i Capuleti e i
Montecchi, sconvolti dalla punizione che ha colpito il loro odio, si
riappacificano e fanno giacere insieme le povere vittime di tanto odio. Gli
sposi infelici Giulietta e Romeo sono uniti almeno nella morte. (I brani sono
tratti da “Romeo e Giulietta – The tragedy of Romeo and Juliet”, 1594–1595, nella traduzione di Paola Ojetti, Tascabili Economici
Newton, Roma 1992)</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">William
Shakespeare (1564–1616), poeta
e drammaturgo inglese ma anche attore e impresario teatrale, nacque da una numerosa
e agiata famiglia (il padre John era un guantaio) di Stratford–upon–Avon, piccola città vicino Londra, ove fece studi intensi
presso la scuola locale sino ai quattordici anni, traducendo dal latino all’inglese
e viceversa: conobbe e amò Ovidio (e le sue <i>Metamorfosi</i>)
e più tardi s’ispirò al mondo della latinità. Nel 1582, giovanissimo, sposò
Anne Hathway, la figlia di un agricoltore, più grande di lui di ben otto anni,
dalla quale ebbe tre figli. Non fu un matrimonio felice e dopo dieci anni
William era a Londra a condurre una vita oscura e scapestrata in un ambiente
ricco di stimoli, di nuove idee e di grandi rivoluzioni culturali. Prese a
frequentare i teatri d’avanguardia (si narra che incominciasse facendo la
guardia ai cavalli nei pressi dell’ingresso per gli attori), compreso il “The Globe”, un teatro popolare all’aperto
inaugurato nel 1598, che divenne il suo teatro e che amò tanto; purtroppo fu
distrutto da un incendio nel 1613 (una copia del “Globe” è stata eretta nel 2003 a Villa Borghese, in Roma). La
sua fama crebbe rapidamente e viaggiò molto per l’Italia con l’amico e
protettore Conte di Southampton, patrono delle Arti e degli Artisti, al quale
dedicò due poemetti d’amore (e questo ha fatto nascere le voci di una presunta
omosessualità di Shakespeare). Scrisse 38 opere più due poemi epici. Oltre al
capolavoro già citato, sono degni di nota: <i>Riccardo III (Richard the Third)</i> (1593), <i>La bisbetica domata (The Taming of the Shrew)</i> (1594), <i>Pene
d’amor perdute (Love’s Labour’s Lost)</i> (1594–7), <i>Il Mercante di
Venezia (The Merchant of Venice)</i> (1594–6), <i>Sogno di una notte di
mezza estate (A Midsummer Night’s Dream)</i> (1595–6) e infine <i>Molto rumore
per nulla (Much Ado About Nothing)</i> (1599). </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Alla fine
del 1500, Shakespeare visse una profonda crisi esistenziale e dovette misurarsi
con molte asprezze dell’esistenza, quali la morte dei genitori e del figlio
undicenne Hamnet, i problemi in politica e forse una seria malattia
(probabilmente la peste che afflisse il Seicento). Sulla scia di questo
malessere, scrisse alcune tragedie cupe e problematiche, quali <i>Amleto (Hamlet, Prince of Denmark)</i> (1599–1600), <i>Otello</i> (1604–5), <i>Re Lear (King Lear)</i> (1605–6) e <i>Macbeth (The Tragedy of Macbeth)</i> (1603–6). Grazie a una probabile conversione religiosa, questa crisi
fu alfine superata com’è dimostrato da una delle sue ultime opere, <i>La tempesta (The Tempest)</i> (1611), elegante
e gradevole, sofisticata e contemplativa, piena di pacatezza e di matura
saggezza. Ormai ricco e appagato, ad appena 46 anni, si ritirò nella sua città
natale ove aveva acquistato case e terreni, vivendo la quieta esistenza di un
agiato proprietario. Morì all’età di 56 anni per una febbre insorta dopo una
cena a base di aringhe fatta insieme con alcuni vecchi colleghi di teatro. </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Si
discute se Shakespeare sia veramente esistito o sia stato soltanto il
prestanome di Francesco Bacone (filosofo–scienziato
inglese vissuto dal 1561 al 1626) o di Cristopher Marlowe (1564–1593), drammaturgo fintosi morto per
ragioni politiche. Il suo battesimo è stato documentato con certezza, come esistono
prove certe del suo testamento firmato (stilato nel 1616) e della sua tomba ospitata
presso la chiesa parrocchiale della città natale. Per il resto, tutto è lacunoso.
