lunedì 26 agosto 2013

Clifford Odets, icona immortale del teatro americano


Clifford Odets

Sono passati cinquant'anni dalla morte prematura di Clifford Odets (avvenuta il 14 agosto ma secondo diverse biografie il 18 agosto del 1963 a Los Angeles in California per un cancro gastrico), attore, regista e autore teatrale e cinematografico statunitense, nato il 18 luglio 1906 a Filadelfia (Pennsylvania). Le sue opere straordinarie, che hanno vissuto un revival di recente, sono state più volte rappresentate sia in USA, sia all'estero (e anche in Italia). Ben sei biografie critiche sono state dedicate a Odets tra il 1962 e il 2003.

Nato da genitori immigranti (il padre era russo e il suo vero cognome era Gorodetsky, e la madre era una rumena–ebrea), si trasferì con la famiglia a New York nel 1908 e, dopo aver lasciato gli studi superiori (studiava “Drama”), andò al Greenwich Village per divenire attore presso il “Poet's Theatre”, diretto dal leggendario poeta e scrittore Harry Hibbard Kemp (1883–1960), idolo dei giovani americani del tempo, che amava farsi chiamare «the Vagabond Poet». Spinto da una grande passione, Odets si fece poi le ossa nella compagnia teatrale del prestigioso “Theatre Guild” di New York. Sottoutilizzato come attore, aveva preso intanto a scrivere testi per il teatro sotto la supervisione del regista e critico teatrale Harold Clurman (1901–1980). Con Clurman, Lee Strasberg e Cheryl Crawford (la casting director del “Theatre Guild”), Odets partecipò nel 1931 alla fondazione del “Group Theatre”, un teatro destinato ad avere una grande influenza artistica, del quale divenne un autore privilegiato. Questo teatro utilizzava tecniche recitative d'avanguardia, basate sul nuovo sistema ideato e sviluppato dall'attore e regista russo Constantin Stanislavski, portate alla notorietà come The Method o Method Acting da Strasberg, che ebbe un grande peso sulla crescita intellettuale e drammaturgica di Odets.

Tra le sue performance d'attore, sono da ricordare: Midnight (Mezzanotte) del 1930; Big Night (La grande notte), They All Come to Moscow e Men in White (Uomo in bianco) del 1933; e Gold Eagle Guy del 1934.

Le opere giovanili di Odets, ricche di un vivace substrato autobiografico e con “eroi della working class”, avevano una grande forza sociale e forti motivazioni politiche, ambientate com'erano negli anni Trenta pieni di stimoli intellettuali e di avvenimenti cruciali. In quegli anni, nel mondo dello spettacolo, le idee progressiste erano portate avanti da attivisti di sinistra che «erano profughi europei o provenivano dall'ambiente teatrale» (Hollywood e il nazismo, ne “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981, vol. 2, pag. 98). è da segnalare Waiting for Lefty (In attesa di Lefty) (1935), che raccontava una serie di episodi che coinvolgevano i lavoratori di una compagnia di taxi e i loro clienti; il testo drammatico era stata suggerito a Odets da uno sciopero reale di taxi e – rappresentata anche per strada – gli diede fama internazionale; parte della critica gli rimproverò di fare della propaganda di sinistra contro il sistema capitalistico, mentre un'altra parte lo accusò invece di «viltà politica».

Awake and Sing! (Svegliati e canta!), dello stesso 1935, ebbe un'accoglienza entusiastica ed è considerato tutt'ora il capolavoro di Odets: raccontava le vicende della famiglia ebrea Berger che viveva nel Bronx sotto l'incubo della crisi economica, e a Broadway fu definito come «il primo testo squisitamente ebreo, al di fuori del teatro Yiddish». Il testo è stato ripreso dal “Lincoln Center” nel 2006, per la regia di Bartlett Sher, ed ha vinto un “Tony Award for Best Revival of a Play”. Seguirono sempre nel 1935 Till the Day I Die (Fino al giorno che morrò), I can't Sleep (Non posso dormire) e Paradise Lost (Il Paradiso perduto).

Golden Boy (Ragazzo d'oro) (1937) era il ritratto di un giovane uomo stretto tra l'aspirazione artistica e il desiderio di una realizzazione economica, e fu il maggior successo commerciale del Group Theatre, servendo da sceneggiatura (non scritta da Odets ma da un pool di almeno quattro sceneggiatori) per l'omonimo film del 1939 diretto da Rouben Mamoulian, con Lee J. Cobb, William Holden e Barbara Stanwyck. Hanno scritto Laura, Luisa e Morando Morandini: «Per smania di successo, giovane lascia il violino per la boxe, ma la morte di un avversario sul ring lo mette in crisi. Aiutato dalla donna amata, torna alla musica. […] il film cala il suo discorso etico–sociale in sagaci cadenze melodrammatiche. Un'ottima Stanwyck tiene a battesimo l'esordiente Holden. Un po' datato, ma diretto con sobria eleganza.» (il Morandini, http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=17735). Il testo teatrale è stato ripreso nel 2012 con grande successo di pubblico e di critica dal “Lincoln Center”, sempre per la regia di Bartlett Sher, guadagnandosi otto nomination ai “Tony Award” e rilanciando alla grande il nome e l'opera di Odets.

Seguirono Rocket to the Moon (Razzo per la Luna) (1938), opera molto meno politica e più riflessiva, che gli guadagnò l'interesse della critica e una copertina su «Time» magazine (fu ripresa da Daniel Fish, prodotta dal “Long Wharf Theater” nel 2005), Night Music (1940) e The Russian People (Il popolo russo), romanzo adattato per il teatro nel 1942.