Non fece pubblicare personalmente nulla di suo; durante la sua vita furono
edite soltanto 16 composizioni teatrali, scritte mediocremente sulla base della
ricostruzione mnemonica di alcuni attori che le avevano rappresentate e ne
possedevano i diritti d’autore. Soltanto nel 1623, due editori inglesi – con l’aiuto di alcuni attori, amici
di Shakespeare – pubblicarono
un volume contenente 36 drammi, la cui incerta cronologia è stata stabilita con
discreta approssimazione nel 1930 dal critico letterario inglese Edmund Kercheveer
Chambers (1866–1956) (vedere: <i>William Shakespeare: A Study of Facts and
Problems</i>, Oxford: At the Clarendon Press, 2 vols, 1930). </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Shakespeare è stato un grande della letteratura e un genio
dell’intrattenimento drammatico, e ha saputo dare un suo stile unico e irripetibile
al Teatro Elisabettiano. Ha superato il classicismo, abbattendo tabù e
convenzioni ma soprattutto narrando l’animo umano e riscoprendo sia l’Uomo (in
tutta la sua ricchezza psicologica) sia la Natura (in tutto il suo vigoroso
fascino).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<span style="font-size: 12pt;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;">P.S. In teatro e in cinema le versioni di Romeo e Giulietta sono state
innumerevoli; ricordo soltanto il film </span><b style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;">Romeo
e Giulietta (Romeo and Juliet)</b><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;"> (1968) di Franco Zeffirelli (che in questi giorni ha compiuto
novant’anni: è nato infatti a Firenze il 12 febbraio del 1923), fedele
trasposizione dell’opera teatrale, girata in lingua inglese (stupenda voce
narrante quella di Laurence Olivier), adattata mirabilmente da Franco Brusati,
Masolino D’Amico e dallo stesso Zeffirelli, con i giovanissimi Leonard Whiting
nella parte di</span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;"> </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;">Romeo e Olivia Hussey
nella parte di Giulietta. Desidero segnalare la presenza di tre attori italiani
di valore: Antonio Pierfederici (Lord Montecchi), Esmeralda Ruspoli (Lady
Montecchi) e Roberto Bisacco (Conte Paride), e del giovane cantante Bruno
Filippini (il menestrello) che cantò la canzone </span><i style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;">Ai Giochi Addio (What is a Youth)</i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: 12pt;"> (aveva vinto il Festival di
Castrocaro con Gigliola Cinquetti). Il film grande successo di pubblico e di
critica, si aggiudicò nel 1968 un National Board of Review Award
(migliore regia a Franco Zeffirelli) e nel 1969 due premi Oscar (migliore
fotografia a Pasqualino De Santis e migliori costumi a Danilo Donati), tre
Golden Globe (miglior film straniero in lingua inglese, miglior attore
debuttante a Leonard Whiting e miglior attrice debuttante a Olivia Hussey), un
premio BAFTA (migliori costumi a Danilo Donati), un David di Donatello
(migliore regia a Franco Zeffirelli) e ben quattro Nastri d’argento.</span></span></div>
<span style="font-size: 12pt;">
</span>Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-10184565233813993672013-02-23T09:41:00.001-08:002013-02-23T09:41:54.211-08:00Saro Urzì, “maschera” della sicilianità nel mondo<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEini13BHEHPoJEWZyucz3DK1t9bcKdPJ7tVryCW33C73wwsn0vFkeD-QX6Ij3r0kKF6zeFd8JNfzC30umYJWn_PzSmLNuVmBKYN9Lxrg6n7h2ZQxBos8wHlHo43omUfhReY_RTxFoWC34g/s1600/saro+urz%C3%AC.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEini13BHEHPoJEWZyucz3DK1t9bcKdPJ7tVryCW33C73wwsn0vFkeD-QX6Ij3r0kKF6zeFd8JNfzC30umYJWn_PzSmLNuVmBKYN9Lxrg6n7h2ZQxBos8wHlHo43omUfhReY_RTxFoWC34g/s320/saro+urz%C3%AC.jpg" width="311" /></a></div>
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Saro Urzì</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il 24 febbraio di
cento anni addietro nasceva il grande attore siciliano Saro Urzì. Dopo aver
lasciato la Sicilia, negli anni Trenta e Quaranta, vivacchiò lavorando nel
cinema come comparsa e controfigura (fu anche acrobata) e come attore si
secondo piano, segnalandosi però per la sua caratterizzazione sanguigna dell'isolano
verace e sopra le righe che lasciava pur tuttavia intuire una forte carica di umanità.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Di questo periodo, ricordo soltanto <b>Campo de' fiori</b> (1943) di Mario Bonnard, <b>La freccia nel fianco</b> (1944) di Alberto Lattuada ed <b>Emigrantes</b> (1948) di Aldo Fabrizi. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fu così che Saro Urzì fu notato dal grandissimo Pietro Germi
(1914–1974), regista genovese «attento alla realtà dei sentimenti e
all'ambiente sociale» (in <i>Pietro Germ</i>i,
ne “Il Cinema – Grande storia illustrata”, vol. <span style="font-variant: small-caps;">iv</span>°,
Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). Nel 1948 Germi scelse Urzì (e lo
scelse una volta per tutte) e insieme affrontarono il tema scottante del
latifondo e della mafia in Sicilia nel suo capolavoro romantico e appena un po'
retorico ma ricco di forza morale, <b>In
nome della legge</b> (1949), «anticipatore del cinema civile degli anni
Sessanta» e, secondo Mario Sesti (in <i>Tutto il cinema di Pietro Germi</i>,
Baldini&Castoldi, Milano 2007),<i> </i>ispirato a “Sfida infernale” del 1946,
film diretto da John Ford con Henry Fonda e Victor Mature. Urzì v'interpretava
il maresciallo Grifò. Il film, girato a Sciacca, era stato tratto dal romanzo <i>Piccola pretura</i> del magistrato Giuseppe
Guido Lo Schiavo, che – a dire
di Leonardo Sciascia (ne <i>La Sicilia nel
cinema</i>, in “La corda pazza”, Einaudi, Torino 1982) – accreditava però la falsa immagine di una mafia ancora guidata
da un profondo senso di giustizia. Il film era interpretato da Massimo Girotti
(Guido Schiavi), Jone Salinas (baronessa Teresa Lo Vasto), Camillo Mastrocinque
(barone Lo Vasto), Charles Vanel (Turi Passalacqua), e altri due grandi
caratteristi siciliani che diedero manforte a Urzì: Turi Pandolfini (don Fifì)
e Umberto Spadaro (avvocato Faraglia). Il film – vigoroso nella rappresentazione ambientale, dal ritmo teso e
nervoso, virile e asciutto nel racconto –
vinse tre Nastri d'argento (per Girotti e Urzì, e uno speciale per il
regista). Raccontava di un giovane pretore mandato in un paesino siciliano dell'entroterra
e costretto a misurarsi con l'ingiustizia sociale (rappresentata
emblematicamente da un nobile latifondista) e con la mafia (rappresentata da un
potente campiere–massaro a
cavallo) in una comunità misera e in una terra infelice e omertosa. Urzì si
trovò a interpretare l'unica figura veramente positiva del film: il maresciallo
della locale Stazione Carabinieri, che appoggerà l'inesperto pretore,
riconoscendo il valore morale della sua lotta per la legalità e la dignità
umana. E il pretore alla fine sembra soccombere: ha già presentato le sue
dimissioni, ma l'assassinio del giovane amico Paolino (Bernardo Indelicato) lo spingerà
a ritirarle e a rimanere “a difesa del fortino”.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Da quel film nacque una intensa collaborazione artistica e
una solida amicizia tra quel regista «ruvido e schivo, introverso e quasi
scontroso» e quel siciliano vivace e ridanciano, tanto che Urzì fu presente in
molti altri film girati da Germi, in quel cinema di “eroi umili” che
privilegiava la sincerità degli affetti e la commozione nata dall'onestà, ritagliandosi
ruoli minori ma coloriti e di fondamentale importanza. Lo ricordiamo ne <b>Il cammino della speranza</b> (1950) – è un losco individuo che aiuta a emigrare
clandestinamente in Francia alcuni poveracci di un piccolo paese siciliano in
una sofferta odissea sostenuta dalla speranza in un avvenire migliore – , <b>Il brigante di Tacca del Lupo</b> (1952) – è il commissario Siceli, un ambiguo ex funzionario della
polizia borbonica – , <b>Il ferroviere</b> (1956) – è l'amico fedele, solidale e
simpatico, del protagonista interpretato mirabilmente dallo stesso Germi – , <b>Un maledetto imbroglio</b> (1958) – adattato dal romanzo di Carlo Emilio Gadda <i>Quel pasticciaccio
brutto di via Merulana</i> – , e <b>L'uomo
di paglia</b> (1958), dedicato alla crisi esistenziale di un uomo di mezza età.
</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ma Urzì seguì Germi anche nella sua svolta verso le «grottesche
satire di costume» con il suo ruolo da protagonista di don Vincenzo Ascalone, il
padre siciliano collerico e autoritario, nell'impietoso e corrosivo film di
Germi <b>Sedotta e abbandonata </b>(1964), vero
capolavoro della “commedia all'italiana”, successivo a “Divorzio all'italiana”
(1963): «Ecco, dunque, una Sicilia, già vista nei suoi aspetti più aspri e
drammatici in “In nome della legge” e nel “Cammino della speranza”, che offre
stavolta lo spunto e l'ambiente a uno straordinario pezzo grottesco che, al di
là degli estri comici e paradossali […], assume anche una notevole importanza
civile.» (<i>Pietro Germ</i>i, ne “Il Cinema
– Grande storia illustrata”, vol. <span style="font-variant: small-caps;">iv</span>°,
Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981). E “Sedotta e abbandonata” in «una deformazione
comica della realtà» è «ancora ambientato in Sicilia, e ancora sulla corda del
grottesco che investiva con l'arma della satira (ma un po' spuntata) la
sopravvivenza anacronistica e inaccettabile di un altro barbaro articolo del
Codice concernente l'assoluzione di una violenza sessuale in presenza di un
matrimonio riparatore, la riflessione amara, ma anche la rivolta suscitata nel
pubblico verso certe ataviche superstizioni e certi odiosi tabù, […]» (<i>Pietro Germ</i>i, ne “Il Cinema – Grande
storia illustrata”, vol. <span style="font-variant: small-caps;">iv</span>°, Ist.