I testi teatrali scritti dopo il 1940 sembrano mancare della precedente forza etico–sociale, anche se erano più maturi e ragionati. Ricordo Clash by Night (Scontro nella notte) (1941), che servì come sceneggiatura (non scritta da Odets ma da Alfred Hayes) per l'omonimo film diretto nel 1952 da Fritz Lang (in Italia comparve con il titolo La confessione della signora Doyle), con Barbara Stanwyck, Paul Douglas, Robert Ryan, Marilyn Monroe e Keith Andes. Era la storia di un drammatico triangolo amoroso: Mae Doyle ritorna nella città natale di Monterey e sposa una brava persona, un umile pescatore, ma lo tradisce con il suo migliore amico, un individuo senza scrupoli, e fugge con lui; vincendo la prima violenta reazione, più tardi, il marito la perdonerà accogliendola a casa con la figlioletta.

Seguì The Big Knife (Il grande coltello) (1949), trasformato nel 1955 in un film (del quale Odets non scrisse la sceneggiatura, che fu elaborata invece da James Poe), per la regia di Robert Aldrich, con Jack Palance, Ida Lupino, Rod Steiger e Shelley Winters. è la storia di un attore, una stella di Hollywood, che si è abbandonato agli eccessi, al lusso e alle facili illusioni, separandosi dalla moglie che l'ama e che ama, e soggiacendo all'influenza tirannica e nefasta di un magnate del cinema che vorrebbe coinvolgerlo in un delitto. Soltanto allora troverà la forza di ribellarsi, rivelando gli intrighi del magnate e ponendo fine alla sua vita. Il film si aggiudicò il Leone d'argento alla Mostra del Cinema di Venezia del 1955. Il testo teatrale è stato ripresentato dalla “The Roundabout Theatre Company” nel 2013, presso l'“American Airlines Theatre” di New York, per la regia di Doug Hughes, interprete principale Bobby Cannavale.

Fu poi la volta di The Country Girl (La ragazza di campagna) (1950), trasformata nel 1954 in un film (di cui Odets non scrisse la sceneggiatura), diretto da George Seaton che preparò da sé la sceneggiatura, con William Holden, Grace Kelly, Bing Crosby e Gene Reynolds. Nel 1955 Seaton vinse l’Oscar proprio come sceneggiatore – e fu nominato come miglior regista. Grace Kelly diede la migliore delle sue interpretazioni nel ruolo di Georgie Elgin, moglie di un attore bravo e famoso ma divenuto semialcolizzato dopo la morte del loro figlio avvenuta dieci anni prima, così come Bing Crosby, che interpretava il marito Frank Elgin che fa credere di essere succube della moglie mentre lei è la vittima, e William Holden ch'era il regista di teatro Bernie Dodd che fa lavorare Frank e sembra odiare Georgie, considerandola la causa del declino del marito. La moglie s’innamora poi del regista e, pur ricambiata, resta leale al marito che alla fine riconquista il successo professionale e il suo affetto. La drammatica interpretazione di tutti gli attori fu superba e il film ebbe sette nomination; la Kelly, mai così sensibile e intensa, vinse l’Oscar nel 1955 e si meritò anche il Golden Globe mentre il National Board of Review Awards nel 1954 premiò sia Crosby che la Kelly; il film fu presentato anche con successo all’8º Festival di Cannes e fu nominato per la Palma d’Oro. Nel 1955 il testo di Country girl fu presentato con successo in Italia presso il Teatro Odeon di Milano, nella traduzione di Mirella Ducceschi, per la regia di Franco Enriquez, con Renzo Ricci, Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi, Giulio Oppi, Bianca Toccafondi, Giulio Bosetti e Orlando Orazio.

Del 1954 è The Flowering Peach (Il pesco in fiore), lavoro prodotto a Broadway, che nel 1955 stava quasi per vincere il premio Pulitzer, che fu attribuito invece ad “A Cat on a Hot Tin Roof” (Una gatta sul tetto che scotta) di Tennessee Williams, e servito da base per il musical di Broadway Two by Two (1970), presentato all'“Imperial Theatre”, libretto di Peter Stone, versi di Martin Charnin e musica di Richard Rodgers, con Danny Kaye, Marilyn Cooper, Joan Copeland, Harry Goz e Madeline Kahn.

Naturalmente un drammaturgo così interessante e di successo non poteva non attrarre l'attenzione dei furbi produttori del cinema americano. Nel 1936 egli accetto l'attività di sceneggiatore per aiutare economicamente il suo teatro ma si trovò poi così invischiato da passare tutta la sua vita a Hollywood.

La sua prima sceneggiatura fu quella del film di spionaggio The General Died at Dawn (Il generale morì all'alba) (1936), per la Paramount, sotto la direzione di Lewis Milestone, con Gary Cooper e Madeleine Carroll; ricevette diverse critiche favorevoli ma si è scritto tuttavia: «Subito dopo la prima parte del film, uno di coloro che avevano sostenuto lo sceneggiatore fu udito borbottare: “Odets, dove hai lasciato il tuo pungiglione?”». Bisogna pensare, però, che si trattava pur sempre di un autore stipendiato da «padroni capitalisti e reazionari» e che Hollywood, capitale del cinema americano, era allora «una roccaforte del conservatorismo» (Hollywood e il nazismo, “Il Cinema – Grande storia illustrata”, Ist. Geografico De Agostini, Novara, 1981). Da quel momento, Odets lavorò all'interno del sistema degli Studios fino all'avvento della produzione indipendente negli anni Cinquanta. Di questo periodo ricordiamo la regia del film None but the Lonely Heart (Il ribelle) (1944), prodotto dalla RKO, da un soggetto di Richard Llewellyn, con Cary Grant (che fu nominato all'Oscar nel 1945 come miglior attore protagonista), Ethel Barrymore (che vinse l'Oscar nel 1945 come miglior attrice non protagonista), Barry Fitzgerald, June Duprez e Jane Wyatt; Humoresque (Perdutamente) (1946) film scritto da Odets insieme con Zachary Gold (basato su una novella di Fannie Hurst), con Joan Crawford e John Garfield, storia di una donna anziana e di un giovane uomo, un violinista e la sua protettrice; la sceneggiatura non accreditata delle scene d'amore di Notorious (Notorious - L'amante perduta) (1946) diretto da Alfred Hitchcock con Cary Grant e Ingrid Bergman; Deadline at Dawn (In nome dell'amore) del 1946 diretto da Harold Clurman con Paul Lukas, Susan Hayward e Bill Williams; e la sceneggiatura del film Sweet Smell of Success (Piombo rovente) (1957) diretto da Alexander Mackendrick, un noir ambientato nel mondo dei giornali, basato su un romanzo di Ernest Lehman e prodotto dalla compagnia indipendente Hill-Hecht-Lancaster, con uno stupendo Burt Lancaster e con Tony Curtis (ispirò l'omonimo musical del 2002). Odets diresse un altro film, del quale aveva scritto anche la sceneggiatura, The Story on Page One (Inchiesta in prima pagina) (1959) con Rita Hayworth, Gig Young e Anthony Franciosa; si tratta di un film giudiziario «ambientato interamente in tribunale, con tutti i pregi e i difetti del genere»; racconta di Jo, una moglie maltrattata da un marito violento che si consola con l'amicizia di Larry, un ragioniere rimasto vedovo da poco, e quella che è inizialmente soltanto l'amicizia di due infelici si trasforma in un grande amore; il marito di Jo li scopre in flagrante adulterio e viene ucciso durante una colluttazione: «Da un lato è troppo prevedibile e lungo, dall'altro però si avvale di un'ottima sceneggiatura (dello stesso Odets), di interpreti impeccabili e della musica di Elmer Bernstein.»
(http://www.filmtv.it/film/3510/inchiesta-in-prima-pagina/).

Odets scrisse poi la sceneggiatura di Wild in the Country (Paese selvaggio) (1961) diretto da Philip Dunne, con Elvis Presley e Hope Lange (storia di un ragazzo problematico, maltrattato da padre e fratello, che rischia di divenire un delinquente e che si salva grazie a una psicologa che scopre in lui un vivace talento di scrittore e che di lui s'innamora, suscitando lo scandalo in paese). Due sceneggiature sono comparse postume: Big Mitch (1963) e The Mafia Man (1964), come pure un libretto per un musical tratto da Golden Boy, completato da William Gibson (ch'era stato uno studente di Odets).

Nel maggio del 1952, Odets fu chiamato dinanzi alla “House Committee on Un-American Activities (HUAC)” perché era stato iscritto al partito comunista tra il 1934 e il 1935, aveva sponsorizzato dei gruppi di sinistra ed era andato a Cuba come capo di una delegazione per investigare sulle atrocità compiute contro artisti e scrittori cubani. Collaborò con il Committee come un “friendly witness” (testimone amichevole), facendo i nomi dei membri del partito comunista già noti al HUAC, ma dicendo che erano suoi amici e dimostrandosi contrario a ogni “blacklist”. Le reazioni sfavorevoli alla sua testimonianza lo amareggiarono sino alla sua morte e si può senz'altro dire che la sua produttività iniziò a declinare a partire proprio da quella sua testimonianza nel 1952.

Dal 1937 al 1940 Clifford Odets fu sposato con l'attrice Luise Rainer (1910-), vincitrice di due Oscar consecutivi nel 1937 e 1938, mentre dal 1943 al 1951 fu coniugato con l'attrice Bette Grayson (1922–1954); ebbe due figli, Nora (nata nel 1945) e Walt Whitman (nato nel 1947). Tra le due riconciliazioni con la moglie Luise Rainer, Odets ebbe una tempestosa relazione con l'attrice Frances Farmer (1913–1970), dal carattere libero e indipendente, in lotta continua nei confronti dello star system (Graeme Clifford ha dedicato alla vita della Farmer, al suo rapporto conflittuale con la madre e al suo drammatico ricovero psichiatrico il film “Frances” del 1982, con Jessica Lange, Kim Stanley e Sam Shepard; Jeffrey DeMunn interpretava Clifford Odets).

Presso il “Billy Rose Theatre Division” sono conservate carte, documenti, note, corrispondenze, programmi e fotografie (anche private) di Odets, del periodo compreso tra il 1926 e il 1963, in una raccolta aperta al pubblico che è in grado di mostrare i processi di tecnica creativa del grande drammaturgo americano
 (http://www.oac.cdlib.org/findaid/ark:/13030/tf22900479/).