Geografico De Agostini, Novara 1981). Interpretato da Stefania Sandrelli (nel
ruolo di Agnese Ascalone), con un contorno di eccezionali caratterizzazioni:
Aldo Puglisi (Peppino Califano), Lando Buzzanca (Antonio Ascalone), Lola
Braccini (Amalia Califano), Leopoldo Trieste (barone Rizieri), Umberto Spadaro
(cugino di Ascalone) e Rocco D'Assunta (Orlando Califano), il film fu presentato
al 17º Festival di Cannes e meritò a Saro Urzì il premio per la migliore
interpretazione maschile. Ed effettivamente Urzì seppe dare caliente esuberanza
ed egoismo al senso d'onore del patriarca prepotente e manesco, schiantato da
quella che considera una grave colpa della figlia e dal brutale colpo inferto al
suo ruolo di custode intransigente dell'onore familiare. Da lì tutta una serie
di mosse – una più sbagliata
dell'altra –<i> </i>per
coprire, aggiustare e avvalorare tesi edulcorate e folli, e di furiosi
contrasti familiari per realizzare delle nozze riparatrici, fino all'esito grottesco
del “pater familias” che si sacrifica, morendo di nascosto nella sua stanza, per
evitare che il matrimonio sia rimandato (sulla sua tomba sarà marchiato a fuoco
l'epitaffio “Onore e famiglia”). La sua interpretazione fu veramente grandiosa,
simbolo ed emblema di una cupa, feroce e caricaturale sicilianità, schiava di mille
arcaiche convenzioni e di cento ipocrisie sociali (solo le apparenze contano, e
a esse si devono immolare tutto e tutti); per essa, Urzì ricevette un secondo
Nastro d'Argento nel 1965. Fu nuovamente con Germi in <b>Serafino</b> (1968), dalle ambizioni bucolico–ecologiche, e <b>Alfredo,
Alfredo</b> (1972), abile commedia molto spassosa.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Negli anni Sessanta e Settanta, continuarono le sue
caratterizzazioni anche in film di noti registi internazionali. Partecipò a
cinque film della saga di Don Camillo e Peppone, a fianco di Fernandel e Gino
Cervi, interpretando il personaggio del Brusco: <b>Don Camillo </b>(1952) e <b>Il
ritorno di Don Camillo</b> (1953) di Julien Duvivier, <b>Don Camillo e l'onorevole Peppone</b> (1955) e <b>Don Camillo monsignore ma non troppo</b> (1961) di Carmine Gallone, e <b>Il compagno Don Camillo</b> (1965) di Luigi
Comencini.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Urzì comparve, inoltre, ne <b>Il tesoro dell'Africa (Beat the Devil)</b> (1953) di John Huston e nel
film <b>Il padrino (The Godfather)</b>
(1972) di Francis Ford Coppola (tratto dall'omonimo romanzo di Mario Puzo) – era il signor Vitelli – , e non disdegnò la parodia <b>Il figlioccio del Padrino</b> (1973) di
Mariano Laurenti accanto a Franco Franchi. Girò i suoi ultimi film nel 1976: <b>Occhio alla vedova!</b> di Sergio Pastore e
<b>Giovannino</b> di Paolo Nuzzi.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Saro Urzì fu presente anche in diversi programmi televisivi;
degne di nota le sue partecipazioni a <b>Johnny
Belinda</b> (1968) di Piero Schivazappa e a un episodio dell'adattamento
televisivo de <b>Il padrino</b> di Coppola
(1977).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Giulio Berruti, in <i>Saro
Urzì – Luce e Colore</i> del 9
dicembre 2010, scrive: «Saro Urzì appartiene a quella categoria di valenti
professionisti che senza una ragione apparente restano relegati in ruoli di secondo
piano anche nell'attenzione degli spettatori, e non riescono ad uscire da quel
ruolo nemmeno quando registi di grande talento – come Pietro Germi – decidono
di “investire” sulla loro bravura scegliendoli – e non una volta sola –
per ruoli importanti in film di grande
successo.» (http://cortoin.screenweek.it/archivio/cronologico/2010/12/saro-urzi.php).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Su La Sicilia di qualche giorno addietro è uscito un
articolo commemorativo per il centenario della sua nascita di Lorenzo Catania,
dal titolo <i>Saro Urzì, volto dei film di
Germi – Cento anni fa nasceva l’attore “prima catanese, poi siciliano, poi
italiano, se rimane qualcosa”</i>; scrive Catania: «Prima di essere sottratto
dal regista Pietro Germi al sottobosco del mondo dei cinematografari, per dare
man forte all’intransigenza etico–civile del giovane pretore Guido</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Schiavi che si oppone all’autorità mafiosa di massaro Turi
Passalacqua e all’indifferenza e all’omertà dell’ambiente dove è stato
comandato di servizio, la carriera di Urzì aveva sperimentato un'estenuante
gavetta. […] Insieme alla retìna, ai baffetti e al risucchio dentale del
pirandelliano barone Fefè Cefalù di “Divorzio all’italiana”, il corpo grasso e </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sudaticcio di Saro Urzì–Vincenzo Ascalone, chiuso nel bianco
e nero degli abiti, il suo sguardo ora allucinato ora disperato o ebete, i suoi
gesti e i suoi comportamenti tribali caratteristici di </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un antico padre–padrone che a suon di sberle e di sotterfugi
cerca di difendere l'onore della famiglia, compromesso da una figlia incinta
senza essere sposata, lungi dallo scadere nel divertimento qualunquista e nella
critica cinica e antimeridionale, hanno costretto i siciliani e tutti gli
italiani a guardare dentro se stessi per conoscersi meglio e cambiare la
propria mentalità.».</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Gianni Canova ha scritto: «Caratterista vulcanico e
debordante, lega strettamente il suo nome alla Sicilia e a quello del regista
P. Germi […]» (<i>Cinema</i>, le garzantine,
Garzanti 2009).</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Saro Urzì morì a San Giuseppe Vesuviano il 1º novembre del
1979 (aveva 66 anni). Concludendo, mi sento di poter affermare che Pietro
Germi, Saro Urzì e la Sicilia in diversi suoi aspetti costituirono un
insuperabile tutt'uno, rimasto unico e irripetibile nel cinema italiano.</span></div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6611837851732974030.post-49424010456619145962013-02-14T10:41:00.000-08:002013-02-14T10:41:31.988-08:00San Valentino, Jacques Prévert e la poesia dei giovani innamorati<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL3ZS9OWzmqJ8GDaQR_53drdwZI0TiKiqNGF0bY49WsFjDkz5qw-4mL7JOH2UPvVvae82LYXYZ9Hvaf87vdmVOT4F_gV2a6JZ5bqHmETcHbD-0QfNcZOm0TvoBzutlivo_mfarp1DBf_4/s1600/Jacques+Prevert.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjL3ZS9OWzmqJ8GDaQR_53drdwZI0TiKiqNGF0bY49WsFjDkz5qw-4mL7JOH2UPvVvae82LYXYZ9Hvaf87vdmVOT4F_gV2a6JZ5bqHmETcHbD-0QfNcZOm0TvoBzutlivo_mfarp1DBf_4/s320/Jacques+Prevert.jpg" width="248" /></a></div>
<span style="font-size: 11pt;"><br /></span>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Jacques Prévert</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: 11pt;"><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<br />
<div class="MsoBodyTextIndent" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<i><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Certamente Jacques Prévert (1900–1977) ha scritto le poesie d’amore più
conosciute e amate nel mondo (scritte per sé, per la persona amata e per tutti
quelli che si amano o si sono amati) e può considerarsi senz’altro come il
poeta elettivo dei giovani innamorati.<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoBodyTextIndent" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoBodyTextIndent" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Riporto
una poesia che è un vero e proprio inno all’amore:<span style="font-size: 14.0pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>Questo