Per concludere, lo stile drammatico di Odets è molto particolare, istrionico ed esuberante, umanistico e conflittuale, quasi checoviano,con una sorta di linguaggio poetico ricco di parole etniche e della quotidianità, degne di un drammaturgo socialista con un substrato proletario, influenzato fortemente da un altro autore socialista, il dublinese Sean O'Casey (1880–1964), scrittore–operaio che partecipò attivamente al movimento rivoluzionario di rinascita irlandese del 1922. Al momento della comparsa del suo primo dramma, Arthur Miller scrisse: «Veramente per la prima volta in America, il linguaggio stesso… segnava un drammaturgo “as unique”.» (Miller A., Timebends, Penguin, New York, 1995, p. 229). Jean Renoir stimava tanto Odets e gli era così amico che gli dedicò un capitolo della sua autobiografia (Renoir J., My Life and My Films, Atheneum, New York 1974).

sabato 24 agosto 2013

Lilla Brignone, una vera “Regina” del teatro, avrebbe compiuto cento anni


Lilla Brignone

La grande attrice romana Lilla Brignone (vero nome Adelaide), forse la più celebre attrice del dopoguerra in Italia, nacque il 23 agosto del 1913. Figlia d'arte, appartenente a una vera dinastia di artisti, sin da bambina respirò la polvere del palcoscenico e calcò i set cinematografici. 

Era, infatti, la figlia del regista milanese Guido Brignone  (1886–1959), a sua volta figlio dell'attore teatrale e caratterista cinematografico Giuseppe Brignone (1854–1937) – noto «per il garbo e la cura della recitazione» (N. Leonelli, Enciclopedia biografica e bibliografica Italiana, Attori tragici, attori comici, 2° vol., Roma 1944) –, fratello dell'attrice brillante Mercedes Brignone (1885–1967) – che ho conosciuto perché qualche anno prima di morire nel 1964 fu chiamata dalla TV per partecipare allo spettacolo musicale Biblioteca di Studio Uno – e cognato dell'attore Uberto Palmieri (coniuge di Mercedes dal 1903). Guido Brignone aveva sposato l'attrice cinematografica Lola Visconti e fu molto noto nel periodo del cinema muto per il film Odette (1915); fu, inoltre, il primo regista italiano a vincere la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (1934) con il film storico Teresa Confalonieri, al quale Lilla aveva partecipato nel ruolo della marchesina al ballo; col padre girò ancora Passaporto rosso (1935) e Vivere (1937).

Appena quindicenne, Lilla Brignone debuttò nella compagnia teatrale di Kiki Palmer (pseudonimo di Giulia Fogliata, 1907–1949, madre adottiva di Renzo Palmer), che con la sua recitazione moderna e spontanea, seppe insegnarle i rudimenti della perfetta dizione, dell'intensità drammatica e dell'asciuttezza interpretativa.

Da allora fu tutto un trionfo e arrivò sino a divenire una delle attrici più significative del 900. Recitò accanto a “miti” del teatro italiano e nelle compagnie del “Gotha” teatrale italiano, quali  quelle di Gandusio-Carli (creatori del teatro “brillante” e della pochade), Ruggero Ruggeri (fu un breve sodalizio, segnato dal successo Sesso debole di E. Bourdet, che secondo G. Prosperi ebbe una grande importanza in quanto «qualcosa di lui le restò addosso come una preziosa marca di fabbrica: un modo essenziale di concentrarsi, tutto interiore, la forza della battuta vibrata a bassa voce, tesa e scandita»), Memo Benassi (fu notata da R. Simoni in Novità di Parigi, atto unico di S. Lopez presentato al teatro Odeon di Milano nel 1937), e Renzo Ricci (col quale fu in Festa di S. Benelli al teatro Nuovo di Milano nel 1940 e in Oro puro di G. Gherardi al teatro Alfieri nel 1941, ove fu nuovamente notata dal critico Simoni), Giorgio Strehler, Salvo Randone (esperienza nel 1954-55 con la Compagnia Italiana di prosa Brignone-Randone-Santuccio: mitica La parigina H. Becque, cui partecipò anche Antonio Battistella) e Luchino Visconti.

La sua vicenda artistica teatrale è stata così enorme e ricca, maturata attraverso le più svariate e impegnative esperienze, che le sue performance sono state grandi e numerose. Mi limito a ricordare soltanto l'essenziale.

Decisivo l'incontro con il Piccolo Teatro di Milano e con Giorgio Strehler, durante il quale, come scrive Canova: «raggiunge la pienezza della sua espressività di attrice intelligente e versatile nelle interpretazioni di Shakespeare, Pirandello, Sofocle e Anouilh.» (Cinema, le garzantine, a cura di Gianni Canova, Garzanti, Milano 2009). Tra il 1947 e il 1953 recitò in numerosi capolavori teatrali: L'albergo dei poveri di M. Gorkij, Le notti dell'ira di A. Salacrou e I giganti della montagna di L. Pirandello (1947); Delitto e castigo, La tempesta e Romeo e Giulietta di Shakespeare, Assassinio nella cattedrale di Th. Stearns Eliot e Il gabbiano di A. Cechov (1948); La bisbetica domata di Shakespeare e Il piccolo Eyolf di H. Ibsen (1949); La parigina di Becque, Estate e fumo di Tennessee Williams e Il misantropo di Molière (1950); Casa di bambola di H. Ibsen e La dodicesima notte di Shakespeare (1951); Macbeth di Shakespeare ed Elisabetta d'Inghilterra di F. Bruckner (1952); Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello e Lulù di Carlo Bertolazzi (1953); e Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (1956).