amore (Cet amour)<b> </b></i>(da “Paroles”, 1946) <b><i><o:p></o:p></i></b></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
violento</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
fragile</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
tenero</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
disperato</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Bello
come il giorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Cattivo
come il tempo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quando il
tempo è cattivo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore così vero</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore così bello</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
felice</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
gioioso</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
irrisorio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tremante
di paura come un bambino quando è buio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così
sicuro di sé</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Come un
uomo tranquillo nel cuore della notte</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore che faceva paura</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Agli
altri</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E li
faceva parlare e impallidire</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questo
amore tenuto d’occhio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Perché
noi lo tenevamo d’occhio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Braccato
ferito calpestato fatto fuori negato cancellato</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Perché
noi l’abbiamo braccato ferito calpestato fatto </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">fuori
negato cancellato</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quest’amore
tutt’intero</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Così vivo
ancora</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E baciato
dal sole</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="text-transform: uppercase;">è</span> il tuo amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="text-transform: uppercase;">è</span> il mio amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="text-transform: uppercase;">è</span> quel che è stato</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Questa
cosa sempre nuova</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Che non è
mai cambiata</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vera come
una pianta</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tremante
come un uccello</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Calda viva
come l’estate</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sia tu
che io possiamo </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dimenticare</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E poi
riaddormentarci</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Svegliarci
soffrire invecchiare</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Addormentarci
ancora</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sognarci
della morte</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ringiovanire</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E svegli
sorridere ridere</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E il
nostro amore non si muove</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Testardo
come un mulo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Vivo come
il desiderio</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Crudele
come la memoria</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Stupido
come i rimpianti</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tenero
come il ricordo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Freddo
come il marmo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Bello
come il giorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fragile
come un bambino</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ci guarda
sorridendo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ci parla
senza dire</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E io
l’ascolto tremando</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E grido</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Grido per
te</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Grido per
me</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Ti
supplico</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per te
per me per tutti quelli che si amano</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E che si
sono amati</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oh sì gli
grido</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Per te
per me per tutti gli altri</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Che non
conosco</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Resta
dove sei</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non
andartene via</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Resta
dov’eri un tempo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Resta
dove sei</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non
muoverti</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non te ne
andare</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Noi che
siamo amati noi t’abbiamo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dimenticato</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tu non
dimenticarci</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non
avevamo che te sulla terra</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Non
lasciarci morire assiderati</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Lontano
sempre più lontano</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dove tu
vuoi</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Dacci un
segno di vita</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Più
tardi, più tardi, di notte</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella
foresta del ricordo</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Sorgi
improvviso</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Tendici
la mano</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Portaci
in salvo.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>(da </i><i>“Poesie
d’amore e libertà” di Jacques
Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma
1999)<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">La poesia termina con l’implorazione
all’amore di non andare via, di non dimenticarsi di noi, di non lasciarci
morire di freddo nell’abbandono, di darci un segno di vita tendendoci la mano
nella notte per portarci in salvo. Io credo molto nel potere salvifico
dell’amore (e parlo per esperienza personale): vada malissimo il lavoro, manchi
la realizzazione professionale, stenti l’aspetto economico nella vita di
ciascuno di noi, se esiste accanto a noi l’amore caldo e vivo di una persona
vicina e partecipe, si può comunque sopravvivere e guardare avanti. Già nel
passato il poeta tragico Sofocle (496–406 a.C.), uomo complesso e piuttosto
pessimista, venerato in Grecia dopo la sua morte come un eroe, diceva: «Una
parola ci libera da tutto il peso e il dolore della vita: quella parola è “amare”.».</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Un’altra nota e stupenda poesia è <i>Parigi
di notte (Paris at night)<b> </b></i>(da “Paroles”, 1946): «Tre fiammiferi accesi uno per uno
nella notte / Il primo per vederti tutto il viso / Il secondo per vederti gli
occhi / L’ultimo per vedere la tua bocca / E tutto il buio per ricordarmi
queste cose<i>. / </i>Mentre ti stringo fra le braccia.» <i>(da “Poesie d’amore e libertà”
di Jacques Prévert, nella traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda
Editore, Parma, 1999)</i><i><span style="font-size: 11.0pt;"><o:p></o:p></span></i></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E vorrei ricordare: <i>Semplice come il
buongiorno </i><i>(Simple comme
bonjour)</i>, musicata da Henri Crolla
e parte della raccolta “Soleil de nuit”, pubblicata postuma nel 1980:<b><i><span style="color: red;"><o:p></o:p></span></i></b></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">L’amore è
chiaro come il giorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">l’amore è
semplice come il buongiorno</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">l’amore è
nudo come la mano</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">ma è il
tuo amore il mio amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">perché
parlare di grande amore</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">perché
cantare alla grande vita?</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Il nostro
amore è felice di vivere</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e ciò gli
basta.</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="text-transform: uppercase;">è</span> vero l’amore è molto felice</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e anche
un po’ troppo… può darsi</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">e quando
chiudi la porta</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">sogna di
andarsene dalla finestra</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Se il
nostro amore voleva partire</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">facevamo
di tutto per farlo restare</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">che cosa
sarebbe senza di lui la vita</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un valzer
lento senza la musica</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un
bambino che non ride mai</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">un
romanzo che nessuno legge</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">la
meccanica della noia</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">senza
amore né vita! </span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;"><i>(da </i><i>“Jacques
Prévert – Le Foglie Morte”, a
cura di Maurizio Cucchi, Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981)<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Quelle di Prévert sono bellissime pagine di
poesia surreale ma popolare, che esprimono tutte le diverse sensazioni e tutte
le possibili sfaccettature di quel sentimento familiare a coloro che hanno
amato almeno una volta nella vita. E il suo modo di comunicare è molto naturale
e immediato, fatto di frasi apparentemente spezzate o disarticolate e di
metrica senza punteggiatura, privo di metafore o trasfigurazioni, fresco e
ingenuamente infantile, intenso e senza ipocrisie, come se il poeta parlasse al
“popolo” dei suoi lettori di
cose banali e senza importanza. In realtà, con una forza lirica facile ed
espressiva, Prévert parla dell’esistenza dell’uomo e dei suoi dolori, della sua
cieca disperazione ma anche della sua contagiosa gioia di vivere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Parlando dello stile di Prévert, Maurizio
Cucchi (Ugo Guanda Editore, 1981) nell’introduzione di <i>Le foglie morte</i> scrive:
«Uno stile e una personalità che lo portano a muoversi sempre con
noncurante disinvoltura tra l’arrogante e il tenero, tra l’aristocratico e il plebeo,
nell’insieme di composizioni che costituiscono sempre un accortissimo
artificio, un paradosso perfettamente riuscito, un meccanismo affascinante.». Cucchi accenna pure a un’«accattivante
cialtroneria garbata», a «elenchi
incongrui, stravaganti» e a un agire poetico
«sciolto, felicemente e senza disagi in posizione bassa, lontano da
tendenze o tentazioni (che guarda con estremo sospetto) al sublime». <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella poesia <i>Alicante</i> (da “Paroles” del
1946), con intenso erotismo, Prévert scriveva: «Un’arancia sulla tavola / Il
tuo vestito sul tappeto / E nel mio letto tu / Dolce presente del presente
/ Freschezza della notte / Calore della mia vita.» <i>(da “Poesie d’amore e libertà di Jacques Prévert”,
traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)</i>. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nella notissima e lunga composizione lirica <i>I ragazzi che si amano (Les enfantes qui
s’aiment)</i> (da “Spectacle” del
1951),<b> </b>Prévert racconta il rapimento creato dall’amore e mostra i
ragazzi che rapiti si baciano di nascosto, suscitando la derisione e i risolini
(ma in fondo anche l’acida invidia) dei passanti: «I ragazzi che si amano si
baciano in piedi / Contro le porte della notte / E i passanti che passano li
segnano a dito / Ma i ragazzi che si amano / Non ci sono per nessuno /
Ed è soltanto la loro ombra / Che trema nel buio […] / I ragazzi che si amano
non ci sono per nessuno / Loro sono altrove ben più lontano della notte / Ben
più in alto del sole / Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.»<i> </i><i>(da “Poesie d’amore e libertà
di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G Roboni, Ugo Guanda Editore,
Parma 1999)</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">E come non ricordare <i>Baciami (Embrasse-moi)</i> (da “Histoires
- D’autre histoires” del 1963), nella
quale il poeta invita gli amanti a cogliere l’attimo fuggente: «[…] / Stringimi tra le braccia / Baciami
/ Baciami a lungo / Baciami / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra vita è
ora / […] / Se tu smettessi di baciarmi / Credo che ne morrei soffocata /
Abbiam pure il diritto di baciarci / Più tardi sarà troppo tardi / La nostra
vita è ora / Baciami!». <i>(da “Poesie
d’amore e libertà di Jacques Prévert”, traduzione di M. Cucchi e G
Roboni, Ugo Guanda Editore, Parma 1999)</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Jacques Prévert nacque il 4 febbraio del 1900
da padre bretone e madre dell’Alvernia a Neuilly–sur Seine in Bretagna, una
regione che lo influenzò con le sue usanze vivaci e con le sue popolari
tradizioni folcloristiche. Fece studi scarsi e irregolari e presto iniziò a
guadagnarsi da vivere nei modi più disparati. Nel 1920 fece il servizio
militare e quindi ritornò a Parigi, ove mise su abitazione a Montparnasse (una
casa frequentata da molti artisti e aperta all’intensa vita culturale di
allora) insieme col fratello minore Pierre (1906–1988), regista, e con i due
amici Yves Tanguy (1900–1955), un pittore appartenente alla corrente dadaista,
e Marcel Duhamel (1884–1966), editore della Gallimard. Ben presto prese
posizioni anarcoidi contro l’ipocrisia del mondo borghese del suo tempo e
contro lo <i>status quo</i> del potere precostituito, cimentandosi nelle
esperienze più nuove e sperimentando tutti gli stimoli culturali più innovativi
(musica moderna, alcolici, influenze di mondi diversi, partecipazione a film in
qualità d’attore, scrittura di testi di canzoni da caffè–concerto, etc.). Diceva
di essere un uomo che viveva una vita «a briglie sciolte». Giovanissimo, si legò di grande amicizia
con André Breton (1896–1966) e Louis Aragon (1897–1982), i maggiori esponenti
del Surrealismo, e con lo scrittore esistenzialista Raymond Queneau (1903–1976).