Compagna nella vita e nell'arte di Gianni Santuccio, formò con il grande attore una fra le coppie più celebrate e indimenticabili del teatro italiano. La compagnia Brignone-Santuccio, cui si aggiunsero M. Benassi, S. Randone, L. Volonghi e C. Pilotto, «ebbe esiti brillanti per i requisiti intrinseci delle opere in repertorio e per le irripetibili “gare di bravura” degli interpreti»
[http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/].
Ricordiamo l'Allodola di J. Anouilh al teatro di via Manzoni di Milano nel 1953 (E. Possenti scrisse che di Giovanna d'Arco la Brignone fece «con la sua bella, dolce, incantata interpretazione» una delle «più felici figure della sua carriera»); Processo di famiglia di D. Fabbri al teatro Carignano di Torino nello stesso anno; e Anche le donne hanno perso la guerra di C. Malaparte al teatro La Fenice di Venezia nel 1954 (Possenti parlò di «una dolorosa e dura fierezza»). Dopo un periodo di separazione artistica, Lilla Brignone e Gianni Santuccio si riunirono per la stagione 1960-61 e furono ancora insieme «con momenti di splendida bravura» nella compagnia Brignone-Santuccio-Millo, interpretando Danza di morte di A. Strindberg presso il teatro Comunale di Ferrara nel 1969 (il dramma fu trasmesso con successo strepitoso in TV nel 1971). Di Lilla Brignone è stato scritto: «Mostrava ormai d'aver maturato uno stile inconfondibile (voce leggermente roca ma morbida, gesto netto, portamento dignitoso, talvolta sostenuto, mai sussiegoso) che, nei momenti più difficili, si distillerà in una sorta di ritmo misurato e distaccato che sarà caratteristico della sua recitazione soprattutto negli ultimi anni della carriera. Sul suo viso le labbra sottili e il taglio a mandorla degli occhi richiamavano i lineamenti di una maschera orientale ingentilita da tratti mediterranei, una preziosità, questa, certamente più adatta al teatro drammatico che ad altri generi di spettacolo: il suo partner “ideale” divenne, a questo punto, G. Santuccio, col quale intese completarsi nel rappresentare le più riposte pieghe psicologiche della coppia (il sodalizio era cominciato al tempo di “Piccoli borghesi” e l'incontro con lo Strehler fu pertanto contemporaneo e determinante ai fini della loro evoluzione artistica).»
(http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/).

Con Luchino Visconti la Brignone portò al successo Come le foglie di G. Giacosa (1954), La signorina Giulia di A. Strindberg (1957), Il crogiuolo A. Miller (1955), Immagini e tempi di Eleonora Duse di G. Guerrieri e Veglia la mia casa, Angelo di Ketti Frings (dal romanzo di Thomas Wolfe, nella versione di Suso Cecchi D'Amico) (1958), e La monaca di Monza di G. Testori (1967).

Fu, quindi, con Anna Proclemer e Giorgio Albertazzi (da ricordare l'affascinante spettacolo Maria Stuarda di F. Schiller, per la regia di L. Squarzina, presentato al teatro E. Duse di Genova nel 1965).

Nel 1968 recitò In memoria di una signora amica (trasmessa in TV nel 1978), scritta per lei da Giuseppe Patroni Griffi che la diresse nella compagnia Lilla Brignone-Pupella Maggio, presentata al teatro La Fenice di Venezia, in occasione del XXII Festival del Teatro (l'interpretazione le meritò la maschera con lauro d'oro IDI 1964, destinata alla migliore interprete di una novità italiana).

Con il teatro Stabile di Genova e Luigi Squarzina fu la protagonista dei seguenti spettacoli di successo: Casa nova di C. Goldoni (1973), Cerchio di gesso del Caucaso di B. Brecht (1974) e Un lungo giorno di viaggio nella notte di E. O'Neill (1974).

Negli ultimi anni di attività, con Giancarlo Sepe (definito «un estroso “rilettore” di alcuni stagionati testi del teatro contemporaneo»), ripropose Come le foglie (1979) e fu protagonista della Casa di Bernarda Alba di F. Garcia Lorca (1980), di Danza macabra di A. Strindberg (1981) e di Così è (se vi pare) di Pirandello (1982), che fu il suo vero e proprio canto del cigno, in cui «il gusto del rischio che mai le era venuto meno la indusse alla interpretazione della parte della signora Frola in chiave di teatro dell'assurdo con un risultato accattivante»
(http://www.treccani.it/enciclopedia/adelaide-brignone_(Dizionario-Biografico)/).

Naturalmente non poteva ignorarla la TV degli anni d'oro che la fece conoscere agli italiani, i quali non disponevano ancora dei teatri stabili e impararono ad amare il teatro e i suoi protagonisti attraverso la prosa televisiva e gli sceneggiati. Da ricordare: Casa di bambola, (1958) diretta da Vittorio Cottafavi, Una tragedia americana (1962) per la regia di Anton Giulio Majano, La figlia del capitano (1965) diretta da Leonardo Cortese, e I promessi sposi (1967) e I demoni di S. Bolchi e Diego Fabbri da F. Dostoevskij (1972) per la regia di Sandro Bolchi.

Prediletta anche dal cinema, fu diretta da Raffaello Matarazzo (Il serpente a sonagli, 1935, con Nino Besozzi, Andreina Pagnani e Paolo Stoppa, e La risaia, 1956, con Elsa Martinelli e Folco Lulli), Alessandro Blasetti (La cena delle beffe, 1941, con Amedeo Nazzari, Clara Calamai, Osvaldo Valenti ed Elisa Cegani), Renato Castellani (I sogni nel cassetto, 1957, con Lea Massari, Enrico Pagani e Sergio Tofano), Valerio Zurlini (Estate violenta, 1959, con Jean-Louis Trintignant ed Eleonora Rossi Drago – nella parte della madre di Roberta, questo fu «tra i pochi film in cui poté, nello spazio di una scena d'intenso respiro, dimostrare il suo talento» – e Il deserto dei Tartari, 1976, con Vittorio Gassman Giuliano Gemma e Philippe Noiret in una scena breve ma significativa che ne costituiva il prologo), Antonio Pietrangeli (Fantasmi a Roma, 1960, con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Eduardo De Filippo e Tino Buazzelli), Michelangelo Antonioni (L'eclisse, 1962, con Alain Delon e Monica Vitti), Jean Delannoy (Venere imperiale, 1962, con Gina Lollobrigida, Stephen Boyd e Raymond Pellegrin), Bernard Borderie (Rocambole, 1962, con Nadia Gray e Alberto Lupo), Gianni Puccini (L'attico, 1963, con Daniela Rocca, Tomas Milian e Philippe Leroy), Franco Giraldi (La bambolona, 1968, con Ugo Tognazzi,), Pasquale Squitieri (Camorra, 1972, con Fabio Testi, Jean Seberg e Raymond Pellegrin), Salvatore Samperi (Malizia, 1973, e Peccato veniale, 1974, con Laura Antonelli), e infine Alberto Lattuada (Oh, Serafina!, 1976, con Renato Pozzetto, moderna favola ecologista tratta dall'omonimo romanzo di Giuseppe Berto). Si è scritto: «Benché l'attività teatrale abbia avuto, nella sua carriera, la preminenza su quella cinematografica, la Brignone è riuscita a creare, in alcuni film di innegabile valore, personaggi di grande intensità drammatica, come quello della madre di Vittoria (Monica Vitti), la protagonista de “L'eclisse” realizzato nel 1962 da Michelangelo Antonioni), e quello della madre di Ivana, la protagonista de “La bambolona” (1968, regia di Franco Giraldi; protagonista maschile, Ugo Tognazzi), delineati entrambi con estrema bravura e con opposti registri drammatici, perfettamente adeguati ai personaggi, nevrotico e carico di tensione il primo, il secondo in apparenza ottuso, ma in realtà sottilmente calcolatore.» 
(http://www.mymovies.it/biografia/?a=5359).

Lilla Brignone si dedicò anche in modo intenso alla prosa radiofonica e in modo saltuario al doppiaggio.

Morì nella sua amata città di Roma (che nel 1972 l'aveva premiata con l'“Oscar capitolino”) il 24 marzo 1984 (aveva appena 70 anni). Il 30 ottobre 1984 nel foyer del Politeama di Genova è stata aperta una mostra intitolata “Omaggio a Lilla Brignone”, realizzata grazie al materiale che la figlia Maria Teresa (che vive a Genova) ha donato al Museo Biblioteca dell'Attore. Si trattava di «un viaggio in cinquant'anni di storia del teatro curiosando tra i bauli dell'attrice», deceduta nel marzo precedente. All'inaugurazione hanno partecipato Ivo Chiesa e Sandro D'Amico, Vittorio Gassman e Ombretta Colli. In quell'occasione ha detto Vittorio Gassman: «La conoscevo da quarant'anni l'ho apprezzata tantissimo, soprattutto per la duttilità dei ruoli. Ma non ho mai recitato assieme a lei: l'unica volta che fui in scena con la Brignone, facevo la comparsa e basta, non dissi neppure una battuta. Il suo comunque fu un approccio moderno, però sempre legato ai valori della tradizione.».
(http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/30/in-memoria-della-signora-lilla-brignone.html).

mercoledì 21 agosto 2013

Diana Torrieri, attrice di un'altra generazione dal ricordo sempre vivo


Diana Torrieri

Avrebbe compiuto 100 anni in questi giorni l'attrice Diana Torrieri (il suo vero nome era Angela), nata a Canosa di Puglia (Bari) il 13 agosto 1913 (alcune biografie riportano, però, il 9 agosto come data della sua nascita).

Io ho avuto il piacere di conoscerla, e di mai dimenticarla, grazie alla televisione degli ultimi anni Cinquanta e primi anni Sessanta, quando la TV sembrava privilegiare il grande teatro italiano. Ero bambina e la ricordo in un film di Daniele D'Anza Ma non è una cosa seria (tratto dal testo di Pirandello nel 1957) con Gianni Santuccio (era il playboy Memmo Speranza) mentre la Torrieri interpretava Gasparina, proprietaria di pensione, donna umile e sottomessa, insignificante e apparentemente senza attrattive muliebri, che Memmo sposa legalmente ma per finta (per proteggersi dal pericolo di un vero matrimonio) ma che diviene tanto interessante e desiderabile da costringere Memmo Speranza a modificare quel “matrimonio per scherzo” in una unione seria.

Considerata una delle grandi interpreti del teatro italiano del Novecento, Diana Torrieri iniziò a calcare il palcoscenico nei primi anni Trenta con la Compagnia di Paola Borboni e Luigi Cimara (andarono anche negli USA per una lunga tournée).

Si distinse poi nella compagnia di Anton Giulio Bragaglia che ne fece la prima–attrice del Teatro delle Arti di Roma, del quale sarà direttore dal 1937 fino al 1943 (con Bragaglia interpretò, fra l'altro, la parte di Lavinia ne Il lutto si addice ad Elettra di Eugene O'Neill e fu la protagonista de La nuova colonia di Pirandello). Ebbe esperienze anche nelle compagnie di Wanda Capodaglio, Salvo Randone, Tino Carraro, Ivo Garrani, Vittorio Gassman, Elena Zareschi e Memo Benassi (con cui interpretò Spettri di Ibsen, Amleto di Shakespeare e Non si sa come di Pirandello). Nel 1943 entrò nella compagnia dell'Eti recitando ne Il piccolo Eyolf di Ibsen ed in Zio Vanja di Cechov.