Nel 1931 si fece conoscere con una satira trasgressiva dai toni acri e sarcastici
e dal lungo titolo <b>Tentativo di
descrizione di un pranzo di teste a Parigi, Francia (Tentative de description
d’un diner de tetes a Paris, France)</b>. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Prévert è stato anche un grande cantautore:
ha scritto quasi 100 canzoni, ed è sua la bellissima <i>Le foglie morte (Le feuilles mortes)</i>, emblema della canzone
francese di tutti i tempi, musicata da Joseph Kosma (compositore ungherese
fuggito dalla Germania), che è entrata a pieno titolo nella storia della
musica. Come non ricordare l’emozione suscitata dalle bellissime parole di Prévert
cantate dalla struggente Edith Piaf o dalla diafana Juliette Greco (la musa
degli esistenzialisti) o dall’affascinante Yves Montand: «Oh, vorrei
tanto che anche tu ricordassi / i giorni felici del nostro amore / Com’era più
bella la vita / E com’era più bruciante il sole / Le foglie morte cadono a
mucchi… / Vedi: non ho dimenticato / Le foglie morte cadono a mucchi / come i
ricordi, e i rimpianti / e il vento del nord porta via tutto / nella più fredda
notte che dimentica / Vedi: non ho dimenticato / la canzone che mi cantavi / <span style="text-transform: uppercase;">è </span>una canzone che ci somiglia / Tu che
mi amavi / e io ti amavo / E vivevamo, noi due, insieme / tu che mi amavi / io
che ti amavo / Ma la vita separa chi si ama / piano piano / senza nessun rumore
/ e il mare cancella sulla sabbia / i passi degli amanti divisi / […] / Eri la
mia più dolce amica… / Ma non ho ormai che rimpianti / E la canzone che tu
cantavi / la sentirò per sempre / […]»
<i>(da “Jacques Prévert – Le Foglie Morte”, a cura di Maurizio Cucchi,
Le fenici tascabili, Ugo Guanda Editore, Parma 1981)</i>. E alcuni refrain si ripetono in un’affascinante maniera nostalgica e
malinconica. Il poeta francese Paul Verlaine ha scritto la <i>Canzone d’autunno</i> che presenta una certa affinità con il tema di Prévert: «I singhiozzi
lunghi / dei violini / d’autunno / mi feriscono il cuore / con languore /
monotono. / Ansimante / e smorto, quando / l’ora rintocca, / io mi ricordo /
dei giorni antichi / e piango; / e me ne vado / nel vento ostile / che mi
trascina / di qua e di là / come la foglia / morta.» <i>(nella traduzione di Lanfranco Binni, Garzanti, Milano 1993)</i>. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Le poesie più belle di Prévert sono raccolte
in <b>Parole (Paroles)</b> (1946), <b>Storie (Histoires)</b> (1946),
<b>Spettacolo (Spectacle)</b> (1951), <b>Le Grand Bal du Printemps (Il grande ballo di primavera)</b> e <b>La pioggia e il bel tempo (La pluie et le beau temps</b><i>)</i>
(1955). Pubblicò in seguito le raccolte di versi <b>Storie </b><b>–
Altre storie (Histoires –
D’autre histoires)</b> (1963), <b>Cose ed altro (Choses et autres)</b> (1972) e <b>Alberi (Arbres)</b> (1976).<o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nonostante qualche
momentaneo periodo di crisi, Jacques Prévert fece parte del movimento
surrealista e frequentò il “Groupe Octobre” della Federazione Teatro Operaio. Per questa struttura teatrale di sinistra,
che promuoveva una forma di “teatro sociale”, scrisse numerosi testi di drammaturgia, messi in scena tra il 1932 e
il 1937. Dal 1945 riprese l’attività teatrale, lavorando insieme a Pablo
Picasso per la rappresentazione del balletto <b>L’incontro (Le rendez-vous)</b>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Oltre alle poesie e
alle opere teatrali, Prévert amò la cinematografia e fece parte di quella
scuola francese degli anni Trenta che venne definita del “realismo
poetico” per i suoi film, e ne rappresentò
prevalentemente «il filone pessimista e drammatico, portati come sono
alla descrizione di un ambiente reso amaro dalla società e dalla lotta per la
vita» (in Capitolo 5, <i>L’età d'oro del cinema francese</i>, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini,
Novara 1981). Troverebbero le origini nel
“Verismo” della narrativa di Emile Zola (1840–1902) con i suoi interpreti
costretti nel ruolo di “bestie umane”. Nel 1932 Jacques Prévert esordì nel
cinema, scrivendo la sceneggiatura per il film <b>Affare fatto (</b><b>L’affaire
est dans le sac)</b>, diretto dal
fratello Pierre, appassionato di cinema e aiuto–regista di Jean Renoir (1914–1993);
il film era una satirica astrazione intellettuale e ha scritto Gianni
Canova (in <i>Cinema</i>, le garzantine,
Garzanti, 2009): «definito un esempio di “burlesco poetico”, con echi
surrealisti e anarchici, il film non viene apprezzato dal pubblico, abituato