Lavorò anche con la Compagnia del Quirino di Roma diretto da Sergio Tofano, e a Milano con Giorgio Strehler.

Durante la guerra, nel 1943, nelle file del Partito d'Azione svolse attività partigiana; nel medaglione dedicato a Diana Torrieri dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia è scritto: «La Torrieri era, comunque, impegnata in prima persona nella Resistenza. Militante del Partito d'Azione, nel 1943 entrò come staffetta in una formazione di “Giustizia e Libertà” e, nei giorni della Liberazione, fu ferita di striscio, mentre si trovava vicina al “Piccolo” di Milano, teatro di cui fu anche capocomico.» (http://www.anpi.it/donne-e-uomini/diana-torrieri/)

Nel 1949 l'attrice tentò il suicidio ma riprese ben presto la sua attività teatrale dedicandosi sia a opere classiche sia a testi moderni e rimanendo attiva sulla scena sino alla fine degli anni Sessanta (con qualche partecipazione anche sino agli anni Ottanta). Nel 1952 si dedicò all'organizzazione del Teatro Stabile di Venezia. Tra le presenze teatrali più significative degli anni Cinquanta, vorrei ricordare La vedova scaltra di Carlo Goldoni (1951) con Vittorio Gassman, Mario Feliciani, Mario Scaccia, Raoul Grassilli, Elena Zareschi, Mario Ferrari e Ferruccio Stagni, per la regia di Luigi Squarzina, al Teatro Valle di Roma, e Un uomo da nulla di Luigi Candoni (1953), con Enrico Maria Salerno, Pina Cei, Ivo Garrani e Ottorino Guerrini, che facevano parte della Compagnia del Teatro Stabile di Venezia di Diana Torrieri, per la regia di Gianfrando De Bosio, presentata al Teatro la Fenice di Venezia.

Aveva intanto conosciuto Giuseppe Ungaretti e nella stagione 1956-7 interpretò Fedra di Racine nella traduzione del grande poeta. Fra le sue ultime grandi interpretazioni, sono degne di nota La pietà di novembre di Carlo Brusati (1967) con Giorgio Albertazzi, e Più grandiose dimore di O'Neill (1969), rappresentata al Teatro San Babila di Milano per la regia di Vittorio Cottafavi.

Diana Torrieri si dedicò anche alla prosa radiofonica, amatissima dal pubblico del tempo. Da ricordare: Le tre sorelle di Anton Čechov (1942) con Carlo D'angelo per la regia di Enzo Ferrieri, e L'albergo dei poveri di Maxim Gorkij (1946) con Ruggero Ruggeri per la regia dello stesso Enzo Ferrieri. Nel 1957 si rivelò al suo pubblico radiofonico con Un'attrice allo specchio, confidenze poetiche di Diana Torrieri.

La prosa televisiva RAI svelò il suo viso e le sue interpretazioni, facendola conoscere al grande pubblico. Sono da ricordare: Gli spettri di Henrik Ibsen (1954) con Tino Buazzelli, Giorgio Albertazzi, Romolo Valli e Edda Albertini, per la regia di Mario Ferrero; Il piacere di lasciarsi di Jules Renard (1956) con Tino Bianchi, per la regia di Vito Molinari; Ventiquattr'ore felici di Cesare Meano (1956) con Emma Gramatica, Pina Cei, Luigi Vannucchi, Ivo Garrani e Sandro Tuminelli, per la regia di Claudio Fino; Il litigio di Charles Vildrac (1957) con Armando Francioli, Neda Naldi, Ernesto Calindri, Salvo Randone e Mercedes Brignone, per la regia dello stesso Claudio Fino; Il tunnel (1958), tratto dal dramma in un atto di Mabel Costanduros e Haward Hagg, con Ferruccio Solieri, Nicola Arigliano, Monica Vitti e Franco Volpi, per la regia di Giacomo Vaccari; Tana di ladri (1961) con Carlo Dapporto, Elsa Merlini, Michele Malaspina, Carlo Ninchi e Luigi Cimara, per la regia di Eros Macchi; Marea di settembre di Daphne duMaurier (1963) con Laura Efrikian, Enzo Tarascio e Gabriele Antonini, per la regia di Alessandro Brissoni; Processo a Gesù di Diego Fabbri (1963) con Mariolina Bovo, Mario Feliciani e Nando Gazzolo, per la regia di Sandro Bolchi; Piccole volpi di Lillian Hellman (1965) con Laura Efrikian, Mario Feliciani, Lyda Ferro, Giancarlo Sbragia e Roldano Lupi, per la regia di Vittorio Cottafavi; e infine La donna di fiori (1965), miniserie televisiva con Ubaldo Lai nel ruolo del tenente Sheridan, per la regia di Anton Giulio Majano. Nel 1965-1966 fu Emma Micawber nello sceneggiato televisivo David Copperfield; nel 1969 comparve nel film TV Dal tuo al mio e nel 1979 ne La promessa (interpretava la signora Schrott); nel 1980 partecipò, infine, alla miniserie TV Bambole: scene di un delitto perfetto.

Il cinema non predilesse granché Diana Torrieri; con lei negli anni Quaranta si ricordano quattro film: Il barone di Corbò (1939) – era la madre di Lulù – per la regia di Gennaro Righelli con Enrico Glori, Vanna Vanni, Laura Nucci, Wandina Guillaume e Nino Marchetti; Don Pasquale (1940) – era Zelinda, la damigella di Norina – per la regia di Camillo Mastrocinque con Laura Solari, Armando Falconi, Greta Gonda e Fausto Guerzoni; La primadonna (1943) – era Fanny Agrate – per la regia di Ivo Perilli con Maria Mercader, Annelise Uhlig, Renato Bossi, Romano Calò e Carlo Lombardi; e Incontro con Laura (1945) per la regia di Carlo Alberto Felice e prodotto da Filmservice, con Ernesto Calindri e l'allora ventiduenne Vittorio Gassman (pellicola purtroppo andata perduta). A proposito di questo film, è riportato così nel medaglione dedicato a Diana Torrieri dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia: «La pellicola aveva, per così dire, un risvolto resistenziale: era stata finanziata dall'industriale Gino Bonazzi, proprietario di quattordici filande. Improvvisandosi produttore cinematografico, Bonazzi riuscì ad impedire che i suoi operai (utilizzati nel film come comparse), venissero deportati dai tedeschi.» 
(http://www.anpi.it/donne-e-uomini/diana-torrieri/). 
Ha raccontato Diana Bonazzi, produttrice di Filmservice e figlia di Gino Bonazzi: «Nel film, Calindri recitava la parte di un orologiaio, il giovane Gassman era l'amico di sua moglie, interpretata dalla Torrieri.». Un critico del dopoguerra lo definì un film «girato clandestinamente con attori per lo più nuovi allo schermo».

Con il figlio Sergio Velitti, Diana Torrieri girò più tardi il film commedia La duchessa d'Urbino (1957) (diretto insieme a Ruggero Jacobbi) con Paola Mannoni ed Ernesto Calindri; il film storico Il silenzio del mare (1968) con Giancarlo Sbragia, Renzo Ricci e Claudia Giannotti; e il film drammatico La Malquerida (1969) con Lino Troisi e Marcello Tusco. [Sergio Velitti è anche noto per avere presentato nel 1961 “Storia di Pablo” – liberamente tratto dal romanzo Il compagno di Cesare Pavese – al Piccolo teatro di Milano, per la regia di Virginio Puecher, con Angelo Corti, Ottavio Fanfani, Gabriella Giacobbe, Franco Interlenghi, Vittorio Sanipoli, Franco Sportelli ed Enzo Tarascio]

Nel 1968 l'attrice fu inviata di Radio2 per fare un reportage in Brasile: durante il viaggio, sulla nave Augustus, intervistò e registrò dal vivo le parole di due geni della musica brasiliana, Vinicius De Moraes e Dorival Caymmi.

Dal 1991 fu sostenuta dal vitalizio previsto dalla Legge Bacchelli per gli artisti e visse senza venir mai meno al suo impegno democratico. Scomparve a Roma il 26 marzo del 2007 (aveva 93 anni).

è stato così commentato: «Attrice di prosa di notevole reputazione, graziosa, fine, caratterizzata da un sorriso dolce e ambiguo a un tempo, fu tra le prime mattatrici del palcoscenico a essere impiegate in TV fin dal periodo sperimentale. Interprete di ruoli di fine e romantica signora come ne “I Cari Inganni”,“Marea di Settembre”,“Il litigio”, diede comunque ottima prova anche in ruoli fortemente drammatici come quello della madre nel dramma “Gli spettri” di Ibsen e soprattutto in “”Piccole volpi“” a cui prese parte in entrambe le edizioni TV con una magnifica interpretazione del malefico personaggio di Regina Giddens.»
(http://www.mymovies.it/biografia/default.asp?a=6255).

Carlotta Degl'Innocenti nel suo necrologio pubblicato sulla Stampa mercoledì 28 marzo 2007, dal titolo “Diana Torrieri. Grandi interpreti del Novecento. Scompare una Stella”, riporta come si sia detto dell'attrice: «Interprete originale, incisiva nel registro comico e appassionata in quello drammatico, dotata di forte energia comunicativa. […] Nel 1949-50, la Torrieri risale sul palcoscenico accanto a Tino Carraro, lavorando per Giorgio Strehler, uno dei fondatori della moderna regia in Italia. Interpreta opere teatrali d’avanguardia e testi classici: “La macchina infernale” di Cocteau, “Sei personaggi in cerca d'autore” di Luigi Pirandello, “Albertina” di Valentino Silvio Bompiani e “L'annuncio a Maria” di Paul Claudel. […] Continua a recitare in numerose opere affiancando attori e registi di grosso calibro come nell'“Oreste” di Alfieri, accanto a Gassman e la Zareschi nel 1955, in tournée in America del Sud con Sergio Tofano in “Vestire gli ignudi” e “Pensaci, Giacomino!” di Luigi Pirandello […] Nel 1955-56 è inoltre interprete e regista di “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams. […] Sul viale del tramonto, recitato dietro le telecamere, Diana Torrieri, la “signora del teatro”, cede al postmodernismo, condannata anche lei, come altri protagonisti della grande stagione culturale italiana, a ricevere un vitalizio dal governo italiano nel 1991.»
(http://www.fondazioneitaliani.it/index.php?option=com_content&task=view&id=794&Itemid=1)

Si è scritto ancora: «Le possibilità espressive della Torrieri e i toni stessi della sua recitazione trovano però la loro più felice espressione quando possono riversare nell'interpretazione di una figura femminile quei singolari accenti di vigorosa amarezza e di inquietante tensione che le sono congeniali.» [http://www.treccani.it/enciclopedia/diana-torrieri_(Enciclopedia-Italiana)/].