alle commedie brillanti americane». Jacques
preparò, quindi, per registi famosi delle straordinarie sceneggiature. Tra il
1938 e il 1944 si dedicò prevalentemente all’attività cinematografica (nel 1938
fu anche a Hollywood), collaborando con Jean Grémillon (1901–1959) – regista di
grande ispirazione e «fascinazione visiva» – con cui fece <b>Tempesta (Remorques)</b>
(1940) e <b>Luci d'estate </b><b>(Lumière d'été)</b> (1942). Scrisse per Marcel Carné (1906–1996) le sceneggiature degli splendidi
film <b>Quai des brumes (Il porto
delle nebbie)</b> (1938) e <b>Alba tragica (Le jour se Lève)</b> (1939) (interpretati
da un grande Jean Gabin) e <b>Les
enfants du paradis</b> (1945) (il cui
titolo italiano è stato trasformato romanticamente in <b>Amanti perduti</b>). Quest’ultimo film rappresenta veramente l’epopea dell’amore
impossibile dall’esito tragico e ha come protagonista il triste e appassionato
mimo bianco Baptiste, interpretato da un grande e malinconico Jean-Louis
Barrault (1910–1994) perduto d’amore per l’enigmatica cortigiana Garance,
interpretata dalla magica Arletty (1898–1992). Seguì <b>Mentre Parigi dorme (Les portes de la nuit)</b> (1946). A proposito
delle sceneggiature scritte da Jacques per Marcel Carné (uno dei più ispirati e
crudi registi francesi del periodo, dal linguaggio alto e dalle intense
atmosfere, i cui film sono autentici capolavori dello schermo), ha scritto Gianni
Canova (in <i>Cinema</i>, le garzantine,
Garzanti, 2009): «tutte caratterizzate dalla presenza ossessiva del destino,
dalla solitudine, dalla morte, dall’infelicità
amorosa».<span style="font-size: 11.0pt;"> </span>In <i>Marcel Carné</i> (“Il
Cinema – Grande storia illustrata”,
Ist. Geografico De Agostini, Novara 1981), è scritto: «Così si configurano i
temi pressoché costanti della coppia Carné–Prévert individuati da Georges
Sadoul nell’“amore che, solo, può dare
la felicità, ma che non può durare a lungo, travolto dal destino; la lotta del Bene
e del Male in cui i cattivi hanno sempre la meglio; eroi proletari di cui la
società ha fatto dei criminali, mai banditi di professione: 'eroi' che sognano
un 'altrove' dove l’amore sia possibile ed eterno, scontrandosi con un Destino
spesso simbolizzato da uno dei protagonisti o dallo stesso ambiente. E questa
fatalità è in definitiva espressione di un ordine sociale, le cui possibilità
di modificazione sono viste con pessimismo”». Quel pessimismo era
ispirato dalla situazione storica della Francia in cui sembrava svanita ogni
speranza sotto l’avanzare del
nazifascismo, con le ombre minacciose di una guerra incombente; e quei film
divenivano «una metafora dello sfacelo politico e morale», «barometro della sua
epoca» ma non «causa delle tempeste rispecchiate e previste».</span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">In seguito Prévert
elaborò per il noto regista Jean Renoir la sceneggiatura di <b>Le crime de
Monsieur Lange (Il delitto del signor Lange</b><i>)</i>. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Fra il 1961 e il
1968 lavorò per la televisione, collaborando attivamente con il fratello
Pierre. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Nel 1947 Jacques Prévert aveva sposato
Janine Tricotet, che gli diede la figlia Michelle. Nel 1948 lo scrittore subì un
grave incidente, precipitando misteriosamente da una finestra degli uffici
della radio e rimanendo in coma per diverse settimane: questo trauma richiese
una convalescenza di alcuni anni. Nell’ultimo periodo della sua esistenza si
dedicò – oltre che alla scrittura poetica – alla composizione di collage, che
espose in una mostra e che furono pubblicati in <b>Guazzabuglio (Fatras)</b>, e si concentrò nella scrittura dei
due saggi <b>L’universo di Klee (L’universe de Klee)</b> e <b>Juan Mirò</b>. <o:p></o:p></span></div>
<div class="Capov1Giu" style="text-align: justify; text-indent: 0cm;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">Distrutto da un cancro al polmone, morì a Omonville–la–Petite
l’11 aprile del 1977 dopo lunghi anni di sofferenze, confortato dall’amore
appassionato del suo pubblico e dall’affetto di pochi e affezionati amici (Yves
Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, Joseph Losey e Serge Reggiani). In
base ai dati di un recente sondaggio popolare, Prévert è stato nominato </span><span style="font-family: Arial, Helvetica, sans-serif;">«scrittore del secolo» ed è stato preferito
a grandi autori francesi del calibro di Albert Camus (1913–1960), premio Nobel
nel 1957, o di Marcel Proust (1871–1922</span>).</div>
Silvia Iannellohttp://www.blogger.com/profile/11646106184196643997noreply@blogger.com2